Le vie spirituali del destino alla luce delle ultime tre Beatitudini

Il figlio dell’uomo


 

La sesta Beatitudine ci ha condotti già oltre i limiti della mera esperienza interiore dell’anima,

per porci profeticamente in un evento di destino, spiritualmente oggettivo, dell’umanità.

Le tre successive Beatitudini ci conducono ancor più oltre nell’ambito della formazione del destino.

 

Già nel sesto versetto non si trattava della sola anima cosciente,

ma dell’anima cosciente orientata verso il manas o sé spirituale.

Se compito dell’anima cosciente è fare della natura una questione di coscienza,

il compito ulteriore è quello di riconciliare la natura al mondo dello spirito,

per il qual compito sono necessarie forze superiori a quelle di cui dispone l’anima cosciente.

 

L’anima cosciente è certamente in grado di riconoscere il fatto della caduta della natura,

non però di gettare un ponte tra la natura e lo spirito, scissi tra loro in conseguenza della caduta.

A tal fine deve sopraggiungere qualcosa di ancor superiore.

Il ponte va infatti eretto da due lati: dal lato del mondo spirituale e da quello del mondo terreno.

 

Se l’uomo deve diventare questo ponte, allora la parte dell’entità umana che è di casa nel mondo spirituale

deve stabilire un rapporto con la parte della stessa più legata alla terra.

• La parte che dal basso si volge verso l’alto, è l’anima cosciente;

• la parte che dall’alto discende verso il basso, è il sé spirituale o manas.

 

Quando l’anima cosciente si colma della consapevolezza della colpa e del bisogno della vita terrena, tale consapevolezza si eleva verso il mondo superiore in modo simile ad una coppa – facendosi rappresentante del bisogno della Terra. Può allora incontrare una corrente che discende dall’alto e che accoglie nel chiarore della propria luce l’oscurità della colpa e del bisogno, recata verso l’alto dall’anima cosciente. Può così accadere che la tenebra ascendente e la luce discendente si congiungano a formare un’unità e ne risulti l’arcobaleno della riconciliazione tra i due mondi.

 

Goethe recava nella propria anima la conoscenza di questo processo di riconciliazione, di pacificazione tra i due mondi. Questa conoscenza divenne per lui la base tanto della teoria dei colori, quanto della Fiaba della bella Lilia e del Serpente verde. Con essa si accostò al mondo dei fenomeni della luce, proponendosi come compito, quello di ravvisarvi il riflesso del grande evento morale-spirituale della riconciliazione tra la coscienza inferiore e quella superiore. Sua convinzione di fondo era che i fenomeni esteriori della natura siano manifestazione dei più profondi segreti della vita interiore. Per lui anche il mondo dei colori era un ‘segreto manifesto’ e combattè quindi la teoria ottica di Newton, poiché essa minacciava di eliminare un grande simbolo della via di riconciliazione dei due mondi.

 

Gli uomini che recano nel proprio essere questo ‘arcobaleno della riconciliazione’ disposto verticalmente, venivano designati come ‘conoscitori delle sette parole’ o anche semplicemente come ‘operatori di pace’. Per diventare un ‘operatore di pace’, l’uomo doveva sperimentare due nascite, una terrena ‘dalla natura della Terra’, e una celeste – ‘da Dio’.

La parte costitutiva superiore dell’uomo doveva, sulle vie del destino – con esclusione cioè dell’arbitrio umano -, nascere nella coscienza umana, così come la parte costitutiva inferiore nasce, anch’essa sulle vie del destino, in occasione della nascita terrena.

 

L’‘arcobaleno della pace’ può sorgere solo se sono presenti entrambe le parti che esso deve congiungere. Per questo motivo gli ‘operatori di pace’ sono non solo figli di padre e di madre, ma anche ‘figli di Dio’. In questo senso si può ora comprendere il settimo versetto: “Beati gli operatori di pace, poiché saranno chiamati figli di Dio” (makàrioi hoi eirenopoiòi, oti autòi uiòi theoù klethésontai).

 

Se la ‘nascita dall’alto’ è un mutamento decisivo del destino nell’ambito del mondo sovrumano, e precisamente nella direzione verticale, l’ottava Beatitudine si riferisce invece a un mutamento del destino nel mondo umano, cioè nell’ambito orizzontale del rapporto tra gli esseri umani. In essa si considerano le modalità del destino all’interno dell’umanità per quegli uomini, i quali non solo collegano alto e basso come operatori di pace, ma mantengono anche un equilibrio tra destra e sinistra.

Se infatti nell’umanità due correnti si combattono in tutti gli ambiti della vita, la dikaiosùne dell’umanità, ossia l’armonia nel destino, è costituita dal bilanciamento, dallo stato di equilibrio tra le due polarità.

