Il principio di contraddizione nell’evoluzione cosmica ed umana – I


 

L’argomento delle nostre odierne considerazioni riguarda un fattore poco conosciuto di ogni evoluzione in generale, il quale fattore è dato dal principio di contraddizione inserito nella realtà del mondo.

Di solito si è dell’opinione che quando in un’esposizione di fatti si rivela una palese contraddizione, essa non possa corrispondere al reale svolgimento degli avvenimenti o concreta manifestazione dei fenomeni del mondo.

Se una cosa qualsiasi ci vien descritta prima come bianca e poi come nera, noi diciamo subito che in ciò vi è una contraddizione che esclude l’una eventualità, ove si verifichi l’altra.

 

Insomma siano dell’opinione che la realtà come tale, presa e considerata in se stessa, non ammetta e non possa ammettere il principio di contraddizione. La contraddizione pecca difatti contro un principio logico fondamentale, quello dell’esclusione del contrario. Una cosa qualunque, che chiamiamo A, potrà essere uguale a B o a C e così via, ma mai al suo inverso, al suo contrario. Sembra evidente che il bene non possa essere il male, l’amore non possa identificarsi con l’odio, la luce non possa apparire anche come tenebra.

 

Oggi dovremo riconoscere che questo concetto dell’essere delle cose, il quale esclude dalla realtà il principio di contraddizione, appartiene a un pensiero piuttosto superficiale. Non deve far dunque meraviglia che la gente trovi moltissime contraddizioni proprio nella Scienza dello Spirito antroposofica.

L’antroposofia non nasce difatti da una visione superficiale del mondo e della vita. Essa al contrario cerca di penetrare nei sostrati più profondi della realtà, dove scopre una conformazione di esseri e di cose assai diversa di quella che si rivela alla superficie. Possiamo anche far notare che nessun altro libro contiene tante contraddizioni quante ne contengono i Vangeli. I Vangeli difatti si fondano sulla stessa pietra di sostegno del mondo, dove non può giungere lo sguardo dell’osservatore superficiale.

 

Prima di proseguire oltre, consideriamo opportuno leggere un passo importantissimo di Rudolf Steiner, dal quale traggono fondamento queste nostre odierne considerazioni. Il Dottore, in una conferenza tenuta a Monaco il 23 agosto 1911, dice: ▸«La logica astratta, il pensiero astratto, intellettuale, cercherà sempre di scoprire, proprio nelle concezioni superiori del mondo, delle contraddizioni, per poter poi dire: questa concezione del mondo è piena di contraddizioni, quindi non può reggere. La cosa sta invece in modo che nella vita concreta la compagine vivente … è tutta attraversata da contraddizioni e che anzi un divenire non sarebbe possibile nel mondo, se in tutte le cose, alla base del loro essere, non vi fosse la contraddizione».

 

Dobbiamo sforzarci di afferrare bene il profondissimo contenuto di queste parole del Dottore che rivelano lo stesso apparato motore spirituale di ogni evoluzione.

Perché è possibile che un essere si evolva? L’insegnamento del Dottore ce lo dice. Perché esso, nel suo stato iniziale, contiene in sé il principio di contraddizione, che lo spinge a realizzare uno dei termini antitetici e ad eliminare l’altro. Da questo sforzo nasce il moto del mondo, fluisce il divenire delle cose, scorre il grande fiume dell’evoluzione cosmica ed umana.

 

Come sempre nelle nostre considerazioni, ricorreremo anche oggi a degli esempi. Sappiamo che Giuseppe Verdi, sommo genio musicale, quand’era ancora giovinetto, concorse a un posto gratuito di Conservatorio, ma fu respinto per scarse attitudini musicali. Si potrà dire molto sulla perspicacia dei professori che hanno dato questo giudizio, ma è pur da tener presente che qualche fondamento obiettivo, seppur molto unilaterale e secondario, esso avrà avuto. Un sommo genio musicale apparisce dunque all’inizio del suo sviluppo come fornito di scarse attitudini musicali. In ciò vi è naturalmente una formidabile contraddizione, che non si può saltare senz’altro a piè pari e cavarsela con la scappatoia di dire: «I professori che hanno giudicato Verdi, erano dei cretini».

