Risposte a domande dopo la conferenza

O.O. 332a – Cultura, politica, economia – 29.10.1919


 

Signor Bosshardt: Le conferenze del Dr. Steiner sono state un vero piacere. Non ho niente da obiettare alla triarticolazione del socialismo. È lì, solo che prima non le ho prestato grande attenzione. Eppure devo chiedermi: a che pro bisogna parlare così tanto della triarticolazione se essa esiste già e c’è sempre stata? L’ordinamento economico, la vita culturale e il diritto sono sempre esistiti da quando l’uomo è diventato capace di pensare, e sempre esisteranno. Torniamo al singolo individuo. Ogni individuo ha una componente economica, svolge un lavoro economico. Ha anche uno spirito, e dalla combinazione di spirito ed economia risulta il diritto. Lì c’è il collegamento fra singolo individuo e singolo individuo, fra uomo e uomo. Non vale la pena di discuterne ulteriormente. Ma nell’economia odierna, nella legislazione attuale, nell’odierna vita culturale le cose stanno ancora così: un gruppo di persone, i lavoratori, si occupa unicamente dell’ordinamento economico; un altro gruppo, più ristretto, si occupa solo della vita culturale; e un terzo gruppo, i giuristi, ha il controllo della vita giuridica. Ma costoro sanno poco o niente dell’ordinamento economico pratico, sanno solo trarne denaro, profitto. Mi ha fatto molto piacere sentire la frase del relatore in cui ha affermato che solo chi sa anche spaccare la legna può essere un filosofo. Mi fa piacere che anche lui se ne renda conto. Forse il Dr. Steiner sarebbe ancor più ferrato se sperimentasse più praticamente la triarticolazione del socialismo, se anche lui svolgesse del lavoro pratico. Non so in che misura lo faccia. Magari ha in casa della legna. Non è naturalmente come nel caso di un ingegnere – che non è stato prima un meccanico per esempio, o un elettricista, professioni molto più pratiche – che non potrà mai diventare un tecnico pratico se prima non avrà svolto del lavoro pratico in qualità di ingegnere. Ma questa non è la soluzione giusta dell’enigma, ma il vero enigma sarebbe se ogni uomo lavorasse otto ore al giorno intellettualmente e praticamente. Ci sono teorici secondo i quali, se tutti lavorassero svolgendo dei lavori utili e pratici, basterebbe un’ora e mezza di lavoro al giorno. Non dico niente in proposito, ma chiunque può riflettere da solo sul fatto che se per esempio durante la guerra non fossero state prodotte munizioni, non ci fossero stati soldati, come quelli svizzeri, impegnati inutilmente a fare i buffoni, e gli altri non avessero fatto soltanto lavori nocivi per l’umanità, ce la saremmo potuta cavare con la metà delle ore lavorative – sei ore invece delle dodici in media durante la guerra. E allora gli uomini sarebbero per esempio più sani, ci sarebbe meno bisogno di medici. Anche questo non ha senso. Voglio solo dire che sarebbe giusto che ogni uomo avesse un’occupazione sia pratica che intellettuale.

 

Il Dr. Steiner ha sfiorato l’argomento, ma non ci ha detto come possiamo risolverlo. Quelli che hanno in mano la cultura se ne serviranno per decidere anche sull’economia e sul diritto. Un Napoleone non ha dominato il mondo con la spada, ma con la propria mente. E lo stesso avviene con i capitalisti del giorno d’oggi. Come possiamo uscire da questa situazione? Loro di sicuro non scendono a portarci il futuro sociale, è la classe operaia, sono i lavoratori stessi che devono aiutarsi da soli. Ma non lo possono fare con un colpo di stato per strada, con le loro sole forze fisiche, devono appropriarsi delle forze mentali. Ma come lo vogliamo insegnare al popolo dei lavoratori? Questa è la soluzione dell’enigma, di cui il Dr. Steiner non si è occupato in nessuna delle sue conferenze. Ma si tratta di qualcosa che va delineato chiaramente, allora sì che la gente seguirebbe di più le conferenze. Abbiamo qui in sala persone del ceto medio e anche di classi sociali più alte. Sono venute perché hanno interesse, non certo per risolvere la questione sociale. È qualcosa di cui mi occupo già da molto tempo ancor prima della guerra, ma non sono ancora riuscito a trovare la soluzione. Eppure, assistendo a tutte le conferenze che posso, ho ricavato l’idea che potremo giungere al futuro sociale lavorando con le mani e pensando con la mente, allora i concetti giuridici emergeranno da soli. Ho finito.

