05 – La vita tra morte e nuova nascita – I

O.O. 140 – Ricerche occulte sulla vita fra morte e nuova nascita – 26.11.1912


 

QUINTA CONFERENZA

 

Sommario: Il riguardare alla vita terrena nel Kamaloka e nel primo periodo ad esso successivo. La graduale vita insieme agli esseri delle gerarchie superiori. Il viaggio attraverso le sfere planetarie e le condizioni interiori a ciò necessarie. Il crepuscolo cosmico della nostra coscienza oltre la sfera di Saturno e l’entrare in azione delle forze cosmiche. La formazione del Karma. Il significato della scienza dello spirito per l’espandersi oltre la sfera di Saturno. Richiamo ai misteri drammatici. La sostanza, non la dottrina, come elemento decisivo. L’importanza di discernere la natura dell’essere dal quale provengono gli impulsi e le parole. Omero e la sua intuizione artistica rispetto all’aldilà. Le tombe medicee. Il senso profondo celato intuitivamente da Michelangelo nelle quattro statue. L’apporto della scienza dello spirito ad un amore umano concreto.

 

Il mondo dei fatti occulti non è così semplice da investigare e descrivere come molto spesso si pensa – lo abbiamo di frequente rimarcato – e chi in questo campo voglia procedere coscienziosamente si sentirà sempre di nuovo necessitato a indagare daccapo, per così dire, certi capitoli importanti della ricerca spirituale. E così mi spettò proprio negli ultimi mesi di riesaminare ancora una volta, tra varie altre cose, un tema del quale abbiamo spesso già parlato anche qui. In rinnovate indagini di questo tipo si mostrano poi nuovi punti di vista. L’argomento di cui si tratta e che oggi vogliamo descrivere un poco, anche se può essere soltanto abbozzato, verte sulla vita tra la morte e una nuova nascita. Se è stato detto che ne sono risultati nuovi punti di vista, non significa che sia da pensarsi in qualche modo cambiato ciò che precedentemente si era espresso.

 

Appunto su questo tema, le cose non stanno così. Nell’osservazione dei fatti soprasensibili, tuttavia, ci si accosta realmente ad essi solo quando li si considera dai più diversi punti di vista. E dunque oggi avremo forse da descrivere da un punto d’osservazione più universale alcune cose che nella mia “Teosofia” o nella “Scienza occulta”, per esempio, sono state presentate più dal punto di vista della diretta esperienza umana. Sono le stesse cose, ma non si creda appunto di conoscerle già, se una volta le si è ricevute caratterizzate a partire da un solo punto di vista. Proprio i fatti occulti son tali per cui, diciamo così, gli si deve girare attorno e guardarli dalle più diverse prospettive.

 

Nel giudizio di queste cose che vengono comunicate dalla scienza dello spirito, più spesso che mai si commette l’errore per cui, a giudicare, è gente che, diciamo, ha sentito appena un paio di esposizioni sull’argomento e non ha la pazienza di lasciar veramente agire su di sé, dai più diversi punti di vista, tutto quello che può venir comunicato. Allora, anche per il normale, sano intelletto umano, ecco che sopraggiunge quella comprensione della quale abbiamo parlato ieri nella conferenza pubblica su “Le verità dell’indagine spirituale”.

 

Oggi vogliamo partire non tanto da dove comincia la vita dopo la morte, quello che comunemente indichiamo come kamaloka, bensì sostanzialmente là dove la vita del kamaloka va terminando e comincia quella nel mondo spirituale, soprattutto da dopo la vita nel kamaloka fino al rientro in una nuova vita terrena, e dove si formano le forze per una nuova incarnazione.

 

Saprete che guardare chiaroveggentemente entro il mondo spirituale mette l’uomo, per un certo aspetto,

nella stessa condizione in cui egli si trova tra la morte e una nuova nascita, così che

• nell’iniziazione viene proprio sperimentato quanto si sperimenta anche tra morte e nuova nascita,

pure se in maniera un po’ diversa.

E in questo modo è anzi solitamente data la possibilità di parlare di queste realtà e di poterne comunicare qualcosa.

 

Ora vorrei parlare dapprima di due cose importanti nella visione chiaroveggente, che possono condurre anche alla comprensione della vita dopo la morte. Anzitutto si è già spesso richiamata l’attenzione su come sia diversa l’intera vita nel mondo soprasensibile, rispetto alla vita qui nel mondo fisico-sensibile.

 

• Quando saliamo nel mondo soprasensibile tutto il processo conoscitivo, ad esempio,

è già differente rispetto a qui nel sensibile.

• Quaggiù noi andiamo per il mondo e le cose giungono ai nostri sensi,

fanno la loro impressione di colore e di luce sui nostri occhi, le loro impressioni sonore sui nostri orecchi

e altre impressioni sugli altri nostri organi di senso.

• Noi percepiamo le cose, giriamo per il mondo e dobbiamo andare per il mondo se vogliamo percepire le cose,

e nulla ci aiuta a percepire una qualsiasi cosa che si trovi in un luogo lontano se non l’andarci;

insomma, nel mondo dei sensi dobbiamo darci da fare, dobbiamo muoverci se vogliamo percepire le cose.

 

Per le percezioni del mondo spirituale vale esattamente l’opposto.

• Quanto più quieti diveniamo nella nostra anima

– quanto più escludiamo, per così dire, ogni mobilità interiore, quanto meno ricerchiamo una qualsiasi cosa,

quanto meno riusciamo a desiderare che quella cosa ci arrivi, quanto più sappiamo aspettare –

tanto più sicuramente sopraggiunge la percezione della cosa

e tanto più vera è allora la sensazione, l’esperienza che possiamo avere di essa.

 

Nel mondo soprasensibile dobbiamo lasciare che le cose si avvicinino a noi, questo è l’essenziale.

Calma interiore, questa dobbiamo acquisire, e poi le cose ci arrivano.

 

La seconda cosa cui desidero accennare è che, quando entriamo nel mondo soprasensibile, ci è assolutamente necessario tener conto che il modo in cui questo mondo ci si presenta dipende interamente da quello che portiamo con noi, entro quel mondo soprasensibile, dal sensibile, dal nostro consueto mondo umano-sensibile. Talvolta, questo produce considerevoli difficoltà animiche nel mondo soprasensibile. Nel mondo dei sensi può essere talora molto penoso, per noi, se sappiamo di aver amato una persona meno di quanto in realtà avremmo dovuto, di quanto avrebbe meritato di venire amata da noi. Per chi entra nel mondo sovrasensibile così gravato, per il fatto di amare una persona meno di quanto essa dovrebbe venir amata, questo sta davanti all’occhio spirituale con un’intensità molto, molto maggiore di quanto mai ci si possa presentare all’anima qui nel mondo fisico-sensibile.

 

Ma ora si aggiunge qualcosa – e questo è straordinariamente importante -, che spesso può provocare proprio alla coscienza chiaroveggente le più grandi sofferenze animiche.

