Risposte a domande

O.O. 327 – Impulsi scientifico-spirituali per il progresso dell’agricoltura – 13.06.1924


 

Sommario: Generalità sul governo del letame. Alcuni particolari sui preparati additivi. L’assorbimento del nutrimento dall’atmosfera.

Domanda: A proposito della vescica di cervo, deve essere un cervo maschio?

R. Steiner: Ho inteso dire un cervo maschio.

 

Si tratta di ortica annuale o di quella perenne?

Urtica dioica.

 

Conviene ricoprire con una tettoia la fossa del composto nelle regioni dove piove molto?

Il concime dovrebbe sopportare la quantità di pioggia abituale. Come però gli è di danno se non riceve per nulla acqua piovana, così gli può essere altrettanto nocivo se l’acqua piovana è tanta da dilavarlo completamente. Sono cose che non si possono decidere in modo generale. In genere l’acqua piovana fa bene al concime.

 

Non converrebbe forse avere delle piazzuole coperte per il concime, affinché il colaticcio non vada perduto?

In un certo senso l’acqua piovana è necessaria al concime. Ci si può tuttavia domandare se sia il caso piuttosto di trattenere la pioggia stendendo sui cumuli della torba. Invece il trattenere sistematicamente la pioggia per mezzo di una tettoia è qualcosa che non può avere un giusto senso; il concime ne verrebbe certo peggiorato.

 

Se con il metodo dì concimazione indicato sì favorisce la crescita delle piante, tale giovamento va a favore tanto delle piante nobili quanto delle cosiddette erbacce? oppure occorre usare metodi particolari per sbarazzarsi dì queste ultime?

 

E una domanda senz’altro giustificata. Sulla cosiddetta lotta alle erbacce parlerò in uno dei prossimi giorni. Quanto ho esposto è anzitutto favorevole in generale a ogni crescita di piante; con questo non si arriva all’eliminazione delle erbacce, ma la pianta diventa molto più resistente contro eventuali attacchi parassitari. Ci sono effettivamente i mezzi contro gli attacchi dei parassiti che danneggiano la pianta per quanto invece si riferisce alla lotta contro le erbacce, non è qualcosa che abbia a che fare con i principi che abbiamo enunciato. Anche le erbacce prendono parte alla generale crescita. Ne riparleremo. Le cose sono talmente connesse tra loro che non è bene staccarne una dall’insieme.

 

Che cosa sì deve pensare del procedimento del capitano Krantz, secondo il quale, accumulando l’uno sull’altro degli strati dì letame arieggiati e fioccosi, sì rende pure privo dì odore il concime in virtù dello sviluppo dì calore endogeno che in esso avviene?

Intenzionalmente non ho parlato di quanto già viene fatto con razionalità e ho voluto semplicemente esporre quello che, partendo dalla scienza dello spirito, può stimolare il miglioramento di qualsiasi metodo del genere. Il procedimento menzionato è imo di questi metodi e ha certamente molti vantaggi. Credo però che questo procedimento sia piuttosto nuovo, non sia molto provato, ed è da ritenere che anch’esso possa essere di quelli che abbagliano al principio e che col tempo risultano meno pratici di quanto si speri. All’inizio, quando il terreno è pieno della sua ricchezza tradizionale, in certo qual modo tutto stimola la sua freschezza. Ma se poi si continua a lungo con quel sistema succede come per le medicine quando entrano per la prima volta in un organismo. Anche le medicine più assurde giovano all’inizio, ma poi l’azione terapeutica cessa. In queste cose passa sempre un certo tempo finché ci si accorge che la realtà non è proprio come era stata pensata all’inizio. Qui l’essenziale è la generazione di calore endogeno, e l’azione che si sviluppa è qualcosa di molto favorevole per il concime; da essa può risultare del vantaggio. Fra gli inconvenienti possibili vi è però che il letame rimanga sciolto e non diventi proprio inodore nel vero senso della parola. Se si dimostrasse davvero inodore, sarebbe un segno che il processo è andato bene. È comunque un procedimento che ancora non è stato sperimentato per un sufficiente numero di anni.

 

Non è meglio erigere il cumulo direttamente sul terreno piuttosto che in un affossamento nella terra?