 

Vedete, gli zingari boemi ed ungheresi nascono con eccellenti disposizioni musicali, ma nessuno di loro è mai diventato un Verdi, un Mozart, un Beethoven. Questi zingari dal senso musicale sviluppatissimo diventano di solito suonatori di violino nei locali notturni delle grandi metropoli. Nascono e muoiono con il loro estro, con il loro talento, che sono assolutamente incapaci di sviluppare.

 

Dunque non basta il talento musicale per diventare un Verdi, un Bach, un Beethoven, un Wagner, un Mascagni. Affinché dal talento puro e semplice si passi alla manifestazione del genio, è necessario che questo talento s’accompagni con alcune qualità del tutto contraddittorie, come quelle rappresentate da scarse attitudini musicali. La contraddizione è stridente, ma è nella realtà. Dobbiamo pur ammettere che la prima opera di Verdi, L’Oberto, conte di S. Bonifacio, contiene in sé molto che proviene dal talento musicale e molto che è l’ombra dell’inettitudine musicale. Se così non fosse, Verdi non avrebbe potuto passare di ascesa in ascesa fino al raggiungimento dell’apoteosi nel Falstaff, dove ogni ombra è scomparsa per dar luogo alla bellezza luminosa e perfetta. La realtà è conformata in modo tale che sale soltanto chi è capace di eliminare man mano da sé le parti contraddittorie del suo essere.

 

Consideriamo «ora brevemente una altra grande figura umana, quella di Francesco Bernardone, nato ad Assisi nel 1182. La sua evoluzione doveva portarlo a raggiungere un altissimo grado di santità, una chiarificazione tersissima dell’anima. Eppure nei suoi anni giovanili, noi vediamo agire in lui un principio del tutto contraddittorio alla santità, che lo spinge alla ricerca di piaceri mondani e alle avventure della vita militare. Da questa contraddizione nasce però un impulso potente capace di sviluppare nell’anima di Francesco i germi latenti della santità. Solo dal riconoscimento della profondissima dissomiglianza fra ciò che vi è nel suo essere e ciò che forma il contenuto dei Vangeli, Francesco d’Assisi trova la forza per trasformarsi in un portatore degli ideali cristiani.

 

Intorno a quegli anni, e precisamente nel 1225, nasceva a Roccasecca da un conte tedesco un bambino che era destinato a diventare uno dei più grandi pensatori di tutti i tempi: Tommaso d’Aquino. Se noi, memori di questo suo destino di sommo pensatore, leggiamo la biografia di Tommaso, restiamo colpiti da un fatto singolare. Egli è santo fin dalla nascita. In realtà egli non è un uomo, è un angelo. Nulla di tutto ciò che in senso lato possiamo chiamare passionalità umana riesce a far presa sulla sua anima angelica. All’opposto egli non rivela alcuna acutezza d’ingegno, manca d’intelligenza brillante, è tardo di pensiero. I suoi compagni di studi gli affibbiano il soprannome di “Bove”. Il grande teologo di Colonia, Alberto Magno, riesce però a scoprire per primo che dietro la lentezza e pesantezza mentale di Tommaso, si nasconde una quasi sovrumana potenza di pensiero.

 

Noi comprendiamo subito che l’anima angelica di Tommaso è il presupposto necessario del suo sublime pensiero. Solo chi è completamente distaccato dal mondo può albergare nella sua anima pensieri celesti. Meno facilmente comprendiamo come sia possibile che un pensiero che penetra fino alle basi divine del mondo possa essere accompagnato da quell’elemento di tardità che ha fatto dare a uno dei massimi pensatori umani il nomignolo spregiativo di “Bove”. Eppure vedete, la suprema potenza mentale di Tommaso d’Aquino nasce tutta da questa contraddizione. Egli è un grandissimo pensatore, appunto perché non è intelligente. L’intelligenza vivida permette di afferrare un pensiero con la rapidità d’un lampo, ma poi come il lampo che si spegne, lascia la mente in un’oscurità più profonda. La visione della realtà che ha Tommaso d’Aquino non è certo quella balenante a tratti che si può acquistare, per esempio, attraversando una campagna in una notte lampeggiante. Il suo pensiero non ha lampi, ma procede con la stessa lenta ma formidabile sicurezza con la quale il Sole attraversa il cielo da un capo all’altro dell’orizzonte. La visione della realtà di Tommaso d’Aquino non è temporalesca, ma solare. Perciò il suo pensiero non si sostiene sull’intelligenza che brilla, ma sull’elemento contraddittorio della cauta ponderatezza.