Tutte le forze che possiamo trarre dal mondo soprasensibile, tutto quello che da esso possiamo ricavare, non può esserci di aiuto alcuno per rendere migliore, in virtù di forze che andiamo a prendere dal mondo soprasensibile, una qualsiasi relazione animica che riconosciamo come non giusta nel mondo fisico. Rispetto a tutto quello che può tormentarci nel mondo sensibile, nel mondo soprasensibile questo provoca ancor più strazio; suscita un certo sentimento di impotenza nei confronti del necessario esplicarsi del karma, che nel mondo fisico-sensibile deve per l’appunto accadere.

 

Vedete, entrambe queste cose, che si fanno incontro molto presto al discepolo della scienza occulta quando fa progressi anche solo un poco, si presentano subito nella vita tra la morte e una nuova nascita. Prendiamo il caso per cui ben presto dopo il nostro decesso, tra morte e nuova nascita ci incontriamo con entità umane che qui nel mondo fisico magari sono morte prima di noi. Noi le incontriamo e possiamo avere una percezione di sentimento di tutto il rapporto che abbiamo avuto con loro qui nel mondo fisico. Siamo insieme, per così dire, a una persona che è deceduta prima di noi, o adesso, o dopo di noi, e sentiamo: esattamente così tu sei stato nella vita nei riguardi di questa persona, così è stato il tuo rapporto con lei.

 

Mentre però nel mondo fisico, se per esempio ci viene in mente che abbiamo fatto un torto a una persona nei nostri sentimenti o con delle azioni, siamo in grado di fare qualcosa al fine di compensare la situazione, nella vita dopo la morte non lo siamo affatto nell’immediato.

Comprendiamo chiaramente che circa la nostra relazione le cose stanno così,

ma vediamo che entro questo mondo soprasensibile è impossibile cambiare una qualsiasi cosa,

anche partendo dalla profonda comprensione del fatto che dovrebbe essere diversa.

Per il momento deve restare così com’è.

 

Questo è l’elemento opprimente di tanti nostri rimproveri, il fatto che si intuisce con chiarezza come la relazione non avrebbe dovuto essere, ma la si deve lasciare come è, mentre sempre si ha la sensazione che avrebbe dovuto essere diversa. E questo sarà da applicarsi all’intera vita dopo la morte. Le cose che sappiamo di non aver fatto nel modo giusto in vita, le vediamo tanto più profondamente dopo la morte; ma dobbiamo lasciarle così come sono, dobbiamo continuare a viverle così come sono. Riguardiamo indietro, per così dire, a quello che abbiamo fatto, ma dobbiamo vivere fino in fondo la conseguenza di quanto abbiamo fatto e fare la chiara esperienza di non poterne cambiare nulla.

Non è così soltanto per le relazioni con gli altri uomini, va così per tutta la nostra vita animica dopo la morte. Questa vita dell’anima dipende infatti da varie cose. Anzitutto desidero descrivere un po’ questa vita dopo la morte, come illustrandola tramite immaginazioni. Se si intende l’espressione “visioni” o “immaginazioni” come ad esempio si è spiegato ieri, non può sorgere alcun fraintendimento riguardo a quanto va detto ora.

 

Mentre qui nel mondo sensibile l’uomo percepisce per mezzo dei suoi organi di senso, dopo la morte egli vive per così dire in un mondo di visioni, solo che queste visioni rappresentano immagini di realtà.

Come qui nel mondo fisico non percepiamo direttamente l’essere interiore della rosa, bensì il colore rosso esteriore, altrettanto non percepiamo direttamente un amico defunto, o un fratello, o simili; quello che abbiamo dopo la morte è invece l’immagine visionaria. Noi siamo per così dire entro la nuvola della nostra visione, ma sappiamo esattamente di essere insieme all’altro; è un rapporto reale, anzi, molto più reale di quanto possa essere qui sulla terra tra uomo e uomo. Attraverso l’immagine noi percepiamo l’essere.

 

Nel primo periodo, e avviene così anche dopo il tempo del kamaloka, le visioni che ci circondano e sono da noi sperimentate sono tali per cui di fatto rimandano, nel senso accennato, soprattutto a quello che abbiamo sperimentato qui sulla terra. Si sa, diciamo, che qui nel mondo spirituale si trova oltre a noi un amico defunto; lo percepiamo tramite la nostra visione. Questo sentimento di essere insieme a lui lo abbiamo pienamente; sappiamo come ci apparteniamo. Però quel che anzitutto percepiamo è quanto si è svolto qui sulla terra insieme a lui; questo si esprime, soprattutto all’inizio, nella veste della nostra visione.

L’essenziale nell’esperienza è anzitutto una ripercussione delle nostre relazioni terrene, proprio come in genere anche dopo il periodo del kamaloka viviamo ancora, sotto un certo aspetto, nelle conseguenze della nostra esistenza terrena. E questa nuvola di visioni che ci attornia dipende interamente da come abbiamo trascorso la nostra vita terrena.

 

Solo a poco a poco, quando è passato un po’ di tempo tra morte e nuova nascita, alla visione immaginativa si presenta questo: l’uomo, che animicamente è come avvolto nelle sue immaginazioni, comincia allora ad apparire all’immaginazione come una nube che sulle prime è oscura – così sarebbe l’uomo nei primi tempi dopo il periodo del kamaloka – poi questa nube comincia ad essere rischiarata da un lato, allo stesso modo di quando al mattino vediamo una nuvola ardentemente illuminata dal sole.

 

Quando poi giunge l’ispirazione, e deve spiegare questa immaginazione, risulta che dapprima noi viviamo nel mondo, nella nuvola, delle nostre personali esperienze terrene, siamo per così dire in essa avviluppati e siamo in grado di conseguire una relazione solo con gli esseri coi quali stavamo insieme sulla terra, dunque specialmente con persone che sono morte, oppure che con le loro anime possono salire dalla terra nel mondo spirituale.

Ma ciò che si esprime allora, per il mondo immaginativo, col fatto che la nuvola del nostro essere viene illuminata da un lato come da una luce ardente che si stende tutt’intorno, attesta che cominciamo a vivere entro l’avvicinarsi delle gerarchie al nostro essere.

 

Le entità delle più alte gerarchie giungono fino a noi,

e noi ci ambientiamo a poco a poco nel mondo della spiritualità superiore.

• Prima abbiamo relazioni solo con il mondo che abbiamo portato con noi,

• poi la vita delle gerarchie superiori comincia a risplendere fino a noi e a penetrare in noi; acquistiamo una vita insieme agli esseri delle gerarchie superiori, ci ambientiamo sempre più entro il loro mondo. Tuttavia, per comprendere il modo in cui ci ambientiamo, è necessario che davvero ci chiariamo riguardo ai rapporti di grandezza, per così dire, del nostro essere, percepibili tramite la conoscenza immaginativa, quando ci traiamo fuori dal nostro corpo fisico con il nostro essere animico.

 

Questo lo facciamo proprio quando passiamo per la porta della morte. Allora davvero il nostro essere si amplia, diventa sempre più grande. È difficile rappresentarselo ma è proprio così, in effetti soltanto sulla terra noi siamo tentati di credere di essere estesi quanto i confini della nostra pelle. È un espandersi negli spazi infiniti, è come un diventare sempre più grandi.

 

E, quando siamo giunti alla fine del periodo del kamaloka,

noi siamo letteralmente tanto grandi da arrivare fino alla circonferenza che la luna forma intorno alla terra.

Perciò diventiamo molto, molto grandi.