 

Rudolf Steiner: Cari ascoltatori, qui viene dapprima posta la domanda per iscritto:

 

• Temo che attraverso la triarticolazione dell’organismo sociale nasca un eterno schematismo, come quello dell’idealismo tedesco. È stato soprattutto Kant a voler ridurre tutta la ricca vita culturale allo schema della triarticolazione di pensiero, sentimento e volontà.

 

Cari ascoltatori, perdonatemi se accenno dapprima a qualcosa di personale. Nei vari libri che ho scritto – e ne ho scritta una serie, veramente troppi! – mi sono dato il compito di indicare gli elementi inesatti, sotto un certo aspetto addirittura nocivi, nella concezione kantiana del mondo. Un compito piuttosto impopolare di questi tempi.

E in particolare ho sempre dovuto far notare la caratteristica malsana del pensiero kantiano, anche per motivi soggettivi, per il fatto che sentivo che tale pensiero è diametralmente opposto ad uno che si formi in base alla realtà.

 

Vedete, si potrebbe dire che il pensiero kantiano è tanto popolare proprio per il fatto che schematizza. Chi ha seguito queste mie conferenze troverà che anch’io devo usare delle parole, ma nelle mie parole, nelle mie descrizioni, lo spirito schematico verrà ravvisato solo da chi ce lo vuol mettere. Nel modo in cui cerco di affrontare la realtà non c’è davvero niente di schematizzante, solo che per parlare è necessario servirsi di parole – si può anche ritenere inutile parlare, ma oggi sono in pochi a farlo. E poi si tratta di essere capiti nel modo giusto. Non parlo come uno che ha in mente un qualche tema filosofico, ma voglio prendere in considerazione la vita nella sua totalità.

 

Per l’occasione è necessario toccare qualche argomento in un certo senso personale. Sono giunto quasi al termine del mio sesto decennio di vita e ne ho viste tante, il destino mi ha introdotto in diversi ambiti della vita e ho avuto modo di conoscere ciò che vive nelle diverse classi e nei diversi ceti sociali dell’umanità odierna, e ciò senza schematismi di base, ma con la possibilità di prendere la vita nella sua pienezza.

E da questa ricchezza di vita sono sorte delle considerazioni che molti non troveranno subito facilmente comprensibili, proprio perché quello schematismo oggi così in voga non basta per capirle, dato che per comprenderle in maniera corretta occorre un certo intuito per le cose reali della vita.

 

Ma c’è una cosa che, pur avendo conosciuto uomini di partito dall’estrema destra alla sinistra più radicale e anche del centro, non sono mai stato capace di fare: aderire ad un partito. Forse è proprio a questo fatto che devo una certa spregiudicatezza – perlomeno io credo che sia così.

E quello che adduco a sostegno della triarticolazione dell’organismo sociale non vuole davvero aver nulla a che fare con qualsiasi schematismo, ma ovunque ci si occupi della vita, questa si mostra nella sua triarticolazione. Andate a vedere nel mio libro Enigmi dell’anima: non vi troverete uno schematismo in base al quale voglio suddividere tutto l’organismo naturale, come ha fatto così meticolosamente Kant spartendo la vita culturale nei suoi tre settori, ma vedrete che davvero i tre elementi interagiscono fra loro, che non c’è schematismo nelle descrizioni dei fenomeni della realtà quando si tratta dei tre elementi, quando li si vuole individuare così come sono.

