Il male nel cosmo alla luce della Bibbia / Il karma del male nel mondo alla luce del profeta Daniele

L’aurora della rivelazione


 

L’intento del profeta Daniele era di custodire per il futuro alcune importanti conoscenze intorno al karma universale. Seguendo un consiglio del mondo spirituale, egli tradusse tutte le sue rivelazioni in ‘segni’, affinché potessero essere decifrate in un tempo in cui gli uomini sarebbero stati in grado, non solo di ‘credere’ alle cose, ma anche di comprenderle. Il contenuto delle sue visioni svela una serie di importanti accadimenti futuri, relativi al destino del bene e del male nel cosmo. L’utilizzazione dell’intero patrimonio di conoscenze trasmessoci da Daniele è riservato ad un tempo futuro; qui se ne considererà soltanto una parte, quella che tratta del karma del male nel senso illustrato nel paragrafo precedente.

 

La rivelazione spirituale descritta nel settimo capitolo del libro di Daniele ci fornisce quanto occorre al nostro scopo. In quel capitolo, infatti, è presentato a larghi tratti il karma del male. La descrizione inizia con l’immagine dei “quattro venti” che “combattevano sul grande mare”.

L’immagine ci mostra lo scenario cosmico del conflitto tra bene e male. Lo spazio, infatti, con i suoi quattro punti cardinali – nord, sud, est, ovest – non è una delle astratte ‘forme a priori’ della filosofia kantiana, né la mera distanza da percorrere per raggiungere una certa meta, bensì un mare di forze in quiete, messo in movimento dall’azione di quattro forze. Queste quattro forze attive sono le correnti spirituali operanti nel mondo elementare: i ‘venti’ che governano il mondo elementare.

Dalle correnti prodotte dai quattro ‘venti’ nel mondo elementare, sorgono i quattro elementi,

nei quali tessono i quattro regni degli esseri elementarisalamandre, silfidi, ondine e gnomi.

 

I quattro gruppi di esseri elementari non sono che l’espressione ultima dei “quattro venti”.

L’origine dei quali risiede nell’eterna Trinità,

da cui scaturiscono gli impulsi cosmici chiamati ‘nord’, ‘sud’, ‘est’, ‘ovest’.

 

Tramite gli impulsi cosmici del nord e del sud opera l’entità del Padre; tramite gli impulsi dell’est e dell’ovest operano il Figlio e lo Spirito Santo. Dalla cooperazione di questi impulsi risulta il bene nel cosmo; quando invece i “quattro venti” contrastano l’uno con l’altro si ha il male nel cosmo. Perciò la descrizione della visione notturna di Daniele inizia con l’immagine dei “quattro venti che combattevano”.

I venti che combattono l’Uno contro l’altro sono le quattro correnti del male nel cosmo. Esse non sono dirette dal cielo, ma dalle profondità del ‘mare’; la loro origine va ricercata nelle “quattro bestie” che salgono dalle profondità del mare.

E quattro grandi bestie salivano dal mare, diverse l’una dall’altra. (Dan 7:3)

 

La prima bestia è raffigurata come un leone con le ali d’aquila.

È quella corrente del male che agisce in alto, nell’aria. In questa figura il coraggio del leone è alato, poiché è divenuto spavalderia e superbia. Lucifero è un’entità cui è estranea l’esperienza della paura. Egli imparerà a conoscere la paura, solo quando sarà messo di fronte alle conseguenze karmiche della propria ribellione contro la direzione divina. Dovrà allora sperimentare in sé l’elemento arimanico della paura. In tal modo vivrà interiormente il karma delle proprie azioni, come in una sorta di kamaloka. Questo kamaloka, in cui dovrà sperimentare l’orrore delle possibili conseguenze delle proprie azioni, e il timore che esse siano irreparabili, trasformerà Lucifero in un essere umile: la sua spavalderia scomparirà del tutto. Ciò è descritto immaginativamente in Daniele, là ove è detto-, “Mentre stavo guardando, le furono tolte le ali” (Dan 7:4).