Diveniamo abitanti della luna, come dice l’occultista.

Ma ciò significa che estendiamo il nostro essere

tanto che il nostro confine esterno coincide con l’orbita che la luna descrive intorno alla terra.

 

Oggi non mi posso occupare dei rapporti tra le posizioni dei pianeti, ma quello che apparentemente non concorda con l’astronomia ufficiale lo troverete chiarito se farete un raffronto con il ciclo di conferenze tenute a Dusseldorf su “Le gerarchie spirituali e il loro riflesso nel mondo fisico”.

 

In seguito ci espandiamo ulteriormente nello spazio cosmico, entro tutto il nostro sistema planetario, e allora ci familiarizziamo anzitutto con quella che l’occultista chiama la sfera di Mercurio.

Ciò vuol dire che – entro i confini che voi stessi vi tracciate, se comprendete giustamente le cose –

dopo il periodo del kamaloka noi diveniamo abitanti di Mercurio

e allora ci sentiamo anche completamente in condizione di abitare lo spazio cosmico.

 

Così come durante la nostra esistenza fisica ci sentiamo abitanti della terra, altrettanto ci sentiamo allora abitanti di Mercurio. Non posso descrivere nei particolari come ciò appare, però è assolutamente presente la coscienza che ora non siamo limitati solo a una parte di spazio così piccola come sulla terra, ma che il nostro intero essere abbraccia effettivamente questa ampia cerchia, che viene delimitata dall’orbita descritta da Mercurio. Il periodo che passiamo là, il modo in cui lo viviamo, dipende anch’esso da come ci siamo preparati qui sulla terra, dal tipo di forze che qui abbiamo accolto per ambientarci, in maniera giusta o sbagliata, entro la sfera di Mercurio.

 

Per arrivare a una conoscenza di questo fatto, nell’indagine occulta si possono mettere a confronto due uomini – o anche parecchi, ma per il momento diciamo due. E dunque si è messa a confronto per esempio l’anima di una persona che è passata per la porta della morte avendo una costituzione animica immorale, con l’anima di un uomo che ha attraversato la porta della morte con una costituzione animica morale. Risulta allora una notevole differenza.

Si mostra già molto presto come sia la differenza, anzitutto quando si tratta del rapporto del primo con altri uomini che incontra dopo la morte. È allora così che nel caso dell’uomo avente costituzione animica morale ci sono, è vero, anche le immagini nelle quali l’anima è avvolta, tuttavia egli trova sempre il modo di stare insieme a questi altri uomini fino a un certo grado, diciamo. È questo che la costituzione animica morale produce.

 

In caso di costituzione immorale accade invece che l’uomo diventi quello che si può chiamare una specie di eremita nel mondo spirituale. Egli sa ad esempio che un essere umano, che sia anch’egli nel mondo spirituale, sulla terra lo ha conosciuto; sa che è insieme a lui, ma non riesce a trovare alcuna possibilità di uscire, per così dire, dalla prigione della sua nube immaginativa e di entrare in relazione con lui.

 

• La moralità ci rende individui socievoli nel mondo spirituale,

fa di noi un essere che può allacciare relazioni con altri esseri;

• l’immoralità nel mondo spirituale ci rende eremiti, ci porta nella solitudine.

E questo è effettivamente un importante nesso causale

tra cose che si svolgono qui sulla terra con la nostra anima e ciò che accade tra la morte e una nuova nascita.

 

E così è anche durante il seguito del percorso. In un periodo successivo, dopo che siamo passati attraverso la sfera di Mercurio (chiamata così nel senso dell’occultismo), sperimentiamo la cosiddetta sfera di Venere, ci sentiamo come abitanti di Venere.

È lì, tra Mercurio e Venere,

che a poco a poco la nostra nube, per così dire, viene illuminata da fuori,

che possono giungere fino all’uomo le entità delle gerarchie superiori.

 

Ma ora dipende di nuovo dal fatto di esserci preparati nel modo giusto, se veniamo accolti tra le fila delle gerarchie come spiriti socievoli, se possiamo avere qualcosa a che fare con loro – oppure pur sapendo, sì, che esse si trovano là dobbiamo però passare davanti a ognuna per così dire come eremiti, ci muoviamo come eremiti lì nel mondo spirituale.

 

E, nella sfera di Venere, se siamo spiriti socievoli oppure spiriti che se ne vanno in giro solitari dipende da qualcos’altro ancora.

Mentre nella sfera precedente è possibile essere socievoli soltanto se sulla terra ci siamo preparati a ciò tramite la moralità,

• nella sfera di Venere la forza che ci conduce alla socialità, vale a dire a una certa vita sociale,

è sostanzialmente la vita religiosa, l’intonazione religiosa dell’anima.

 

E possiamo con ogni probabilità condannarci all’eremitaggio, nella sfera di Venere, se durante la vita terrena non abbiamo sviluppato alcuna disposizione animica religiosa, nessun sentimento della nostra affinità con l’infinito, con il divino. Sì, è proprio così, all’osservazione occulta appare veramente che l’uomo si rinchiude nella prigione della propria sfera, per esempio a causa di una tendenza puramente atea, respingendo qualsiasi relazione tra la propria finitezza e l’infinitezza.

E corrisponde al vero se allora si dice che la cosiddetta lega dei monisti, nella quale la gente si riunisce pur socievolmente sulla terra, a causa del proprio credo è portata realmente a questo: a che le persone, unite in essa da una professione di fede non incline allo stato d’animo religioso, si preparino per bene a non poter mai più fondare alcuna associazione di monisti, bensì a che ognuno se ne stia veramente nella propria prigione.

 

Non si vuole con questo dare fondamento a un giudizio, ma è quanto s’impone all’osservazione occulta, è qualcosa che deve presentarsi del tutto necessariamente come conseguenza dei sentimenti terreni, religiosi o irreligiosi.

Noi sappiamo che sulla terra sono state istituite le più diverse religioni e precisamente originando, nel corso dell’evoluzione dell’umanità, da una fonte sostanzialmente comune. Sono state fondate così che, a partire dalla sorgente comune, i singoli fondatori di religioni hanno tenuto conto dei temperamenti di ogni popolo, del clima e di tutti i fattori ai quali le religioni dovevano venir adattate. Così naturalmente le anime non giungevano nella sfera di Venere con una disposizione religiosa universale, ma vi giungevano con l’intonazione della loro particolare confessione religiosa.

 

Se anche si ha un sentimento dello spirituale, dell’eterno, del divino,

ma lo si ha con la determinata coloritura di questa o quella confessione religiosa,

di nuovo questo fa sì che si diventi esseri socievoli

solamente nei riguardi di quelli che per così dire hanno lo stesso sentire

– quelli che qui sulla terra hanno vissuto entro la stessa religione.

• E per questo, proprio nella sfera di Venere

possiamo trovare gli esseri umani separati a seconda delle loro credenze particolari.