C’è una bella differenza fra il classificare in base ad un punto di vista soggettivo e il cercare di riprodurre oggettivamente la realtà. Ed è proprio questo che sta alla base del modo di pensare che viene affermato qui: il fatto che la realtà viene presa come tale, che non si afferma nulla che non venga desunto dalla realtà stessa. Desidero spiegarvelo con un esempio.

 

Una volta ho tenuto una conferenza sulla saggezza del cristianesimo in una cittadina del sud della Germania. Erano presenti anche due parroci cattolici e, dato che nella conferenza non è stato detto niente che potessero contestare a livello di contenuto, alla fine sono venuti da me con queste parole: «Senta un po’, non c’è nulla da ridire su quanto Lei ha enunciato oggi, ma l’ha esposto in un modo tale per cui si rivolge solo ad alcuni uomini che sono predestinati ad ascoltare queste cose per via della loro formazione, mentre noi parliamo per tutti.»

Quella volta ho risposto: «Che voi ed io ci mettiamo in testa di parlare a tutti gli uomini, è qualcosa di soggettivo, in fin dei conti chiunque può crederlo. Perché mai si dovrebbe parlare a delle persone se non si credesse che le proprie parole siano valide e comprensibili per tutti? Ma quello che conta non è questo elemento soggettivo, quello che conta è vedere se i fatti oggettivi parlano così e se ci si comporta in base ad essi. E allora vi chiedo: voi sostenete di parlare per tutti – questa è la vostra opinione soggettiva, e sia pure anche la vostra aspirazione soggettiva. Ma vengono poi davvero tutti da voi in chiesa? Perché questa sarebbe la prova che voi parlate a tutti.»

Ovviamente non hanno potuto rispondermi di sì, perché bisognava lasciar parlare i fatti, non le opinioni soggettive. Al che ho aggiunto: «Ora prendiamolo come un dato di fatto, e diciamo che io parlo a quelli che non vengono da voi in chiesa, poiché anche loro hanno il diritto di sentir parlare del Cristo.»

 

In questo modo si lascia parlare la realtà del nostro tempo, non si schematizza, non ci si attiene alla soggettività ma si cerca di interpretare quelli che sono i reali impulsi del nostro tempo. È in base a questi effettivi impulsi del tempo che si deve parlare.

Secondo Lei la triarticolazione dell’organismo sociale verrà realizzata all’interno degli Stati esistenti o in che modo? Cioè, lo Stato odierno farà da cornice con i suoi confini politici anche nel nuovo ordinamento?

 

Cari ascoltatori, è possibile organizzare qualcosa in modo proficuo solo se non si vuole sfasciare tutta la realtà che già c’è, ma se si fa attenzione all’evoluzione reale, lavorando in direzione di una trasformazione della realtà che c’è.

Forse avete già potuto notare come proprio nell’idea dell’organismo sociale triarticolato si lavori in direzione di un’organizzazione della vita partendo da basi scientifico-spirituali. Queste basi scientifico-spirituali forniranno anche quello che manca stando anche agli apprezzati pensatori del giorno d’oggi, cioè una vera scienza economica.

 

Quella che oggi viene chiamata scienza economica non è che una serie di ritagli cuciti insieme a partire da singole osservazioni, e non qualcosa che possa diventare davvero un impulso per un volere sociale. Una vera scienza economica può crescere solo da basi scientifico-spirituali. Allora si verificheranno diverse cose anche per quanto riguarda la demarcazione dei vari organismi sociali.

Così, per esempio, dalla vita economica stessa nasceranno leggi su come delimitare le zone economiche, i territori economici, in modo da poter guardare ad un futuro di cui si dovrebbe parlare nei seguenti termini. Si può dire che una vera scienza economica mostra che se le associazioni di cui ho parlato nella seconda conferenza e in quella odierna diventano troppo grandi non sono più possibili sul piano economico, ma non lo sono più neanche se diventano troppo piccole.

