Relazioni internazionali degli organismi sociali

O.O. 23 – I punti essenziali della questione sociale – IV


 

1. L’interna articolazione del sano organismo sociale rende triarticolate anche le relazioni internazionali. Ciascuno dei tre ambiti avrà la propria indipendente relazione con quelli corrispondenti agli altri organismi sociali. Si stabiliranno rapporti economici tra un paese e l’altro, senza che vi abbiano diretta influenza i rapporti degli Stati politici (chi obietta che i rapporti giuridici e quelli economici costituiscono anch’essi un tutto e che non possono essere scissi gli uni dagli altri, non considera ciò su cui poggia l’articolazione in questione. Che nell’insieme del processo sociale i due generi di rapporti agiscano come un intero, è ovvio. Ma un conto è configurare il diritto partendo dai bisogni economici; e ben altro è ricavarlo dal primigenio sentire quanto è giusto, per poi farne cooperare il risultato con le relazioni economiche). E, viceversa, i rapporti degli Stati politici si stabiliranno entro certi limiti in completa indipendenza da quelli economici.

Per questa indipendenza dell’origine di tali rapporti, questi potranno agire conciliativamente l’uno sull’altro nei casi di conflitto. Risulteranno, fra i singoli organismi sociali, relazioni d’interessi che, nei riguardi della convivenza umana, toglieranno importanza ai confini dei diversi Paesi. Le organizzazioni spirituali dei singoli Paesi potranno entrare tra loro in rapporti derivanti solo dalla medesima comune vita spirituale dell’umanità. La vita spirituale poggiante su se stessa, resa indipendente dagli Stati, svilupperà rapporti che sarebbero impossibili se il riconoscimento delle prestazioni spirituali dipendesse dallo Stato politico anziché dalla stessa comune amministrazione dell’organismo spirituale. In tal senso non c’è differenza tra le prestazioni scientifiche manifestamente internazionali e quelle di altri rami della vita spirituale. Di questa fa parte anche la lingua stessa di un popolo con tutto ciò che alla lingua direttamente si connette; e persino la stessa coscienza nazionale. Uomini di una data regione linguistica non cadono in conflitti innaturali con quelli d’altra regione se, per mettere in valore la cultura del proprio popolo, non vogliono servirsi dell’organizzazione dello Stato, o della potenza economica. Se la cultura di un popolo ha, di fronte ad un’altra, una maggior potenzialità di espansione e di produttività spirituale, tale espansione sarà giustificata e si effettuerà pacificamente, se regolata solamente da disposizioni dipendenti da organismi spirituali.

 

2. Oggi la più forte opposizione alla triarticolazione dell’organismo sociale sarà ancora sollevata dalle collettività umane sviluppatesi da comunanza di linguaggio e di cultura. Ma dovrà frantumarsi di fronte alle mete che, per le necessità dei nuovi tempi, l’umanità nel suo complesso dovrà porsi in modo sempre più consapevole. L’umanità sentirà che ciascuna delle sue parti potrà conseguire un’esistenza veramente degna dell’uomo solo unendosi in modo energicamente vitale con tutte le altre. Le compagini etniche, accanto ad altri impulsi naturali, sono le cause per le quali si sono storicamente formate le comunità giuridiche ed economiche. Ma le forze grazie a cui crescono le nazionalità devono svolgersi in reciproca azione non ostacolabile dai rapporti che sviluppano vicendevolmente i governi e le associazioni economiche. Ciò avviene quando le compagini etniche pervengono alla triarticolazione dei loro organismi sociali così che ciascuna delle tre sfere possa svolgere indipendentemente i propri rapporti coi relativi organismi sociali. Si formano così fra popoli, Stati, ed istituzioni economiche, multiformi rapporti che collegano fra loro le varie parti dell’umanità, in modo che l’una, nei suoi propri interessi, senta al tempo stesso la vita delle altre. Così, da impulsi fondamentali corrispondenti alla realtà, sorge spontaneamente una lega di popoli, senza che questa debba essere “costituita” sulla base d’unilaterali vedute giuridiche (chi vede in tali cose delle semplici “utopie” non riconosce come la realtà della vita tenda proprio verso istituzioni del genere di queste che egli ritiene utopistiche, e neanche come gli inconvenienti di tale realtà derivino proprio dal fatto che tali istituzioni non esistano ancora).