 

Come sappiamo, sulla nostra terra finora gli uomini sono stati articolati secondo razze, più in conformità a caratteristiche esteriori. Dal momento che le affinità di razza, di stirpe, hanno qualcosa a che fare con le confessioni religiose, nella sfera di Venere questa configurazione in gruppi corrisponde un po’ in generale (ma solo in generale, non in modo del tutto preciso) a come gli esseri umani sono suddivisi qui sulla terra, giacché là per l’appunto gli uomini si dividono solamente a seconda della propria sensibilità per una data confessione religiosa. E perciò gli uomini per così dire si rinchiudono entro determinati confini, in province, per il fatto di essere sensibili solo nei confronti delle proprie specifiche confessioni religiose.

 

Nella sfera di Mercurio l’uomo mostra molta più comprensione principalmente

nei riguardi degli uomini che qui sulla terra gli furono legati, con i quali aveva avuto un certo rapporto.

• Se aveva una costituzione animica morale, allora nella sfera di Mercurio

egli è in rapporto sostanzialmente con le persone con le quali già quaggiù aveva allacciato una relazione.

 

Entro la sfera di Venere l’uomo è incluso maggiormente nelle grandi comunità religiose, nelle quali

qui nell’esistenza terrena si sentiva inserito per via della natura della sua anima.

 

La sfera successiva, nella quale l’uomo ha da entrare è la sfera del Sole.

Ed effettivamente noi, tra morte e nuova nascita,

per un certo periodo arriviamo a sentirci abitanti del Sole, cioè a sapere: noi siamo legati al Sole.

 

In quel tempo veniamo senz’altro a conoscere l’essenza del Sole, che è del tutto diversa da come la descrive oggi l’astronomia fisica. E, di nuovo, il punto è riuscire ad ambientarci nel modo giusto nella sfera solare.

 

• In essa ci viene incontro soprattutto una cosa, lì sorge nell’anima, come per una forza elementare,

un bisogno impellente: che debba cessare ogni particolarità tra le anime umane.

• E mentre nella sfera di Mercurio siamo più o meno inseriti

nella cerchia con la quale abbiamo avuto relazioni sulla terra,

• mentre nella sfera di Venere, tramite una vita religiosa, siamo di casa

entro le cerchie che quaggiù hanno avuto il nostro stesso sentire religioso

e solo in queste comunità possiamo ancora sentirci in un certo qual modo soddisfatti,

• sul Sole l’anima sente profonda solitudine, quando si sente condannata

a non avere alcuna comprensione per tutte le anime

che, dalla terra e tra morte e nuova nascita, vengono trasferite in questa sfera solare.

 

Ora, negli antichi tempi dell’evoluzione umana avveniva che, in realtà,

le anime nella sfera di Venere si trovavano nelle singole “province” religiose,

lì ricevevano comprensione e offrivano la propria;

avveniva che, provenendo le religioni da un’unica fonte, quando l’uomo passava nella sfera solare

possedeva così tanto dell’antica eredità comune a tutte le confessioni religiose,

che sul Sole gli era data la possibilità di avvicinarsi a tutte le altre anime

e di essere insieme a loro, di comprenderle, di coltivare la comunione, di poter essere socievole con loro.

 

Le anime di una più antica evoluzione dell’umanità non potevano fare molto, da sole, per far fronte a questa nostalgia che a quel punto si presenta; però esse trovavano la possibilità di essere in relazione con le anime di altre confessioni religiose, al di là della confessione religiosa, grazie al fatto che nelle anime, senza che l’uomo facesse niente, esisteva un nucleo umano universale.

 

Nell’antico brahmanesimo, nella religione cinese e nelle altre confessioni della terra

c’era così tanto di quel nucleo religioso comune,

dato in dono a partire dalla sorgente primordiale di tutte le religioni,

che nella sfera solare le anime si trovavano per così dire nella patria originaria di ogni religione,

la quale racchiude in sé la sorgiva di tutta la vita religiosa.

• La situazione però è cambiata nella fase centrale della terra.

 

Il nesso con la fonte originaria delle religioni è andato perduto

e può venir nuovamente trovato solo grazie a una conoscenza occulta;

così che anche riguardo alla sfera solare, nel nostro attuale ciclo dell’umanità,

già sulla terra l’uomo deve prepararsi e non giunge da sé a una socievolezza universalmente umana.

 

In ciò troviamo di nuovo qualcosa in cui sta la grande importanza del mistero del Golgota, del cristianesimo,

il fatto che per l’umanità moderna, per l’attuale ciclo dell’umanità,

c’è la possibilità di prepararsi sulla terra in modo che nella sfera solare

l’uomo giunga a una vita socievole, umanamente universale.

• Per questo lo spirito del Sole, Cristo, dovette discendere sulla terra.

• E dopo che lui è disceso e si è unito alla terra, sulla terra può venir trovato il modo, per le anime,

di divenire nella sfera solare tra morte e nuova nascita esseri socievoli universalmente umani.

 

Riguardo al mistero del Cristo autenticamente inteso si potrebbe dire parecchio. Certo, nel corso degli anni abbiamo già addotto molti contenuti, però questo mistero si può continuamente tornare a illuminarlo da nuovi lati.

Viene detto che dando particolare risalto al mistero di Cristo verrebbero forse suscitati pregiudizi nei confronti delle altre confessioni religiose – e questo è stato detto davvero di frequente, ad esempio che nel nostro movimento scientifico- spirituale, qui in centro Europa, si metterebbe particolarmente in evidenza il mistero del Cristo e pertanto è come se le altre confessioni religiose non fossero trattate allo stesso modo.

Una critica del genere però sarebbe la più astrusa che si possa fare, poiché questo mistero del Cristo è appunto stato scoperto a livello occulto, secondo il suo vero senso, soltanto in tempi recenti.

 

Supponiamo che un seguace del Buddha dicesse: “Tu metti il cristianesimo al di sopra della confessione buddista, poiché presenti Cristo come qualcosa di speciale; questo nei miei libri sacri ancora non c’è, perciò tu penalizzi il buddhismo”. Ecco, ciò non sarebbe più ragionevole di quando il buddista pretendesse che non si debba accogliere neppure la concezione del mondo copernicana, dal momento che neppure questa si trova nei suoi testi sacri.

Il fatto che vengano riconosciute cose che sono state scoperte più tardi, non c’entra niente con la parità di diritti delle religioni.

 

Il mistero del Golgota è tale da non essere speciale privilegio di un credo cristiano,

è invece una verità scientifico-spirituale che, proprio come il sistema copernicano,

può venir riconosciuta da qualsiasi sistema religioso

e in realtà non si tratta di certo dei diritti accampati da una confessione religiosa

che finora ha inteso davvero male il mistero del Golgota,

bensì del fatto scientifico-spirituale del mistero del Golgota.

 

Se però già questo è molto irragionevole, lo è ancora di più parlare del fatto che si dovrebbero equiparare astrattamente tutte le religioni e adottare una specie di uguaglianza astratta dell’essenza di tutte le confessioni religiose.

Perché qui queste diverse confessioni religiose devono venir messe a confronto concretamente non con quello che il cristianesimo è diventato, nella forma dell’una o dell’altra confessione, bensì con quello che esso racchiude in sé secondo la propria essenza.

 

Prendete l’induismo. In esso non viene accettato nessuno che non sia indù, in sostanza esso è legato a un popolo. Così è per la maggior parte delle antiche confessioni religiose. Unicamente il buddismo ha rotto con ciò, ma anch’esso se viene compreso giustamente è per una determinata comunità.