 

Le dimensioni del territorio sono determinate anche dalle condizioni economiche interne, dalla molteplice produzione, dai molteplici rami, dalle molteplici aree esistenti. Se volessi esprimere la legge che stabilisce l’estensione giusta di un’area economica dovrei dire all’incirca: le aree economiche troppo piccole risultano dannose perché non permettono alle persone in esse associate di prosperare, lasciandole per così dire morire di fame. I territori economici troppo grandi invece nuocciono a quelli che si trovano al loro esterno, facendo morire di fame loro.

È effettivamente possibile stabilire le dimensioni dei territori economici in base a leggi interne, da punti di vista economici sia di maggiore che di minore peso. E, se l’organismo sociale è veramente triarticolato, non è affatto necessario – ne parlerò ancora domani – che i limiti di un territorio culturale coincidano con quelli di uno economico o con quelli di uno giuridico.

 

Gran parte della sciagura attuale, scatenatasi in questa terribile catastrofe della guerra mondiale – che, come ho illustrato alla fine della conferenza di ieri, non è ancora terminata –, deriva dal fatto che nello stato unitario si sono fatti coincidere ovunque i confini economici con quelli politici e culturali. L’importante è quindi che le dimensioni del territorio risultino da una legge interna, dettata dalla vita stessa.

Occorre però tener conto dell’evoluzione, per questo bisogna cominciare da ciò che c’è. Si può dire allora: emergerà che dapprima saranno le esistenti corporazioni e formazioni storiche a tendere verso questo impulso della triarticolazione dell’organismo sociale. Ma poi, non dico quando l’avranno realizzato ma quando l’avranno dentro di sé, il da farsi risulterà dalla legge della vita quale si manifesterà a quel punto.

 

Quindi a queste cose non si può dare una risposta teorica, ma solo una adeguata alla vita, che ci fa dire: quello che emergerà domani farà da base per ciò che sorgerà dopodomani. Si tratta allora di richiamare l’attenzione sulla vita, non di inventare dei programmi astratti. Tali programmi sono terribilmente a buon mercato, e ne sono davvero stati inventati a sufficienza.

L’uso dei mezzi di produzione agrari si differenzierà sostanzialmente da quello dei mezzi industriali?

 

Cari ascoltatori! L’uso degli strumenti di produzione agricoli, quindi soprattutto della proprietà fondiaria – dato che nella misura in cui ce ne sono altri si tratta di mezzi di produzione industriali –, oggi viene trattato in particolar modo sul terreno di quella lotta condotta da coloro che vogliono la riforma agraria.

Potete apprendere facilmente quello di cui si tratta risalendo al più originale riformatore agrario, al testo di Henry George Progresso e povertà (Progress and Poverty) e al suo tentativo di compensare, di eliminare, le ingiustizie dell’ordinamento sociale prodotte dal rincaro dei terreni – che eventualmente possono essere prodotte da chi non ha svolto neanche una quantità minima di lavoro per appropriarsi della terra – mediante la cosiddetta single tax (tassa unica). Se considerate tutto questo, potete vedere come da una certa parte si cerchi di porre in primo luogo i mezzi di produzione agricoli al servizio della collettività, perlomeno in misura limitata.

 

Parecchi anni fa ebbi una discussione con Damaschke, che in un certo senso si basa su Henry George, e gli dissi che i mezzi di produzione agricoli non vanno confusi con quelli industriali. C’è infatti una notevole differenza fra l’azione che questi due tipi di mezzi produttivi esercitano sull’intero ordinamento sociale.

Il suolo ha determinate dimensioni, non è elastico. Quando due case sono una di fianco all’altra, confinano tra loro, non è possibile estendere il terreno su cui si trovano per costruirne una terza nel mezzo. I mezzi di produzione industriali invece possono essere mantenuti per così dire elastici, possono essere moltiplicati. Questo crea una grossa differenza, e perciò i due tipi vanno gestiti in modo diverso.

 

La teoria socialdemocratica, che calza soprattutto per i mezzi di produzione industriali, non può essere applicata tale e quale alla proprietà fondiaria. Quello che conta è quanto ho detto oggi nella conferenza: che in realtà sia la proprietà fondiaria che il mezzo di produzione ultimato non devono essere oggetto dell’economia, bensì di un trasferimento di diritto secondo punti di vista culturali-spirituali. Quando le cose staranno così per entrambi, le differenze risulteranno non a livello di teoria ma dalla vita stessa.