 

3. A un pensiero conforme alla realtà dovrebbe apparire particolarmente importante il fatto che gli scopi organico-sociali qui indicati valgono, sì, per tutta l’umanità, ma possono essere realizzati da ciascun singolo organismo sociale, indipendentemente dal modo in cui altri paesi provvisoriamente si comportano rispetto a tale realizzazione. Se un organismo sociale si articola nei suoi tre naturali campi d’azione, le relative rappresentanze possono, in quanto corpi unitari, entrare in rapporti internazionali anche con altri organismi sociali che non abbiano ancora effettuato tale articolazione. Chi sia primo a intraprendere tale articolazione lavorerà per un scopo comune a tutta l’umanità. Ciò che va attuato si raggiungerà con la forza dello scopo che si dimostrerà radicato in reali impulsi umani della vita, più che non per mezzo di convenzioni e discussioni di congressi. Lo scopo da conseguire è pensato su una base di realtà, e può nella vita reale perseguirsi a partire da qualsiasi punto delle comunità umane.

 

4. Chi ha seguito negli ultimi decenni gli avvenimenti della vita dei popoli e degli Stati da un punto di vista qual è quello di queste considerazioni, ha potuto scorgere come gli Stati formatisi nella vicenda storica tramite il loro accentramento di vita spirituale, giuridica ed economica, siano stati avviati verso rapporti internazionali tali da spingere ad una catastrofe. Si sarebbe però dovuto osservare che anche forze opposte, sorgendo da impulsi umani incoscienti, tendevano alla triarticolazione qui descritta, rimedio contro i perturbamenti cagionati dal fanatismo unitario. Ma la vita dei “dirigenti responsabili” dell’umanità non era disposta in modo da vedere ciò che da lunga mano si stava preparando. Nella primavera e nel principio dell’estate del 1914 si potevano ancora sentire “uomini di Stato” parlare “di pace europea, per quanto umanamente prevedibile, assicurata grazie agli sforzi dei governi”. Tali “uomini di Stato” non avevano il minimo presentimento che quanto dicevano e facevano non aveva più nulla a che fare con l’incalzare degli avvenimenti reali. Eppure costoro erano considerati dei “pratici”, mentre erano considerati “sognatori” quelli che, contrariamente all’opinione degli “uomini di Stato”, si erano formati negli ultimi decenni idee ben diverse, come per esempio quelle che lo scrivente ebbe a manifestare mesi prima della guerra a Vienna in un circolo ristretto (perché in adunanze più grandi sarebbe stato deriso). In merito a ciò che allora minacciava, egli si era espresso press’a poco nei termini seguenti: “Le tendenze della vita attualmente dominanti si accentueranno sempre più, fino ad annullarsi in se stesse. Chi penetra con lo sguardo spirituale la vita sociale vede spuntare dappertutto terribili disposizioni alla formazione di tumori sociali. Questa è la grande preoccupazione di chi penetra la vita della civiltà odierna; la minaccia tremenda e opprimente che, anche volendo sopprime ogni altro entusiasmo per la conoscenza dei fatti della vita fornita dalla scienza dello spirito, dovrebbe condurre a gridare il rimedio, per così dire, in faccia al mondo: se l’organismo sociale continua a svilupparsi come ha fatto finora, ne verranno alla civiltà dei mali paragonabili a ciò che sono le formazioni cancerose nell’organismo fisico dell’uomo” (si veda la sesta conferenza del ciclo “Natura interiore dell’uomo e vita fra morte e nuova nascita”, Ed. Antroposofica, Milano 1975). Ma le concezioni delle sfere dominanti, su questo substrato della vita che non potevano e non volevano vedere, svilupparono impulsi che condussero a provvedimenti che non avrebbero dovuto essere presi, mentre ne trascurarono altri che sarebbero stati adatti a stabilire vincoli di fiducia tra le varie comunità umane.