 

Ed ora facciamo un salto di secoli e consideriamo un uomo tanto grande, quanto sconosciuto e misconosciuto: Wolfgang Goethe, che visse dal 1749 al 1832. I suoi biografi non si possono contare tanto sono numerosi, eppure fra tanti non si trovano due che concordino nella loro descrizione. Si ha l’impressione che ogni biografo parli non del vero Goethe, ma di un fantasma uscito dalla sua anima titanica, di un’ombra proiettata dalla sua gigantesca figura. Perfino Hermann Grimm, che pur rievoca in modo potente la figura di Michelangelo, riesce a dire assai poco di Goethe. Confrontando tra loro le due celebri biografie del Grimm, restiamo colpiti dal fatto che l’autore riesce a illuminare Michelangelo con la luce del tempo nel quale il grande scultore visse, mentre non può in alcun modo inquadrare la figura di Goethe nell’epoca storica in cui essa appare. Dire che Michelangelo visse dal 1475 al 1564, è già dire molto per comprendere le manifestazioni della sua genialità, ma voler comprendere in qualche modo Goethe per mezzo degli impulsi della sua epoca storica, è una cosa del tutto impossibile.

 

Goethe non vive nella storia, è piuttosto la storia che vive nella sua anima. Perciò Goethe non riceve impulsi storici, ma li dà.

Questo fatto fa già comprendere perché la figura di Goethe sia così misteriosa ed enigmatica. Nella storia dominano i più svariati impulsi e noi troviamo logico e naturale che secondo le diverse circostanze di tempo e di luogo essi si manifestino ora però in un modo e ora in un altro. La storia in fondo è tutta fatta di contrasti più o meno violenti. Ora, quando diciamo che l’anima di Goethe si è fatta storia dobbiamo pensare non solo al fatto singolare per se stesso, ma anche a tutte le sue conseguenze. Queste sono indubbiamente rappresentate dal fatto che l’anima di Goethe è piena di impulsi contraddittori, di contrasti violenti, di continue battaglie. Per questo non deve far meraviglia che gli uomini non riescano a comprendere Goethe e che ogni biografo ci dia una differente immagine della sua anima. Mentre in quest’anima grande alcuni vedono tutte le virtù umane esercitate con fermezza e coscienza, altri scorgono paurosi abissi d’immoralità.

 

Rudolf Steiner ci dà la chiave per capire l’anima di Goethe. Egli ci dice che la storia del Medioevo è caratterizzata dalla lotta di due principi contrastanti, quello cristico del Graal e quello avverso del mago di Klingsor. Questi due principi opposti avevano anche in quei tempi lontani un centro fisico esteriore da cui promanavano e diffondevano la loro potenza. Il santuario del Graal sorgeva a Monsalvato, sulle pendici meridionali dei Pirenei, mentre la nera rocca del mago di Klingsor si levava a Castelbellotta, in Sicilia. Ciò fa parte della leggenda, quanto della storia.

Col procedere del tempo questi due opposti impulsi si disancorarono dalla realtà fisica esteriore. E tuttavia continuarono sempre ad agire, ma come un puro fatto di coscienza. E come un puro fatto di coscienza si presentarono nell’anima di Goethe. In quest’anima grande sorgevano nella loro nuova forma spirituale tanto il santuario di Monsalvato che la nera rocca malefica di Castelbellotta. L’opposizione storica di un tempo, diventa così contraddizione interiore dell’anima. Solo con questa chiave possiamo comprendere Goethe. Egli è il grande realizzatore degli impulsi del Graal, solo perché di continuo dovette vincere in sé la malefica potenza di Klingsor.