In linea di principio è sempre giusto fare d cumulo elevandolo al di sopra del terreno, ma è da badare che il posto non sia troppo alto, affinché rimanga un collegamento con le forze che sono sotto la terra stessa. Non si può fare il cumulo su una collinetta, ma è bene metterlo al livello del terreno stesso. Questa è la posizione migliore.

 

È possibile usare il solito composto per il vigneto che è tanto delicato?

Può essere adoperato, ma con alcune modificazioni. Quando parlerò della frutticoltura e della viticoltura accennerò ed alcune modificazioni, ma in generale rimane valido quanto ho detto oggi per il miglioramento di qualsiasi specie di concime. Oggi ho indicato quali additivi migliorano il concime in generale. Parleremo in seguito di come si possa specializzare il procedimento per campi o per prati, per cereali, per la frutticoltura e la viticoltura.

È giusto lastricare il posto su cui sorgerà il cumulo?

Da quanto sappiamo ormai sulla struttura complessiva del terreno e sul suo rapporto con il concime, la pavimentazione del luogo su cui erigere il cumulo è una balordaggine sotto tutti gli aspetti. Non posso neppure immaginare per quale motivo lo si possa fare. Ammesso che lo si faccia, si dovrebbe riservare tutt’attorno uno spazio libero nel quale il terreno e il letame interagiscano fra di loro. Ma perché si dovrebbe peggiorare il concime isolandolo dal terreno?

 

Il sottosuolo sabbioso o argilloso influisce in qualche modo? Si usa spesso stendere uno strato di argilla alla base del cumulo affinché il luogo dove sorge sia reso impermeabile.

È senz’altro vero che i diversi tipi di terreno influiscono in maniera diversa, e tale influsso dipende naturalmente dalle proprietà dei terreni. Se sotto il cumulo si ha un terreno sabbioso sarà necessario aggiungere un po’ di argilla prima di cominciare a formarlo, perché la sabbia assorbe l’acqua, perché è permeabile. Se però si ha a che fare con un terreno tipicamente argilloso si dovrebbe smuoverlo e cospargerlo con della sabbia. Per ottenere un’azione equilibrata si può sempre fare uno strato di sabbia e uno di argilla. Allora si hanno le due azioni, si ha una consistenza proprio dell’elemento terrestre e si conserva l’azione dell’acqua. Altrimenti l’acqua cola via. Una mescolanza dei due tipi di terreno sarà particolarmente favorevole. Fin dove è possibile si tratterà quindi di evitare un terreno di tipo loess per erigervi il cumulo. Il loess e altri terreni simili non sono particolarmente favorevoli. Sarà allora meglio creare un poco alla volta un terreno apposito per il luogo dove collocare il cumulo.

 

Per quanto si riferisce alla coltivazione delle piante indicate: achillea, camomilla e ortica, è possibile introdurle seminandole nei terreni in cui esse mancano? Nelle colture a prato abbiamo adottato il punto di vista che l ’achillea sia dannosa ai bovini, come pure il tarassaco. Fra i consorziati dei conduttori di colture a prato abbiamo voluto escludere dai prati queste piante nella massima misura possibile, come anche per il cardo selvatico, e siamo in piena esecuzione di questo compito. Ora dovremmo tornare a seminare queste erbacce, magari sugli argini dei campi e non sui prati e pascoli?

Sì, ma per quale motivo queste piante sarebbero dannose all’alimentazione del bestiame?

 

Conte Keyserlingk: Si dice che l’achillea contenga sostanze velenose, e che il tarassaco non giovi all’alimentazione dei bovini.

R. Steiner: Occorre osservare bene; all’aperto l’animale non ne mangerebbe.

 

Conte Lerchenfeld: Da noi è vero il contrario: il tarassaco è considerato proprio un foraggio per le mucche da latte.

R. Steiner: Queste opinioni sono spesso pregiudizi e non è noto se siano mai state verificate. È senz’altro possibile che nel fieno il tarassaco sia innocuo; bisogna sperimentarlo. Credo che se fosse dannoso, sarebbe la bestia stessa a lasciare da parte il fieno, perché essa non mangia cose che le siano dannose.