Ora però consideriamo i fatti esteriori. Se ad esempio in Europa avessimo una confessione religiosa che fosse da trattare alla stregua dell’induismo, allora dovremmo tutti giurare sull’antico Wotan. Questi era un dio nazionale, era stato dato a una singola stirpe, a un popolo. Ma che cosa è successo in occidente? In realtà non è stato assunto un qualche dio nazionale, bensì una personalità completamente straniera quanto alla vita esteriore: Gesù di Nazareth è stato “importato”.

 

Mentre le altre confessioni religiose hanno essenzialmente un carattere religioso egoistico, e non vogliono andare oltre sé stesse, l’elemento caratteristico dell’occidente è proprio che esso ha respinto le proprie strutture religiose egoistiche, ad esempio quella antica di Wotan, e ha assunto qualcosa che non è cresciuto nella sua carne e nel suo sangue, lo ha accolto per il suo contenuto animico.

Per l’occidente il cristianesimo non è affatto una confessione religiosa egoistica nello stesso senso in cui lo furono altre confessioni religiose per i singoli popoli. Questo è straordinariamente importante e già a partire dai fatti esteriori deve venir considerato. Ciò costituisce sotto un altro aspetto l’elemento universale del cristianesimo, quando questo cristianesimo sa veramente porre il mistero del Golgota al centro del divenire dell’umanità.

Il cristianesimo non è certo ancora progredito molto nel suo sviluppo; infatti in esso non si sanno ancora ben distinguere due cose, che però solo molto lentamente e gradualmente si arriverà a distinguere.

 

Nel vero senso del mistero del Golgota, chi è dunque un cristiano?

È cristiano chi sa che con il mistero del Golgota è avvenuto qualcosa di reale,

che lo spirito del Sole è vissuto in Cristo, ha effuso la propria essenza nella terra

e sa che Cristo è morto per tutti gli uomini.

 

Sebbene già Paolo abbia annunciato che Cristo non è morto soltanto per gli ebrei, ma anche per i pagani,

ancora oggi si comprendono ben poco queste parole.

• Si comprenderà il cristianesimo soltanto sapendo

che il Cristo ha compiuto l’azione del Golgota per tutti gli uomini.

• Perché un conto è questo reale effetto che si è riversato dal Golgota

e un altro è se ci si è appropriati di una comprensione di esso.

 

A sapere che cosa è Cristo si deve tendere, ma non si può mai più, dopo il mistero del Golgota, guardare a un essere umano sulla terra diversamente che dicendo: “Che tu sia cinese o indù, Cristo è morto anche per te e questo significato egli lo ha per te come per un altro.”

Sicché, comprendendo giustamente il mistero del Golgota, risulta una visione tale per cui, di fronte a qualsiasi uomo, qualunque sia il suo credo, ci chiediamo “Quanto possiede egli di cristiano?”.

Dovendo l’uomo acquistarsi sempre più consapevolezza di che cosa in lui è reale, è ovviamente un ideale elevato conoscere qualcosa del mistero di Cristo. Ciò si diffonderà sempre più. E farà parte di questo l’avere comprensione per il mistero del Golgota.

Questo però è qualcosa di diverso dall’idea che si può avere del mistero del Golgota: è l’universale che vale per tutti gli esseri umani.

 

L’importante è che ora avvertiamo nell’anima che è questo, nella sfera solare, a renderci socievoli.

Là noi siamo eremiti, se ci sentiamo chiusi dentro una qualsiasi confessione religiosa;

nella sfera solare siamo esseri socievoli se abbiamo intendimento per l’elemento universale del mistero del Golgota.

Allora troviamo il modo di avere a che fare con ogni essere che nella sfera del Sole si avvicini a noi.

 

Il sentire riguardo al mistero del Golgota che facciamo nostro nel tempo terreno,

all’interno del nostro ciclo di umanità, fa di noi esseri che si muovono liberamente nella sfera solare.

• Di che cosa infatti dobbiamo essere capaci, proprio in vista di quel momento fra morte e nuova nascita?

 

Qui arriviamo a un fatto che è straordinariamente importante per il moderno occultismo. Gli uomini che vissero in epoche anteriori al compimento del mistero del Golgota sulla terra – in sostanza quel che ora dico non è del tutto preciso – nella sfera solare trovavano per così dire il trono di Cristo e lì, su di esso, Cristo. Sapevano riconoscerlo, perché in loro erano vissuti gli antichi retaggi della comunanza di tutte le religioni. Questo spirito di Cristo è però disceso dal Sole e nel mistero del Golgota Egli si è per così dire riversato nella vita della terra.

E nell’affluire entro la vita della terra ha abbandonato il Sole e oggi, tra la morte e una nuova nascita,

di Cristo vi si trova solamente l’immagine akashica. Là il trono non è occupato dal Cristo reale.

 

• Dobbiamo portar su con noi, dalla terra, la rappresentazione del rapporto vivente con Cristo

così da poter avere, tramite l’immagine dell’akasha, il rapporto vivente con Cristo.

• Allora troviamo la possibilità di avere Cristo anche a partire dal Sole,

la possibilità che egli susciti in noi tutte quelle forze che dobbiamo aver suscitato

se vogliamo attraversare la sfera solare nel modo giusto.

 

La nostra peregrinazione tra la morte e una nuova nascita prosegue ancora.

• Dalla terra noi abbiamo avuto la forza, soprattutto grazie a una costituzione animica morale e religiosa,

di familiarizzarci, per così dire, con gli esseri insieme ai quali eravamo sulla terra

e in seguito con le entità delle gerarchie superiori.

• Ma questa forza via via vien meno, diventa sempre più crepuscolare

e quel che di essenziale ci rimane è proprio la forza che assorbiamo sulla terra

dal mistero del Golgota, così da orientarci nella sfera solare.

 

A tal fine, nella sfera solare compare un nuovo portatore di luce,

che dobbiamo venire a conoscere nel suo aspetto peculiare di forza originaria.

• La comprensione per Cristo ce la portiamo dalla terra; ma per poterci evolvere ulteriormente,

salendo più lontano nell’universo dalla sfera solare entro quella di Marte,

è necessario che noi riconosciamo – e lo possiamo semplicemente per il fatto di essere anime umane –

il secondo trono che nel Sole si trova per così dire accanto al trono di Cristo.

 

A partire da esso facciamo la conoscenza dell’altro essere che ora insieme al Cristo ci guida oltre: Lucifero.

Adesso conosciamo Lucifero e, per mezzo delle forze che egli è in grado di darci,

possiamo compiere l’ulteriore viaggio attraverso le sfere di Marte, Giove e Saturno.

 

E giungiamo sempre più lontano nello spazio cosmico, continuamente ingrandendoci.

Invero, quando ci muoviamo oltre la sfera di Saturno

sopraggiunge qualcosa che modifica un po’ il nostro stato di coscienza.

Entriamo come in una specie di crepuscolo cosmico, non si può dire sonno cosmico, ma crepuscolo cosmico.

• Però è in tal modo che possono appunto influire più che mai su di noi le forze dell’intero universo.

• Da tutti i lati operano allora delle forze su di noi, e accogliamo entro di noi forze dal cosmo intero.

