Il tempo nostro I – Il crepuscolo mattutino dello spirito


 

1. L’evoluzione post-Atlantidea. La graduale discesa dell’uomo

L’evoluzione umana non è certo un fluire uniforme e monotono di eventi e di vicende sempre uguali e costantemente equivalenti. Anzi essa è segnata da rivolgimenti continui, da forme sempre nuove d’esistenza, da aspetti sempre diversi della civiltà, da fatti culminanti, da scoppi improvvisi, da urti violenti, da piatte convenzioni, da spinte e da ostacoli, da bonacce e da tempeste. Perciò lo storico usa dividere il cammino dell’umanità in tante tappe che chiama epoche o ere, ognuna delle quali è contrassegnata da caratteri di somiglianza ed è separata dalle altre da rivolgimenti profondi, da svolte decisive che aprono la via a tempi del tutto nuovi. Questi limiti storici, nell’opinione degli studiosi, sono di solito rappresentati da avvenimenti politici, geografici o scientifici: l’ascesa di Cesare Augusto, la caduta dell’impero romano, la scoperta dell’America, la rivoluzione francese, l’invenzione della stampa o del telaio meccanico, della pila elettrica o della bomba atomica e così via.

Vi sono tanti punti di vista per inquadrare la realtà storica ed ognuno di essi è parzialmente giustificato.

 

Anche la Scienza dello Spirito divide l’evoluzione umana in epoche e periodi, ma nel far ciò non si basa su avvenimenti del mondo fisico che considera effetti e non cause, bensì ricerca gl’impulsi spirituali che costituiscono lo sfondo invisibile della storia. Perciò le date stabilite dalla Scienza dello Spirito dicono ben poco all’uomo abituato a considerare soltanto l’aspetto esterno delle cose e non le forze interne che lo configurano. Il guscio della noce non sorge mai da sé, ma sempre dall’interno, dal gheriglio che con quel guscio si riveste. Inoltre è da tener presente che la Scienza dello Spirito estende le sue indagini al di là della storia, in quelle tenebre che lo studioso comune chiama preistoria o preciviltà.

 

Quando lo sguardo spirituale risale molto indietro nelle tenebre del tempo fisico, scopre che l’evoluzione umana è segnata non da fatti storici esteriori, di poca entità, ma da catastrofi telluriche o addirittura da rivolgimenti cosmici ai quali partecipa la Terra con altri corpi celesti. Possiamo così indicare come punti culminanti, come segnacoli precipui dell’evoluzione umana terrestre, il distacco del Sole, la scissione della Luna.

Oggi però, ai fini della nostra esposizione, non è necessario che risaliamo tanto lontano nel tempo; ci basterà arrivare a quel punto del cammino umano che è segnato dal cosiddetto diluvio universale della Bibbia, ossia dalla sommersione del continente Atlantideo.

 

Lo sguardo dello storico non giunge naturalmente fin là; non vi giunge che la supposizione del geologo che fa avvenire il diluvio – o processo generale di regressione delle acque, come viene chiamato dalla scienza e che continua tuttora – poco prima dell’ultima glaciazione boreale. Siamo dunque all’epoca dell’uomo delle caverne, del mammuth, del rinoceronte lanoso vagante per le gelide piane della Mongolia Interna; siamo nella preciviltà, nella notte dei tempi. Solo la conoscenza spirituale può portare luce in queste tenebre, in questo campo precluso all’indagine esteriore. Essa ci dà quei concetti rigorosi ed esatti che ci permettono di comprendere l’uomo in tutte le fasi della sua evoluzione. Una domanda ci servirà di guida: che cosa è la civiltà come la intendono gli uomini del nostro tempo?

La risposta vi sembrerà forse sorprendente, ma consideratela bene e la troverete esatta. La civiltà è il massimo adattamento possibile alle condizioni terrestri, è il massimo sfruttamento possibile delle forze fisiche, è la massima immersione possibile nella materia.

 

I popoli che oggi non godono della radio, del velivolo a razzo, della bomba atomica non sono civili. Da ciò si può comprendere che la recente e breve civiltà nostra, di cui siamo tanto superbi, è stata preceduta da un periodo inconcepibilmente lungo di non civiltà. L’umanità non poteva essere civile (nel senso che si dà oggi a questa parola) per il semplice fatto che le condizioni terrestri non le permettevano di prendere contatto con la materia.