 

Da ultimo vogliamo osservare un’altra grande figura umana, quella di Leone Tolstoj, perché in essa si rivela più che una contraddizione interiore, una poderosa e drammatica contraddizione di destino. Risulta dall’indagine soprasensibile di R. Steiner che in Leone Tolstoj si è ripresentata nell’esistenza fisica la grande anima di Socrate.

Rievochiamo perciò davanti al nostro sguardo mentale, con quanto maggior vigore ci riesce possibile, l’ultimo atto della vita di Socrate. Consideriamo la fermezza del filosofo davanti ai suoi falsi giudici, l’eroismo con il quale bevve la mortale cicuta, la sua fede incrollabile nell’immortalità dell’anima, il supremo disprezzo della morte.

Ebbene, in Leone Tolstoj tutto ciò ricompare nel suo rovescio. Per lunghi anni della sua vita egli è ossessionato da una continua, spasmodica, quasi innaturale paura della morte. In alcuni racconti autobiografici, egli descrive questa paura in modo veramente impressionante. Però del modo particolare con il quale Tolstoj ci descrive i suoi terrori, dallo spirito che sorge dalle sue parole, noi comprendiamo subito (e non senza meraviglia) che ciò che egli intende per paura della morte è un sentimento del tutto diverso da quello che indurrebbero a credere le parole. Leone Tolstoj chiama in verità morte la vita peritura nel mondo dei sensi, e di questo egli ha dunque un indicibile terrore. L’esistenza fisica non gli appare come la vita, ma tutt’al più come la vita morente, come vita che di continuo si spegne. Questo continuo perire della vita fisica gli mette un indicibile terrore ed egli anela con tutte le forze della sua anima a una vita vera, a una vita in eterno divenire.

 

Teniamo vivamente davanti allo sguardo dell’anima questa drammatica contraddizione di destino fra la fine della vita di Socrate e il principio della vita di Tolstoj, e chiediamoci: «A che cosa porta questa quasi incredibile contraddizione?»

La risposta ci viene offerta in modo grandioso dai fatti. Leone Tolstoj è già alle soglie della vecchiaia. Durante una passeggiata, viene sorpreso dalla notte in un grande e folto bosco, ancora assai lontano dalla sua villa di campagna. In questo bosco tenebroso viene colto dal suo solito terrore della morte, che questa volta raggiunge il parossismo e sta per sovvertire le facoltà mentali. Ma non è un pazzo colui che esce da quel bosco pauroso. È un uomo nuovo che non conosce più la paura. Che cosa è dunque avvenuto? Pur rispettando la comprensibile reticenza di Tolstoj su questo sacro mistero della sua vita, noi possiamo dire che la sua anima si è incontrata con la Vita Vera, con il Cristo. Da quel giorno il Risorto vive ed opera nell’anima di Leone Tolstoj.

 

La contraddizione di destino di cui ci siamo occupati, non poteva avere un risultato più sacro e sublime. La fede nell’immortalità di Socrate doveva essere immersa nell’abisso più profondo dell’orrore della morte, affinché essa potesse acquistare un significato superiore. S. Paolo dice con grande potenza d’espressione: «Se il Cristo non è risorto, la nostra fede è vana». Vana dunque anche la fede di Socrate se non riesce a trovare il sostegno del Cristo. Così la sua entità eterna ebbe modo di comprendere che la fede nell’immortalità è vana, se non è completata dalla speranza nella Vita Vera del Cristo.

La contraddizione di destino, che rese così travagliata la vita interiore di Leone Tolstoj, condusse tuttavia la sua anima a un’esperienza di grandezza indicibile, la elevò in una sfera più spirituale e sublime. Leone Tolstoj può essere per noi il simbolo dell’altissimo significato che porta in sé la contraddizione di destino.

 

Il grande scrittore russo non è naturalmente il solo in cui questa contraddizione si rivela. Moltissimi altri uomini sono costretti a sopportarla, anche se le conseguenze come è ovvio non sono così evidenti e significative. Ogni uomo ha la sua propria statura spirituale, ogni uomo progredisce di quel tanto che la sua maturità interiore glielo permette.