 

5. Chi crede che tra le cause dirette della presente catastrofe mondiale non abbiano avuta parte le necessità della vita sociale dovrebbe riflettere su ciò che sarebbero divenuti gli impulsi politici degli Stati che spingevano alla guerra, se gli “uomini di Stato” avessero accolto queste necessità sociali nella sfera del loro volere. E che cosa non sarebbe accaduto se di conseguenza si avesse avuto altro da fare che accumulare materie infiammabili per l’esplosione. Se negli ultimi decenni si fosse fatta attenzione al subdolo incancrenirsi dei rapporti tra gli Stati come conseguenza della vita sociale nella parte dirigente dell’umanità, ci si sarebbe accorti di come una persona, che aveva a cuore gli interessi dello spirito in senso umano universale, avesse potuto dire, in vista dell’andamento che la volontà sociale aveva preso in tali dirigenti, già nel 1888: «Lo scopo finale è questo: formare di tutta l ’umanità un regno di fratelli che, perseguendo solo ipiù nobili motivi, vada avanti d’accordo. Chi segua la storia solo sulla carta d’Europa potrà credere che il nostro prossimo avvenire debba portare a un generale vicendevole assassinio dei popoli; ma solo il pensiero che “una via verso i veri beni della vita umana si debba pur trovare ” può conservare vivo il senso, della dignità umana. Questo pensiero non sembra accordarsi coi nostri mostruosi armamenti bellici e con quelli dei nostri vicini; ad esso però io credo; esso deve illuminarci; a meno che non si preferisca addirittura troncare la vita umana stabilendo, per risoluzione collettiva, un giorno ufficiale di suicidio». (Cosi scriveva H. Grimm nel 1888 a pag. 46 del suo libro “Aus den letzten funf Jahren”). Cos’altro erano gli “armamenti bellici” se non le misure prese da taluni uomini, che volevano mantenere gli Stati in una forma unitaria, anche se per l’evoluzione del nuovo tempo questa forma era divenuta contraria a una sana convivenza tra i popoli? Ora una sana vita collettiva potrebbe realizzarsi appunto attraverso quell’organismo sociale che ho qui disegnato secondo le necessità del nuovo tempo.

 

6. La compagine dello Stato austro-ungarico richiedeva, ormai da oltre mezzo secolo, una nuova struttura. La sua vita spirituale, che aveva radice in una pluralità di gruppi nazionali, richiedeva una forma di governo al cui sviluppo era di ostacolo la forma statale unitaria derivante da impulsi antiquati. Il conflitto austro-serbo, che sta al punto di partenza della catastrofe mondiale, è la più valida testimonianza del fatto che, da un dato momento in poi, i confini politici di quello Stato unitario non avrebbero più dovuto essere confini di cultura per la vita dei popoli. Se vi fosse stata la possibilità che la vita spirituale, costituita a sé e resa indipendente dallo Stato politico e dai suoi confini, si fosse potuta sviluppare oltre quei confini, in modo conforme agli intenti delle popolazioni, il conflitto, radicato nella vita spirituale, non avrebbe potuto scaricarsi in una collisione politica. Ma un’evoluzione mirante a ciò appariva una cosa impossibile, anzi un vero assurdo, a tutti coloro che in Austria-Ungheria credevano di pensare da “uomini di Stato”. Le loro abitudini di pensiero non davano adito ad altra idea se non a quella che i confini dello Stato coincidano con quelli delle comunità nazionali. Era massimamente difficile per costoro comprendere che oltre i confini dello Stato possano formarsi organizzazioni spirituali abbraccianti la scuola ed altri rami della vita spirituale. Eppure questo “inconcepibile” è l’esigenza dei tempi nuovi per la vita internazionale. Chi pensi praticamente non deve arrestarsi ad apparenti impossibilità, e credere che provvedimenti che seguano tale esigenza debbano urtare contro difficoltà insuperabili; ha piuttosto da dirigere il suo sforzo proprio nel superare queste difficoltà. In Austria, il pensiero politico, invece di orientarsi secondo le direttive volute dai nuovi tempi, mirò a prendere provvedimenti che mantenessero l’unità dello Stato contro questa esigenza. Lo Stato è così diventato un’istituzione sempre più impossibile, e nel secondo decennio del secolo attuale è venuto a trovarsi in condizioni tali da non poter fare più nulla per reggersi nell’antica forma, così da restare in attesa della propria decomposizione, oppure da dover provare, mediante la violenza esteriore che si esplicò nelle misure di guerra, a conservare ciò che internamente era divenuto impossibile. Nel 1914 per gli uomini di Stato dell’Austria-Ungheria non c’era altra via d’uscita: o dirigere i loro intenti nel senso delle necessità vitali del sano organismo sociale e comunicare al mondo questa loro volontà, che avrebbe potuto svegliare una nuova fiducia, oppure scatenare di necessità una guerra per conservare l’antico. Solo giudicando l’avvenimento del 1914 su queste basi si può pensare rettamente la questione delle responsabilità. Avrebbe dovuto essere compito storico-mondiale dello Stato austro-ungarico, in ragione della partecipazione ad esso dei molti gruppi etnici, di sviluppare il sano organismo sociale; ma tale compito non fu riconosciuto. Questo peccato contro lo spirito del divenire storico del mondo spinse l’Austria- Ungheria alla guerra.