 

Spesso la scienza si è posta domande di questo genere: dove era l’uomo quando la Terra era una sfera incandescente? Come faceva l’uomo, essere minuscolo ed inerme, a difendersi quando sulla crosta terrestre in convulsione vagavano mostri giganteschi come i brontosauri, gli iguanodonti, gli pterodattili? La scienza ufficiale non può rispondere a queste domande perché le manca il coraggio di pensare fino in fondo. L’indagine spirituale di Rudolf Steiner, che coincide sempre con i risultati esterni della scienza fisica quando è veramente rigorosa e spregiudicata, rivela che vi fu un tempo in cui l’uomo si librava ancora nelle altezze, prendendo solo minimo contatto con la realtà materiale e che esso è disceso poi lentamente, poco alla volta, sulla Terra ed è diventato quell’essere fisico-terrestre che oggi noi conosciamo.

 

Questa verità dell’indagine spirituale che risolve gli enigmi di quella fisica, ha pure un’altra faccia: quando il contatto dell’uomo con la materia era ancora irrilevante, l’unione dell’uomo con lo spirito, cioè con i mondi della realtà soprasensibile e con i concreti ed individuali Esseri sublimi delle Gerarchie divino-spirituali, era tanto più intima, possente, grandiosa. La graduale discesa sulla Terra è stata accompagnata dal progressivo distacco dallo spirito. La catastrofe Atlantidea è stata determinata dal fatto che la Terra, con una convulsione, doveva assumere quella conformazione fisica che permette all’uomo la massima immersione nella materia. Dopo di allora l’uomo diventa il re, il padrone dell’universo fisico.

 

Questo è il senso della Nuova Alleanza stabilita dalla Divinità con l’uomo, con Noè, come appare nella Genesi. Nella storia dell’evoluzione umana abbiamo dunque questa pietra miliare, questo segno di svolta, intendo la sommersione dell’Atlantide, che indica l’inizio della totale discesa umana nella materia.

 

 

2. Forme della cultura paleo-indiana. L’unione con lo spirito nella sfera del pensiero

Se risaliamo il corso dei tempi di undici o dodici millenni, arriviamo ai primordi della civiltà paleo-indiana, la prima delle sette destinate a costituire la grande parabola dell’evoluzione post-Atlantidea. La parola civiltà, riferita a quell’antichissima epoca della storia, non va naturalmente interpretata nel senso odierno.

Considerato dal punto di vista del progresso tecnico e materiale, l’indiano primordiale può essere addirittura definito incivile. Egli in realtà stenta, per non dire rifiuta, di prendere contatto con il mondo fisico. Questo lo interessa solo in quanto provvede al suo sostentamento materiale.

 

Per avere un concetto giusto di quei tempi, dobbiamo immaginare una comunità di uomini che si regge a patriarcato, con estrema semplicità di mezzi. La casa d’abitazione è un tectus che protegge dalle intemperie e una domus riscaldata dai cuori fraterni. Tutti partecipano al lavoro dei campi che ha carattere di culto e che è regolato dal corso dell’anno e dai fenomeni celesti. La riverenza per gli anziani è massima, l’ospite è sacro ed è considerato un inviato di Dio. Capo della famiglia è il pitar, colui che tutti nutre, e la sua volontà è la legge.

Nei luoghi di confluenza delle carovane, si elevano le gast che contengono i recinti per il bestiame e gli alberghi per gli uomini. Alle gast è preposto il gaspitar, un anziano che porge consigli, determina il periodo di permanenza e stabilisce gli itinerari delle transumanze.

 

Non vi sono forme esterne di culto, né templi elevati alle divinità. La scienza nel nostro senso è qualcosa di sconosciuto. Le poche nozioni indispensabili alla vita, acquistate dall’esperienza, sono tramandate da padre a figlio, per generazioni e generazioni. Di arte non è nemmeno il caso di parlarne; ignorata è la scrittura: tutto è impresso nella memoria che è potentissima.

L’estrema semplicità della vita sociale è però compenetrata da una profondissima saggezza di ordine sovrumano. Essa emana da sette grandi sapienti: i santi Rishi.