 

Mentre ci siamo così espansi, c’è dunque un periodo fra morte e nuova nascita

in cui entrano ad agire nel nostro essere le forze dell’intero cosmo come da tutti i lati,

le forze entrano nel nostro essere come da ogni stella.

Poi cominciamo a contrarci, entriamo di nuovo attraverso le diverse sfere fino alla sfera di Venere,

ci restringiamo divenendo sempre più piccoli,

finché giunge il tempo in cui possiamo nuovamente congiungerci con un germe umano terreno.

 

Ma cosa siamo allora, quando ci uniamo a questo germe?

Siamo quello che abbiamo descritto tra la morte e una nuova nascita.

Abbiamo però assimilato le forze del cosmo intero.

Fuori, nella massima espansione, hanno agito entro il nostro essere le forze dell’intero cosmo.

 

Intanto che nell’evoluzione espansiva abbiamo tanto più accolto

ciò che può arrivare fino a noi quanto meglio ci siamo a ciò predisposti,

e il nostro karma viene preparato attraverso il modo

in cui abbiamo vissuto con gli esseri umani che abbiamo incontrato,

si sviluppano in noi per il fatto di vivere dopo la morte insieme a loro,

le forze che per opera del karma creano un pareggio in una nuova vita terrena.

 

Che noi facciamo la nostra apparizione come uomo, che siamo in grado di avere interiormente un karma

che al contempo riceve in sé le forze cosmiche, dipende però dal fatto

che in un determinato periodo tra morte e nuova nascita riceviamo le forze dell’intero cosmo.

• E quando un uomo nasce nel mondo fisico,

allora si è unito all’embrione umano ciò che si è concentrato fino al minimo,

ma che a partire da un ingrandimento gigantesco ha preso in sé le forze di tutto il cosmo.

• Portiamo in noi proprio l’intero cosmo, quando torniamo a incarnarci sulla terra.

 

E sotto un certo aspetto ci è lecito dire che questo cosmo lo portiamo in noi

nel modo in cui esso può armonizzarsi, può giustamente armonizzarsi

con quanto, come intonazione, abbiamo portato nell’anima nella nostra fuoriuscita,

nell’espanderci nelle sfere dopo la nostra precedente vita terrena.

Potremmo dire che vengono riunite, accordate queste due cose:

• l’adattamento al cosmo intero    • e al nostro karma precedente.

 

Il fatto che siamo conformi anche al nostro karma precedente – il quale però deve armonizzarsi con il cosmo – mi si fece incontro in maniera straordinariamente singolare nelle indagini dei mesi scorsi su singoli casi, lo dico espressamente, su singoli casi; non voglio con ciò formulare una legge generale.

 

Quando un uomo muore, quindi passa per la porta della morte, muore sotto una determinata costellazione stellare.

E questa costellazione è di fatto essenziale per l’ulteriore sua vita dell’anima,

in quanto in certo qual modo s’imprime nel suo essere animico e rimane realmente come impronta.

E in quest’anima resta l’aspirazione a entrare nuovamente, alla nuova nascita, con questa costellazione,

a rispondere alle forze che si sono accolte al momento della morte, a entrare di nuovo in questa costellazione.

 

E qui è l’interessante: quando si cerca di conoscere il cielo di morte di un uomo,

la costellazione della nascita successiva molto spesso coincide con quella della morte precedente.

• Si deve solo tener conto del fatto che a corrispondere a quella costellazione è un altro luogo della terra,

nel quale l’uomo nasce.

• Così l’essere umano viene davvero adattato al cosmo, si inserisce in esso

e nell’anima c’è dunque una specie di bilanciamento tra la vita individuale e quella cosmica.

 

Kant ha formulato un bel motto, dicendo che due erano le cose che lo elevavano in modo particolare:

il cielo stellato sopra di lui e la legge morale in lui.

Questa è una bella espressione, e il perché ce lo dice l’occultismo.

 

Entrambi, il cielo stellato sopra di noi e ciò che portiamo in noi come legge morale,

sono in realtà la stessa cosa, poiché nella vita tra la morte e una nuova nascita

noi cresciamo entro lo spazio cosmico, accogliamo in noi il cielo stellato

e ci portiamo poi nell’anima come costituzione morale un’immagine del cielo stellato.

 

Qui abbiamo uno dei punti nei quali in effetti non è quasi più possibile che la scienza dello spirito diventi nell’anima qualcosa di diverso da un universale sentimento morale.

Qui c’è uno di quei punti dove quel che sembra teoria si trasforma in immediata vita morale dell’anima, in impulsi morali dell’anima; perché qui l’uomo sente tutta la responsabilità nei confronti del proprio essere.

 

A questo punto l’uomo sente: tra la morte e una nuova nascita tu eri in una situazione tale

per cui l’intero cosmo doveva entrare ad agire nel tuo essere

e tu concentrasti nel piccolo germe umano fisico ciò che avevi estratto.

Tu rispondi all’intero cosmo, porti veramente tutto il cosmo in te.

Qui si sente qualcosa di quello che si è cercato di delineare nella “Prova dell’anima” al monologo di Capesio

dove, nel passo: “Nel tuo pensare vivono pensieri cosmici …”,

si richiama l’attenzione su quel momento significativo,

• nel quale l’anima sente che ha il sacro dovere di tirar fuori le forze estratte dal cosmo,

giacché le si deve riportare agli dèi,

• e dove l’anima riconosce che sarebbe un grandissimo peccato lasciare improduttive quelle forze.

 

Con queste indagini concrete si mise in luce come effettivamente

noi assumiamo tutto il cosmo in noi e lo portiamo nuovamente entro l’esistenza.

Sì, delle forze che l’uomo in effetti porta in giro con sé, in realtà

sono solo la minima parte quelle per le quali esiste una qualche origine sulla terra.

 

Noi invero osserviamo l’uomo in rapporto alle forze

• che operano nel suo corpo fisico, • che dominano nel suo corpo eterico, • che dominano nel suo corpo astrale e nell’Io.

 

Le forze che entrano in gioco nel nostro corpo fisico ci giungono senza dubbio direttamente dalla terra;

ma quello che ci occorre per il corpo eterico non lo possiamo ricavare direttamente dalla terra,

bensì soltanto dalle forze che ci arrivano tra la morte e la nuova nascita

quando ci espandiamo fuori nel sistema planetario.

 

E un uomo che entrandovi rechi una costituzione animica immorale non potrà trarre a sé le forze giuste

quando attraversa, nel periodo tra morte e nuova nascita, la sfera di Mercurio.

• Un uomo che non abbia sviluppato impulsi religiosi non può attrarre le giuste forze in Venere,

e così accade che possiamo avere atrofizzate le forze di cui abbiamo bisogno nel corpo eterico.

Vediamo qui formarsi il nesso karmico tra vita successiva e vita precedente.

 

Queste sono tutte cose che ci indicano, al contempo, come le conoscenze che ci procuriamo tramite l’occultismo

possano diventare impulsi della nostra vita animica, e come in realtà ci basti soltanto sapere che cosa siamo

per ascendere a una vita sempre più spirituale.

 

Quello che il mistero del Golgota ha predisposto è necessario, nel nostro ciclo dell’umanità,

affinché l’uomo si possa ambientare nel giusto modo nella sfera solare tra la morte e una nuova nascita.

