L’interazione fra cultura, diritto ed economia nell’organismo sociale

O.O. 332a – Cultura, politica, economia – 29.10.1919


 

Sommario: L’interazione fra cultura, diritto ed economia nell’organismo sociale

Dal valore di una merce si vede come tre correnti autonome confluiscano a formare un’unità. Una buona parte della scienza e del diritto è asservita all’economia. La parte indipendente (l’arte, la religione e la morale) ha perso il contatto con la vita reale, è diventata esangue e inerme. Ovunque il potere economico è stato convertito in diritto. Per questo la classe operaia vuole rendere l’intera economia dipendente dallo Stato. Diritto e morale sono stati scissi l’uno dall’altra: il diritto è diventato sempre più disumano, la morale sempre più illusoria. Una vita culturale libera ha la forza di plasmare sia il diritto sia l’economia. Non ha senso voler elevare la moralità con l’obbligo delle tasse. È facile dire che al sociale manca l’anima; più difficile è mostrare dove e come la si può creare. Il capitale e i mezzi di produzione devono circolare: la loro gestione deve passare dai capaci ai capaci, nello spirito del servizio alla collettività. Dall’antica società di potere è nata l’odierna società di scambio che tende ad essere sostituita da una “società organica”. «La vera vita culturale è pratica».

 

Cari ascoltatori!

Nella seconda conferenza ho già detto che un’organizzazione della vita culturale, giuridica ed economica come quella che ho cercato di descrivere nelle tre conferenze precedenti sia realizzabile solo se quello che finora è stato concepito come uno stato rigorosamente unitario verrà triarticolato, se si trasformerà in un organismo sociale triarticolato.

Ciò significa che tutto quello che si riferisce a rapporti giuridici, politici o statali dovrà essere amministrato in un parlamento democratico, mentre tutto quello che concerne la vita culturale sarà separato da questa organizzazione politica o giuridica così che questa vita culturale venga amministrata autonomamente; e dall’altro lato anche la vita economica dovrà staccarsi da quella politica per venir amministrata in base alle proprie condizioni di vita, sulla base della competenza e della specializzazione.

 

A questo punto mi si obietta sempre che una simile articolazione dell’organismo sociale contraddice alla necessità di dare una forma unitaria alla vita sociale, dato che ogni singola istituzione, ogni singola cosa che l’uomo può realizzare all’interno dell’organismo sociale deve tendere a formare un’unità. E si dice che una tale unità verrebbe spezzata se si cercasse di dividere l’organismo sociale in tre parti.

 

Cari ascoltatori, una simile obiezione è del tutto comprensibile se si tiene conto delle abitudini mentali del presente, ma, come vedremo oggi, non è affatto giustificata. Viene sollevata spontaneamente perché basta guardare la vita economica stessa per vedere come in essa confluisca fin nei minimi dettagli a formare un’unità tutto ciò che è culturale, giuridico ed economico. Già rispetto a questo ci si può chiedere: com’è possibile che una separazione, un’articolazione porti a qualcosa di positivo?

 

Prendiamo in considerazione il valore di una merce, e vedremo che il valore dei beni, delle merci, mostra già di per sé una triplicità, ma che però nel momento in cui il bene viene prodotto, messo in circolazione e consumato, si manifesta nell’organismo sociale come unità, legata all’unità della merce nel modo seguente.

Da che cosa è determinato il valore di una merce tramite la quale l’uomo può soddisfare i propri bisogni? In primo luogo l’uomo deve avere a livello soggettivo un qualche bisogno di questo bene. Ma, cari ascoltatori, vediamo da che cosa viene determinato un tale bisogno. Ovviamente dipenderà in prima linea dal carattere fisico dell’uomo, che determina il valore dei vari beni materiali.

Ma gli stessi beni materiali vengono valorizzati diversamente a seconda del tipo di educazione ricevuta o dalle esigenze che ognuno ha. E anche quando si tratta di beni intellettuali, che spesso non possono essere separati dalla sfera di quelli fisici, vediamo che l’indole dell’uomo condiziona nel suo insieme il suo modo di valutare un bene qualsiasi, determina quale lavoro è disposto a compiere per un certo bene, quanto è disposto a pagare in termini di proprie prestazioni per un tale bene. Vediamo che anche l’elemento culturale che vive nell’uomo è determinante per il valore che egli dà a un bene o ad una merce.

 

Dall’altra parte vediamo che, quando vengono scambiate fra due uomini, le merci sono vincolate da rapporti di proprietà, vale a dire da fattori giuridici. Quando un uomo vuole acquistare un bene da un altro si imbatte nei diritti che l’altro fa valere in qualche modo su quel bene, così che la vita economica, le transazioni economiche sono completamente pervase da rapporti giuridici.

E in terzo luogo una merce ha anche un valore oggettivo, non solo quello che gli attribuiamo noi per via dei nostri bisogni e della loro valutazione soggettiva che viene poi trasmessa al bene. Un bene ha anche un valore oggettivo nella misura in cui è qualcosa che si può conservare a lungo o meno, che è durevole o meno, a seconda che la sua natura lo renda più o meno utilizzabile, a seconda che sia più o meno diffuso o raro. Tutto ciò comporta un valore economico oggettivo, per la cui determinazione è necessaria una competenza oggettiva e per la cui produzione occorre un’oggettiva specializzazione.

 

Ma queste tre estimazioni di valore costituiscono un’unità nella merce stessa. Si può quindi chiedere a ragione: come è possibile separare quello che si unifica nel bene in tre settori amministrativi diversi che si riferiscono allo stesso bene, che devono avere qualcosa a che fare con il suo circolare?