 

Dice il Dottor Steiner che non dobbiamo paragonarli ai sette saggi dell’antica Grecia che erano filosofi, dotti, poeti, artisti, legislatori. No, i santi Rishi erano uomini semplici, agricoltori che lavoravano la terra con le proprie mani e pastori che conducevano le greggi secondo le stagioni al piano e al monte. Presi singolarmente non si distinguevano in nulla dagli altri, ma di tanto in tanto, nel tempo stabilito, si riunivano a convegno e allora il Sole sfolgorante dello spirito si accendeva nelle anime e la luce della saggezza divina promanava dal loro essere interiore e si estendeva tutt’intorno portando ovunque ordine, armonia, benessere.

 

Questa prima civiltà indiana non va confusa con le sue due successive progeniture, di cui la seconda è parallela alla civiltà paleo-persiana e la terza è contemporanea di quella egiziana. Sono le vestigia di questa terza civiltà indiana – templi marmorei giganteschi, statue imponenti di numi, pagode altissime a tetti sovrapposti, opere d’arte che non hanno confronto, poemi sublimi, altezza mai raggiunta di pensiero, concezione religiosa ed etica della vita, profonda conoscenza dei misteri dell’universo – che oggi sbalordiscono l’archeologo, l’orientalista, il filologo. La Scienza dello Spirito ci dice che questa terza civiltà indiana, per quanto elevata possa apparire, non è che il riflesso fisico estremamente impallidito della luce della saggezza emanata dai Rishi.

 

E qui spontanea sorge la domanda: ma allora in che cosa consiste questa tanto decantata civiltà paleo-indiana se poco innanzi è stata caratterizzata come una comunità di contadini e pastori del tutto ignoranti? Consiste appunto in questa ignoranza fisica a cui fa da riscontro un’elevatezza spirituale finora mai raggiunta dall’umanità.

La Scienza dello Spirito ci insegna che l’indiano primordiale non era ancora del tutto immerso nella realtà fisico-terrestre. I suoi sensi corporei, il suo sistema nervoso si trovavano ancora in uno stato che si può definire prefunzionale. Perciò la sua percezione fisica era confusa, indistinta, pallida. Come una cortina cinerea si levava tra lui e il mondo, come una nebbia che sommergeva tutte le cose in una sempiterna evanescenza. In compenso l’indiano primordiale era chiaroveggente. E questa chiaroveggenza astrale, almeno nei primissimi tempi, era nitida e precisa ed apriva la visione sulle elevate Potenze spirituali che costituiscono le forze creative della natura.

 

Il Dottore c’insegna che l’indiano antico, in ogni cosa della natura – pietra, pianta, animale – percepiva l’azione della Parola divina plasmatrice di forme, creatrice di esseri, suscitatrice di vita e di luce. Così il mondo fisico, che appena intravvedeva, gli appariva come una manifestazione del mondo divino, come uno specchio opaco che riflette la luce dello spirito. Perciò al mondo fisico egli dava il valore, o meglio il sottovalore, di mera immagine riflessa la cui realtà concreta e sostanziale era da ricercarsi nelle altezze della natura divina. Questo è il senso della parola indiana “maya”, o grande illusione, che tanto spesso ricorre nella letteratura esoterica.

Per di più il sonno dell’antico indiano non trascorreva nell’incoscienza come quello dell’uomo moderno. I suoi sogni non erano caotici e inconsistenti, ma in poderose immagini rivelavano l’ineffabile mondo dello spirito, di cui l’uomo si sentiva partecipe assieme con tutti gli Esseri superiori. Così l’indiano primordiale di giorno percepiva le manifestazioni degli Dei, di notte veniva accolto nel loro grembo.

In ciò consiste la grandezza della sua civiltà, che è ancora poderosa esperienza interiore e che solo più tardi, nelle sue forme decadenti, diventa manifestazione esteriore di culto, di dottrina e di arte.

 

3. Il crepuscolo degli Dei. Il nascere della mitologia e della ideologia. Il significato del grande precetto del Manu

Nei primi tempi dell’evoluzione post-Atlantidea l’uomo è dunque ancora collegato con gli Dei.

Ora dobbiamo chiederci: da che cosa è stabilito in concreto questo collegamento tra l’uomo e la divinità? La risposta della Scienza dello Spirito è la seguente: da quelle forze che più tardi si sono trasformate in percezione fisica e pensiero intellettuale, dunque dal sistema nervo-sensorio funzionante in senso interno.

 

• Non l’Io dell’uomo, ma gli dei sono attivi nel sistema nervo-sensorio dell’indiano primordiale.

Questo è il segreto della sua chiaroveggenza.