Ciò che la scienza dello spirito in realtà ha da compiere

è che l’uomo sia in condizione di espandersi anche più lontano, oltre la sfera del Sole,

con quella coscienza universalmente umana, spiritualmente socievole, che è là necessaria.

 

Per la sfera solare è sufficiente la relazione di sentimento con il mistero del Golgota.

Però, per il periodo tra morte e nuova nascita, affinché resti anche oltre la sfera solare

ciò che dà intendimento e sentire universalmente umani,

è proprio necessario che noi comprendiamo in modo scientifico-spirituale

le reciproche relazioni tra le singole religioni, l’evoluzione dei singoli impulsi religiosi;

è necessario che non cresciamo in una confessione religiosa strettamente delimitata,

con le sfumature di sentimento della stessa

– ma che acquisiamo la possibilità di avere comprensione per ogni anima,

indipendentemente da quel che essa creda, e comunque siano le anime.

 

Una cosa allora si realizza in qualità di ciò che, si può dire,

è connesso all’impulso di Cristo per tutte le anime dell’evoluzione terrena,

e un’altra si realizza, in particolare tra morte e nuova nascita,

in ciò che sta nelle parole: “Dove due sono uniti nel mio nome, Io sono in mezzo a loro”.

 

E Cristo, in questo detto, il fatto che due siano uniti non lo collega a questa o a quella fede,

bensì solo alla possibilità che egli sia tra loro quando essi sono uniti nel suo nome.

 

Ciò che da anni si è curato anche attraverso i nostri misteri drammatici, in particolare con l’ultimo, “Il guardiano della soglia”, dovrebbe dare una comprensione scientifico-spirituale nei riguardi di quanto è necessario nell’attuale ciclo del tempo.

 

Ora è necessario acquisire in un certo qual modo

• un rapporto con l’impulso di Cristo, da un lato,

• ma poi anche con le potenze che stanno in contrapposizione a lui: con l’impulso di Lucifero e di Arimane.

 

Qui abbiamo a che fare con potenze che, non appena andiamo oltre la maya,

sviluppano forze nell’universo – questo dobbiamo imparare a comprenderlo.

 

Nell’evoluzione umana si avvicina infatti sempre più il tempo in cui si dovrà imparare

che quel che conta è l’elemento sostanziale, non la dottrina.

• E in nessun’altra cosa come nel mistero del Golgota,

ci si presenta che quel che importa è la realtà sostanziale e non il contenuto della parola.

 

E poiché è più facile intendersi con persone che davvero esaminano esattamente quanto qui va detto a partire da fonti occulte, vorrei che si prendesse in esame con molta precisione quello che avrò da dire adesso.

In nessuna confessione religiosa esiste niente di simile a questo. Nelle altre confessioni religiose non c’è questa profondità che si presenta attraverso il mistero del Golgota.

Il mondo ha ancor oggi un pregiudizio molto particolare. Si parla di questo come se nel mondo dovesse andare proprio come in una scuola: che l’importante sono soltanto i maestri universali.

 

Nel caso di Cristo non si tratta di un maestro universale,

ma piuttosto di un universale facitore, che ha compiuto il mistero del Golgota

e il cui essere si ha da conoscere. Questo è l’importante.

Quanto poco contino le sole parole, il solo contenuto dottrinale, ce lo può insegnare proprio

• una bella espressione, proveniente dalla bocca di Cristo: “voi siete dèi!”

• e il fatto che egli abbia sempre indicato come l’essere umano raggiunga il suo vertice

quando giunge alla consapevolezza dell’essenza divina nella propria natura.

 

E si potrebbe dire che fuori nel mondo risuona la parola di Cristo:

“Dovete essere coscienti del fatto che siete uguali agli dèi!”.

Un grandioso insegnamento, si potrebbe dire.

 

Lo stesso insegnamento risuona provenendo da un’altra parte, là dove la Bibbia racconta del punto di partenza dell’evoluzione terrena; lì è Lucifero che si avvicina e dice: “Diventerete come gli dèi!”. Lo stesso contenuto dottrinale risuona da Lucifero, e un identico contenuto proviene da Cristo: “Sarete come gli dèi!”. E i due significano due cose opposte per gli uomini. Sono davvero suoni di tromba sconvolgenti che vibrano in queste parole: una volta risonanti dal tentatore, un’altra dal salvatore e liberatore e ripristinatore della natura umana.

 

Quello che importa è riconoscere l’essere, importa davvero molto tra la morte e una nuova nascita.

• Nella sfera solare è presente il massimo pericolo di confondere Lucifero con Cristo,

perché parlano entrambi la stessa lingua, insegnano la stessa dottrina sul Sole,

e noi percepiamo da loro le stesse parole, se in questo caso ci è lecito chiamarle “parole”.

È l’essere che importa.

• Che questo o quell’essere dica questa o quella parola, ciò importa, non il contenuto dell’insegnamento;

perché l’essenziale è ciò che pulsa attraverso il mondo come forze reali.

 

Nei mondi superiori, e soprattutto in quello che nelle sfere terrene entra in gioco,

intendiamo le parole nel modo giusto solo quando sappiamo da quale essere provengono.

• Non riconosciamo mai l’elevatezza di un essere dal contenuto delle parole,

bensì dal fatto di venire a conoscere il contesto cosmico complessivo entro il quale un essere è collocato.

• Questo lo possiamo vedere confermato molto precisamente

nelle parole relative all’uguaglianza degli uomini con gli dèi, nel risuonare di Lucifero e di Cristo entro l’esistenza.

 

Con queste cose sono espressi importanti fatti dell’evoluzione. E vengono riferite non tanto per il loro contenuto – nemmeno in questo caso, proprio no -, ma per la loro sostanzialità; vengono espresse affinché sorgano nelle anime le sensazioni che necessariamente dovrebbero sorgere come conseguenza di tali parole. E quando coloro che hanno accolto in sé queste verità, accolgono le sensazioni e scordano le parole, in realtà non va perso così tanto.

Persino se mi immagino il caso più drastico, per cui ci fosse tra noi qualcuno che avesse dimenticato tutto quanto s’è detto ora e non si ricordasse nemmeno una parola, ma portasse in sé nel sentimento ciò che da queste parole può fluire, in senso scientifico-spirituale gli basterebbe avere quanto veramente si intende con esse.

Certo, noi dobbiamo esprimerci in parole e le parole talvolta paiono teoriche. Ma quel che importa è che sappiamo guardare attraverso le parole alla sostanzialità dello spirito e che nella nostra anima accogliamo questo elemento sostanziale.

 

Il mondo imparerà a comprendere addirittura parecchie cose proprio riguardo al progresso nell’evoluzione dell’umanità, se comprenderà in modo sostanziale la scienza dello spirito. E allora vorrei oggi portare solo due esempi che sono connessi non proprio interiormente, bensì più esteriormente alle mie ricerche occulte dei mesi scorsi, ma che per me furono sorprendenti; mi hanno infatti mostrato come, davvero, solo per il fatto che nella dottrina occulta si è conosciuto qualcosa che corrisponde a quanto è già presente nel mondo e che vi è stato introdotto da uomini ispirati, questa verità possa di nuovo venir lì rintracciata.