Il Dottore dice che in ogni uomo che tende allo spirito, possiamo osservare il contrasto, la lotta dei due opposti destini. Uno di questi due destini è quello che l’uomo dovrebbe realmente avere secondo il suo karma individuale, l’altro è una deviazione del primo che si rende necessaria affinché colui che anela alle verità superiori possa venir condotto a contatto con gli impulsi spirituali che promanano da certi centri e da certi fatti speciali della vita.

 

Noi tutti osservando il nostro mondo in evoluzione: il crasso materialismo dovunque imperante, l’odio verso le verità superiori, la paura per i mondi soprasensibili, la distorsione dell’insegnamento degli iniziati, la superficialità della scienza, ci rendiamo subito conto che in queste condizioni così sfavorevoli è ben difficile per un’anima del nostro tempo trovare la via dello spirito.

Secondo le determinazioni del suo proprio karma individuale, quest’anima sarebbe forse destinata a vivere in ambienti tali e a conoscere uomini tali che le toglierebbero ogni possibilità di conoscere una genuina fonte spirituale. Donde la necessità che in questo destino venga per grazia divina intrecciato un altro che offra invece la ventura di poter ricevere in modo adeguato gli impulsi spirituali. Perciò avviene, specialmente nel nostro tempo, che le anime che sono destinate allo spirito devono percorrere una specie di destino intrecciato a catena.

È evidente difatti che non si può percorrere tutti e due i destini in una volta. Si percorre a tratti ora l’uno, ora l’altro. Quando si vive un destino, l’altro si svolge inosservato a fianco, allo stesso modo con cui la corrente d’induzione accompagna invisibile la corrente principale. Ora il contrasto tra questi due destini, quello che si vive e quello che invisibile lo accompagna, è sempre violento e l’anima avverte l’urto che ne deriva come uno stato semicosciente di malessere interiore, di continuo perturbamento spirituale.

 

Per avere un’idea di ciò in concreto, immaginiamo, per esempio, il caso di un individuo che per i suoi precedenti karmici sarebbe destinato ad entrare in un Conservatorio per coltivarvi le sue eccellenti disposizioni musicali. Invece avviene che proprio in quel tempo i suoi genitori si trasferiscono in un centro minerario dove esistono soltanto scuole tecniche. Il nostro giovane per forza di cose, perché i suoi non hanno i mezzi per mantenerlo agli studi in un’altra città, deve entrare in una scuola tecnica. La sua anima naturalmente ne patisce. Ma in quella scuola tecnica conosce un compagno con il quale stringe ben presto fraterna amicizia. In questo compagno vive una nobile forma d’idealismo che impressiona fortemente l’anima del nostro giovane e vi pone i primi semi di una concezione spirituale della vita. Egli diventa col tempo ingegnere minerario e più tardi congiunge la sua anima con un movimento esoterico. Se invece avesse seguito il suo destino originario, se si fosse inscritto in un Conservatorio, ciò sarebbe stato non solo impossibile, ma l’ambiente di scapigliatura nel quale sarebbe vissuto, avrebbe dato alla sua anima una deleteria inclinazione alla leggerezza e alla superficialità.

 

Questo è naturalmente solo un esempio fittizio, ma serve a far comprendere in che modo possa manifestarsi la contraddizione di destino. Si capisce di fatti che nell’anima di quel giovane, mentre essa riceveva dall’amico i primi seri impulsi spirituali, si faceva sentire anche una specie di continuo richiamo alla scapigliatura proveniente dal destino originario ch’egli viveva tuttavia come in un sogno. E ciò generava nell’anima sua agitazione e malcontento. Tutti coloro che sono destinati allo spirito devono passare attraverso simili contrasti interiori, devono esperimentare questa contraddizione di destino.

Nelle opere di Rudolf Steiner potrete trovare esempi non fittizi, come quello che appare qui, esempi reali tratti dalla realtà della vita come si presenta nell’indagine chiaroveggente.

Noi non li abbiamo riportati per non toglierli dal nesso spirituale in cui li colloca il Dottore.