 

Come l’impulso del Cristo produce nell’anima senziente l’armonia interiore, la giustizia (dikaiosùne) quale condizione interna, così l’uomo che vive dello spirito vitale (budhi), produce un’armonia oggettiva nei rapporti di destino dell’umanità. Egli non ha solo “fame e sete di giustizia”, ma la crea nell’umanità.

Operando in tal modo, non opera come rappresentante dell’elemento luciferico umano, né di quello arimanico, bensì nella consapevolezza di un terzo regno, che non è di questo mondo. Per tale ragione egli deve apparire come uno straniero ai rappresentanti degli altri due regni, ed essere anche odiato dai rappresentanti di quel regno di cui ha contraddetto la marcia vittoriosa.

 

Il destino tra gli uomini dei portatori dello Spirito vitale (budhi) significa infatti

compenetrazione dell’entità umana con l’impulso del Cristo, dall’Io fino al corpo eterico.

Si può ora comprendere l’ottavo versetto, come relativo al karma dei portatori dello spirito vitale: “Beati i perseguitati per causa della giustizia, poiché di essi è il regno dei cieli”. (makàrioi hoi dediogménoi héneken dikaiosùnes, otiautòn estin he basiléia ton ouranòn).

 

L’ultimo versetto delle Beatitudini, il nono, parla anch’esso delle persecuzioni di cui sono fatti oggetto i portatori dell’impulso del Cristo, ma si riferisce a persecuzioni, oltraggi e calunnie, non per causa dell’equilibrio della giustizia, ma dell’entità stessa del Cristo. Non si tratta più di unilateralità e limitatezza umane, che divengono militanti, ma di altro.

Nessun uomo, come uomo, può infatti odiare coscientemente l’entità del Cristo – ciò è possibile solo ad esseri appartenenti alle Gerarchie del male. Gli uomini possono essere strumenti di tali esseri, quando usano le armi della persecuzione e della calunnia, ma l’odio per il Cristo che ne è alla base proviene da un altro mondo. Proviene da un mondo nelle cui profondità nessun uomo e nessun essere delle Gerarchie del bene è sceso tanto, quanto il Cristo stesso. È il mondo degli strati interni della Terra, i cui appartenenti odiano il Cristo come essere individuale, poiché egli è l’unica entità individuale del cielo, che essi hanno incontrato faccia a faccia nel loro regno, e che per questo hanno riconosciuto come il loro massimo nemico.

 

Il karma degli uomini che stanno in un rapporto così intimo con l’entità del Cristo, da suscitare, quali portatori del Cristo, anche l’odio riservato a Lui, consiste nel fatto che essi vengono posti nel mezzo del contrasto tra il mondo del male e l’entità stessa del Cristo. Il loro karma si è allora identificato con il karma cosmico dell’impulso del Cristo. Questa è la manifestazione ‘dell’eterno nome cosmico’ o della ‘stella’ dell’uomo – cioè dell’uomo spirito (atma). In questo caso si manifesta la vera destinazione eterna dell’uomo, quale è inscritta nel pensiero primigenio del Padre, nel cielo dello zodiaco in cui ogni esistenza viene determinata nel suo essere.

Che l’uomo prenda coscienza della sua stella eterna, che la sua stella inizi a brillare dentro la propria costellazione – questo è la ‘grande ricompensa nei cieli’ di cui parla l’ultima Beatitudine. La massima felicità destinata all’uomo dal Dio-Padre, brilla infatti in quelle regioni celesti corrispondenti alle sfere delle stelle fisse.

In tal modo l’epilogo delle nove Beatitudini sfocia nella misteriosa ampiezza del cielo stellato, e impone un silenzio totale all’anima giunta alla soglia dei misteri del Padre.

 

Il nono versetto: “Beati siete voi, se per causa mia essi vi insulteranno e perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi. Rallegratevi ed esultate, poiché grande è la vostra ricompensa nei cieli” (makàrioi este hòtan oneidìsosin hymàs kai diòksosin kai éiposin pan poneròn kath hpmòn [pseudòmenoi] éneken emoù. Chàirete kai agalliàsthe, oti ho misthòs hymòn polùs en tois ouranòis) – allude dunque a quel karma che si esprime in un sollevarsi delle forze del mondo sotterraneo.

È il karma dei rapporti con il mondo subumano e subnaturale, agente nella direzione dal basso verso l’alto – dall’interno della Terra alla sfera delle stelle fisse -, come l’ottavo versetto si riferiva al karma del mondo umano e della natura – nella direzione orizzontale da destra verso sinistra, corrispondente alle influenze arimaniche e luciferiche nell’uomo – e il settimo al karma nel mondo superumano e soprannaturale – nella direzione dall’alto verso il basso.