Pensate per esempio a quanto segue. I mezzi di produzione industriali sono soggetti ad usura, devono essere costantemente rinnovati. Non così per quanto riguarda i mezzi di produzione agricoli: non solo non sono elastici, ma si consumano in misura molto minore, perlomeno vanno trattati in modo del tutto diverso dai mezzi di produzione industriali.

 

Ma fra i mezzi di produzione agricoli e quelli industriali c’è un altro importante tipo di rapporto. Si può pensare al fatto che una parte dei proventi dell’industria venga usata per aumentare la produzione, per incrementarla sempre più. Allora vediamo che una parte di ciò che possiamo definire come gestione di capitali industriali viene a sua volta inghiottita dall’industria stessa. Non si può dire invece che con i mezzi di produzione agricoli avvenga la stessa cosa.

 

I libri contabili, se venissero tenuti come contabilità globale dell’economia, mostrerebbero due poli: uno indicherebbe pressappoco la produzione di carbone, e si avrebbero a partire dalla produzione di carbone tutte quelle voci che finiscono nel settore industriale. L’altro polo è quello del pane: se si registrassero tutte le voci che si riferiscono al pane, in senso lato ovviamente, come agli altri generi alimentari prodotti dalla proprietà terriera, si otterrebbe approssimativamente ciò che viene prodotto dalla proprietà fondiaria.

Ora, molto di quello che ci sarebbe in quel libro contabile, qualora sia la proprietà fondiaria sia i mezzi di produzione venissero estromessi dalla vita economica ed assegnati all’ordinamento giuridico e culturale, rimane oggi celato per il fatto che si confonde l’industria con l’amministrazione della proprietà terriera. Basta essere un industriale, avere delle ipoteche su una proprietà fondiaria, ed ecco che si fa una bella confusione, ma anche per via di molte altre cose.

Se così non fosse, si vedrebbe subito chiaramente che oggi l’economia mondiale, per quanto paradossale la cosa possa sembrare ad alcuni, è in condizioni tali per cui solo la proprietà terriera è veramente produttiva. Tutta l’industria è improduttiva, viene in realtà mantenuta dai proventi della proprietà fondiaria. Per quanto strano possa sembrare, le cose stanno proprio così. In definitiva ogni impresa industriale è quello che in agricoltura viene definito un bene che divora i propri proventi.

 

Oggi non si presta attenzione all’economia nel suo insieme, anche perché viene mascherata dalle più varie circostanze. Da tutto ciò risulta che nella vita reale si colgono i punti di vista giusti solo se si mette in atto un trasferimento sia dei mezzi di produzione agricoli sia di quelli industriali da un uomo un dotato all’altro.

Vedete, per il trasferimento sul versante industriale viene preso in considerazione soprattutto il talento intellettuale individuale degli uomini, quello che sanno fare, che hanno imparato, per cui sono portati. Nel trasferimento agrario si tiene conto di altri fattori, per esempio del fatto che l’uomo viva in intima comunione con la terra. Va tenuto presente che chi è dotato delle migliori capacità per continuare a lavorare la proprietà fondiaria non può essere scelto in modo astratto in base alla sua predisposizione intellettuale, ma in un certo senso dev’essere cresciuto insieme al suolo.

 

Se si riuscisse a esporre nel modo giusto il senso della triarticolazione nelle campagne, tutta la popolazione rurale aderirebbe a questa idea. Naturalmente se spuntasse qualcuno che ha la brutta fama di esser dotto, la gente non lo ascolterebbe e lui non avrebbe niente da dire. Ma se la questione viene presentata ai contadini nel modo giusto, non avranno niente in contrario. In effetti in ambito rurale si agisce già secondo questo principio. Non nella grande proprietà fondiaria, ma in ambito contadino, nella misura in cui lo Stato non interviene ancora con la sua azione di disturbo, si pensa e si agisce secondo questo spirito.