 

In proposito sorge spontaneamente la domanda: nel secondo capitolo la ‘caduta degli Angeli’, ossia la ribellione di Lucifero, è stata presentata come la conseguenza di una compassione emotiva; qui si indicano come cause dello stesso fatto la spavalderia o la presunzione – come si possono conciliare queste due spiegazioni?

In realtà il termine ‘compassione’ [Mitleid] non è del tutto adatto ad esprimere il motivo che ha spinto Lucifero a ribellarsi agli dèi. La lingua tedesca non ha un termine appropriato, e lo stesso vale per quella inglese e francese. La lingua russa, al contrario, ha una parola, shalostj, che dà un’idea esatta del motivo della ribellione di Lucifero. Il suo significato è: pietà per un essere che appare troppo debole per intraprendere qualcosa al fine di liberarsi da una situazione dolorosa.

Questo sentimento è diverso dalla compassione (che in russo è ssostradanie), in quanto quest’ultima può essere provata anche per un essere di cui si ha stima, mentre il sentimento qui inteso include una nota sprezzante. Implica un segreto disprezzo verso l’essere, che si compatisce in tal modo.

 

Si può intendere la natura di questo sentimento – così come dell’ideologia che esso può generare nelle più importanti questioni umane – leggendo il capitolo sul Grande Inquisitore del romanzo I Fratelli Karamazov di Fédor Dostoevskij. Qui è indicata con più precisione che in qualunque altro luogo, la differenza tra l’amore del Cristo Gesù e quello del Grande Inquisitore. Mentre Cristo con il suo agire mostra il massimo rispetto per l’umanità, operando non con la forza o il miracolo (la tentazione del deserto), ma con il sacrificio, il Grande Inquisitore è invece convinto che l’uomo non sia in grado di giungere a Cristo per mezzo della libertà. L’‘errore’ di Cristo va dunque rimediato grazie a coloro che sono pronti a portare la croce della tutela dell’umanità, assumendosi da soli tutta la responsabilità nei suoi confronti.

Il Grande Inquisitore non ama l’umanità con l’amore con cui la ama Cristo. Egli prova per essa un’ardente, ma sprezzante, compassione. È convinto che la libertà resti riservata a pochi eletti, e che la massa dell’umanità vada invece guidata. Se Cristo dovesse riapparire, sarebbe dovere del Grande Inquisitore – anche se lo riconoscesse – di imprigionarlo come un pericoloso eretico, la cui venuta turberebbe gli animi della massa umana tenuta sotto la sua tutela. Risorgerebbe infatti lo spettro della libertà, distruggendo quell’opera sorta dalla compassione.

 

Questo capitolo del romanzo di Dostoevskij ci consente di comprendere intimamente i motivi dell’opposizione di Lucifero alle intenzioni degli dèi. Da una tale comprensione risulta che la compassione di Lucifero in realtà non è altro che superbia, frutto di presunzione. Essa si fonda infatti su un disprezzo dell’umanità, alla quale occorrerebbe una tutela esterna. Non vi è dunque contraddizione nel dire che Lucifero si ribellò agli dèi per superbia, provando pena per l’umanità. Ciò che sul piano dell’anima è vissuto come compassione luciferica, sul piano spirituale è superbia.

 

Che Lucifero diventi un essere umile, capace di riconoscere la necessità della realtà terrena per l’evoluzione umana, quale è intesa dagli dèi, viene espresso da Daniele mediante l’immagine seguente: “Essa [la prima bestia] si rizzò su due piedi come un uomo, e le fu dato un cuore umano”, ossia un cuore che, attraverso l’errore e la paura, ha trovato accesso all’amore. I “piedi” sono due correnti della volontà, che si dirigono ora verso il basso.