 

7. E l’Impero tedesco? Era stato fondato in un tempo in cui le esigenze moderne di un sano organismo sociale tendevano alla loro realizzazione. Questa realizzazione avrebbe potuto dare all’Impero tedesco la giustificazione storico-mondiale della sua esistenza. Gli impulsi sociali si concentrarono in questo Impero dell’Europa centrale, come nel campo che poteva sembrare storicamente predestinato al loro sviluppo. Il pensiero, sociale si manifestò in molti luoghi, ma nell’Impero tedesco aveva assunto un aspetto particolare, da cui si sarebbe dovuto scorgere a cosa tendeva. Ciò avrebbe potuto dare un contenuto all’opera di questo Impero e assegnare i compiti ai suoi governanti. Se gli si fosse dato un contenuto d’azione com’era preteso dalle forze stesse della storia, sarebbe stata comprovata nella vita collettiva dei popoli moderni la ragione di esistenza di questo nuovo Impero. Invece di pensare a questo compito in grande, ci si fermò nell’ambito delle “riforme sociali” che risultavano dalle esigenze di giornata, soddisfatti quando dall’estero ne era ammirata l’esemplarità. Con ciò si mirò sempre più a fondare la potenza mondiale esteriore dell’Impero su forme che erano derivazioni dei più antiquati concetti di potenza e di splendore di Stato. Si formò un Impero che allo stesso modo di quello austro- 84 ungarico contraddiceva ciò che storicamente si annunciava nelle forze di vita dei popoli dei tempi nuovi. I governanti di questo Impero non vedevano nulla di tali forze. La loro immagine di Stato poteva solo poggiare sulla forza del militarismo. Quella invece che esigeva la nuova storia avrebbe dovuto fondarsi sulla realizzazione degli impulsi di un sano organismo sociale. Con questa realizzazione l’Impero si sarebbe trovato nella comunità dei popoli moderni in tutt’altra posizione da quella in cui lo sorprese il 1914. Non avendo compreso le esigenze del tempo moderno per la vita dei popoli, la politica tedesca nel 1914 era giunta allo zero delle sue possibilità d’azione. Negli ultimi decenni non aveva scorto nulla di ciò che sarebbe dovuto accadere; si occupò di ogni sorta di cose estranee alle forze evolutive del nuovo tempo, e che per la loro vacuità dovevano “crollare come un castello di carte”.

 

8. Di quanto in tal modo risultò dal corso della storia come tragico destino dell’Impero tedesco, si avrebbe un’immagine fedele se si consentisse di esaminare gli eventi che si svolsero a Berlino nelle sfere competenti fra la fine luglio ed il primo agosto 1914, e a presentarli fedelmente al mondo. Di quegli avvenimenti si sa ancora ben poco all’interno e all’estero. Chi li conosce sa che la politica tedesca di allora si comportò come quella di un castello di carte, e che quando toccò lo zero della sua attività, qualsiasi decisione sul se e come la guerra fosse da iniziarsi dovette passare al giudizio dell’autorità militare. Chi era allora al comando non potè, dal punto di vista militare, agire diversamente da come fece, poiché da questo punto di vista la situazione poteva vedersi soltanto come fu vista. All’infuori delle sfere militari si era caduti in una situazione che in nessun senso poteva più condurre ad un’azione. Tutto ciò risulterebbe come un fatto storico-mondiale se si trovasse qualcuno che insistesse per portare alla luce i fatti avvenuti a Berlino a fine luglio del 1914 e in modo particolare ciò che avvenne il 31 luglio ed il 1° agosto. Si ha ancora sempre l’illusione che dall’esame di questi avvenimenti non ci sia nulla da ricavare conoscendo i precedenti che li prepararono. Ma se si vuol parlare di quel che attualmente si chiama “la questione della responsabilità della guerra” non si può fare a meno di questo esame. Certo, si possono conoscere anche per altra via le cause da lungo tempo preesistenti, ma è dall’esame suddetto che risulta come quelle cause abbiano agito.

