La Sofìa e i misteri terrestri del Cristo

La celeste Sofia e l’essere Antroposofia


 

Per l’osservazione scientifico-spirituale la differenza principale tra l’antica religione ebraica e le religioni pagane risale a due diverse sorgenti ispirative. La prima fu ispirata dall’Eloha lunare Jahve e la seconda dai sei elohim solari.46

 

Per comprendere meglio la natura di questa differenza dobbiamo confrontare il tipo di azione della seconda gerarchia, alla quale appartengono gli elohim, con il tipo di azione della terza gerarchia che opera al loro servizio. Questa terza gerarchia consiste di angeli, arcangeli e archai, che traggono le loro forze dalla sfera dei pianeti inferiori o ‘sottosolari’(51) e hanno il compito di esercitare la loro azione nell’interiorità dell’uomo, nell’anima umana.

Così gli angeli svolgono la guida spirituale dei singoli uomini, gli arcangeli la guida di gruppi o popoli, le archai in qualità di Spiriti del tempo, la guida di epoche alterne.

 

Le entità della seconda gerarchia invece, gli Spiriti della forma, gli Spiriti del movimento e gli Spiriti della saggezza, la cui sfera originaria è quella del Sole e dei pianeti superiori, sono di per se stesse così possenti e si trovano nella loro evoluzione ad un grado talmente superiore a quello dell’uomo sulla terra, che non intervengono più direttamente nell’anima dell’uomo, ma si servono a tale scopo delle entità appartenenti alla terza gerarchia, come per esempio Jahve che guidò l’antico popolo ebraico mediante l’arcangelo Michele e poi tramite gli angeli (una diretta penetrazione delle loro forze nell’anima umana, avrebbe reso impossibile lo sviluppo di una coscienza dell’io individuale).

 

La principale sfera di azione di queste entità

non è il mondo interiore dell’uomo, ma il mondo esteriore della natura,

la cui infinita molteplicità di forme, per quanto riguarda le sue fonti spirituali,

origina dall’attività che gli Spiriti della forma emanano dal Sole.

In modo simile, i multiformi tipi di movimento che pervadono la natura risalgono agli Spiriti del movimento,

mentre la saggezza che la compenetra risale agli Spiriti della saggezza.

 

Così la celeste Sofìa regola e ordina la vita globale della natura terrestre attraverso le sue tre parti costitutive più elevate. Anche qui le parti costitutive superiori agiscono attraverso le parti costitutive inferiori: gli Spiriti della saggezza e del movimento attraverso gli Spiriti della forma, quali loro più importanti esecutori. Così questi ultimi sono i veri creatori della natura visibile e dell’uomo in quanto essere naturale. In modo del tutto particolare i sei principali Spiriti della forma che vengono denominati anche elohim solari, rivestono un ruolo centrale in tutto questo lavoro.

 

Come sappiamo, soltanto Jahve costituisce un’eccezione, poiché è in grado anche da solo, come i sei elohim rimasti sul Sole, di agire sulla Terra attraverso le forze e gli elementi della natura. Per esempio a Mosè si manifesta in tuoni e lampi, nel terremoto e nel fuoco del Sinai. D’altra parte però, non è questa attività di Jahve che lo unisce ai suoi fratelli solari, a rivestire la maggiore importanza nella guida dell’antico popolo ebraico, ma sono le leggi morali e le prescrizioni etiche da lui date quale primo passo verso il nuovo ordine mondiale morale che sarebbe stato portato sulla terra dal Cristo, valido per tutta l’umanità.