Il karma di Lucifero consiste appunto nel mutare le “ali d’aquila” in “piedi”, ossia nel far discendere servizievolmente verso la terra, la corrente della propria volontà.

 

Diverso è, nel racconto di Daniele, il destino della seconda bestia.

Essa non è “alata” ma “sollevata da un lato, simile a un orso” (7:5). Molto è contenuto in questa immagine. Tra le altre cose, la conoscenza del fatto che l’essere di Arimane non si esaurisce nella vicenda terrena. Solo una parte dell’entità di Arimane agisce sulla terra; la parte restante, la maggiore, opera nell’ottava sfera, che ha il suo centro tra la terra e la luna.

È dunque esatto dire che Arimane è “sollevato da un lato” soltanto, poiché l’altro lato non va cercato sulla Terra. Questo è anche il motivo per cui l’umanità, nel presente – e ancora di più nel passato – non può vedere Arimane come un’entità completa.

 

È invero facile incontrare l’entità di Lucifero, ma per quanto riguarda Arimane, si può incontrare sempre solo una parte della sua entità. Non si può vedere l’entità completa di Arimane: si possono invece sperimentate singole sue parti sotto diverse forme. La forma in cui di regola egli appare, è quella di una caricatura della figura umana. Anche il doppio arimanico è una caricatura individuale dell’uomo cui appartiene. Daniele ebbe una visione immaginativa della parte percepibile dell’entità di Arimane, equivalente al doppio dell’intera umanità. Per questo parla di una figura “simile a un orso”, ossia di una caricatura della figura umana.

 

L’azione di Arimane sull’umanità consiste in uno sforzo continuo per divorarla.

L’effetto dell’influsso luciferico consiste invece nel fatto

che nell’umanità sorgono illusioni e passioni.

 

Lucifero, dunque, arricchisce l’umanità dal punto di vista aritmetico. L’aspirazione di Arimane, al contrario, è quella di ridurre l’uomo ad un annullamento del suo essere; egli sottrae forze all’entità umana, per appropriarsene.

Ciò non si nota nella vita del singolo uomo, poiché le forze assorbite da Arimane restano in lui fino al momento della morte. Solo dopo la morte si potrebbe constatare in che misura l’anima si sia impoverita.

 

Durante la vita terrena le forze rubate all’uomo da Arimane diventano facoltà del doppio arimanico, il quale se ne serve nell’uomo stesso, in modo che, ad un’osservazione esteriore, non risulta alcuna perdita. Se però si allontanasse il doppio, la mancanza diverrebbe visibile anche all’esterno.

Ad esempio un brillante e dotato giornalista o avvocato, diverrebbe improvvisamente un mediocre e insignificante esecutore. Si sentirebbe sprovveduto di fronte ai compiti che prima aveva assolto con sicurezza, grazie alla sua capacità di volgere, piegare e trarre a sé in ogni circostanza i fatti, conformemente agli scopi che andava perseguendo. Ora esiterebbe di fronte ai fatti, poiché la sua capacità di volgerli e piegarli ai propri fini sarebbe svanita.

 

Il divorare le forze umane da parte di Arimane avviene nella storia dell’umanità, non in modo caotico, ma secondo un piano. Questo realizzarsi pianificato delle intenzioni arimaniche si compie con i mezzi di quell’occultismo oscuro che entrò nel destino dell’umanità nel periodo atlantico – specialmente nell’epoca prototuranica -, e non si ritirerà fino a quando non sarà l’umanità stessa a superarlo. Esso è lo strumento mediante cui Arimane persegue la propria opera, volta a divorare l’umanità. Anche questo occultismo è triplice: esso risulta dalla cooperazione dell’occultismo eugenetico oscuro, dell’occultismo igienico oscuro e dell’occultismo meccanico oscuro.