 

9. Le idee che spinsero allora alla guerra i governanti della Germania continuarono ad agire fatalmente. Diventarono sentimento di popolo ed impedirono che durante gli ultimi terribili anni, attraverso le amare esperienze, si sviluppasse nei dirigenti quella comprensione la cui mancanza aveva prima portato alla tragedia. Sul possibile intendimento che avrebbe potuto risultare da queste esperienze contava appunto l’autore di questo libro quando in Germania ed in Austria, nel momento di guerra che ritenne opportuno, tentò di manifestare le idee del sano organismo sociale e delle loro conseguenze sulla condotta politica a personalità che allora avrebbero ancora potuto adoperare la propria influenza per far valere questi impulsi (il testo si riferisce al “Memorandum” del 1917, allora distribuito, e poi inserito nel libro “I punti essenziali della questione sociale”, come quinto ed ultimo capitolo del presente volume).

Personalità che avevano lealmente a cuore il destino del popolo tedesco si adoperarono a guadagnare consensi a queste idee. Ma si parlò invano. Le abitudini mentali si opponevano a questi impulsi, i quali al pensiero orientato solo militarmente apparvero inadatti a condurre ad una giusta soluzione. Tutt’al più si diceva: “Separazione della Chiesa dalla Scuola”. Questo, potrebbe andar bene! Su questa strada erano già da molto tempo avviati i pensieri di coloro che si dicevano “uomini di Stato”, ma non si poteva far loro prendere una direzione che avrebbe condotto a trasformazioni radicali. I benevoli mi dicevano di “pubblicare” queste mie idee; ma in quel momento era il consiglio più inutile. Infatti a che avrebbe servito se nel campo della “letteratura” si fosse parlato fra tante altre cose anche di questi impulsi e per di più da parte di un privato? Mentre, per loro natura, avrebbero allora potuto acquistare un’importanza solo per la sede da cui fossero stati annunziati. Se in opportuna sede si fosse parlato secondo quegli impulsi, i popoli dell’Europa centrale avrebbero visto possibile trovare qualcosa che fosse più o meno rispondente alle loro consapevoli aspirazioni. E le popolazioni della Russia avrebbero, in quel momento, certamente accolto con comprensione l’idea di sostituire tali impulsi allo zarismo. Potrebbe contestare ciò solo chi non abbia un’idea della sensibilità che, per le idee sociali sane, ha l’intelligenza non ancora logora dei popoli orientali d’Europa. In luogo di una manifestazione nel senso di queste idee, venne Brest-Litowsk (luogo della Russia occidentale in cui il 15/12/1917 fu firmato il trattato di pace fra la Germania e il nuovo governo rivoluzionario russo, a condizioni durissime per la perdente Russia)!

 

10. Che il pensiero militarista non potesse impedire la catastrofe dell’Europa centrale ed orientale poteva nascondersi soltanto al pensiero militarista. La causa della disgrazia del popolo tedesco fu il fatto che non si volle credere alla possibilità di evitare la catastrofe. Nessuno volle riconoscere che là, dove si potevano prendere le decisioni mancava ogni senso delle necessità storico-mondiali. Chi conosceva queste necessità sapeva che fra gli anglofoni vi erano personalità che riuscivano a scorgere quanto si agitava nelle forze di popolo dell’Europa centrale ed orientale. Sapeva altresì che quelle personalità erano persuase che nell’Europa centrale e orientale si andava preparando qualcosa che sarebbe sfociato in grandi sconvolgimenti sociali. Esse credevano che nei Paesi anglofoni non ci fosse ancora, per tali sconvolgimenti, né una necessità storica né una possibilità; e su questa convinzione regolavano la loro politica. Nell’Europa centrale e orientale non si vide tutto questo, ma si orientò la propria politica in modo che questa dovette crollare “come un castello di carte”. Ci si basò su una politica costruita sul solo fatto che nei Paesi anglofoni si sarebbe ragionato in modo grandioso e del tutto naturale delle necessità storiche secondo la prospettiva inglese. Ma i moventi per una politica del genere erano apparsi come qualcosa di altamente superfluo, soprattutto ai “diplomatici”.