 

L’azione sulla terra degli altri sei elohim rimasti sul Sole, aveva invece un carattere naturale-spirituale. A questa azione guardavano soprattutto i discepoli dei misteri pagani precristiani, per cui il mistero del Sole spirituale e della sua azione naturale-spirituale sulla terra, fu fin dall’inizio il punto centrale nella disciplina di iniziazione della saggezza da essi coltivata.(52)

Detto in altre parole nei misteri pagani la celeste Sofìa agiva principalmente dalla sfera solare attraverso le tre categorie degli spiriti della seconda gerarchia, e di conseguenza rivelava loro maggiormente l’aspetto del Figlio o del Logos creatore, mentre Jahve conduceva l’antico popolo ebraico tramite la terza gerarchia, quella degli angeli. Questo significa che la celeste Sofìa nella tradizione mistico-religiosa dell’antico ebraismo si rivelò maggiormente nell’aspetto dello Spirito Santo.(53)

Questo è anche il motivo per cui lo Spirito (Ruach) nella tradizione esoterica giudaica è un’entità di sesso femminile, e possiede un nome femminile.47

 

Possiamo rilevare anche un’ulteriore differenza tra la corrente spirituale antico-ebraica e quella pagana (greca), se consideriamo che nella via di conoscenza soprasensibile la terza gerarchia o gerarchia dello Spirito (angeli, arcangeli, archai) può essere raggiunta già con il grado immaginativo; la seconda gerarchia o gerarchia del Figlio (gli Spiriti della forma, del movimento, della saggezza) con il grado ispirativo; e la prima gerarchia o gerarchia del Padre (troni, cherubini, serafini) con il grado più elevato, quello intuitivo.

Ne consegue che gli antichi iniziati, per percepire l’intera pienezza delle entità della celeste Sofìa (il pleroma) prima di tutto dovevano disporre dei due primi tipi di percezione soprasensibile: quella immaginativa e quella ispirativa, le quali consentivano l’accesso alla triade gerarchica inferiore e a quella centrale, vale a dire alle entità della terza e della seconda gerarchia.

 

Osservando tale stato di cose in rapporto alla vita spirituale dell’antico popolo greco e dell’antico popolo ebraico, sicuramente in ciascuno di essi si possono trovare i germi, sebbene fondamentalmente ancora di carattere atavico, di entrambi i tipi di facoltà soprasensibili. Ciò nonostante nella loro diffusione entro questi popoli, possiamo riscontrare una differenza di eccezionale importanza per la seguente esposizione.

Questa differenza sta in relazione al fatto che l’azione della celeste Sofìa nei popoli pagani era molto diversa da quella nell’antico popolo ebraico. Infatti i popoli pagani, e tra di loro in modo del tutto particolare l’antico popolo greco con i suoi numerosi misteri, erano principalmente orientati verso i sei «elohim solari» rimasti sul Sole, i quali costituirono anche la porta che conduce alle due gerarchie solari ancora più elevate, gli Spiriti del movimento e gli Spiriti della saggezza.

 

Contrariamente all’antica religione ebraica che può essere definita una religione lunare, poiché la sua divinità centrale Jahve aveva lasciato il Sole e agiva dalla sfera lunare, in tutto il mondo pagano si diffusero religioni naturali legate al Sole, totalmente orientate al Sole, che però non accoglievano le sue azioni spirituali direttamente, bensì grazie all’opera degli Spiriti della natura nei dintorni della Terra, e a quella delle gerarchie inferiori al servizio della sfera solare che nella loro azione sono collegate alla sfera dei pianeti inferiori (Venere, Mercurio, Luna).

Questo carattere naturale del rapporto delle religioni pagane con la sfera solare si mostra molto bene nel fatto che molte di esse festeggiavano simbolicamente la morte e la resurrezione di un Dio solare (Osiride, Baldur, Adone, Attis, Tammuzd, Mitra ed altri) partendo da un’esperienza viva e chiaroveggente degli spiriti elementari della terra, i quali in autunno ‘muoiono’ e in primavera ‘risorgono’ a nuova vita. Sebbene i misteri pagani avessero come oggetto di conoscenza la sfera solare con le sue tre categorie degli Spiriti di rango superiore (la seconda gerarchia), questi non erano percepiti direttamente, ma nel riflesso degli immediati dintorni spirituali (eterici) della Terra, vale a dire tramite le figure delle entità della terza gerarchia, alla quale non appartenevano soltanto le divinità greche, ma anche quelle degli altri popoli pagani.48

 

Il politeismo regnò tra i greci e gli altri popoli pagani dell’Asia minore, del medio oriente e del nord Africa, poiché la fonte suprema della loro religione non fu un Eloah, ma i sei elohim solari i quali, agendo tramite la terza gerarchia e gli spiriti della natura dei dintorni eterici della terra, generarono una straordinaria multiformità di entità spirituali, che potevano essere contemplate negli antichi misteri pagani con l’aiuto della chiaroveggenza atavica.