 

Come è inopportuno credere che non esistano, e non siano sempre esistiti, tre occultismi del bene, altrettanto inopportuno è credere che esistano solo uno, o due occultismi del male, ad esempio quello meccanico e quello igienico. Vi sono infatti tre occultismi del male, i quali rappresentano gli strumenti mediante cui Arimane dispiega il proprio potere nella storia dell’umanità.

Non è qui il luogo per caratterizzare tali occultismi; nel presente contesto si tratta solo di leggere i segni di Daniele. Leggiamo i segni della seconda bestia se, nel comando che le viene dato, “Alzati, e divora carne in quantità”, cogliamo l’espressione della tendenza fondamentale di Arimane: quella di divorare.

 

E nell’immagine “l’altra bestia aveva nella bocca, tra gli altri, tre grandi lunghi denti”, i tre strumenti di Arimane, mediante i quali egli afferra la preda da divorare, ossia i tre occultismi oscuri.

L’afferrare deve infatti precedere il divorare: i tre occultismi oscuri sono gli strumenti di Arimane, mediante i quali egli afferra gli esseri.

 

Dopo che Lucifero e Arimane sono entrati nella vicenda del karma universale, sorge, in conseguenza del compromesso tra le due tendenze, una terza tendenza del male, di carattere luciferico-arimanico. Delle entità di questa tendenza si può dire che possiedono una combinazione della capacità di volare, propria di Lucifero, con la capacità calcolatrice della testa, propria di Arimane. La capacità di volare dipende però dalle facoltà della testa: le ali sono correlate alle teste. La conoscenza che ha sede nel capo di queste entità non è rivolta alla trinità dello Spirito, bensì alla quadruplice natura del mondo fisico-elementare. Perciò Daniele, parlando della terza bestia, dice di esse:

Ecco un’altra bestia, simile a un leopardo, la quale aveva sul dorso quattro ali d’uccello; aveva anche quattro teste. (Dan 7:6)

 

Le quattro teste rappresentano la facoltà del pensiero analitico condotta fino alla formazione di organi. Le conoscenze relative a ciascuno dei quattro elementi sono del tutto separate tra loro, e tenute insieme solo dalle intenzioni pratiche, ossia dalla volontà. Di per sé sono quattro ambiti irrelati: quattro teste separate. Ad ognuna di queste teste è assegnata un’ala, quale forza di entusiasmo che la sostiene.

Della quarta bestia, che compare per ultima nel karma universale, Daniele dice che era:

diversa dalle altre, terribile e spaventosa, di una forza eccezionale, i suoi denti erano di ferro; divorava, stritolava, e ciò che restava lo calpestava con i piedi. (Dan 7:19)

 

In questa immagine possiamo riconoscere la caratteristica sopra illustrata dell’entità di Asura, ossia il potere di sgretolare, o “stritolare”, come dice Daniele, l’entità dell’Io umano.

Si noti che l’entità dell’Io costituisce il filo che unisce passato, presente e futuro. L’uomo deve questa continuità della coscienza nel tempo, quale relazione karmica tra ieri, oggi e domani – ossia della vita precedente, di quella presente e di quella futura – al nucleo del proprio essere, all’Io, che procede attraverso i sonni e le veglie, le morti e le nascite.

Il tempo, quale unità di passato, presente e futuro, viene mantenuto come legge (karma) sulla terra, dalle Archai, o Spiriti del tempo, finché gli Io umani non abbandonino l’ambito in cui opera il karma – la “legge” secondo Daniele. Se essi però lo abbandonassero – conseguendo l’immortalità arimanica di cui si è parlato sopra – la continuità del tempo nel divenire terrestre correrebbe il rischio di essere distrutta.

 

Arimane, la natura del quale ha la sua espressione più adeguata nella macchina, meccanizza il tempo, esclude cioè da esso la creatività morale, ma non lo distrugge. Nella macchina il tempo diviene sì amorale, ma continua a sussistere.