 

Poi l’evoluzione continua e il processo subisce una radicale metamorfosi. I sensi dell’uomo, il suo cervello, i suoi nervi cominciano a volgersi lentamente verso l’esterno, cominciano a conformarsi e a funzionare nel modo che è oggi conosciuto dall’anatomia e dalla fisiologia. Con l’andar del tempo il mondo esce dalla sua nebulosità, acquista contorni netti, particolari precisi e l’uomo diventa un chiaroveggente fisico. Naturalmente quanto più vivida e luminosa si fa questa chiaroveggenza fisica tanto più pallida e indistinta diventa quella astrale.

 

Il mondo spirituale si chiude lentamente davanti all’uomo, si ritrae davanti alla sua coscienza. Questo è il crepuscolo degli Dei. È un crepuscolo serale perché è stato preceduto da un grande giorno luminoso e seguito da una lunga notte di oscurità spirituale. Questa notte dello spirito segnata dalla perdita generale della chiaroveggenza astrale viene chiamata dalla sapienza orientale il Kali-Yuga, che comincia nel 3101 prima dell’era cristiana. Il crepuscolo serale degli Dei è posto dunque nel quarto millennio precristiano. Dobbiamo immaginarlo come un’epoca di transizione in cui le forme antiche si frammischiano con quelle nuove di veggenza. La percezione fisica e quella astrale sono press’a poco equivalenti, non ancora del tutto chiara la prima, non ancora del tutto scomparsa la seconda.

Ciò rende perplesso l’uomo: davanti ad un’immagine egli non sa più d’una volta da che parte gli provenga. Ma prevalendo sempre più l’attività nervo-sensoria e attenuandosi in proporzione la chiaroveggenza astrale, l’uomo acquista la tendenza a trasportare nel senso fisico anche ciò che è percezione spirituale.

L’immaginazione diventa così allucinazione.

 

Questa è l’origine della mitologia, della rappresentazione degli Esseri spirituali in forme prese a prestito dal mondo dei sensi. Gli uomini fanno gli Dei a loro immagine e somiglianza.

 

Si tratta di un pericoloso travisamento della realtà spirituale

che determina un abbassamento morale della coscienza umana.

Il mondo spirituale è abbassato al livello di quello fisico e ciò porta come conseguenza

la generale decadenza dell’umanità, incapace ormai di percepire lo spirito nella sua forma pura.

Non si può parlare ancora di materialismo come oggi noi lo conosciamo, cioè totale negazione dello spirito,

ma di uno stato di coscienza per quei tempi analogo a quello che oggi lo determina.

 

Lo stato di coscienza dell’uomo materialista di oggi è il seguente: i sensi spirituali dell’uomo non percepiscono che le vuote immagini della materia. (Naturalmente, egli non si esprime in questo modo, ma così conformato è appunto il suo stato di coscienza).

L’uomo di quell’antica epoca diceva invece: i sensi materiali mi permettono di percepire lo spirito. La conseguenza di questi due indirizzi di coscienza è però una sola: la materia acquista un valore esclusivo. Per molti millenni dopo la catastrofe atlantica l’uomo è stato preservato da questo pericolo, da quello che viene chiamato il grande precetto del Manu: «Non fatevi alcuna immagine materiale della divinità».

 

Le considerazioni precedenti ci permettono di comprendere il valore e il significato di tale precetto. Per molti millenni l’obbedienza a questo comandamento fu assoluta. Le prime civiltà post-Altantidee non ebbero né templi fisici né statue di Dei.

I popoli di stirpe celtica furono i più fedeli osservatori del precetto anche in epoche più tarde. Essi non conoscevano immagini della divinità, ma simboli. Un esempio lo troviamo nella Roma preistorica. Gli Dei venivano in quei tempi simboleggiati da pietre speciali. Una di queste era il quiris, la punta silicea della lancia simbolo di Marte. Appena Numa Pompilio introdusse nuove forme di culto. Presso gli altri popoli però, già secoli e secoli prima, andò perduta ogni conoscenza del precetto del Manu.

 

La statua un po’ alla volta perde il suo carattere di immagine, che già di per se stesso falsa lo spirito, non è più un semplice simulacro, ma diventa essa stessa corpo della divinità.

Comincia così l’idolatria che segna il punto più basso della decadenza umana in questo senso. Intorno al 1000 a.C. si verifica la totale degenerazione di ogni concetto del divino-spirituale. In India, in Persia, in Mesopotamia, in Egitto la religione si degrada ormai a pratiche superstiziose e a formule di stregoneria. Dalla vita esteriore il sapere spirituale si ritira nei Santuari iniziatici e sempre più severe divengono le condizioni per essere ammessi.