Tra gli antichi giudei prevalse invece la potenza dell’unico Jahve che, trovandosi vicino alla sfera terrestre, era in grado di agire su di essa in modo tale che le sue azioni sopraffacessero gli influssi dei vari esseri della terza gerarchia, divenendo questi soltanto esecutori della sua volontà. E così se è vero che i profeti giudaici ad esempio parlavano ispirati da angeli, arcangeli e così via, tuttavia la loro religione non diventò politeista come per i pagani, ma rimase rigorosamente monoteista, poiché gli spiriti della terza gerarchia non rivestivano un ruolo autonomo, ma subordinato.

 

Inoltre come abbiamo visto, Jahve si rivelò maggiormente nella sfera morale, in forma di comandamenti e leggi morali, mentre i discepoli dei misteri nel mondo pagano accolsero le rivelazioni dei sei elohim solari maggiormente nella sfera della natura (nell’immagine dei dintorni eterici della terra). Per questo tra gli ebrei non esistevano immagini di Dio, dato che per loro Dio era l’incarnazione della legge morale universale che poteva essere raggiunta soltanto nell’ispirazione, e il tentativo di rappresentare Dio in immagine veniva considerato una grande trasgressione (vedi Esodo 34,17).

Per i greci invece, che raggiungevano i loro Dei tramite l’immaginazione, la loro rappresentazione era fondamentale in tutti i templi e luoghi sacri. Ma poiché normalmente essi vedevano i loro Dei soltanto nel riflesso del mondo elementare, questi spesso assunsero il carattere antropomorfo che troviamo ovunque nell’arte religiosa greca.

 

Da ciò deriva anche il rapporto tragico che i greci avevano con il mistero della morte, poiché le loro divinità potevano parlare a loro soltanto del mistero della metamorfosi nel regno della natura, ma non di quello della morte. Per risolvere questo mistero i greci avrebbero dovuto trovare l’accesso diretto alla seconda gerarchia, alla gerarchia solare, vale a dire alle forze dell’ispirazione, mentre poterono basarsi solo sulle immaginazioni della natura. Grazie a queste immaginazioni i greci percepivano ovunque nella natura innumerevoli e differenti esseri elementari, come pure molte figure divine appartenenti alla terza gerarchia, tuttavia non quelle entità che avrebbero potuto comunicare loro qualcosa del mistero della morte (seconda gerarchia).

 

L’unico filosofo greco-antico che fece il primo passo sulla via dall’immaginazione all’ispirazione fu Aristotele. E sebbene questo avvenne soltanto in una forma teoretica, egli con i pensieri raggiunse comunque, mediante l’azione diretta dell’ultima parte costitutiva della celeste Sofìa, la completa percezione del suo pleroma.. Questo fenomeno è sicuramente il più prodigioso di tutta la vita spirituale antica, e vorremmo ora considerarlo più attentamente.

 

La rappresentazione della totalità dell’entità della Sofìa, vale a dire la rappresentazione di tutte le gerarchie ad essa congiunte fino a quella più elevata (gli Spiriti della saggezza), si trova chiaramente nelle descrizioni di Aristotele che riguardano Dio e il cosmo. In questa parte della sua filoSofìa egli distingue dapprima le sette sfere planetarie, poi la sfera delle «stelle fisse» o «Primo mobile», e infine l’unica entità suprema, che si trova dietro il Primo mobile e che egli chiamò «Motore Primo» o «motore immobile di tutto ciò che esiste», il «Dio» trascendente o massimo «principio» dal quale dipendono «l’universo e la natura».