 

Cari ascoltatori, prima di tutto riguardo al concetto in quanto tale si tratta di vedere che nella vita possono fondersi delle cose che vengono amministrate dalle istanze più disparate. Perché, da una parte, la valutazione soggettiva che l’uomo dà ai beni non dovrebbe essere determinata dalla sua educazione, che gode di una propria amministrazione autonoma? E per quale motivo i rapporti giuridici non dovrebbero essere introdotti da tutt’altra parte nella vita economica? E perché a tutto ciò non dovrebbe aggiungersi il fatto che nell’oggetto si fondono a formare un’unità anche la competenza e la specializzazione che determinano il valore oggettivo di quel bene?

 

Questo però vale solo in linea ideale, non ha un valore particolare. Occorre perciò motivare più a fondo ciò che si propone la triarticolazione dell’organismo sociale.

Innanzitutto bisogna dire che questa triarticolazione dell’organismo sociale non è un’idea qualsiasi concepita da uno o due uomini a partire da motivazioni soggettive, ma che questo impulso della triarticolazione dell’organismo sociale risulta da un’osservazione oggettiva dell’evoluzione storica dell’umanità in questi ultimi tempi.

Si può quindi dire che in fondo già da secoli nei propri impulsi principali l’umanità tende inconsciamente a questa triarticolazione, solo che non ha mai trovato la forza per metterla realmente in atto. E la mancanza di questa forza ha causato le condizioni in cui ci troviamo attualmente, ha dato origine allo sfacelo che ci circonda.

 

Oggi le cose sono maturate al punto che bisogna dire: è necessario metter mano a quello che da secoli si sta preparando in vista di un’organizzazione triarticolata dell’organismo sociale.

In primo luogo va detto che già da molto tempo quella vita culturale che è veramente libera si è separata dalla vita statale e da quella economica. Cari ascoltatori, quella parte della vita culturale che dipende dalla vita economica o statale non è affatto libera, è stata strappata da una vita culturale veramente libera e feconda.

 

All’inizio dell’epoca in cui sono sorti il capitalismo e il moderno ordinamento economico tecnico con la sua possente divisione del lavoro, quella vita culturale che è davvero libera – quella che crea solo a partire dagli impulsi dell’uomo, così come l’ho presentata come esigenza di tutta la vita culturale – questa porzione della vita culturale, solo questa parte che abbraccia determinati settori dell’arte, della filosofia, delle convinzioni religiose si è staccata dalla vita economica e da quella statale e si svolge avulsa dalla vita, in un certo senso fra le righe della vita. E viceversa è stato strappato alla vita culturale libera, che crea a partire dagli impulsi umani, tutto ciò che serve all’economia e allo Stato per la loro amministrazione.

 

Ciò di cui la vita economica ha bisogno per la sua amministrazione è diventato dipendente dai poteri economici stessi. Nei posti, negli ambienti in cui c’è il potere economico, esiste la possibilità di fornire ai discendenti una formazione scientifico-economica tale per cui essi a loro volta saranno idonei a conquistare il potere economico.

Ma quello che scaturisce dall’economia stessa come scienza economica è solo una parte di quanto potrebbe confluire nella vita economica se tutta la vita culturale venisse resa feconda per l’economia. È solo un residuo dell’economia aleatoria di mercato, che viene lasciato alla riflessione per poi essere trasformato in scienza economica.

E a sua volta la vita statale si comporta in questo modo: lo Stato ha bisogno che i suoi funzionari, e perfino i suoi scienziati, corrispondano ai calchi che ha elaborato per le proprie funzioni. Lo Stato si augura, anzi esige, che nell’uomo venga formato quello che corrisponde alle posizioni da occupare all’interno della vita statale. Ma una simile vita culturale non è libera, anche se pensa di esserlo. Questa vita culturale non si accorge della propria dipendenza, di come è costretta entro i limiti degli schemi relativi alle seggiole da occupare.

 

La vita culturale veramente libera si è conquistata, sì, nel mondo una certa posizione indipendente dalla vita economica e da quella statale. Ma che genere di posizione? In parte ve l’ho già descritta: questa vita culturale che ha conservato la propria libertà ha perso il contatto con la vita reale, assumendo un carattere astratto.

Oggi basta osservare che cosa c’è nelle concezioni estetiche, religiose, perfino in quelle a orientamento scientifico della vita culturale libera, per vedere che vengono dette tante cose, ma quel che viene detto è solo più o meno una bella predica per gli uomini. Questa vita culturale parla alla ragione e al sentimento, gioca un ruolo nell’interiorità dell’uomo, gli colma l’anima con una sensazione di piacere e di soddisfazione, ma non ha la forza necessaria per intervenire sul serio nella vita esteriore.

Per questo nei confronti di questa vita culturale è sorto da parte socialista quello scetticismo che ho già descritto e che dice: «Mai un’idea sociale, per quanto benintenzionata, sarà in grado di trasformare la vita sociale se nasce unicamente dalla mente. Per la trasformazione della società occorrono forze reali.» E questa vita culturale avulsa dalla vita non viene per nulla annoverata fra le forze reali.

 

Vi ho già detto quale divario esiste al giorno d’oggi fra ciò che il commerciante, il funzionario statale o l’industriale vive come proprie convinzioni religiose o anche scientifiche da una parte, e le leggi che applica nella vita economica, nella sua posizione esteriore, nell’amministrazione di questioni pubbliche dall’altra.

È una vita vissuta su due binari paralleli: da un lato determinate leggi, create in tutto e per tutto dalla vita economica e da quella statale, dall’altro un residuo di libertà nella vita culturale, che però è condannata all’impotenza nei confronti delle faccende reali della vita.

Da una parte va detto che già da secoli si è staccata una vita culturale libera unilaterale che però, visto che non la si voleva riconoscere nell’organizzazione della vita pubblica, è diventata astratta, senza aggancio con la vita reale. Ma oggi, dato che c’è bisogno dell’influsso della mente sulla vita sociale esteriore, questa vita culturale chiede che le sia restituito il proprio potere, la propria forza. Questa è la situazione nella quale ci troviamo oggi.