Lo spirito, che durante la prima epoca di cultura post-Atlantidea era stato Manifestazione e durante la seconda Rivelazione, diventa ora Mistero. E con ciò siamo già nella notte, nel Kali-Yuga. Il crepuscolo serale è dunque segnato dal regno degli spettri. Lo spirito portato nella materia si trasforma in spettro.

 

Dice il Dottore che lo spettro è spirito sensificato, cioè spirito percepito con i sensi fisici. L’umanità, prima del Mistero del Golgota, è passata attraverso il grande regno crepuscolare degli spettri. Il possente, risuonante mondo dello spirito, pieno di vita e di sostanzialità, appare alla coscienza umana di quei tempi come un ipogeo di pallide larve.

Perciò il filosofo greco dice: «Meglio un mendicante in Terra che un re nel regno delle ombre».

 

4. La svolta decisiva. Il Mistero del Golgota e l’inizio dell’ascesa

Queste parole sono piene di significato. Esse dicono che l’uomo è divenuto un essere completamente terrestre, che egli dà maggior valore alla realtà fisica che a quella spirituale.

Più di due millenni più tardi, queste parole trovano un’eco in un altro filosofo, Federico Nietzsche, il quale ammonisce gli uomini: «Non cercate ideali vaganti tra le stelle. Il vostro ideale sia la Terra».

 

La perdita del Cielo, la conquista della Terra – questo era lo scopo dell’evoluzione discendente.

Nell’epoca di cultura greco-latina l’umanità tocca il fondo dell’abisso.

La discesa era naturalmente necessaria, perché solo diventando un essere terrestre,

l’uomo può sviluppare certe qualità – la libertà e l’amore – che lo porteranno più in alto nella sua evoluzione.

 

La Terra, per quanto ricca di esseri e di eventi possa apparire, non esaurisce tutta la realtà. L’uomo che ascoltasse il monito di Nietzsche, diventerebbe povero e misero, come una lumaca la quale s’illudesse che entro il suo guscio è racchiuso tutto il mondo. Shakespeare fa dire a un suo personaggio: «Vi sono più cose tra Cielo e Terra di quante non ne sogni la vostra filosofia». Ebbene, l’umanità deve poter ritrovare queste cose che stanno tra Cielo e Terra, che si distendono tra pianeta e pianeta, tra stella e stella, che riempiono tutto l’universo.

 

Pensiamo ancora una volta alla prima epoca post-Atlantidea, quella paleo-indiana, di cui abbiamo già parlato. L’indiano primordiale possedeva il Cielo, ma non aveva la Terra. Abitava in capanne, dormiva su pagliericci, non era intelligente, non sapeva costruire macchine. Dal nostro punto di vista era barbaro e incivile. Eppure di quanto il Cielo è più ricco della Terra, di altrettanto il contenuto della sua civiltà era maggiore di quello della nostra.

In confronto noi siamo poveri, nonostante la nostra intelligenza, il nostro illuminismo, le nostre macchine portentose, i nostri razzi e le nostre bombe.

 

Naturalmente non si tratta ora di disprezzare la Terra e le conquiste fisiche dell’umanità. Tutt’altro! Il sano criterio, il pensiero personale, la libertà d’azione, l’amore per la conoscenza e per gli esseri del mondo, tutto ciò insomma che l’uomo si è conquistato durante la sua immersione nella materia deve essere valorizzato al massimo grado e portato in alto, in quelle sfere spirituali dove appunto manca tutto ciò che è terrestre.

Questo deve essere il fine dell’evoluzione ascendente dell’umanità. Una cosa è però evidente, perché si manifesta anche nell’ambito delle leggi fisiche: discendere è facile, basta abbandonarsi; salire è più difficile perché presuppone uno sforzo.

 

Ora facciamoci questa domanda: l’umanità, giunta al fondo della sua caduta, poteva trovare in sé le forze autosufficienti al risollevamento? Assolutamente no, perché l’immersione nella materia porta come conseguenza l’affezione di tutte le qualità materiali. Ora la qualità essenziale della materia è la gravità. Materia è sinonimo di gravità, di autoconcentrazione in una massa immobile. Questa è la ragione per cui entro l’ambito delle leggi fisiche non può esistere il moto perpetuo, può esistere soltanto l’immobilità perpetua che alla fine determinerà la paralisi generale dell’universo e l’annientamento totale dell’esistenza.