 

Aristotele chiama questo altissimo principio (Dio) anche «nous» o «ragione universale» e se lo rappresenta come un essere al di fuori dello spazio (poiché si trova al di là del cosmo spaziale) che trasferisce la potenzialità nella realtà (potentia in actu), vale a dire che di fatto non soltanto crea, configura e mette in movimento il cosmo spaziale, ma attinge lo spazio stesso dall’ambito che sta al di fuori dello spazio.

 

Se consideriamo questi pensieri tratti dalla Metafisica di Aristotele alla luce di quanto disse Rudolf Steiner, e cioè che le forze degli Spiriti della forma si estendono dal Sole al confine delle sfere planetarie, le forze degli Spiriti del movimento fino alla sfera delle stelle fisse (secondo Aristotele fino al «primo mobile») e che al di là di questo, vale a dire del cosmo stellare (spaziale), si estendono le forze degli Spiriti della saggezza provenienti dal Sole49 che nel loro insieme costituiscono ciò che Aristotele chiamava «ragione universale» (nous), ecco che abbiamo un’immagine dell’attività creatrice dell’intera triade superiore dell’entità della Sofìa nel nostro cosmo.

 

Tutto ciò viene confermato anche dal risultato dell’indagine scientifico-spirituale secondo cui

gli Spiriti della forma, che agiscono dal Sole tramite le sfere planetarie,

vengono percepiti dallo sguardo chiaroveggente come molteplicità

• e allo stesso modo vengono percepiti gli Spiriti del movimento, che agiscono dal Sole fino alle stelle fisse;

• gli Spiriti della saggezza invece, che agiscono dal Sole fin oltre la sfera dello zodiaco,

vengono contemplati al di là della sfera stellare (cielo cristallino) come una unità.50

 

Nella sua Metafisica Aristotele parla di questa unità di tutti gli Spiriti della saggezza oltre lo spazio, come del più alto principio della struttura dell’universo, quella «ragione universale» (nous) che egli concepisce quale ‘primo motore immobile’ di ogni movimento, causa di se stesso fin dal principio, vale a dire come promotore (ispiratore) di tutta l’attività degli Spiriti del movimento nel nostro cosmo.(54)

 

Questo creatore divino dell’intero universo visibile che, come abbiamo visto, è al contempo il più alto aspetto della celeste Sofìa e di conseguenza detiene la guida di tutte le «gerarchie della Sofìa» inferiori, secondo Aristotele è anche il «più desiderabile oggetto d’amore» per ogni essere che aspira ad esso quale bene supremo e méta definitiva della propria evoluzione e di quella universale.

Detto altrimenti: tutti gli esseri, sopra tutti l’uomo, aspirano nella loro vita a nient’altro che alla definitiva unione con la celeste Sofìa, che nella sua settemplice costituzione appare all’uomo come il suo eccelso archetipo cosmico. Perciò questa «aspirazione all’amore» verso la Sofìa, insita in ogni uomo dalle origini, corrisponde alla ricerca della più elevata saggezza o all’occuparsi della «Filo-Sofìa», la più elevata attività ragionevole dell’uomo.

 

Nella filoSofìa di Aristotele

per la prima volta l’antica saggezza pagana, dotata ancora di un carattere puramente immaginativo,

viene afferrata dal pensiero umano individuale sotto l’influsso della più recente parte costitutiva della celeste Sofìa,

e viene trasformata in una disciplina filosofica comprendente l’intero settemplice essere della Sofìa.

 

Così nella filoSofìa di Aristotele, nella sua metafisica e nella sua cosmologia,

ma in modo del tutto particolare nella sua logica, che descrive le leggi del pensiero

grazie alle quali egli potè elevarsi al più alto concetto dell’unico Dio quale ragione divina (nous),

abbiamo la più elevata e la più pura manifestazione della legge solare sopra descritta nel mondo antico.