 

Vedete, io mi sono occupato molto di Omero, ho letto spesso le opere di Omero. Ora, nel corso degli ultimi mesi, mi veniva di continuo dinnanzi all’anima, proprio in modo vivo, come dopo la morte non si possa cambiare nulla, come le relazioni restino le stesse, come di una persona, nei confronti della quale ci si è posti in qualche modo nella vita, si sappia ad esempio: “Tu l’hai amata troppo poco”, ma come ciò non si possa modificare.

Se si considera questo fatto e poi si legge in Omero che egli descrive l’aldilà come il luogo dove la vita diventa immutabile, allora soltanto si comincia a capire tutta la profondità di queste parole, che si riferiscono al luogo nel quale le cose non sono più soggette ad alcun mutamento. E questa è un’impressione meravigliosa: comparare la propria conoscenza occulta con ciò che il “cieco Omero”, come un veggente dell’anima, introdusse come importante verità occulta e portò ad espressione nella sua opera!

E fu per me sorprendente un’altra cosa ancora, alla quale facevo veramente resistenza poiché mi appariva incredibile, cui tuttavia non si può sfuggire quando vi si giunge con tutti i mezzi della ricerca occulta.

 

Alcuni, o la maggior parte di voi, forse conosceranno le cosiddette Cappelle medicee di Michelangelo a Firenze. Si tratta di Giuliano e Lorenzo de’ Medici e di quattro figure allegoriche. Con ciò non ci si immagina niente di artistico. Insignificanti allegorie, si dice di solito. Effettivamente, ad eccezione di una, queste cosiddette figure allegoriche non sono ben rifinite, ma ciononostante non fanno l’impressione di allegorie.

È molto caratteristico che nei manuali di viaggio, riguardo a queste tombe medicee, ci venga fatto notare che da una parte starebbe uno dei Medici, Lorenzo, dall’altra l’altro, Giuliano. Ed essi sono esattamente scambiati: quello che viene chiamato Lorenzo è Giuliano e quello cui ci si rivolge come Giuliano è Lorenzo. È proprio così.

 

E dunque in quasi tutte le storie dell’arte le cose stanno come non sono. In ogni caso non è come si trova nelle storie dell’arte e nel Baedecker. Non mi sono ulteriormente crucciato del perché sia così, però è vero che le due figure vengono sempre scambiate. Le descrizioni non s’ accorderebbero affatto e probabilmente, un giorno, li si è cambiati di posto. Adesso stanno diversamente da come li aveva collocati Michelangelo. Ma non è di questo che voglio parlare, bensì solo del fatto che là ci sono quattro figure allegoriche: ai piedi di uno dei Medici la “Notte” e il “Giorno”, accanto all’altro l’“Aurora” e il “Crepuscolo”.

 

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Michelangelo – Notte e Giorno. Cappelle Medicee, Firenze.

 

Ora, tenete conto che avevo delle resistenze rispetto a quanto vi dirò adesso, ma ci si approfondisca veramente in ogni gesto, in tutto quello che si ha davanti a sé e si cominci anzitutto dalla “Notte”, si contempli questa figura riguardo alla quale, nei libri, si trova l’assurda osservazione per cui avrebbe un gesto che un uomo dormiente mai potrebbe assumere. Se però si studia ogni gesto e ogni singolo arto e poi ci si pone la domanda: un artista come dovrebbe rappresentare la figura umana, se volesse mostrare nell’espressione della figura la massima attività possibile del corpo eterico, nel modo in cui essa potrebbe aver luogo proprio nel sonno – se volesse quindi dare alla figura una posizione delle membra che meglio corrispondesse al momento in cui il corpo eterico massimamente lavora al corpo fisico? Lo dovrebbe fare come lo ha fatto Michelangelo muovendo dal suo istinto artistico. Nella “Notte” egli ha segretamente immesso il gesto che corrisponde al corpo eterico. Non sostengo che Michelangelo lo sapesse, ma così é.

 

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  Michelangelo – Crepuscolo e Aurora. Cappelle Medicee, Firenze.

 

E si guardi poi il “Giorno”! Non è certo una vuota allegoria. Se ci s’immaginasse che gli arti inferiori dell’entità umana fossero meno attivi e fosse massimamente attivo l’Io, allora ciò approderebbe, fin nella singolare rotazione dell’intera figura, alla figura del “Giorno”. Se poi si volesse esprimere come agisce il corpo astrale nel modo più libero, escludendo gli altri arti costitutivi dell’uomo, come esso si esprime nel gesto, allora si avrebbe questo nella cosiddetta allegoria della “Aurora”. E se si volesse esprimere come il corpo fisico non s’afflosci subito, ma come esso diventi fiacco quando Io e corpo astrale se ne escono, allora questo è meravigliosamente espresso nel gesto del “Crepuscolo”. Qui si hanno davanti a sé le viventi elaborazioni dei quattro arti costitutivi umani.

 

Come abbia potuto sorgere una certa leggenda che si è diffusa riguardo alla “Notte” – della quale è stato detto che, quando Michelangelo era solo con essa, questa poteva prender vita, alzarsi e farsi un giro – lo si può immaginare molto bene, quando si sappia che ha il gesto corrispondente al corpo eterico o vitale, e che il corpo eterico o vitale può essere pienamente attivo in questo gesto. E quando lo si sente, si vede allora questa figura alzarsi, si sa allora che essa può farsi un giro. Se non fosse di marmo, se realmente fosse attivo il corpo eterico o vitale da solo, che è l’elemento vivificante, non ci sarebbe alcun impedimento a che essa se ne andasse in giro.

 

In ciò che l’evoluzione dell’umanità ha prodotto, molto è segretamente riposto, e molto diventerà comprensibile soltanto quando gli uomini osserveranno le cose tramite ciò che è in grado di acuire lo sguardo occulto. Ma alla fin fine tutte queste cose non sono importanti!

Se comprendiamo meglio un’opera d’arte, oppure no, questo non è niente di universalmente umano.

 

Importa invece qualcos’altro:

• se abbiamo acuito lo sguardo, ci si dischiude una comprensione per l’anima dell’altro uomo.

Non per mezzo dello sguardo occulto, che già deve guardare nel mondo spirituale,

bensì grazie allo sguardo che è affinato dalla scienza dello spirito.

• Per mezzo della comprensione della scienza dello spirito, prodotta dal sano intelletto umano,

cresce in noi la conoscenza di quello che ci viene incontro nella vita,

anzitutto di ciò che è l’anima del nostro prossimo.

• E cercheremo di acquisire comprensione per ogni anima umana.

 

Tuttavia questa comprensione nei confronti di ogni anima umana

è qualcosa di diverso da quel che di frequente nella vita si qualifica come comprensione.

• Purtroppo nella vita troppo spesso l’amore è davvero egoistico.

Si ama quello verso il quale si è particolarmente attratti, appunto per questa o quella relazione,

e per il restoci si accontenta perlopiù di quello che si chiama amore umano universale: si ama l’intera umanità.

 

Che è mai questo?

Si deve essere capaci di comprendere ogni anima.

Forse non le si troverà tutte perfette, ma questo non è male,

perché a certe anime non si fa maggior danno che quando le si adora con amore cieco.