 

Può darsi che l’achillea sia stata allontanata a causa dell’eccessiva calcificazione operata sui terreni, dato che essa abbisogna di un terreno umido e acido?

Usando l’achillea allo stato selvatico, e di questo si è trattato nel procedimento di omeopatizzazione di cui abbiamo parlato, ne basta anche una modesta quantità, dispersa in un intero grande podere. Quanta ne può stare qui nel giardino basta per i bisogni di tutta l’azienda.

 

Nei miei pascoli ho osservato che il tarassaco giovane, nello stadio che precede la fioritura, viene mangiato volentieri da tutti i bovini. Quando invece comincia a fiorire viene evitato dal bestiame.

Si deve pensare a questa regola generale: l’animale non mangia il tarassaco quando gli è di danno, perché ha un istinto affinatissimo per tutto quel che ingerisce. Si deve però tener conto anche di un altro fatto: se vogliamo favorire qualcosa che si basa su un determinato processo, noi adoperiamo quasi sempre sostanze che non ci servono per se stesse. Per esempio nessuno penserebbe di prendere per pane quotidiano il lievito col quale si fa il pane, sebbene esso venga usato appunto per fare il pane. Questi sono i fatti: ciò che in determinate circostanze può essere un veleno se ingerito in grandi dosi, può invece agire nel più benefico dei modi in altre. Le medicine sono per la maggior parte dei veleni. Quello che conta è il procedimento usato, non la materia. Perciò ritengo che si debba mettere da parte la preoccupazione che il tarassaco possa danneggiare il bestiame. Ci sono in giro tante strane credenze, ed è caratteristico che qualcuno abbia sostenuto la velenosità del tarassaco, mentre altri raccontano che esso sia addirittura il miglior foraggio per le mucche da latte. L’effetto del tarassaco non può essere diverso in due zone vicine fra loro; una delle due opinioni deve essere errata.

 

Forse tutto dipende dal sottosuolo? La mia tesi è basata su opinioni di veterinari. Bisognerà seminare l’achillea e il tarassaco appositamente nei prati?

Basta un’area piccolissima.

 

Ha importanza per quanto tempo i preparati, dopo il loro prelevamento dal terreno, vengono lasciati nel cumulo?

Se sono stati aggiunti al letame non ha importanza quanto tempo vi rimangono. Quando si porta il letame al campo, i preparati devono comunque esservi stati previamente immessi.

Ai fini del loro allestimento i preparati vanno immessi nel terreno separatamente ognuno per conto proprio, oppure tutti assieme?

La cosa ha una certa importanza perché è bene che, nel tempo in cui deve svolgersi l’azione reciproca, un preparato non disturbi l’altro; bisognerebbe quindi immetterli nel terreno per lo meno a una certa distanza l’uno dall’altro. Dovendo fare l’operazione in un piccolo appezzamento di terreno, prenderei alla periferia i punti estremi e cercherei di fare le fossette alla massima distanza possibile Luna dall’altra, affinché un preparato non disturbi l’altro. Se il podere è grande si possono prendere le distanze che si vogliono.

 

Si può lasciar crescere qualcosa sul posto dove sono stati interrati i preparati per l’allestimento?

Conviene lasciar fare alla terra quel che vuole. In questi casi è persino bene che la terra soprastante si copra di vegetazione: può venir anche coperta da piante coltivate.

 

Come vanno trattati i preparati in seno al cumulo?

Consiglierei questo procedimento: si pratichi un foro profondo un quarto di metro nel cumulo, oppure più profondo se il cumulo è piuttosto grande, in modo che comunque il letame possa richiudere la sostanza tutt’attorno. Non occorre una profondità di metri, ma basta che il letame del cumulo possa richiudersi tutto attorno; avviene infatti che (vedi disegno), avendo il cumulo di letame, da una parte vi è una porzioncina di preparato, e poiché tutto sta nella forza radiante, le radiazione si espande nel modo che qui indico; se quindi il preparato è troppo vicino alla superficie del cumulo, il processo non ve bene perché contro la superficie limitante del cumulo le radiazione si spezza e si incurva in un modo ben determinato, e non esce quando il letame attorno al preparato è stato chiuso. Quindi basta immettere il preparato a mezzo metro di profondità. Nel caso in cui esso si trovasse troppo vicino alla superficie ne verrebbe che una gran parte dell’irradiazione andrebbe perduta.