 

Del resto ognuno di coloro che siedono qui è un esempio vivente di quanto ora andiamo esponendo. Ognuno di noi sente vivere e pesare nella sua anima una contraddizione di destino. Non è forse vero? Non è forse vero che ognuno di noi sente che nella sua anima c’è qualcosa che contrasta violentemente con le elevate aspirazioni spirituali che tutti nutriamo? Non è forse vero che accanto all’appello dello spirito si fa sentire come in sordina in noi un appello del tutto dissimile? Non è forse vero che a momenti ci sentiamo un essere di cui siamo contenti e a momenti un essere di cui ci dobbiamo intimamente vergognare? Tutto ciò proviene dal nostro karma originario, da cui per grazia divina siamo stati in parte risparmiati affinché la nostre anime potessero trovare le vie dello spirito.

 

Come già sappiamo la contraddizione si compone di solito di due termini antitetici, di cui uno deve essere eliminato affinché la contraddizione sia risolta e superata. Negli esempi che abbiamo visto finora, risultava che aveva massimo sviluppo il termine positivo, mentre quello negativo serviva quasi da fermento biologico, da catalizzatore chimico per incrementare il processo d’evoluzione. Naturalmente può presentarsi anche il caso opposto. In alcune individualità prevale il termine negativo della contraddizione che c’è nella loro anima e a respingere quello positivo. Per illustrare tale fatto potremmo scegliere altri esempi, come quello di Nietzsche, Holderlin, Schelling, Soloviev ecc. ma ciò ci farebbe deviare troppo dal corso della nostra esposizione che vuol esporre il tema della contraddizione soltanto nelle sue linee generali. Questi spiriti che abbiamo ora nominato, in confronto dei grandi atti di cui ci siamo occupati dianzi sembrano dotati di una specie di moto retrogrado, possono andare verso il passato, non verso l’avvenire.

 

Naturalmente questa può essere nient’altro che una illusione umana. Allo sguardo chiaroveggente l’evoluzione di questi spiriti che sembrano retrocedere apparirà certamente secondo un significato superiore che sfugge alla considerazione umana. Tuttavia è bene osservare come la contraddizione che c’è nella natura umana può impulsare l’evoluzione animica in una direzione piuttosto che in un’altra. Se non ci fosse questa possibilità di moto in direzioni opposte, l’evoluzione non potrebbe sussistere. Dalle leggi della fisica sappiamo che quando due forze agiscono su un corpo da direzioni diverse, questo si mette in moto verso una terza direzione che è la risultante delle forze in giuoco.

 

Nel mondo tutto è mirabilmente collegato

e le leggi che agiscono nel campo fisico sono il simbolo delle leggi che operano nella sfera dello spirito.

L’evoluzione cosmica ed umana è sempre la risultante di forze diverse.

Già questo fatto fa comprendere la necessità della contraddizione che sta alla base della realtà del mondo.

L’impulso a procedere nasce sempre da uno stato di contrasto iniziale.

 

Ora dobbiamo accennare anche alle contraddizioni che si riscontrano nella storia. Abbiamo la fortuna di vivere in un’epoca in cui la contraddizione storica del tempo nostro si presenta in una forma di massima evidenza. La civiltà umana pare in pericolo di frantumarsi, posta com’è nell’immane urto tra l’Oriente e l’Occidente. Ed è un fatto veramente singolare che metà dell’umanità vuole esattamente l’opposto di ciò che vuole l’altra metà. La storia non ha visto finora una contraddizione così potente nelle aspirazioni dell’umanità. È inutile recriminare sui fatti e chiedere con spavento a che cosa porterà questo immane urto. Porterà certamente a una risultante, dalla quale il genere umano potrà assestarsi e progredire ulteriormente. Senza questo scontro di forze ci sarebbe la cancrena cosmica, la stasi cosmica.

Naturalmente ci vorrebbe almeno una conferenza per penetrare fino alle basi della contraddizione storica, di cui l’Occidente rappresenta un termine e l’Oriente quello antitetico. Il nostro tema è così vasto che possiamo osservarlo solo a volo d’uccello. Non possiamo però dimenticarci di dire che la scienza antroposofica dello spirito fondata da Rudolf Steiner rappresenta già la giusta risultante e il felice superamento della contraddizione in atto tra Est ed Ovest. L’uomo d’Occidente e l’uomo d’Oriente non possono in alcun modo intendersi tra loro, ma la Scienza dello Spirito parla un linguaggio che riesce comprensibile tanto all’anima orientale quanto all’anima occidentale. Nell’antroposofia la contraddizione si è trasformata difatti in fonte d’evoluzione, in moto verso l’avvenire.