 

L’azione comune degli Spiriti della saggezza e degli arcangeli,

e cioè della seconda e della terza gerarchia entro l’entità «sobornica» della celeste Sofìa,

si manifestò in questo modo ad Aristotele attraverso la mediazione della sua più recente parte costitutiva (umana).

 

Questo passaggio dalle immaginazioni (nelle quali viveva ancora in misura considerevole il suo maestro Platone)

allo sviluppo del puro pensiero privo di immagini, fu compiuto per la prima volta da Aristotele,

che in tal modo potè comprendere l’intero essere della Sofìa fino agli Spiriti della saggezza,

anche se soltanto in forma di pensiero astratto.

 

Con ciò Aristotele diventò già nel mondo antico

il primo precursore del successivo quinto periodo di civiltà postatlantico.

Infatti, dopo avere compiuto il passaggio dalle immaginazioni della natura al pensare sulla natura,

egli potè creare le basi per la maggior parte delle scienze moderne.

Invece la filoSofìa pre-aristotelica e diverse scuole successive che si rifacevano di più a Platone,

mantennero ancora per molto tempo un carattere immaginativo confacente in origine al mondo pagano.

 

• Del tutto diverso fu il rapporto degli antichi ebrei con la seconda gerarchia.

Come sappiamo, il loro Dio supremo era Jahve, il quale apparteneva al rango inferiore degli Spiriti della seconda gerarchia. Nel popolo ebraico tuttavia, Jahve non agiva dalla sfera solare, bensì dalla sfera lunare. In tal modo Jahve da un lato precluse agli antichi ebrei la possibilità di elevarsi maggiormente ai sei elohim rimasti sul Sole e mediante questi alle due ulteriori categorie degli Spiriti della seconda gerarchia, vale a dire di sperimentare la Sofìa in tutta la sua pienezza,(55) e dall’altro lato assoggettò una parte di spiriti appartenenti alla terza gerarchia trasformandoli da portatori di immaginazioni in mediatori delle sue ispirazioni.

 

In questo contesto è interessante confrontare il concetto dell’unico Dio monoteista negli antichi ebrei e nel greco Aristotele. Nell’uno e nell’altro caso avviene il superamento dell’antica contemplazione immaginativa della natura.

• Tuttavia negli antichi ebrei ciò avvenne in seguito al fatto

che le immaginazioni furono sostituite dalle ispirazioni dell’unico Dio Jahve, il quale scendeva presso di loro,

• mentre in Aristotele fu conseguenza dell’ascesa dalle immaginazioni (della terza gerarchia) a un pensare più astratto, che però egli accolse come percezione esteriore dei sensi,52 vale a dire fu per lui un’immagine dell’azione della seconda gerarchia, la quale sta dietro alla natura esteriore.

 

Così abbiamo

•  da una parte la discesa macrocosmica di Jahve,

• e dall’altra l’inizio di un’ascesa microcosmica dell’uomo,

che però in un primo momento si compie solo in forma teoretica di pensiero.

 

In questa forma trasformata continua a vivere anche in Aristotele l’antica, originaria saggezza dell’umanità, che ora per la prima volta abbraccia l’intero essere della Sofìa con un nuovo pensiero individuale che sta nascendo.(56)

Jahve invece agiva nell’antico popolo ebraico principalmente mediante le forze di volontà incoscienti (notturne), le quali poi, nella vita di veglia, si rivolgevano all’uomo nella forma di un sistema costituito da imperativi morali (comandamenti) provenienti dall’esterno.

 

Alla luce di questi fatti, il rapporto originario degli antichi ebrei tra la propensione ad accogliere le ispirazioni e la loro idea della creazione dell’uomo, ottiene un nuovo significato.