 

Cari ascoltatori, la vita giuridica ha imboccato da parte sua una strada diversa. Mentre la vita culturale, nella misura in cui è libera, si è in un certo senso emancipata, nel corso degli ultimi secoli la vita giuridica si è fusa completamente con i rapporti di potere economico.

Non lo si è notato, ma i due sono diventati una cosa sola. Quelli che erano interessi e bisogni economici sono stati tradotti in diritti pubblici, che spesso vengono considerati diritti umani ma che, ad un esame più attento, risultano interessi e bisogni economici e statali a cui è stato conferito un carattere di legge.

Mentre da una parte la vita culturale rivendica la propria forza, vediamo dall’altra come sia subentrata una confusione circa il rapporto fra diritto ed economia. In quella che chiamano questione sociale, vaste cerchie della nostra attuale popolazione in tutto il mondo civile rivendicano un’ulteriore saldatura fra la vita giuridica e quella economica. Vediamo come l’intera vita economica debba essere organizzata in base a concetti politici, giuridici.

 

Prendiamo in considerazione gli slogan in voga oggi presso molta gente: che cosa sono se non l’estrema conseguenza della fusione della vita giuridica con quella economica, della confusione tra diritto ed economia?

Oggi vediamo il partito radicalsocialista, che si sta rinfoltendo sempre più, richiedere, come vi ho già detto, che a capo della vita economica venga posto un sistema politico centrale-gerarchico di amministrazioni ramificate. La vita economica dev’essere completamente irretita in rapporti giuridici. Vediamo come il potere della legge debba estendersi addirittura su tutta l’economia.

È questa la grande crisi del nostro tempo, crisi che si può esprimere nel modo seguente: rivendicando in modo radicale questa gestione giuridica e politica per la vita economica, si vuole in fondo che venga ad abbattersi sull’economia la tirannia dello Stato, del sistema giuridico. Vediamo che per la vita economica e il suo risanamento non viene richiesta una sua organizzazione a partire dai fattori economici stessi, quanto piuttosto la conquista del potere politico, in vista di impadronirsi della vita economica e di controllarla con questo potere politico.

 

Che cos’è la dittatura del proletariato se non l’estrema conseguenza della fusione fra vita giuridica o statale e vita economica?

Vediamo così la dimostrazione, certamente in maniera negativa, dell’urgente necessità di effettuare un esame approfondito del rapporto fra vita giuridico-statale e vita economica. Se da un lato vediamo che una parte della vita culturale libera si è emancipata e chiede di ritrovare la propria forza originaria, dall’altro vediamo che la vita giuridica, se dev’essere legata sempre più strettamente a quella economica, creerà disordine nell’intero organismo sociale.

 

Ebbene, cari ascoltatori, è stato concesso abbastanza a lungo di pensare in preda alla suggestione dello Stato unitario, dell’organismo sociale unitario. Ora è giunto il momento in cui i frutti di questo pensiero ci si presentano nel caos sociale che si è riversato su gran parte del mondo civile.

I processi economici richiedono di essere rigorosamente separati dalla vita giuridica, poiché si è visto quali danni cagionerebbe alla vita economica questa vita giuridica stessa se si dovessero trarre le estreme conseguenze da quanto è andato formandosi nel corso degli ultimi secoli.

È con questi fatti, cari ascoltatori, che vuol fare i conti l’impulso dell’organismo sociale triarticolato. E desidero fornirvi un esempio incisivo per mostrarvi come proprio questi fatti abbiano brutalmente separato quello che nella vita dovrebbe agire come un’unità.

 

Oggi si dice che la triarticolazione dell’organismo sociale vuole distruggere l’unità della vita sociale. In futuro si dirà: questa triarticolazione serve proprio a costituire nel senso giusto questa unità. C’è un esempio che dimostra come questo anelito astratto all’unità abbia finito per distruggerla.

Al giorno d’oggi certi opinionisti sono particolarmente orgogliosi di fare una distinzione teorica fra diritto e morale. La morale è la valutazione di un’azione umana in base a criteri puramente interiori dell’anima. Il giudizio espresso sulla bontà o sulla cattiveria di un’azione viene guidato per la morale solo da questi punti di vista interiori dell’anima. E in chiave ideologica si distingue oggi nettamente da questa valutazione morale quella giuridica, che riguarda la vita esteriore, pubblica, e che dev’essere determinata in base ai decreti, ai provvedimenti della vita statale o di quella sociale e pubblica.

 

Prima della comparsa del recente sviluppo tecnico e del capitalismo non si sapeva nulla di questa separazione tra morale e diritto. È solo in questi ultimi secoli che gli impulsi del diritto e quelli della morale sono stati scissi gli uni dagli altri. Per quale motivo?

Perché la valutazione morale è stata relegata nella vita culturale “libera” che si è estraniata dalla vita diventando inerme nei suoi confronti, riservandosi la funzione di predicare e di perorare. E le massime che vogliono intervenire nella vita hanno allora bisogno di stimoli economici, dal momento che non sono più in grado di trovare quelli puramente umani interiori che sono stati confinati nella “morale”. E questi stimoli economici vengono poi trasformati in diritto.

Così la vita si è sdoppiata: la definizione del diritto da un lato, e la morale che ne dovrebbe essere la fiamma ardente dall’altro. Quella che dovrebbe essere un’unità è stata spaccata in due.

 

Per questo chi studia più attentamente l’evoluzione dello Stato moderno, troverà che proprio la suggestione dello Stato unitario ha prodotto la separazione di quelle forze che dovrebbero mirare all’unità. L’impulso alla triarticolazione dello stato sociale vuole proprio agire contro questa separazione. Se si coglie giustamente l’anima di questo impulso, si vede chiaramente come esso non tolleri nessuna spaccatura della vita.

La vita culturale deve avere la sua propria amministrazione: non è forse vero che ogni uomo ha un rapporto con questa vita culturale se essa si sviluppa del tutto liberamente, come ho descritto? Ognuno viene educato, e a sua volta ognuno fa educare i propri figli in questa vita culturale libera, è lì che ha i propri interessi culturali. Ognuno ha un intimo legame con essa.