Ecco perché l’umanità fattasi materia non poteva avere in sé le forze antimateriali del risollevamento. Ciò sarebbe stato tanto impossibile, quanto è impossibile che una pietra si metta a volare. Se non fosse intervenuto alcun fattore esterno, l’umanità sarebbe stata irrimediabilmente perduta. L’intervento però c’è stato.

 

Una forza extra-terrestre, antimateriale è penetrata nell’evoluzione umana ed ha determinato la svolta decisiva, ha piegato la curva della discesa in quella dell’ascesa. Ciò avvenne al tempo del Mistero del Golgota e quella forza è il Cristo, l’Essere extraterrestre che si è congiunto con la Terra e con l’evoluzione umana. Da quel momento in poi entro la sfera del fisico-terrestre agisce una forza che possiamo chiamare di antigravità, una forza di espansione come quella della luce nella natura e dell’amore nel cuore umano.

 

E la materia sarà trasformata in luce ed amore. Dante, il sommo poeta ispirato, pronuncia una grande verità esoterica, quando, riferendosi all’universo, dice «che solo amore e luce ha per confine».

Amore e luce sono la stessa cosa; l’aspetto interno e l’aspetto esterno di Uno stesso essere divino: il Cristo.

La luce e l’amore presenti nella sfera materiale rendono possibile il movimento ascensionale dell’umanità.

La caduta non è stata vana.

Essa ha dato all’uomo il sale terrestre.

Ma il Cristo gli ha dato il lievito celeste, la forza dell’espansione, del movimento.

Perciò il Cristo dice: «Io sono la via».

 

 

5. L’uomo non è abbandonato dagli Dei. L’unione con lo spirito nella sfera della volontà

Dopo l’Evento del Golgota, l’uomo può dunque risalire.

Quale è questa via della risalita? In quale sfera del suo essere l’uomo può ritrovare lo spirito divino?

Prima di rispondere a queste domande, osserviamo che l’uomo è un essere complesso. La sua esistenza si svolge entro tre sfere animiche e rispettivamente corporee: quella del pensiero, quella del sentimento e quella della volontà. La sua coscienza non abbraccia però che una sola, quella del pensiero.

 

Solo nel mondo delle sue rappresentazioni e dei suoi concetti, l’uomo è veramente uomo,

cioè un essere cosciente della realtà esterna e autocosciente di quella interna.

Questa è la sfera della sua libertà, la sfera entro cui gli Dei lo hanno abbandonato a se stesso, l

a sfera della sua solitudine spirituale.

Nelle altre sfere però gli Dei sono rimasti con lui;

ma egli non può saperlo, perché là dentro non può discendere ancora con la sua coscienza.

 

Soprattutto nella sfera della volontà, la più inconscia per l’uomo, sono attive le Potenze spirituali. Quivi dimora ancora Dio, ma è un Dio ignoto, l’Agnosticos Theos a cui gli Ateniesi eressero un’ara. Sta all’uomo di dare un nome, di conoscere questo Dio che non lo ha abbandonato, che è rimasto sempre con lui.

Il legame tra Divinità e Umanità è stato conservato nella sfera del volere; tra Cielo e Terra si snoda non interrotto il filo d’Arianna della volontà. L’uomo deve saperlo afferrare, e allora, seguendolo, ritornerà nelle altezze spirituali che un giorno furono la sua dimora e da cui è necessariamente disceso per conquistarsi un libero Io.

Il Mistero di Michele di Rudolf Steiner dovrebbe diventare un libro di meditazione per l’uomo moderno. In esso sta scritto: «L’umanità è discesa per la via del pensiero; può risalire soltanto per la via della volontà».

 

6. Il nuovo crepuscolo degli Dei. Nuove forme d’idolatria

Il Mistero del Golgota è avvenuto nella profonda notte del Kali-Yuga appunto per spezzarne la forza. Il 1899 è una di quella tappe spirituali dell’evoluzione umana di cui abbiamo parlato all’inizio; esso segna difatti, dopo la lunga durata di 5000 anni, la fine del Kali-Yuga. Alla notte fa seguito il crepuscolo mattinale.