Nella Bibbia leggiamo: «Ed egli [Dio] soffiò nelle sue narici un alito di vita; così l’uomo divenne un essere vivente» (Gen 2-7). Questo elemento del «respiro» è contenuto anche nella parola ‘ispirazione’ (dal latino ‘inspirare’), e queste parole della Bibbia possono essere comprese nel senso che Dio, nel processo di creazione dell’uomo, inspirò in lui l’alito della vita. Da tale carattere ispirativo delle rivelazioni di Jahve trae origine anche il divieto già considerato di farsi una qualsiasi rappresentazione o raffigurazione immaginativa di Dio (vale a dire riguardante la terza gerarchia).

 

Così già il primo dei dieci comandamenti si prefigge di proteggere l’antico popolo ebraico dall’influsso diretto di entità appartenenti alla terza gerarchia, le quali come Michele e più tardi la Bath-Kol, possono avvicinarsi al popolo soltanto come inviati di Jahve: «Non avrai altri dèi davanti a me» (Es 20,3). A questo primo comandamento segue subito il secondo, che proibisce agli adoratori di Jahve di creare qualsiasi immagine o immaginazione del loro Dio: «Non ti farai scultura e alcuna immagine né di quello che è su in cielo, né di quello che è quaggiù sulla Terra, né di quello che è in acqua, o sotto Terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai, perché Io [sono] il Signore, tuo Dio». Anche più tardi Mosè, ricordando al popolo la sua conversazione con Jahve sul Sinai, disse: «Udivate il suono delle parole senza vedere nessuna figura: soltanto una voce» (Dt 4,12).

 

Riassumendo tutto ciò che riguarda le correnti spirituali pagane e antico-ebraiche si può dire:

 

nel mondo pagano esisteva la possibilità di sperimentare la sfera solare (quella dei sei elohim solari)

non direttamente, ma nella sua immagine nel mondo della natura e negli esseri della terza gerarchia.

Penetrando nella coscienza dell’uomo soltanto in forma di immagine, le forze dei sei elohim solari furono in grado

di creare nella coscienza soltanto delle rappresentazioni, delle immaginazioni del loro operare nella natura e nel cosmo;

il risultato di tale processo fu la grande saggezza immaginativa

che l’antico mondo pagano ebbe delle leggi e delle entità spirituali nella natura e nel cosmo.

 

• In seguito questa antichissima saggezza raggiunse nella filoSofìa di Aristotele una forma più astratta di pensiero,

ma raggiunse con Aristotele anche una sorta di culmine, riuscendo a comprendere totalmente l’entità della Sofìa,

fino alla sua settima e più elevata parte costitutiva, consistente negli Spiriti della saggezza, i quali nella loro globalità

costituiscono secondo la terminologia aristotelica, la «ragione universale» o «nous» del nostro cosmo.

 

• Al contrario, gli antichi ebrei furono in grado di instaurare un rapporto diretto con l’Eloah Jahve,

vale a dire con un’entità della seconda gerarchia, la quale per questo risvegliò nella loro volontà

una facoltà del tutto diversa, e cioè la facoltà di afferrare in modo ispirativo le leggi morali dell’esistenza,

tramite cui la celeste Sofìa agì nel popolo ebraico in forma di comandamenti e obblighi morali.(57)

 

Gli esseri della terza gerarchia furono così al servizio di Jahve solo quali mediatori delle sue ispirazioni, in qualità di «volto di Jahve». La conoscenza della Sofìa fu loro tuttavia preclusa. Infatti, non agiva in essi la «legge solare» delle gerarchie, bensì la «legge lunare» di Jahve. Per questo fra gli ebrei non si sviluppò nemmeno una filoSofìa di aspirazione alla saggezza e alla conoscenza, bensì un complesso codice di disposizioni morali, regole e comandamenti che plasmano la volontà.

 

• Si può anche dire che la facoltà dell’immaginazione sviluppatasi soprattutto nel mondo pagano,

è sì inferiore all’ispirazione,

ma si sviluppò in modo singolare in direzione orizzontale

comprendendo effettivamente l’intero mondo illuminato dal Sole che circonda l’uomo,

e includendo tutti gli esseri e gli eventi cosmici e naturali.