E gli stessi uomini che sono legati in questo modo alla vita culturale, che da essa traggono la loro forza, sono attivi anche nella vita giuridica o statale, dove stabiliscono l’ordinamento di legge in vigore fra loro. Lo sanciscono a partire dallo spirito che fanno proprio nella vita culturale. Il diritto si ispira direttamente a quello che si acquisisce mediante il rapporto con la vita culturale.

 

E di nuovo: ciò che si sviluppa democraticamente nei rapporti fra gli uomini sul terreno dell’ordinamento giuridico, ciò che l’uomo fa suo come modo di porsi in rapporto con l’altro, lo traspone nella vita economica, dal momento che si tratta degli stessi uomini che vivono la vita culturale, che sono attivi all’interno della vita giuridica e che fanno economia.

I provvedimenti che l’uomo adotta, il modo in cui si associa con altri uomini, il suo modo di commerciare, tutto è permeato da quello che lui stesso crea nella vita culturale, da quello che introduce come ordinamento giuridico nella vita economica.

Sono sempre gli stessi uomini che vivono all’interno dell’organismo sociale triarticolato. La sua unità viene prodotta non da un qualsiasi ordinamento astratto, bensì dall’uomo vivente – solo che ogni ambito esprime la propria natura e il proprio carattere specifico tramite la sua autonomia, e proprio in questo modo contribuisce nel modo migliore a formare un’unità.

 

Ciascuna delle tre sfere può in questo modo far valere il suo contributo, mentre vediamo come per via della suggestione dello Stato plenipotenziario avvenga la separazione di due elementi che nella vita sono inscindibili, cioè il diritto e la morale. L’impulso alla triarticolazione dell’organismo sociale cerca di affermarsi non per separare qualcosa che deve restare unito, ma proprio per permettere di collaborare a quegli elementi che devono interagire fra loro.

 

La vita culturale da me descritta ieri può svilupparsi solo sul proprio terreno libero, ma così facendo, se le si accorderanno gli stessi diritti delle altre due sfere dell’organismo sociale, non diventerà un prodotto avulso dalla realtà come la vita culturale che da secoli ha preso una direzione astratta e priva di contatto con la vita, ma genererà la forza propulsiva necessaria per intervenire direttamente e concretamente nella vita giuridica e in quella economica.

Potrebbe sembrare una contraddizione grottesca, paradossale, se da una parte si sostiene che la vita culturale debba diventare del tutto indipendente, debba svilupparsi a partire dalle proprie basi, come ho descritto ieri, e che dall’altra possa poi intervenire nei settori pratici della vita. Ma è proprio quando lo spirito è lasciato a se stesso che sviluppa impulsi tali da permettergli di abbracciare e plasmare la vita intera.

 

Questo spirito lasciato libero, infatti, non è tenuto a prestare ascolto a ciò che l’uomo deve formare dentro di sé per aderire a qualche modello statale. Non è caratterizzato dal fatto che solo chi detiene un certo potere economico possa ricevere un’istruzione, ma in base alle leggi di sviluppo dell’individualità umana, stando all’osservazione delle facoltà umane, viene coltivato quello che vuole emergere in una data generazione.

E poiché lo spirito estende il proprio interesse alla vita intera, ciò che vuol venire alla luce in una data generazione non comprenderà solo la natura nei suoi fenomeni e nelle sue realtà, ma comprenderà soprattutto la vita umana.

Siamo stati condannati ad essere così poco pratici in ambito culturale per il fatto che alla vita culturale libera erano state riservate solo quelle sfere che non erano autorizzate ad intervenire nella realtà esteriore.

 

Nel momento in cui alla cultura verrà concesso non solo di registrare ciò che i parlamenti decretano sotto forma di diritto statale, ma di determinare direttamente questo diritto, allora essa farà del diritto statale una sua propria creazione. E lo spirito interverrà anche nel meccanismo, nell’ordinamento dell’economia nell’istante in cui starà a lui decidere e intervenire, e si smetterà di formare determinati punti di vista e massime in base ad un’economia lasciata a se stessa – che continua a muoversi secondo le proprie realtà, senza essere dominata dai pensieri. Allora la cultura si dimostrerà capace di concretezza anche nella vita economica.

Basta riconoscere allo spirito la forza di incidere sulla vita pratica e lui lo farà, eccome! Ma in questa concezione della realtà non si può chiudere ermeticamente la cultura nell’astrazione, ma bisogna far sì che lo spirito eserciti la propria influenza sulla vita. Allora si dimostrerà ogni giorno in grado di fecondare la vita economica, che altrimenti resterebbe infruttuosa o verrebbe spinta solo dal caso.

 

Vedete, cari ascoltatori, di questo va tenuto conto se si vuole avere una visione chiara di come devono interagire all’interno dell’organismo sociale la cultura, il diritto e l’economia. Su queste cose non hanno le idee chiare neppure vari personaggi molto intelligenti dei giorni nostri, che spesso vedono come sotto l’influsso di quella vita che ha mandato a quel paese la morale e la cultura si siano sviluppate delle situazioni divenute insostenibili dal punto di vista sociale.

C’è uno studioso della vita economica assai stimato che afferma per esempio quanto segue: se oggi osserviamo la vita economica, vediamo innanzitutto un sistema di consumo che comporta danni sociali in grado sommo. Le persone che se lo possono permettere consumano questo e quell’altro, il che rappresenta in effetti solo un lusso. Questo pensatore, il cui nome è Hartley Withers, fa notare il ruolo che riveste nella vita dell’uomo d’oggi, anche in quella economica, quello che lui chiama lusso.

 

Certo che è facile vederlo, basta richiamare l’attenzione su fenomeni come quello di una signora che si compra un filo di perle. Molti ancor oggi lo considerano un lusso decisamente modesto, ma non si tiene conto dell’effettivo valore di questa collana di perle all’interno dell’attuale struttura economica. Con questo filo di perle, con l’equivalente del suo valore, è possibile mantenere cinque famiglie di operai per sei mesi. Ecco che cosa si mette al collo la signora in questione!

