Trasformazioni interiori dell’anima umana sulla via dell’iniziazione cristiana  

Il figlio dell’uomo


 

Le due considerazioni precedenti (III e IV) erano dedicate alle prime tre Beatitudini del Sermone della montagna, quali formule della scuola della coscienza umana nel corpo fisico, nel corpo astrale e nel corpo eterico.

 

• Le tre successive Beatitudini si riferiscono – come si cercherà di indicare nella presente considerazione –

alle trasformazioni puramente animiche, che la coscienza umana può compiere nella propria interiorità

sulla via della realizzazione dell’impulso del Cristo.

 

Le tre ultime Beatitudini, invece, si riferiscono ai mutamenti oggettivi

nella vicenda di destino che si compie in un ambito esterno all’anima.

Essi danno propriamente risposta alla domanda: come reagisce il mondo – superumano, umano e subumano –

alla realtà del cristianizzarsi dell’entità animica e corporea dell’uomo?

 

Le tre Beatitudini centrali danno risposta alla domanda:

come avviene la cristianizzazione delle tre componenti dell’anima dell’uomo – senziente, razionale e cosciente?

Le prime tre Beatitudini indicano per quali condizioni e prove deve passare l’intera entità umana,

al fine di raggiungere i tre gradi dell’evoluzione spirituale nel senso dell’impulso del Cristo.

 

Le prime tre Beatitudini si possono quindi considerare come formule dell’occultismo cristiano. Infatti l’essenza del conoscere iniziatico consiste nel fatto che esso comprende sia l’aspetto soggettivo, interiore, che quello oggettivo, esteriore. Dal punto di vista cosmico, li abbraccia entrambi. Ciò è particolarmente evidente nel versetto: “Beati i mansueti, poiché erediteranno la Terra”, dove una condizione interiore dell’anima viene messa in rapporto con una realtà futura di natura cosmica.

Le tre Beatitudini centrali potrebbero essere designate come psicosofiche, poiché qui si tratta propriamente di mutamenti nella condizione interiore dell’anima umana durante il passaggio per i gradi evolutivi indicati nei primi tre versetti.

Gli ultimi tre si possono designare come karmici, avendo essi come oggetto i mutamenti nel karma, dovuti all’ascesa verso quei gradi evolutivi. Nello stesso tempo si riferiscono all’azione dell’essere spirituale tripartito dell’uomo – sé spirituale, spirito vitale e uomo spirito -, il quale si manifesta direttamente nei mutamenti del destino.

Soltanto quando tutti i nove versetti siano divenuti oggetto di una più profonda conoscenza,

si può giungere a una visione della costituzione dell’uomo

che in futuro avrà accolto in tutto il proprio essere l’impulso del Cristo.

 

Si sarà allora anche in grado di vedere con chiarezza come ad esso si contrapponga il modello anticristico inverso dell’uomo costituito da nove arti, la cui realizzazione è la meta delle nove sfere che formano l’interno della Terra. Giacché la mancanza di chiarezza si ha soltanto finché l’oggetto da considerare si trova in uno stato confuso. Se al contrario si è riusciti a separarne un aspetto e a considerarlo da solo, ne risulta anche un’immagine più chiara dell’altro.

Dopo aver tracciato l’intima composizione e l’intento di questa considerazione, si può ora proseguire sul tema delle Beatitudini.

 

Si deve dunque iniziare con il gruppo centrale, quello ‘psicosofico’, poiché i primi tre versetti furono già oggetto delle due considerazioni precedenti. Si tratta in primo luogo di avviare una comprensione più profonda per il quarto versetto delle Beatitudini. A questo scopo, occorre raccogliere alcuni elementi indispensabili. Uno di essi risulta dall’interrogativo: che cosa si deve intendere per ‘fame e sete’ dell’anima, nonché per il suo ‘essere saziata’?