 

• L’antico popolo ebraico invece, predisposto alla superiore facoltà ispirativa,

la possedeva tuttavia con un carattere molto limitato, verticale,

e non oltrepassò i limiti dell’imperativo dei comandamenti morali di Jahve,

il quale aveva la meta di assicurare la realizzazione del compito del «popolo».

 

Di conseguenza fu anche del tutto diverso

il rapporto delle due correnti spirituali con il Cristo, l’entità centrale del nostro cosmo.

 

• Infatti nei misteri pagani lo sguardo spirituale era rivolto principalmente

a quegli ambiti cosmici dai quali il Cristo discese sulla Terra, vale a dire alla sfera solare.

L’esperienza di essa, costituiva perciò effettivamente la meta più importante di tutti i misteri precristiani,

e il discepolo che la raggiungeva veniva nominato «eroe solare».53

 

• Nell’antica corrente ebraica invece

lo sguardo interiore era rivolto maggiormente là dove il Cristo doveva ancora discendere, vale a dire alla Terra,

e su di essa al vero e proprio compito dell’antico popolo ebraico,

che sotto la guida di Jahve doveva preparare gli involucri terrestri per l’entità del Cristo, il Messia atteso da tempo.

 

• Così il Cristo per i popoli pagani non era un essere terrestre, ma un essere cosmico,

• mentre dall’antico ebraismo venne atteso come il «Messia del popolo», come «Re dei Giudei»,

il quale doveva ristabilire tra il popolo la decaduta legge morale di Jahve.

 

• In conseguenza della loro inevitabile unilateralità, ad entrambe le correnti erano legati anche due grandi pericoli, che sono ancora attuali e che vogliamo perciò ora menzionare. Infatti anche oggi nell’oriente asiatico si conosce il Cristo soltanto nella sua forma precristiana come un’entità puramente cosmica, come il Logos creatore, senza alcuna connessione con la sua discesa sulla Terra e con il mistero del Golgota, vale a dire senza una conoscenza del mistero centrale del cristianesimo di cui parla il prologo del vangelo di Giovanni: «E il Verbo si fece carne» (1,14).

• Il secondo pericolo invece deriva dal considerare il Cristo solo come Gesù, come una guida del popolo, uno degli iniziati umani oppure, nel nostro tempo materialistico, sempre più spesso solo come un predicatore della morale, il che preclude la conoscenza dell’intero significato della venuta dell’entità divina del Cristo sulla terra e del mistero del Golgota, quale evento centrale dell’evoluzione terrestre.

Questa seconda tendenza corrisponde di fatto all’accusa principale che i giudei fecero al Cristo, come pretesto per condannarlo a morte: «Gli risposero [Pilato] i giudei: (…) deve morire, perché si è fatto figlio di Dio» (Gv 19,7).

 

Nonostante tutto queste due correnti, quella ebraica e quella greca, costituirono nel loro insieme quella croce culturale-spirituale del servire e del riconoscere, della volontà e della saggezza, nel cui centro il Cristo doveva apparire al mondo in qualità di rappresentante dell’amore universale.

Infatti discendendo sulla Terra, egli non doveva soltanto unire nel suo essere le due forze dell’ispirazione e dell’immaginazione, bensì anche le loro conseguenze più importanti: la volontà morale e la saggezza cosmica, fecondandole con una forza ancora superiore, la forza della pura intuizione, la quale spogliata del suo io individuale, è in grado di unirsi a ogni altro essere, alle forze più profonde, trasformare dall’interiorità questo io in una coppa dell’amore universale.

 

Secondo Rudolf Steiner,

dei tre princìpi universali: la saggezza, la potenza (volontà) e l’amore,

Dio ha condiviso  • il primo con Lucifero,     •  il secondo con Arimane    •  e ha tenuto per sé soltanto il terzo,

per condividerlo solamente con il Figlio, rendendolo il rappresentante dell’amore universale,

vale a dire dell’amore del Padre sulla Terra.54

 

E così l’amore divino del Cristo doveva unire queste due correnti sulla terra e

svelare agli uomini non soltanto i misteri dell’intera (settemplice) Sofìa,

i quali custodiscono i segreti dello Spirito e del Figlio, vale a dire della terza e della seconda gerarchia,

bensì anche quanto sta al di sopra di essa, nell’ambito della prima gerarchia,

la quale custodisce gli eterni misteri del Padre. Infatti: «Io e il Padre siamo uno» (Gv 10,30).