 

Certo, cari ascoltatori, è possibile rendersene conto ed è possibile cercare un rimedio a partire dallo spirito oggi in voga. Lo stimato pensatore a cui mi riferisco scopre che è necessario che lo Stato – ovviamente oggi sono tutti elettrizzati dallo Stato! – introduca delle imposte elevate sul lusso, così che alla gente passi la voglia di concederselo.

Non accetta l’obiezione sollevata da molti, secondo la quale se si tassa il lusso questo scompare e lo Stato non ne ricava più niente. Egli ribatte: «No, è giusto che il lusso scompaia, perché la tassazione deve avere uno scopo etico. La tassazione deve favorire la moralità umana.»

 

Vedete, cari ascoltatori, questa è la mentalità di oggi! Si ha talmente poca fede nella forza dell’anima umana, dello spirito umano, che si vuole ottenere mediante la tassazione, vale a dire mediante il diritto, ciò che dovrebbe scaturire liberamente dall’anima e dallo spirito dell’uomo. Non c’è da meravigliarsi se poi non si arriva ad una strutturazione unitaria della vita.

Lo stesso pensatore fa notare come l’acquisizione di proprietà crei un’ingiustizia per via del fatto che nel nostro mondo sono possibili i monopoli, che la vita sociale è tuttora sotto l’influsso del diritto ereditario e via dicendo. Di nuovo propone di regolare tutte queste cose per mezzo della legislazione fiscale. Ritiene infatti che tassando il più possibile i beni ereditati, si otterrà una giustizia per quanto concerne la proprietà. Tramite leggi statali, cioè con misure giudiziarie, si potrebbe agire altrettanto contro i monopoli e molte altre cose analoghe.

 

La cosa singolare è che questo pensatore dice poi che quello che conta non è per niente che tutto ciò che lui prospetta per mezzo di leggi, di imposte statali o quant’altro venga davvero realizzato, poiché si è visto che l’efficacia di tali leggi statali è assolutamente opinabile, che esse non sempre ottengono quello che dovrebbero ottenere. E afferma: «Quello che conta non è che queste leggi elevino i costumi, facciano scomparire i monopoli e così via, ma l’importante è la mentalità in base alla quale vengono emanate, lo spirito in cui esse si esprimono.»

E con questo, cari ascoltatori, siamo giunti veramente al punto in cui non si fa altro che girare e rigirare in tondo.

 

Uno stimato pensatore politico contemporaneo sostiene all’incirca quello che vi ho appena detto: mediante la legislazione vuole suscitare dei principi etici, ma l’importante non è tanto che questa legislazione entri in vigore, che sortisca un qualche risultato, quanto che gli uomini abbiano in sé le convinzioni che servono ad emanare quelle leggi. È il classico gatto che si morde la coda. Si tratta di uno strano circolo vizioso, cari ascoltatori, che però incide profondamente nella nostra vita sociale attuale.

 

Oggigiorno infatti la vita pubblica viene improntata a questo modo di pensare e non ci si accorge che in definitiva tutte queste cose portano proprio a riconoscere che le basi per una vera riorganizzazione della vita sociale devono essere

• la vita culturale autonoma,

• la vita giuridica, anch’essa autonoma, affrancata dall’organismo economico,

• e la libera organizzazione dell’organismo economico in quanto tale.

 

Oggi queste cose saltano agli occhi con particolare evidenza se si nota come in persone estremamente benintenzionate – come per esempio Robert Wilbrandt, di cui è appena stato pubblicato un libro sulla socializzazione –, persone dotate dello slancio etico necessario alla riorganizzazione della vita sociale, emerga per esempio un lieve accenno all’assoluta necessità di un fondamento spirituale della struttura sociale, ma come ovunque manchi l’idea del modo in cui si possa creare questo fondamento spirituale.

 

Robert Wilbrandt non è certo uno che parla solo a partire dalla teoria. In primo luogo le sue parole scaturiscono da un cuore ardente di entusiasmo sociale, in secondo luogo ha girato tutto il mondo per farsi un’idea delle condizioni sociali. Nel suo libro che, come ho detto, è uscito poco fa, qualche settimana fa, descrive fedelmente con quale durezza la miseria colpisce ancor oggi l’uomo in tutto il mondo civile.

Fornisce esempi concreti della miseria della classe operaia, della miseria presente nel mondo civile. Ma dal suo punto di vista fa anche notare come nei vari ambiti in cui di questi tempi la questione sociale è diventata attuale la gente abbia cercato di lavorare ad una nuova struttura, ma come abbia fallito o sia destinata al fallimento, come si vede chiaramente per esempio nella Germania odierna.

E Robert Wilbrandt è pienamente convinto che tutti i tentativi fatti in base alle idee odierne sono destinati a fallire. Questa è più o meno la conclusione del suo libro. Dopo aver più volte accennato a questa probabilità nel corso del libro, lo conclude in questo strano modo. Dice: «Tutti questi tentativi che vengono fatti sono destinati a fallire. Non costruiranno niente, perché oggi l’organismo sociale è privo di anima, e finché non se la sarà procurata non sarà in grado di fare nessun lavoro fruttuoso.»

 

La cosa più interessante è che il libro finisce così, senza parlare del modo in cui la si può trovare, quest’anima. L’impulso all’organismo sociale triarticolato non vuole un discorso teorico sulla necessità dell’anima, per poi aspettare che quest’anima spunti da sola, vuole invece indicare in quale modo l’anima si sviluppa realmente. E quest’anima potrà svilupparsi solo se si separerà la vita culturale da quella statale e da quella economica.