 

Per rispondere a questo interrogativo, si prendano le mosse dalla rappresentazione fornita dall’esperienza della fame e della sete nella vita fisica. Da tale esperienza si apprende che lo spegnere la sete e il saziare la fame rappresentano due polarità. Infatti con lo spegnere la sete, si spegne l’eccessivo fuoco del ricambio corporeo, mentre con il saziare la fame, lo si alimenta. Nel primo caso il fuoco viene contenuto, nel secondo, invece, viene attizzato. La condizione per cui il corpo non ha né fame né sete, è quella dell’equilibrio delle due polarità. Il corpo allora è in uno stato di armonia.

 

Una polarità simile è presente anche nella vita dell’anima umana. Essa consiste nel fatto che, da un lato affluiscono all’anima impressioni dal mondo esterno, dall’ambiente, le quali la riempiono di sensazioni e rappresentazioni, e che, dall’altro, questa corrente incontra la corrente delle richieste interiori che l’anima stessa pone al mondo, ovvero delle aspettative che nutre verso di esso.

Se il mondo apporta all’anima impressioni non soddisfacenti, questa carenza di soddisfazione fa sì che il fuoco interiore dei desideri sia sentito più fortemente e si può allora parlare di una ‘sete’ dell’anima. Se invece il mondo non apporta all’anima nuove impressioni stimolanti il desiderio, sicché la vita di desiderio trova sempre meno oggetti appetibili nel mondo, concentrandosi così all’interno, in tal caso compare nell’anima un senso di ‘fame’.

 

Nel caso si tratti però di esigenze, attese e nostalgie dell’anima di natura più profonda, morale, allora essa sente l’equilibrio tra la richiesta interiore posta al mondo e la corrente delle impressioni fluente dall’esterno, come giustizia. Se l’atteggiamento dell’anima è prevalentemente morale, il rapporto tra l’anelito interiore e la realtà esteriore diviene per essa il problema vitale della giustizia. In tal caso il continuo alternarsi della fame e della sete dell’anima diventa un ‘avere fame e sete’ di giustizia. La giustizia è infatti la condizione di armonia morale dell’anima senziente, come il soddisfacimento della fame e della sete è la condizione di armonia naturale del corpo.

 

L’esistenza dell’anima senziente, ossia dell’entità animica

vivente nelle impressioni sensorie del mondo esterno e nelle espressioni di nostalgia di quello interno,

dipende, sotto l’aspetto morale, dalla giustizia, come l’esistenza del corpo dipende dal cibo e dalla bevanda.

L’anima senziente è quell’arto della vita complessiva dell’anima umana, che porta ad espressione tale vita.

 

Le conoscenze dell’anima cosciente e i giudizi dell’anima razionale comportano un mutamento nella condizione della vita dell’anima, soltanto se sono divenuti sensazioni viventi. L’anima senziente è l’espressione del modo con il quale l’anima umana si è collocata nella vita; che l’uomo sia posto o meno nella vita in modo armonioso, di ciò testimonia lo stato della sua anima senziente. Per questo motivo la giustizia non è solo l’elemento morale di vita della stessa anima senziente, ma anche l’espressione concreta della condizione morale dell’anima.

 

La misura di giustizia,

non tanto quella che l’uomo esige dal mondo,

ma piuttosto quella che l’uomo stesso esprime nel suo rapporto con il mondo,

è il criterio, non già di ciò che l’uomo vuol diventare sul piano morale, ma di ciò che egli è diventato.

 

Che la giustizia sia l’espressione della condizione morale complessiva dell’uomo, lo si sapeva sin dai primordi e lo si insegnava anche nelle scuole dei misteri. Così Platone, che era iniziato ai misteri, ha esposto la dottrina delle principali qualità morali dell’amico della saggezza, ossia del filosofo, secondo la quale l’uomo triarticolato deve sviluppare tre ‘virtù’, che trovano però la loro sintesi ed espressione complessiva verso l’esterno, in quella che costituisce il loro frutto comune, la giustizia (dikaiosùne).