Lo stesso avviene con l’entità dell’Io di un uomo, che si sia interamente votato ad Arimane. L’io di un tale uomo dorme un sonno senza sogni. Vive dunque in uno stato di coscienza simile a quello che l’uomo aveva durante l’antico Sole, una coscienza vegetale. È incapace di sviluppare qualunque tipo di attività moralmente creativa: agisce per necessità, come una macchina, tuttavia sussiste ancora, almeno virtualmente.

 

Il pericolo per l’umanità rappresentato da Asura,

consiste nell’effettiva rottura del filo che collega passato, presente e futuro.

 

Immaginiamo che ogni momento arrechi qualcosa di diverso, privo di alcun nesso con ciò che era prima e ciò che sarà dopo; che, ad esempio, non vi siano più ritmi stagionali, e neanche ritmi meccanici: ogni cosa sarebbe aritmica, come il battito cardiaco di un malato in agonia.

Proferirà insulti contro l’Altissimo, turberà i santi dell’Altissimo, si azzarderà a cambiare i tempi e la legge (Dan 7:25),

dice Daniele del sovrano dell’ultimo ‘regno’ del male. In altre parole, il tempo, quale unità e ritmo, dev’essere distrutto e le leggi karmiche soppresse.

 

L’ultima entità del male si opporrà allo stesso Padre.

• Mentre Lucifero cercava di instaurare, tra l’uomo e il mondo spiritual un rapporto diverso

rispetto a quello attuato dallo Spirito Santo mediante gli Angeli;

• mentre Arimane combatte Cristo, unificando l’umanità in uno spazio meccanizzato

– diversamente da come la unificano gli Arcangeli del Cristo -;

• l’aspirazione di Asura sarà di spezzare la catena delle Archai, ossia dei rappresentanti del Padre.

 

Daniele parla però anche dell’esito, predisposto dal karma, di un simile tentativo. Con immagini maestose egli rappresenta il giudizio dell’Antico dei giorni:

La sua veste era candida come la neve e i capelli sul suo capo erano come candida lana; il suo trono era simile a vampe di fuoco e le sue ruote erano come fuoco ardente. Scaturiva da lui un fiume di fuoco che gli scorreva innanzi; mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi stavano di fronte a lui. Il giudizio iniziò e furono aperti i libri. […] Vidi che la bestia fu uccisa, e il suo corpo distrutto e gettato nel fuoco […]. Guardavo nelle visioni notturne, ed ecco venire tra le nubi del cielo uno simile al Figlio dell’uomo; giunse fino all’Antico dei giorni, e fu presentato a lui, che gli diede dominio, gloria e regno, affinché tutti i popoli, le nazioni e le lingue lo servissero; il suo dominio è un dominio eterno, che mai tramonta; e il suo regno non sarà mai distrutto, Io, Daniele, fui scosso nel mio spirito, tanto le visioni della mia mente mi avevano turbato. (Dan 7:9-15)

 

Moltissimo è contenuto in questo brano: non solo la descrizione dell’esito della rivolta di Asura, ma anche i motivi per cui la sua disfatta è inevitabile. Quando infatti sarà scoccata l’ora cosmica, in cui “i libri verranno aperti per il giudizio”, sarà già avvenuto il sacrificio di Colui, che è “simile al Figlio dell’uomo”.

Cristo, diventando uomo, creò una corrente karmica, che decide l’esito dell’ultimo giudizio.

Grazie al superamento di Arimane, sarà superata anche la conseguenza dell’azione di Arimane nel cosmo, ossia la comparsa di Asura. L’entità di Asura sarà annientata nel fuoco dell’ira del Padre. Colui che voleva annientare gli esseri, subirà egli stesso la medesima sorte.

 

Il Mistero del Golgota ha dunque tre conseguenze nel karma universale:

• la conversione interiore di Lucifero,     •  il superamento di Arimane,     •  e l’annientamento di Asura.

 

Ciò si compie non mediante la forza, ma mediante il giudizio.