Allora, quando potrà seguire unicamente gli impulsi che l’uomo dà a se stesso in vista dello spirito, questa vita culturale troverà la forza necessaria per intervenire anche nel resto della vita pratica. Allora questa vita culturale si darà una forma come quella che ho cercato di descrivervi ieri, allora avrà un contenuto di realtà. E allora, parlando di questa vita culturale, si potrà dire di poterle assegnare i compiti che le vengono assegnati per esempio nel mio libro I punti essenziali della questione sociale.

 

Certo, di questi tempi si può far notare – e lo abbiamo fatto nella seconda conferenza – in che modo il capitale agisce nell’odierno processo socio-economico.

Quando però si dice che il capitale dovrebbe essere abolito o trasformato in proprietà collettiva, non si ha nessuna idea di come esso agisca effettivamente nella vita economica, in particolar modo negli attuali processi di produzione, di come sia imprescindibile un accumulo di capitale per far sì che gli uomini dotati di talento possano agire al servizio della collettività amministrando queste masse di capitali.

Per questo nel mio libro I punti essenziali della questione sociale l’amministrazione del capitale viene affidata alla vita culturale, con la partecipazione della vita giuridica autonoma. Mentre oggi vediamo che è il capitale stesso a decidere dell’economia, l’impulso alla triarticolazione dell’organismo sociale richiede che debba sempre essere possibile creare delle capitalizzazioni, ma richiede anche che esse siano amministrate da chi ha sviluppato a partire dalla vita culturale le doti necessarie per una qualche attività aziendale, e che queste capitalizzazioni vengano gestite da chi le ha accumulate solo finché è in grado di amministrarle per il bene di tutti.

 

Nel momento in cui – o perlomeno subito dopo questo istante, oggi non dobbiamo scendere nei particolari – l’individuo in questione non è più in grado di occuparsi dell’amministrazione del capitale, deve fare in modo che questa attività passi nelle mani di una persona dotata che la possa amministrare al servizio della collettività o, se non se ne sente capace, dev’essere affiancato da una corporazione della vita culturale che lo aiuti o che decida in merito a questo passaggio.

Ciò vuol dire che il passaggio di un’azienda ad una persona o a un gruppo di persone non dev’essere legato ad un acquisto o a un altro tipo di trasferimento di capitali, ma a quanto risulta dai talenti degli individui stessi. Si tratta quindi di un trasferimento da dotati ad altri dotati, da quelli che sono capaci di lavorare al servizio della comunità ad altri che a loro volta sono in grado di dare il loro meglio impegnandosi al servizio della collettività. La salute sociale dell’avvenire dipende tutto da questo tipo di trasferimento.

Questo transito però non sarà, come lo è adesso, esclusivamente di natura economica, ma avrà luogo a partire dagli impulsi che agli uomini verranno dalla vita culturale e da quella giuridica, entrambe autonome. Nella vita culturale ci saranno vere e proprie corporazioni, collegate a tutti gli altri settori della cultura, preposte in un certo senso all’amministrazione del capitale.

 

Così, cari ascoltatori, al posto del passaggio degli strumenti di produzione alla collettività ho potuto mettere la circolazione dei mezzi di produzione all’interno dell’organismo sociale, il trasferimento dai dotati ai dotati, cioè una vera e propria circolazione. E questa circolazione dipende dall’autonomia della vita culturale, a cui in un certo senso sottostà, da cui è messa in moto.

Si può quindi dire che nel circuito economico agisce in modo sommo la forza presente nella vita culturale e nella vita giuridica. Non ci si può immaginare nella vita economica un’unità più completa di quella prodotta da simili provvedimenti. Però la corrente di forze che sfocia nella vita economica proviene dalla vita culturale e da quella giuridica autonome.

L’uomo non sarà allora più alla mercé del caso che opera attraverso la domanda e l’offerta o attraverso gli altri fattori oggi all’opera nella vita economica, ma in economia agiranno la ragione umana e il rapporto giuridico fra uomo e uomo. Avremo quindi un’interazione di cultura, di diritto e di economia, proprio in quanto vengono amministrati separatamente, poiché l’uomo – che dopotutto fa parte di tutte e tre le sfere – trasferirà dall’una all’altra ciò che è necessario.

Affinché queste cose gradualmente si realizzino, gli uomini dovranno però liberarsi da diversi pregiudizi.

 

Oggi è per tutti scontato che i mezzi di produzione e la proprietà fondiaria siano elementi propri della vita economica. L’impulso alla triarticolazione dell’organismo sociale esige invece che nella vita economica vengano amministrati solo i valori reciproci delle merci, a cui devono essere approssimati i prezzi, di modo che l’unica occupazione dell’amministrazione dell’economia è la determinazione dei prezzi.

Ma, cari ascoltatori, è impossibile rendere equa la fissazione dei prezzi se il mezzo di produzione e la proprietà fondiaria agiscono in quanto tali all’interno della vita economica. Il poter disporre della proprietà terriera, che oggi si concentra nel diritto di proprietà fondiario, e il poter disporre dei mezzi di produzione ultimati non può essere faccenda dell’economia, ma spetta in parte alla cultura e in parte alla legge.

Significa che il trasferimento da una persona a un’altra, o da un gruppo di persone a un altro, di una proprietà fondiaria o dei mezzi di produzione ultimati, non può avvenire tramite acquisto o eredità, ma deve avvenire mediante un’assegnazione a partire dal terreno giuridico e dai principi della vita culturale.

 

Il mezzo di produzione mediante il quale nell’industria o in un altro settore analogo ha luogo appunto la produzione, vale a dire il mezzo di produzione che sta alla base della formazione di capitale, può costare qualcosa solo finché non è ultimato. Una volta pronto, lo amministra chi lo ha realizzato, poiché è la persona che meglio se ne intende – e lo fa finché lui stesso è in grado di provvedere con le proprie capacità a questa amministrazione. Non è un bene che può essere venduto, ma può solo essere trasferito da una persona o da un gruppo di persone ad un’altra persona o a un gruppo di persone per via di diritto o con una decisione culturale che viene eseguita in base al diritto.