 

• La saggezza (sophìa), che l’uomo della testa deve sviluppare,

• diviene coraggio (andreia) nell’uomo del torace

• e prudenza dominante le passioni (sophrosùne) nell’uomo inferiore,

ma nell’espressione dell’uomo totale verso l’esterno,

saggezza, coraggio e prudenza si manifestano come giustizia (dikaiosùne).

 

Armonia dell’uomo pensante, senziente e volente: tale era il significato della dikaiosùne. Essa era la condizione della vita animica complessiva dell’uomo, in virtù della quale si era raggiunto l’equilibrio tra la vita dell’anima dedita allo spirito, la vita dell’anima dedita al corpo e la vita dell’anima in quanto tale.

 

Quest’armonia è stata sempre l’aspirazione dei maggiori rappresentanti della vita spirituale. Come la si possa raggiungere attualmente e che cosa debba significare per la via della conoscenza, lo troviamo formulato nel modo più essenziale nel libro L’Iniziazione di Rudolf Steiner, là dove si parla dello sviluppo del fiore di loto a sei petali: “Un’anima libera, che stia in equilibrio tra corporeità e spiritualità”, è appunto ciò di cui hanno fame e sete gli uomini che siano giunti a un rapporto vivente con l’impulso del Cristo. La forza che l’Io umano diventa capace di sviluppare tramite il suo collegamento con l’impulso del Cristo, e che produce quest’armonia nella condizione dell’anima, è indicata in quella Beatitudine che suona: “Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, poiché saranno saziati” (makàrioi hoi peinòntes kai dipsòntes ten dikaiosùnen, oti autòichortasthésontai). Il ‘saziarsi’ dell’aspirazione allo stato armonioso dell’anima, è appunto quell’armonia che risulta dal cristianizzarsi dell’anima senziente.

 

L’anima senziente rappresenta dunque

la condizione dell’anima umana nel suo inserimento complessivo nella vita;

l’anima razionale rappresenta invece quell’aspetto dell’uomo

che è in grado di aggiungere alla vita quale realtà data, un elemento proprio.

 

Mentre l’anima senziente

rende possibile una partecipazione – armonica o disarmonica – dell’anima alla vita,

l’anima razionale è chiamata a valutare questa vita e la partecipazione ad essa.

L’uomo deve all’anima senziente la propria esperienza nel mondo,

ma ciò che egli ha da dire riguardo a tale esperienza,

è una creazione dell’anima razionale.

 

L’anima razionale è l’anima parlante dell’uomo.

Essa ha da dire qualcosa circa le esperienze vissute.

In tal modo si innalza oltre la mera esperienza, per valutarla e giudicarla.

 

Il pronunciare giudizi è pertanto l’aspetto essenziale della manifestazione attiva dell’anima razionale. Quando tale attività non avviene in modo meccanico, ma permane nel suo ambito propriamente umano e morale, in tal caso è contenuta in ogni giudizio una sentenza. L’anima razionale esercita continuamente – ne sia o meno l’uomo consapevole – una attività giudicante.

 

Utilizzare l’anima razionale significa giudicare

– non importa se se stessi, o altre persone, o la natura, oppure il mondo.

Non è infatti possibile giudicare, senza assegnare o negare un valore a ciò che si giudica.

Se un tale giudicare avviene sul fondamento di un’anima senziente sana, ossia armonizzata fino a un certo grado, ne risulta un giudizio giusto. Quando nell’anima senziente vive l’impulso del Cristo, vi è il presupposto affinché l’anima razionale, in presenza di una buona volontà da parte dell’uomo, sia in grado di giudicare rettamente. Se però anche l’anima razionale accoglie l’impulso del Cristo, essa assume nella propria attività giudicante qualcosa grazie a cui l’Io si manifesta in misura maggiore, essendo l’anima razionale più vicina all’attività dello stesso Io di quanto non lo sia l’anima senziente. Nel giudizio penetra allora qualcosa che va oltre la giustizia.

 Un giudizio meramente giusto è un giudizio emesso sulla base del passato e del presente: si fonda su ciò che la realtà giudicata è divenuta.

