06 (a) I tre tipi del pensare. (Appendice)

Il mistero di Michele


 

«Vie alla conoscenza dei mondi superiori» (O.O. 79, 26.11.1921)

 

Per diventare un indagatore dello Spirito in senso antroposofico, bisogna per così dire prendere in mano il proprio sviluppo, partendo dal punto in cui ci si trova nella vita ordinaria e nel sapere ordinario.

 

▸ « Le forze che vanno sviluppate per prime sono quelle del pensiero; con ciò si avvia solo l’inizio di questo sviluppo, perché non si tratta, come vedremo, solo di elaborare unilateralmente le forze dell’intelletto o del pensare, ma di un’elaborazione dell’intero essere umano. Tuttavia il primo passo va fatto con particolari esercizi del pensiero.

Il pensare al quale oggi siamo abituati, non solo nella vita esteriore, ma anche nella scienza, si affida all’osservazione esteriore della quale in certo senso segue il filo. Rivolgiamo al mondo esterno i nostri sensi e colleghiamo i nostri pensieri a ciò che i sensi ci trasmettono. In questo modo ricaviamo dall’osservazione del mondo esterno un solido sostegno per i nessi fra i vari contenuti della nostra anima, delle nostre esperienze.

È stata una ben giustificata aspirazione scientifica quella di consolidare sempre più quel sostegno: il sostegno offerto dall’osservazione. L’osservazione ha poi trovato un particolare rafforzamento nell’uso scientifico dell’esperimento, nel quale si possono controllare realmente le diverse condizioni che consentono di realizzare i singoli fenomeni, per cui i processi diventano perfettamente trasparenti.

• Per assolvere il suo compito, la Scienza dello Spirito antroposofica deve quindi rinunciare ad abbandonarsi col pensiero all’oggettività esterna; per essa, l’essenziale è anzitutto il rafforzamento, l’intensificazione interiore del pensare.

 

Nella conferenza precedente mi sono permesso di paragonare le forze della nostra anima a un muscolo che si rafforza, in quanto esegue un certo lavoro. Se con un esercizio sistematico noi portiamo sempre di nuovo al centro della nostra coscienza certe rappresentazioni semplici e perspicue, concentrandoci su quelle con tutto il nostro essere, ne vengono rafforzate proprio le forze del pensare. Tale intensificazione delle forze di pensiero deve però naturalmente venire conseguita mediante il pieno impegno della volontà cosciente e riflessiva.

|…] Ecco quello che importa, per cominciare, sulla via della conoscenza superiore: che il pensare libero da scorie sensibili si muova interiormente con tale intensità da impegnare l’anima nostra come di solito la impegna una percezione sensoriale esterna.

Vorrei dire: l’uomo deve imparare a sperimentare nel pensiero rafforzato (e tuttavia interamente compenetrato da volontà cosciente) ciò che di solito sperimenta nella percezione sensoriale esteriore.

|…] Si giunge allora a servirsi di un pensare del tutto diverso. Rimane del tutto valido l’antico modo di pensare per ciò che riguarda la vita ordinaria e l’attività scientifica ordinaria. A questo tipo di pensare se ne affianca però un altro, se si praticano con pazienza e sistematica costanza gli esercizi ai quali ho accennato prima come esercizi essenzialmente di pensiero; essi vanno eseguiti nella propria coscienza, come uno sviluppo intimo dell’anima. Qualcuno conseguirà risultati in un tempo più breve, altri in tempi più lunghi. Questi esercizi sono descritti nei miei libri L’iniziazione e La scienza occulta. Vorrei ora caratterizzare nel modo seguente quello che si affianca al modo ordinario di pensare.

 

Mi permetto di inserire qui un’osservazione personale, che spero verrà riconosciuta come oggettivamente pertinente al tema che sto trattando. Agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso io scrissi la mia Filosofia della libertà per mostrare in che modo la libertà sia veramente fondata e viva nella vita morale dell’uomo. Quel libro ha suscitato molti malintesi, perché non si riusciva affatto ad orientarsi nel modo di pensare che in esso si esplica. Infatti nella Filosofia della libertà viene già applicato quel tipo di pensiero al quale occorre pervenire ai fini della conoscenza dei mondi superiori. Lì se ne dà solo il principio, quel principio che ognuno può attuare già nella vita ordinaria: si tratta però al tempo stesso del principio di una conoscenza dei mondi superiori.