Così quello che oggi è posto all’interno della vita economica, cioè il diritto di disporre della proprietà fondiaria e dei mezzi di produzione, viene posto sul terreno giuridico autonomo con la cooperazione della vita culturale non meno autonoma.

 

Agli uomini d’oggi queste idee possono risultare ancora estranee, ma proprio questa è la cosa triste e amara. Infatti è solo se queste idee entreranno davvero nelle teste, nelle anime e nei cuori degli uomini, così che essi si comportino in maniera sociale nella vita, che potrà avverarsi quello che oggi in tanti vogliono ottenere per vie del tutto diverse, ma che in quel modo non potranno mai realizzare.

Di questo ci si deve rendere conto, del fatto che certe cose che oggigiorno sembrano ancora paradossali verranno considerate del tutto ovvie in una vita sociale veramente sana.

 

Le richieste avanzate dall’impulso per la triarticolazione dell’organismo sociale non nascono da quegli istinti e da quelle emozioni in base ai quali oggi spesso vengono avanzate le rivendicazioni sociali, bensì da uno studio della reale evoluzione dell’umanità, dall’era moderna fino ai giorni nostri.

Esso vede per esempio come, nel corso di molti secoli, una forma sociale sia subentrata all’altra.

Torniamo al tardo Medioevo – si è estesa fino al tardo Medioevo, soprattutto nel mondo civile europeo –, dove troviamo una vita sociale strutturata in modo tale da poter parlare di una società di potere.

Tanto per farvi un esempio, questa società di potere nasceva perché magari un conquistatore qualsiasi si era stanziato da qualche parte con il suo seguito, trasformandolo per così dire nelle sue maestranze. Per il fatto che costui venisse considerato un capo in virtù delle sue qualità individuali, del suo effettivo o presunto valore individuale, si veniva a creare un rapporto sociale fra il suo potere e quello di coloro di cui era stato inizialmente il condottiero e che poi erano diventati i suoi servitori o le sue maestranze.

 

In un certo senso, per l’organismo sociale era determinante quello che sorgeva in un uomo o in un piccolo gruppo aristocratico, che poi si trasmetteva a tutta la collettività, nella quale continuava a vivere. La volontà che viveva nella totalità della popolazione era per così dire solo la copia, la proiezione di quella volontà singola.

Sotto l’influsso dell’era moderna, della divisione del lavoro, della cultura tecnologica, al posto di quella società di potere, pur portandone avanti gli impulsi fra gli uomini e nella convivenza umana, è subentrata una società di scambio.

Il prodotto del singolo diventava sempre più una merce che lui scambiava con un altro. In fin dei conti anche l’economia monetaria è la stessa cosa, nella misura in cui è commercio con l’altro individuo o con l’altro gruppo. Si tratta di un commercio basato sullo scambio. La società umana è diventata sempre più una società di scambio.

 

Mentre nella società di potere la collettività ha a che fare con la volontà di un singolo che lei fa sua, la società di scambio, in cui siamo ancora immersi e da cui una gran parte dell’umanità odierna tende ad uscire, ha a che fare con la volontà del singolo che sta di fronte alla volontà dell’altro singolo individuo.

Ed è solo dall’interazione fra individuo e individuo che emerge come un risultato casuale la volontà collettiva. Da ciò che si verifica fra individuo e individuo scaturisce quello che si crea come comunità economica, come ricchezze, quello che si manifesta nella plutocrazia e via dicendo. Ma in tutto questo agisce ciò che ha a che fare con lo scontro di volontà singola con volontà singola.

Non c’è da meravigliarsi che l’antica società basata sul potere non potesse anelare ad una qualsiasi emancipazione della cultura. Chi era il capo infatti, veniva riconosciuto anche come guida della vita culturale e dell’ordinamento giuridico in virtù della sua bravura. È però anche evidente che il principio giuridico, statale e politico, ha preso il sopravvento soprattutto nella società basata sullo scambio, dato che abbiamo visto su cosa vuole basarsi il diritto, anche se nella società odierna questo volere non riesce ad esprimersi correttamente.

 

In effetti il diritto ha a che vedere con ciò che il singolo uomo deve stabilire da pari a pari con i suoi simili. La società di scambio è una società in cui il singolo ha a che fare con l’altro singolo. Perciò questa società aveva tutto l’interesse a trasformare la propria vita economica, dove il singolo ha a che fare con il singolo, in una vita giuridica, cioè a convertire in norme giuridiche quelli che sono interessi di tipo economico.

Proprio come l’antica società di potere è diventata una società di scambio, così oggi questa società di scambio, muovendo da impulsi profondi dell’evoluzione umana, tende a trasformarsi in un nuovo tipo di società, particolarmente sul terreno giuridico. La società basata sullo scambio infatti, appropriandosi della vita culturale e togliendole la libertà – o rendendola avulsa dalla realtà – è diventata gradualmente una semplice società economica, ed è come tale che viene reclamata da certi socialisti radicali.

 

Ma a partire da impulsi profondi dell’umanità odierna questa società basata sullo scambio tende soprattutto in ambito economico a convertirsi in una “società organica”, se così la posso chiamare, anche se questo nome zoppica un po’ – ma dopotutto si tratta di qualcosa di nuovo, e di solito per le cose nuove non abbiamo delle denominazioni azzeccate, dato che la lingua deve ancora crearle. Come sarà organizzata questa società organica?

 

• Come una volta la volontà di un singolo o di un’aristocrazia, che è anch’essa una sorta di volontà individuale, si estendeva in un certo senso alla collettività, così che nelle loro volizioni i singoli rappresentavano solo un prolungamento della volontà del singolo,

• come la società di scambio ha oggi a che fare con lo scontro fra volontà singola e volontà singola,

• così l’ordinamento economico della “società organica” avrà a che fare con una specie di “volontà concertata”, che poi si ripercuote sulla volontà dell’individuo.