Si tratta quindi del fatto che nel concreto i punti di vista scaturiscono dalla vita stessa. Se si vuol rendere qualcosa capace di vivere non si possono fare programmi, ma si tratta di fornire una descrizione in base alla quale la vita possa affermarsi. Allora la vita ha anch’essa qualcosa da fare!

 

Vedete, è in questo che l’impulso alla triarticolazione sociale qui presentato si differenzia da molti altri programmi, che oggi sono a buon mercato come le more. Questi programmi sociali fissano il primo punto, il secondo, il terzo ecc., in effetti schematizzano tutto. L’idea della triarticolazione dell’organismo sociale non si attribuisce questa onniscienza, vuole invece che l’organismo sociale venga organizzato in modo tale che gli uomini collaborino fra loro così da dargli di volta in volta una forma adeguata. La triarticolazione desidera soltanto mettere gli uomini in condizioni tali per cui da loro stessi possa sorgere un ordinamento sociale sano.

Se solo ci si rendesse conto che questa differenza è davvero fondamentale, quella fra l’impulso alla triarticolazione e l’altro che emerge di questi tempi, si vedrebbe che questa triarticolazione attinge a piene mani dalla realtà. Per questo ho detto spesso alla gente che ciò che conta non è che si faccia questo o quello. Potrei anche dire in modo radicale: si cominci una buona volta, magari risulterà che non resterà una pietra sopra l’altra, ma nascerà sicuramente qualcosa di buono, in quanto si afferra per qualche verso la realtà stessa.

Quando si afferra la realtà, può darsi che si verifichi qualcosa di diverso da quanto si era annunciato nei programmi. Non si tratta allora di formulare un programma, bensì di indicare il modo in cui affrontare la realtà.

 

Permettetemi ancora una parola su quanto ha detto il signore che ha parlato prima. Egli ha per esempio affermato che la triarticolazione c’è sempre stata. Capisco benissimo come mai l’ha detto, poiché ha confuso le mie affermazioni con qualcos’altro. E ha anche accennato chiaramente di aver fatto confusione, dal momento che, se ho sentito bene, ha sempre parlato della “triarticolazione del socialismo”.

 

Cari ascoltatori, io non parlerei di certo della triarticolazione del socialismo, cosa che mi sembra del tutto impossibile. In quanto ideologia infatti, il socialismo può essere solo qualcosa di unitario, e se si pensa in modo così astratto si è tentati di dire: ma se la vita è sempre stata triarticolata, che senso ha parlare di questa triarticolazione, di questa divisione della vita in tre parti?

Sì, è proprio di questo che si tratta. Certo, la vita è sempre stata tripartita, non siamo noi a dividerla in tre parti, lo fa da sola. Il punto è che nella gestione della vita non sempre si è indovinato come amministrare, come regolare e orientare nel modo giusto la vita in sé triarticolata. Quindi è dato per scontato che la vita sia triarticolata. È appunto di questo che si sta parlando.

Poiché la vita è già da sempre triarticolata, ci si chiede: cosa bisogna fare perché ne risulti realmente un’unità? Negli ultimi secoli e nel presente questa unità non è emersa, si tratta allora di trovare una nuova via. Pur ritenendosi aderente alla realtà, è un modo di pensare estremamente astratto e avulso dalla realtà quello che vuole liquidare ciò che tiene conto delle cose ovvie della vita e, proprio a partire da esse, ravvisa la necessità che la vita venga plasmata di conseguenza. Nella vita capita fin troppo spesso che si travisa ciò che è ovvio, e da qui nascono le crisi esistenziali. È questo che desidero far notare in particolar modo.

 

Cari ascoltatori, è un luogo comune affermare che dall’economia insieme alla cultura nasce il diritto. Non dico di no. Quando finalmente ci sarà l’organismo sociale triarticolato, verrà anche il diritto. Ma verrà nel modo in cui si ritiene che debba venire: sono gli uomini che lo devono istituire. È quindi necessario riflettere sul metodo da seguire per istituirlo.