Il pensare ordinario è propriamente consistente di percezioni spaziali: basta riflettere sulle modalità del pensare ordinario, per convincersi che questa affermazione è giustificata. In fondo, nel nostro pensare ordinario noi organizziamo tutto quanto secondo criteri spaziali: si consideri che anche ciò che è temporale viene ricondotto a valori spaziali. Infatti, noi esprimiamo il tempo mediante i movimenti dell’orologio. In fondo, lo stesso processo è presente anche nelle nostre formule di fisica. Si scopre in sostanza che il nostro è un pensare DEDUTTIVO, il quale riunisce fenomeni e formazioni distanti fra loro.

Di questo pensare noi abbiamo bisogno nella vita ordinaria e nella scienza ordinaria, perché esse si svolgano in modo normale.

 

Invece il pensare che si deve mettere in opera ai fini della conoscenza dei mondi superiori, e che può essere conseguito mediante gli esercizi sopra menzionati, si potrebbe chiamare un pensare MORFOLOGICO, un pensare in figure.

Esso non si ferma nello spazio, ma è proprio un pensare che vive per mezzo del TEMPO, come l’altro pensare per mezzo dello spazio. È un pensare che non associa un concetto a un altro concetto, ma pone di fronte all’anima una specie di ORGANISMO DI CONCETTI. Qui non si può passare in un modo qualunque da un concetto, da un’idea, da un pensiero a un altro.

Proprio come nell’organismo umano non si può passare arbitrariamente dal capo a un altro organo qualsiasi, bensì si deve procedere prima al collo, poi alla spalla, al torace e così via: come in un organismo tutto risponde a una certa struttura, e se ne deve tener conto anche nell’osservazione dell’organismo stesso, così il pensare che ho chiamato morfologico deve essere interiormente mobile.

Esso sussiste, come ho già detto, nel tramite del tempo, non dello spazio, ma è interiormente tanto mobile da produrre una figura dall’altra: è un pensare che assume di continuo una forma organica, che cresce continuamente. È questo pensare morfologico che deve aggiungersi all’altro pensare: esso si può acquistare mediante gli esercizi meditativi ai quali ho accennato, e che rafforzano il pensare, conferendogli maggiore intensità. Con questo pensare morfologico che si svolge in figure, in immagini, si consegue il primo gradino della conoscenza dei mondi superiori, e precisamente quel tipo di conoscenza che nei miei scritti ho chiamato conoscenza immaginativa.

 

Chi dunque perviene a un siffatto pensare organico-morfologico (che continua per così dire a svilupparsi in un processo di crescita vivente) non può conservare i risultati nel ricordo ordinario. Anche la libertà non può venire caratterizzata se non si ascende a quel tipo di pensiero capace di svilupparsi, di crescere. Ecco perché la mia Filosofia della libertà è stata oggetto di tanti malintesi; quel libro dovette però essere presentato con questo metodo, appunto perché

• la LIBERTÀ è un’esperienza spirituale,

e ad essa non si perviene con l’usuale pensiero deduttivo.

[…] Una volta che in tal modo si sia arrivati a sviluppare il pensare immaginativo, si deve andare più oltre, valendosi della forza acquistata. Ho detto che, come il muscolo si rafforza grazie alla sua attività, così si rafforza la nostra capacità del pensare, eseguendo gli esercizi che ho descritti anche nei miei libri. Se si è riusciti a sviluppare in noi un pensare rafforzato, potenziato fino a diventare immaginativo, fino a vivere nel tempo, si può pervenire a potenziare anche altre forze della vita dell’anima.

 

Le rappresentazioni della vita ordinaria vanno e vengono; oppure noi stessi cerchiamo talora di sbarazzarcene, sia sul piano psichico, sia che l’organismo stesso vi provveda mediante l’oblio. Sarà invece più difficile far cadere in dimenticanza le rappresentazioni che avremo suscitate nella nostra coscienza ai fini di una conoscenza superiore: in questo caso bisognerà fare uno sforzo maggiore.