 

 

È sufficiente fare pochi fori nel cumulo? oppure conviene suddividere al massimo l’intera quantità dei preparati?

È sempre meglio suddividere, non fare i fori soltanto in un luogo. Le irradiazioni verrebbero a disturbarsi.

 

Si devono mettere nel cumulo i preparati tutti assieme?

Quando si mettono i preparati nel cumulo essi possono venir immessi uno accanto all’altro; non si disturbano reciprocamente e influiscono soltanto sul letame come tale.

 

Si possono mettere i preparati tutti assieme nello stesso foro del cumulo?

Teoricamente si potrebbe supporre che, mettendo tutti i preparati assieme nello stesso foro, essi non si disturbino a vicenda. Ma non vorrei sostenerlo a priori. Si possono mettere l’uno vicino all’altro, ma potrebbe darsi che nel caso in cui venissero riuniti assieme tutti in un foro si disturberebbero a vicenda.

 

Di quale tipo dì quercia occorre servirsi?

Quercus robur.

 

La corteccia deve venir prelevata da un albero vivo o da un albero abbattuto?

In questo caso conviene ricorrere il più possibile all’albero vivo, anzi a un albero del quale si possa supporre che la resina sia ancora molto attiva.

 

Va tolta l’intera corteccia?

Serve soltanto la superficie esterna, quella più periferica che si sbriciola grattandola.

 

Quando sì interrano ì preparati per il concime è assolutamente necessario che ci sì mantenga nei limiti dello strato arabile, oppure le corna possono venir interrate anche a profondità maggiore?

È senz’altro meglio sistemarle nello strato arabile. Si può perfino pensare che esse, se poste nel sottosuolo, al di sotto dello strato arabile, non diano un materiale molto fecondo. Si potrebbe naturalmente prendere in considerazioni il problema se uno strato arabile profondo di per sé sia il meglio assoluto. Quando si sia trovato il luogo in cui tale strato abbia la massima profondità, quello sarebbe il posto migliore. Comunque al di sotto dello strato arabile non si otterrà nulle di buono.

 

Nello strato arabile ì preparati verrebbero a subire l ’azione del gelo. Non è dì danno?

Al contrario, quando sono esposti all’azione del gelo essi raggiungono il periodo in cui la terra è più esposta agli influssi cosmici, proprio attraverso il gelo.

 

Come vanno triturati il quarzo e la silice? In una piccola macina o in un mortaio?

In questo caso è meglio un mortaio con un pestello di ferro, triturando fino alla consistenza di farina finissima. Col quarzo sarà perfino necessario andare il più possibile in questa direzione e continuare la triturazione ancora su ima lastra di vetro. Si deve giungere a una molitura molto fine, difficilissima da ottenere col quarzo.

 

L’esperienza mostra che un capo bovino ben nutrito si carica anche di sostanze grasse. Vi è una relazione tra l’alimento vero e proprio e quello assunto dall’atmosfera?

Basta pensare a quel che ho detto: nell’assunzione del cibo l’essenziale è rappresentato dalle forze sviluppate nel corpo. Dipende dalla giusta assunzione di nutrimento lo sviluppo delle forze che rendono l’animale atto ad accogliere dall’atmosfera le sostanze diffuse in essa e ad elaborarle. Facendo un paragone: se ci si deve infilare un guanto sulla mano, e il guanto è stretto, per allargarlo non serve imbottirlo, ma lo si deve tendere con del legno. Si tratta di rendere attive le forze che devono essere presenti perché si possa assumere dall’atmosfera ciò che può venir dato per mezzo del cibo. Con gli alimenti l’organismo viene allargato e reso atto ad assumere maggiore quantità di nutrimento dall’atmosfera. Assumendo troppo cibo può perfino insorgere una ipertrofia che si paga con l’accorciamento della vita. Vi è un punto che sta nel mezzo fra un massimo e un minimo.