 

• La bontà, la misericordia, vanno invece oltre la giustizia, nel senso che rendono giustizia non solo del passato e del presente, ma anche del presente e del futuro della realtà giudicata. Esse giudicano non solo sulla base del divenuto, ma anche con la fiducia nelle possibilità del futuro, di cui la bontà tiene conto nel proprio giudicare. In questo senso la bontà, la misericordia sono più giuste della stessa giustizia, in quanto rendono giustizia anche del futuro.

• Quando la bontà penentra nell’attività giudicante dell’anima razionale, essa diventa un giudicare secondo la ‘nuova Legge’, annunciata nel Sermone della montagna. Va allora oltre l’ideale platonico della dikaiosùne e diventa a poco a poco un modo nuovo di giudicare, rispondente allo spirito del Nuovo Testamento.

In conseguenza di questo modo di giudicare, anche il giudizio nascente sulla via del karma riguardo all’uomo giudicante diventa benevolo.

 

Chi giudica gli uomini non solo come divenuti, ma anche in divenire,

crea la condizione per essere giudicato da essi allo stesso modo.

Ciò avviene non per effetto immediato, bensì attraverso la mediazione del karma: prima o poi però avviene.

 

• Il risanamento, l’armonizzazione dei rapporti umani in senso sociale

è la conseguenza dell’avere accolto l’impulso del Cristo nell’anima razionale,

• come l’armonizzazione dello stato interiore dell’anima

è la conseguenza dell’averlo accolto nell’anima senziente.

 

Queste verità fondamentali circa la trasformazione interiore dell’anima razionale nel senso dell’impulso del Cristo e circa le conseguenze di tale trasformazione, sono espresse nel quinto versetto delle Beatitudini: “Beati i misericordiosi, poiché troveranno misericordia” (makàrioi hoi eìeémones, oti autòi eleethésontai).

L’anima razionale cristianizzata diviene così anima della misericordia.

 

Non è facile, tuttavia, per l’odierna coscienza formarsi l’idea di un ‘intelletto misericordioso’. Ogni esperienza al riguardo sembra infatti comprovare che l’attività dell’intelletto, quando si parla ad esempio di un ‘intelletto acuto’, comporta una freddezza irriguardosa o addirittura una crudeltà interiore nella formazione del giudizio. Escludendo col pensiero la durezza e la freddezza dall’intelletto, a malapena si riesce ancora a immaginare una realtà positiva riferendosi a un intelletto ‘tenero e caldo’. È comunque assai difficile in questo caso continuare a pensarlo come ‘acuto’.

Mancanza di chiarezza e soggettività nella formazione del giudizio appaiono come conseguenze inevitabili di un intenerirsi dell’intelletto. È tuttavia possibile giudicare con concetti quanto mai chiari, i quali nondimeno siano interiormente non solo luminosi come il sole, ma anche calorosi come il sole. Che ciò divenga possibile e realizzabile sul piano sociale, è il compito affidato da Rudolf Steiner e dal mondo spirituale agli uomini orientati verso l’antroposofia, riguardo al loro giudicarsi reciproco e al loro giudicare le cose.

 

Se oggi non è facile formarsi un’idea dell’anima razionale che abbia accolto l’impulso del Cristo,

ancor più difficile è formarsene una sull’anima cosciente che si manifesti nel senso dell’impulso del Cristo.

 

L’esperienza che la vita ci offre riguardo all’anima cosciente,

suscita l’idea di un realismo antiartistico, amorale e materialistico,

che si impone sia nel campo scientifico che in altri ambiti.

 

Può il realismo, la matter-of-factness dell’anima cosciente, quale si manifesta nel presente,

diventare creativo, morale, spirituale?

Questo è il problema che l’attuale situazione della coscienza pone all’umanità.