Poi sono state dette diverse cose degne di ascolto sul rapporto fra vita culturale e lavoro pratico. Non desidero entrare nel personale, altrimenti potrei facilmente dimostrare all’egregio signore che ha parlato prima come per tutta la vita mi sia sforzato di coniugare il lavoro pratico alla vita intellettuale. Ma non si può pretendere da me quello che si è preteso in diverse discussioni, vale a dire che la vita pratica debba consistere nel fatto di collaborare all’interno di un qualsiasi partito. È questo che diverse persone hanno inteso con “lavori sociali pratici”. Questo cosiddetto lavoro sociale pratico è talvolta un lavoro molto teorico, decisamente non pratico. Perciò occorre non confondere queste cose con la vera vita concreta.

 

Poi, cari ascoltatori, è stato detto che se davvero deve subentrare un miglioramento, un risanamento delle condizioni, allora vuol dire che la classe operaia deve realmente occuparsi delle basi culturali della vita sociale. Sono assolutamente d’accordo, ma credo anche di aver già accennato in queste conferenze allo strumento giusto tramite il quale la classe operaia può occuparsi delle questioni culturali.

Ho già accennato al fatto di essere stato per anni insegnante in una scuola di formazione per operai, di aver trovato anche il tono giusto per parlare a livello scientifico al cuore degli operai. Solo che poi i capi mi hanno sbattuto fuori, se posso esprimermi senza giri di parole, perché volevano che si prestasse ascolto solo a loro e che si professasse solo quello che decretavano loro. Ve ne ho già parlato in una conferenza precedente. Quando ho chiesto: «Se neanche qui ci può essere libertà d’insegnamento, dove la si potrà mai trovare?», uno dei capi mi ha risposto: «Libertà d’insegnamento? Qui da noi non può esistere. Qui vogliamo una ragionevole costrizione.»

 

Vedete, cari ascoltatori, con questo potrei dirvi molto su quale sarebbe un buon strumento che permetterebbe alla classe operaia odierna di impossessarsi realmente delle fondamenta culturali per una riorganizzazione sociale. Tale strumento consisterebbe nel prendere le distanze dalla maggior parte degli attuali capi, che non mirano affatto in maniera onesta ad una ricostruzione del sociale, ma puntano a qualcosa di completamente diverso, e che oggi vengono ascoltati ancora di più di quanto i cattolici non diano retta ai loro arcivescovi – questo è emerso dalla prassi dell’azione per la triarticolazione sociale. Si tratta di qualcosa che andrebbe preso sul serio.

Sono convinto che al giorno d’oggi ci sia talmente tanto buonsenso nelle vaste masse del popolo che nell’istante in cui qualcuno di questi capi sparisse, subentrerebbe una vera e sana comprensione degli eventi sociali.

Oggi abbiamo bisogno che gli uomini si cristallizzino di nuovo intorno a delle idee, intorno ad impulsi ideali a partire dai quali sia possibile plasmare la vita – che i vecchi schemi e programmi di partito vengano superati, poiché sono proprio loro ad impedire una vera comprensione ed un sano agire in questo senso.

 

Anche in questo caso occorre cercare nella realtà ciò che potrebbe portare a un risanamento. La semplice rivendicazione non basta, come non basta la richiesta di “eliminazione del capitale”, ma bisogna capire come agisce il capitale, perché l’eliminazione è facile – anzi, difatti non lo è, in quanto porta facilmente alla rovina! Ma se si vuole uscire dai danni del capitalismo è necessario qualcos’altro.

Come è necessario osservare la realtà in quest’ambito concreto, così nella vita umana di oggi è necessario esaminare i vari campi e dirsi che i partiti spesso vivono ancora del seguito astratto dei loro programmi, ma che non sono più a contatto con la vita. Ma questo contatto è necessario soprattutto laddove si tratta di una reale ricostruzione nell’ambito della vita sociale.

È questo che vi volevo dire oggi, anche se per chiarire del tutto queste questioni bisognerebbe sfiorare anche altri argomenti.