 

11. Invece di condurre una politica orientata in modo da recare vantaggio anche all’Europa centrale e orientale durante la catastrofe bellica, malgrado la veggente politica inglese, si continuò a muoversi negli abusati binari diplomatici.

 

E durante gli orrori della guerra non si apprese dalle amare esperienze che, davanti al compito che l’America aveva proposto al mondo con le sue manifestazioni politiche, era divenuto necessario opporne un altro, sorgente dal cuore dell’Europa, originato dalle sue proprie forze vitali. Tra il compito proposto da Wilson in chiave americana e quello che, tra il rombo dei cannoni, fosse tuonato come impulso spirituale europeo, un accordo sarebbe stato possibile. Ogni altra chiacchiera circa eventuali accordi suonava vuota di fronte alle necessità storiche. Ma la capacità d’imporsi compiti ricavandoli dalle possibilità insite nella vita della umanità nuova, mancava a coloro che le circostanze avevano messo a capo del governo dell’Impero tedesco. Perciò l’autunno del 1918 portò ciò che portò. Lo sfacelo della potenza militare fu accompagnato da una capitolazione spirituale. Invece di rimettersi, almeno in quel momento, a una valorizzazione, mossa dal volere europeo, degli impulsi spirituali del popolo tedesco, si venne alla semplice sottomissione ai quattordici punti di Wilson. Si presentò a Wilson una Germania che da parte sua non aveva nulla da dire! Comunque Wilson la pensi rispetto ai suoi quattordici punti, egli non può però aiutare la Germania se non in ciò che essa stessa vuole. Doveva perciò aspettarsi una manifestazione di questa volontà. Alla nullità della politica, all’inizio della guerra, si aggiunse l’altra dell’ottobre 1918; si aggiunse la terribile capitolazione spirituale portata da un uomo nel quale in molti nei Paesi tedeschi riponevano una specie di ultima speranza.

 

12. Sfiducia nella comprensione delle forze che agiscono per necessità storiche; avversione a considerare gli impulsi derivanti dalla conoscenza delle concatenazioni spirituali, ecco ciò che ha prodotto la situazione dell’Europa centrale. Ora una nuova situazione si è creata dai fatti risultati dalle conseguenze della catastrofe. Tale situazione può essere caratterizzata dall’idea degli impulsi sociali dell’umanità, quale è intesa in questo libro. Questi impulsi sociali parlano un linguaggio di fronte al quale il mondo civile, tutt’intero, ha una missione. Deve oggi il pensiero sul futuro raggiungere lo zero di fronte alla questione sociale come lo raggiunse nel 1914 la politica dell’Europa centrale di fronte ai suoi compiti? I paesi che poterono tenersi in disparte dalle questioni di allora non possono permettersi di fare altrettanto rispetto al movimento sociale. Di fronte a tale questione non vi dovrebbero essere né avversari politici né neutrali. Dovrebbe esserci solo un’umanità operante in comune, un’umanità disposta a comprendere i segni dei tempi e ad uniformare a questi la loro azione.

 

13. Sulla base delle intenzioni esposte in questo scritto, si comprenderà perché nel capitolo seguente è riprodotto l’“Appello al popolo tedesco e al mondo civile”, lanciato poco tempo fa dall’autore di queste considerazioni e sostenuto da un Comitato che ne condivideva il contenuto. Oggi le condizioni sono diverse da quelle del momento in cui il contenuto dell’“Appello” fu comunicato a un numero ristretto di personalità. Allora l’opinione pubblica lo avrebbe di necessità considerato l’idea di un pubblicista; oggi va presentato al pubblico quello che poco tempo fa non gli si poteva ancora comunicare, per trovare uomini che lo comprendano e che vogliano agire nel suo spirito, se esso merita di essere compreso e realizzato. Se oggi infatti qualcosa può nascere, lo può soltanto grazie all’azione di tali uomini.