 

La trasformazione che deve compiersi nell’anima cosciente grazie all’impulso del Cristo,

può essere caratterizzata nel modo seguente:

• come l’anima senziente deve diventare una ‘anima della giustizia’ [Gerechtigkeitsseele],

• e l’anima razionale una ‘anima della misericordia’ [Barmherzigkeitsseele],

• così l’anima cosciente deve diventare una ‘anima della coscienza morale [Gewissensseele].

 

Questo non solo nel senso ristretto della giustizia o ingiustizia personale, ma nel senso di una sicura coscienza della responsabilità morale nei confronti della natura e dell’umanità. L’obiettività, il realismo dell’anima cosciente devono permanere, ma essa deve oltre a ciò diventare veicolo di una coscienza morale proiettata verso l’esterno.

 

La scienza moderna ha inglobato nell’ambito del sapere [ Wissen] un’enorme quantità di fatti naturali.

Ora si tratta di inglobare questi fatti nell’ambito della coscienza morale [Gewissen].

 

• Per il fatto che il sapere si è esteso ai regni della natura,

la natura è stata resa utilizzabile al servizio dell’uomo.

• Per il fatto invece che la coscienza morale si estenderà a quegli stessi regni,

l’uomo diverrà servitore cosciente della natura.

 

Diverrà suo servitore, nel senso che cercherà di donarle l’elemento morale-spirituale di cui essa ha bisogno, come la natura dà all’uomo l’elemento fisico-materiale di cui egli ha bisogno.

L’allargamento della responsabilità morale ai regni della natura avviene come conseguenza di un approfondimento della conoscenza naturale. Indagando in modo esatto e completo i fatti della natura, si indagano propriamente le conseguenze del peccato originale. La coscienza indagatrice non potrà fare a meno di cozzare contro la realtà del peccato originale nel complesso dei fenomeni naturali.

 

L’evento del peccato originale,

cioè che l’intera natura è solo umanità decaduta,

verrà ‘scoperto’, come un tempo fu scoperta la gravità.

 

Questa scoperta avrà però il significato che la natura diverrà un monito affinché l’uomo volga ad essa il proprio cuore. Avverrà allora la grande catarsi, la purificazione del cuore: l’uomo volgerà il proprio cuore all’esterno.

La purificazione del cuore consiste nel non contrarsi più in sé, ma nell’aprirsi al mondo.

 

Per il fatto che l’evento della ‘caduta’ della natura diverrà contenuto della coscienza, diverrà d’altra parte palese l’immagine di quell’essere unitario che nella natura sussiste frantumato e decaduto. Questo archetipo dell’uomo, racchiudente in sé l’intera natura, l’Adam-Kadmon della tradizione, che quale ‘immagine e somiglianza’ costituisce ora la nostalgia di ogni creatura – questo archetipo sorgerà nella coscienza dalla visione della natura decaduta.

 

I ‘puri di cuore’,

ossia coloro che hanno rivolto il proprio cuore ai regni della natura decaduta,

vedranno il loro dio, l’archetipo ideale.

 

Nella sua ‘immagine’ diverrà loro visibile il dio, se essi avranno prima purificato il loro cuore mediante la visione della tragica frantumazione di questa immagine. Non si tratta dunque della visione del Dio Padre universale – quando nella sesta Beatitudine si dice: “Beati i puri di cuore, poiché vedranno Dio” (makàrioi hoi katharòi te kardìa, otiautòi tori theòn òpsontaì) – bensì della visione dell’archetipo divino dell’umanità, che durante il periodo dell’anima cosciente sarà veduto nel mondo elementare quale speranza di resurrezione della natura.

 

Potrà essere veduto però solo da quegli uomini, i quali avranno esteso la coscienza morale dalle circostanze individuali e meramente umane ai regni della natura. Quest’ampliamento risveglierà la nuova chiaroveggenza naturale, la “chiaroveggenza eterica”, di cui parlò Rudolf Steiner.

 

La luce che renderà visibile il mondo elementare, lo Shamballa della leggenda orientale,

è la luce della coscienza morale dei puri di cuore, dei “katharòi te kardìa”.