 

Da un certo punto di vista, la nostra epoca storica può essere fatta risalire fino all’anno 869, o almeno fino a quell’anno si estendono alcune sue propaggini principali. L’anno 869 ci rivela che la storia umana sta conformandosi in modo sempre più contraddittorio. Sappiamo che questo anno vide lo sconvolgimento dell’ottavo Concilio ecumenico di Costantinopoli che, negando la spiritualità dell’essere umano, aperse il primo solco tra il mondo occidentale e quello orientale. Dunque nell’anno 869 l’umanità rifiuta di riconoscersi quale spirito e pone così nel suo seno i germi del materialismo moderno. Questo è un fatto storico ben conosciuto. Di fronte ad esso sta un altro fatto di pari importanza e del tutto contraddittorio. Lo possiamo esprimere nel modo seguente.

 

Nell’anno 869 termina il ciclo leggendario dei cavalieri di re Artù e s’inizia il ciclo dei cavalieri del Graal. Forse sarebbe meglio rappresentare questo importantissimo avvenimento della storia dell’umanità antica in un modo pratico-reale. I santi dei paesi del Sud, che fino allora avevano conservata la Sacra Coppa, l’affidarono ora in custodia ai cavalieri dei paesi del Nord che fondano il Santuario di Monsalvato per conservarla degnamente. Questo fatto storico-leggendario sta ad indicare che il cristianesimo raggiunge una delle sue prime mete, cioè l’unione spirituale dei popoli europei. Come conformazione storica esteriore, tutto ciò si manifesta nel grande impero medio-europeo che Carlo Magno potè fondare nel principio di quel secolo. Vi prego dunque di considerare questa grande contraddizione storica dell’anno 869.

 

Quest’anno eccezionale unisce l’Europa nell’impulso del Graal e la divide nello stesso tempo per mezzo del rinnegamento dello spirito. Noi oggi, a tanti secoli di distanza, ci accorgiamo bensì delle conseguenze negative dell’anno 869, perché esse hanno proprio nel nostro tempo raggiunto un’evidenza che mette terrore, mentre assai meno ci accorgiamo di quella che potremmo chiamare l’unione spirituale dei popoli europei e che è un trionfo dell’impulso del Graal. Eppure questa unione esiste e si esprime nel fatto che Dante, Cervantes, Shakespeare, Goethe, Tolstoj parlavano un linguaggio che viene compreso da tutta l’Europa. Si potrà naturalmente obiettare che ciò è ovvio e che questi grandi sono compresi perché parlano nel linguaggio universale del genio. Però quest’obiezione deriva da un pensiero assai superficiale; il quale, appunto perché è tale, trova tutto ovvio. Il fatto è che per noi europei è assolutamente impossibile comprendere, per esempio, il linguaggio di Virgilio, di Omero, di Firdusi2, di Valmichi3. Chi crede il contrario, semplicemente s’illude. L’unione spirituale dell’Europa è un fatto assai meno ovvio e banale di quanto comunemente si creda. Alle basi di questa unione sta un sacro mistero, perché essa viene mantenuta per mezzo di una costante ispirazione dai mondi spirituali, che nel corso della storia si realizza attraverso l’impulso del Graal, l’azione dei Fratelli Rosacroce e il nuovo movimento antroposofico di R. Steiner.

 

Nella storia ci devono essere di queste contraddizioni di cui abbiamo parlato oggi, perché sempre un divario iniziale è destinato a trasformarsi in una più alta unione. Anche l’atroce contrasto che divide oggi l’Occidente dall’Oriente si trasformerà coi secoli in una sublime armonia di spiriti umani. Il preludio di questa armonia celeste risuona già ora nell’antroposofìa di Rudolf Steiner.

19 giugno 1948