 

Nella seconda conferenza ho infatti mostrato come nel campo della vita economica dovranno sorgere associazioni tra i vari settori di produzione, associazioni fra i rami di produzione e i consumatori, di modo che coloro che commerciano e coloro che consumano a livello economico si debbano consociare fra loro.

Le associazioni stipuleranno fra loro dei contratti. All’interno di gruppi più o meno grandi si formerà così una specie di “volontà concertata”. Molti nostalgici della socializzazione aspirano a una volontà collettiva, solo che spesso si immaginano la faccenda in un modo estremamente confuso, tutt’altro che sensato.

Proprio come la volontà del singolo ha agito nella comunità in seno alla società di conquista, di potere, così nella società organica del futuro dovrà esserci una volontà concertata che diventi operante nel singolo individuo.

 

Ma come sarà possibile ciò, cari ascoltatori? Che cosa dev’esserci in questa volontà concertata, che deve nascere grazie all’interazione delle singole volontà che devono creare qualcosa che non sia una tirannia, seppur democratica, per il singolo, ma al cui interno l’individuo possa sentirsi libero?

In questa volontà concertata ci dev’essere ciò che la singola anima e il singolo spirito umani possono accogliere in sé, qualcosa con cui si possano dichiarare d’accordo, in cui possano riconoscersi e immedesimarsi.

In altre parole, nella volontà concertata della società organica deve vivere ciò che vive nel singolo individuo, corpo, anima e spirito. E questo è possibile soltanto se quelli che plasmano questa volontà concertata a partire da quella individuale hanno nel loro volere, nel loro sentire e nel loro pensare la piena comprensione per l’essere umano nella sua totalità.

 

E in questa volontà concertata deve inserirsi ciò che l’uomo sente come il proprio spirito, la propria anima e il proprio corpo – in vista però di mettercelo dentro, di contribuirvi.

• Diversa era la situazione nell’istintiva società di potere, dove un singolo veniva riconosciuto dalla collettività, poiché gli individui che ne facevano parte non erano in grado di far valere la propria volontà singola;

• diversa era anche nella società di scambio, dove la singola volontà si scontra con l’altra volontà singola e si produce una sorta di collettività casuale, caotica;

• e ancora diversa sarà la società organica, se una volontà organizzata per concerto sarà in grado di agire sul singolo individuo. Allora nessuno di quelli che prendono parte alla formazione di questa volontà concertata potrà mostrarsi privo di comprensione per la vera essenza dell’uomo.

 

Allora non si potrà più studiare la vita con una scienza astratta, con una scienza unicamente orientata alla natura esteriore, incapace di comprendere l’uomo nella sua totalità. Allora ci si dovrà accostare alla concezione della vita con quella scienza dello spirito che, grazie alla sua visione complessiva dell’uomo come corpo, anima e spirito, sarà anche in grado di suscitare una comprensione a livello emotivo e volitivo per questo singolo individuo.

Se quindi si vorrà realizzare un ordinamento economico comunitario, lo si potrà fare solo animandolo a partire da una vita culturale autonoma. Solo così sarà possibile creare un futuro fecondo, se dall’altra parte quanto viene pensato nella libera vita culturale si rifletterà nella vita economica.

E questa vita culturale libera non si rivelerà impratica, al contrario, dimostrerà di essere molto pratica. Solo chi indugia in una vita culturale non libera si limita a speculare sul bene e sul male, sul giusto e sul vero, sul bello e sul brutto – che però vivono solo dentro la sua anima.

 

Ma colui che, grazie alla scienza dello spirito, vede lo spirito come qualcosa di vivente, colui che lo osserva grazie a una conoscenza spirituale, diventa pratico in ogni sua azione, soprattutto per quanto concerne la vita umana. Ciò che accoglie in sé dalla visione spirituale si infonde immediatamente nelle sue mani, si trasfonde in ogni faccenda pratica, si conforma in modo da inserirsi direttamente nella vita concreta.

Solo una cultura avulsa dalla vita pratica perde il contatto con la realtà. Una cultura a cui è concesso di esercitare la propria influenza sulla vita pratica diventa prassi di vita. Direi che chi conosce davvero la vita culturale sa quanto è vicino alla vita pratica ogni elemento culturale lasciato libero di seguire il proprio impulso.

Vorrei dirvi anche questo: non è un buon filosofo colui che al momento giusto non è anche in grado di spaccare la legna. Chi infatti vuole fondare una filosofia senza aver messo mano alla vita pratica, non fonda una filosofia per la vita, ma una filosofia avulsa dalla realtà. La vera vita culturale è pratica!

 

Sotto gli influssi sorti nel corso dei secoli si può comprendere quanto oggi proprio delle persone inserite nell’attuale vita culturale, nella vita culturale oggigiorno dominante – come per esempio Robert Wilbrandt, che ha scritto la sua socializzazione prendendo le mosse da un pensare davvero sano, da un’etica realmente sociale – affermano: non si può costruire nulla poiché manca l’anima. Si può capire perché gli uomini non riescano poi a trovare il coraggio di chiedersi come si forma l’anima, perché non sanno decidersi a domandare: quali sono gli effetti di una vita culturale veramente libera sulla vita statale e su quella economica?

 

Questa vita culturale libera saprà interagire con la vita economica nel modo giusto che vi ho indicato. Ma allora anche la vita economica, che può cooperare con quella statale e con quella culturale, sarà in ogni momento capace di formare uomini che a loro volta diano stimoli alla vita culturale.

La triarticolazione dell’organismo sociale può dare origine ad una convivenza libera e reale. Per questo a coloro che oggi richiedono vagamente un’anima e uno spirito, per istinto ma non per vera forza d’animo, vien voglia di ribattere: imparate a conoscere la realtà dello spirito. Date allo spirito ciò che è dello spirito, date all’anima ciò che è dell’anima, e allora anche nella vita economica emergerà ciò che appartiene all’economia.