Considerato nella grande corrente del divenire umano entro l’epoca evolutiva post-Atlantidea, il tempo in cui viviamo e che è agitato da tanti contrasti e da tante catastrofi, è appunto un lento crepuscolo mattinale. Questo fatto dà il carattere più marcato alla storia contemporanea e all’esistenza umana nel secolo nostro e in quelli che lo seguiranno.

 

L’umanità va incontro al nuovo grande giorno spirituale e intanto vive nella penombra dell’attesa. Un nuovo crepuscolo degli Dei è in atto, ma questa volta si tratta di un crepuscolo che è la porta del giorno.

 

Il primo crepuscolo ha sommerso gli Dei che sono nel mondo,

il secondo crepuscolo – il nostro – porta gradatamente alla luce gli Dei che sono nell’uomo.

 

La sfera della volontà umana, cioè l’albergo nell’uomo degli Dei, comincia a dare segni di vita, a rumoreggiare, a fermentare, a mandar onde alla superficie. Istinti ciechi, confuse aspirazioni, impulsi incontrollati, sommuovono oggi le anime e spingono gli uomini ad azioni caotiche. Ma dietro a tutto ciò sta lo spirito, che l’uomo non è capace di liberare dall’involucro animo-corporeo.

E allora questo spirito che sorge dall’uomo e che sta dietro gl’istinti e gl’impulsi della volontà, agisce come incubo.

Dice Rudolf Steiner che l’incubo è lo spirito non smaterializzato, non discorporato.

 

Così l’umanità passa ora per la seconda volta attraverso il regno crepuscolare dei fantasmi; la prima volta fu illusa dagli spettri, oggi vien atterrita dagli incubi. La vita è diventata un sogno pieno d’incubi e non c’è uomo che non senta oggi il gravame che opprime l’esistenza terrestre. A ciò si accompagna la nuova idolatria sorta nei paesi occidentali.

 

Il nuovo giorno, la nuova luce viene dall’Occidente, perché è appunto l’umanità occidentale che sente più attiva in sé la sfera del volere, dalla quale sorgono gli Dei in forma di incubi. L’Occidente non ha pensatori, non dà alcun valore alle concezioni filosofiche, politiche, sociali di qualsiasi genere possano essere, non presta fede alle teorie, è insomma così scettico davanti alle formulazioni mentali che trova equivalenti la verità e la menzogna.

 

L’Occidentale mente con disinvoltura e dice il vero senza convinzione.

In fondo – egli pensa – che importanza ha che un’immagine corrisponda o meno con l’oggetto, quando vera o falsa che sia resta pur sempre solo un’immagine? Per lui la realtà è data dalle istituzioni che alimentano il suo essere volitivo: la casta, il club, il partito, la setta, lo stato. Questi sono i suoi idoli. Soprattutto in America la nuova idolatria è destinata a raggiungere il suo vertice più alto.

Sorgeranno sempre nuove istituzioni e ognuna sarà adorata come un feticcio miracoloso. L’umanità dell’avvenire sarà deliziata da molti Rotary Clubs. Come l’Oriente molte migliaia d’anni fa ebbe la sua credenza spettrale per lo spirito che sta dietro il pensiero, così oggi l’Occidente professa la sua fede idolatra per lo spirito che si leva dagli abissi della volontà.

E questo duplice regno crepuscolare, quello orientale degli spettri e quello occidentale degli incubi, generano il caos in Europa.

7. La via di Michele e la missione della Scienza dello Spirito

La Scienza dello Spirito è sorta in Europa, nel centro del mondo, con il compito di dissipare le ombre crepuscolari e di fugare gli spettri e gli incubi. Essa segue la via dell’ascesa che è quella di Michele.

Michele è appunto il Dio sconosciuto, l’Agnosticos Theos che ogni uomo deve saper riconoscere in sé.

Michele è al contempo volontà chiarificata dal pensiero e pensiero consustanziato di volontà.

 

Con ciò è già indicata la via che ogni uomo deve percorrere per uscire dalle ombre crepuscolari al pieno giorno dello spirito. Questa via si chiama conoscenza, si chiama antroposofia.

L’antroposofia, posta tra l’Oriente e l’Occidente, si volge ad Est e dice: «Non portate lo spirito nel senso e avrete la luce». E volta all’Ovest ammonisce: «Liberate lo spirito dalla materia e avrete la vita».

Se vuole uscire dal caos e dalle tenebre, se vuole liberarsi dagli spettri e dagli incubi, l’umanità deve ascoltare la voce dell’antroposofia.

 

Trieste, Pentecoste 1947