 

 


 

Note tra parentesi:

(51) – Secondo le indagini scientifico spirituali di Rudolf Steiner, gli angeli sono collegati soprattutto alla sfera lunare, gli arcangeli alla sfera di Mercurio (dal punto di vista astronomico alla sfera di Venere); le archai alla sfera di Venere (dal punto di vista astronomico alla sfera di Mercurio), (vedi O.O. 110, 15.4.1909 II). Da un punto di vista un po’ diverso si può però anche dire che il cosiddetto «mondo animico» comprende la sfera di tutti e tre i pianeti inferiori i quali nella loro globalità costituiscono la «grande» sfera lunare, contrariamente alla sfera solare superiore, la quale comprende anche l’ambito dei pianeti superiori (vedi O.O. 227, 29.8.1923).

(52) – Così ad esempio Platone, quale iniziato dei misteri eleusini considerava il Sole la sorgente primaria del bene o della salvezza, la qualità primaria della suprema divinità.

(53) – Secondo la scienza dello spirito, la terza gerarchia rappresenta nel cosmo creato le forze dello Spirito Santo e la seconda gerarchia le forze del Figlio (vedi la Pietra di Fondazione nell’O.O. 260). Quanto menzionato sopra è anche uno dei motivi per cui in alcune dottrine la Sofia viene paragonata una volta al Figlio (il Logos) ed un’altra volta allo Spirito, mentre all’idea della Santissima Trinità viene data una forma distorta antropomorfo-familiare di padre-madre-figlio o padre-figlio-madre.

D’altra parte questo fa capire meglio perché Rudolf Steiner in varie conferenze, in relazione a Jahve, parla dello Spirito Santo. Infatti Jahve, sebbene secondo il suo rango originario appartenga alla gerarchia del Sole (alla seconda gerarchia), ciò nonostante, essendo passato alla Luna, vale a dire alla sfera della terza gerarchia, agisce dalle forze dello Spirito Santo, (vedi O.O. 96,1.4.1907).

(54) – È interessante il fatto che anche nell’antica epoca indiana esistevano simili rappresentazioni, tuttavia non in qualità di dottrina umana, ma quale rivelazione divina. Ciò venne descritto da Rudolf Steiner come segue: «Innalzavano [gli antichi indiani] lo sguardo ad esse [alle gerarchie] e dicevano loro: Mula-Prakriti, cioè la somma degli Spiriti del movimento, e Maha-Purusha, la somma complessiva degli Spiriti della saggezza, ciò che vive come in un’unità spirituale»51 vale a dire, secondo Aristotele, il «cielo cristallino» o «primo motore».

(55) – Per questo Rudolf Steiner una volta disse che Jahve in un certo senso ha «respinto» i rimanenti sei Elohim (O.O. 186, 29.11.1918).

(56) – Il pensare stesso, nei primi tempi del suo sviluppo, a differenza dell’immaginazione, era una facoltà piuttosto di riflessione, il che gli diede la possibilità di afferrare l’intera Sofia riflettendo.

(57) – Così per esempio nel libro dei «Proverbi» di Salomone, la saggezza personificata non dona alcun sapere ai suoi discepoli, bensì regole e insegnamenti morali.

 

Note:

46 O.O. 103, 20.5.1908

47 – O.O. 123, 4.9.1910

48 – O.O. 121, 14.6.1910

49 – O.O. 180, 30.12.1917

50 – O.O. 136, 13.4.1912

51 – O.O. 121, 14.6.1910

52 – O.O. 161,10.1.1915

53 – O.O. 148, 3.10.1913

54 – O.O. 143, 17.12.1912