Il Mistero del Golgota è infatti un evento all’interno del karma che, di fronte al tribunale della giustizia karmica,

fa pendere la bilancia a favore dell’assoluzione dell’umanità.

 

Cristo dovette appunto diventare uomo, per entrare nell’ambito del karma umano e mutarlo.

Le conseguenze di questo mutamento sono descritte da Daniele nelle immagini del giudizio emesso dal Padre.

 

Nel libro di Daniele vi è la conoscenza della triade del male, ma anche dell’eterna Trinità del Bene.

Nel capitolo 7 sono infatti descritte la visione immaginativa dell’entità del Padre, la conoscenza ispirativa del Figlio e la comunione intuitiva con lo Spirito, quali le ha sperimentate Daniele.

 

• Egli potè percepire l’entità del Padre solo sul piano immaginativo. L’uomo non può infatti accostarsi ad essa, se non appunto con l’immaginazione. Egli non potrebbe, ad esempio, sostenere l’intuizione del Padre, poiché l’intuizione comporta un accogliere interiormente nel proprio essere.

• All’entità che appare sulle “nubi del cielo”, ossia nella sfera del Figlio, egli potè avvicinarsi di un passo in più: la riconobbe nell’ispirazione. Da “uno dei presenti” gli fu spiegato il significato della sua visione intorno al regno futuro del Figlio.

• Lo Spirito, infine, fu sperimentato da Daniele nel suo vero essere; egli vi era unito nella immediata intuizione – “Fui scosso nel mio spirito”, dice in proposito Daniele.

 

Considerando ora l’intero libro di Daniele, si può comprendere in che modo egli conobbe l’entità del Padre. La vide come l’“Antico dei giorni”, ossia come quella entità che si manifesta tramite tutti gli Spiriti del tempo (Archai).

Daniele vide la serie dei “giorni” in una prospettiva infinita: le immagini dei “giorni” del cosmo si dispiegarono innanzi al suo sguardo spirituale. Un’epoca seguiva all’altra in una sequenza ininterrotta ma, attraverso le immagini dei giorni futuri e passati del mondo, gli apparve il volto dell’Antico dei giorni, dell’Ente che è all’origine del mondo, e che ogni giorno manifesta solo una piccola parte del proprio essere.

Le ruote fiammanti del divenire universale girano incessantemente, ma sul trono ardente che esse trasportano, siede immobile l’Ente primordiale. Quando scocca l’ora cosmica, Egli invia un raggio nel mondo, e il mondo allora si ferma, per essere giudicato. I libri della memoria cosmica vengono aperti, e il Padre giudica tutti gli esseri da Lui creati, che stanno ora fermi innanzi a lui come creature libere.

 

Da simili esperienze nacque l’arte; e dalle stesse dovrà rinascere. In futuro non ci si accontenterà di creare a partire dalla fantasia. La serietà del divenire cosmico farà tacere la fantasia di fronte ai segni, che appariranno nel cielo dell’esistenza eterna. Lo spirito di una simile arte soffia in molti luoghi della Bibbia. Esso risorgerà: è una speranza che possiamo nutrire.

 

In questo capitolo si è cercato di illustrare l’azione del karma nel cosmo, quale fu rivelata a Daniele. L’autore spera di aver fatto sì che il lettore possa sentire la Bibbia come un libro contenente, non solo un capitolo della storia umana, ma anche profonde conoscenze relative al divenire del cosmo.

Nella Bibbia si possono trovare molti segreti relativi all’azione del karma nel cosmo. Solo a poco a poco si imparerà a leggerla in tal senso.

 

Ora che, alla luce della Bibbia, abbiamo considerato un capitolo dell’azione del karma nel cosmo, è naturale passare a considerare l’azione del karma nell’uomo, quale può essere conosciuta mediante la Bibbia. Si possono trovare nella Bibbia conoscenze profonde relative al karma umano e alla reincarnazione? Questa domanda formerà l’oggetto del prossimo capitolo.