È questo un secondo tipo di esercizi che si potrebbe chiamare l’oblio artificiale, la soppressione volontaria delle rappresentazioni. Se questa soppressione artificiale delle rappresentazioni sarà stata esercitata per un tempo sufficiente (e diverso, a seconda della disposizione individuale), si perverrà a saper sopprimere anche l’intero quadro panoramico del quale ho parlato, in modo da svuotare completamente la propria coscienza. Dovrà sussistere allora soltanto il pensare compenetrato di volontà e di consapevolezza: ma a questo punto il pensare stesso si presenterà a sua volta trasformato.

 

Finora ho dunque menzionato già due diverse forme del pensare:

• quello ordinario, legato allo spazio,

• e quello che possiede una crescita propria,

quello in cui ogni pensiero si sviluppa dal pensiero precedente in modo organico,

come in un organismo una parte si sviluppa dall’altra.

 

• Proseguendo per un certo tempo questo pensare morfologico,

si perviene a poter sviluppare una terza forma del pensare:

e di questa si ha necessità, quando si sale al gradino superiore della conoscenza soprasensibile che sto per descrivere:

quando cioè nel mondo superiore

si va oltre quello che è un mero sguardo d’assieme sulla propria organizzazione.

 

• Con la conoscenza immaginativa si perviene a percepire la propria organizzazione

in modo da riconoscere che durante la vita terrena

l’animico-spirituale lavora sull’elemento corporeo fisico.

• Questo pensare morfologico è necessario, altrimenti non si potrebbe comprendere

ciò che si svolge nel tempo e che dalla sfera soprasensibile lavora su ciò che è sensibile:

non lo si potrebbe comprendere perché è in continua metamorfosi.

Occorre rendere mobile e interiormente coerente il proprio pensiero.

 

Non è possibile afferrare col pensiero soltanto deduttivo quel che vive con le proprie radici nello Spirito: occorre afferrarlo con un pensiero interiormente vivo.

Se però si vuole adeguarsi alle esigenze di un gradino ancora più alto della conoscenza soprasensibile, bisogna giungere a un altro pensare ancora, a un pensare che vorrei qui spiegare con un esempio. L’esempio stesso è un po’ diffìcile, ma ritengo che ci comprenderemo ugualmente!

 

Ricorderò anzitutto che Goethe cercò di interpretare le diverse ossa del cranio come ossa vertebrali modificate, trasformate: Goethe scorgeva dunque nelle ossa del cranio la metamorfosi, la trasformazione delle vertebre. Fino a un certo punto la scienza odierna condivide questa concezione: anche se non proprio nel senso in cui la intendeva Goethe, questa è una concezione accettata ancora oggi. Non si va però molto lontano, facendo solo derivare morfologicamente le ossa del cranio dalle ossa vertebrali: bisogna spingersi più oltre, se si vuole comprendere la relazione fra il capo e il restante organismo umano, anche limitandoci allo scheletro.

 

Bisogna pensare anche a qualcosa d’altro (e non solo a una trasformazione), se si pone per esempio questo problema: qual è la relazione fra il sistema osseo nella forma degli arti (delle braccia o delle gambe) e il sistema osseo nella forma in cui si presenta nelle ossa del cranio? Qui si comprenderà la metamorfosi per cui l’uno deriva dall’altro, solo partendo dalla constatazione che non si verifica soltanto una trasformazione spaziale nel corso del tempo, ma anche qualcosa di ben diverso, cioè una specie di inversione, di rovesciamento. Se si vuole comprendere il reciproco rapporto, poniamo, fra le ossa di un arto e quelle del cranio, occorre infatti paragonare la superficie esterna delle ossa craniche con la superficie interna di un osso lungo, per esempio del femore.

 

Sarebbe come se l’interno del femore venisse rivoltato verso l’esterno, e per di più se ne modificasse l’elasticità. In tal caso l’interno si mostrerebbe rivoltato in fuori, e la superficie esterna di un osso cranico corrisponderebbe alla superficie interna di un osso lungo degli arti. E viceversa, la superficie esterna, poniamo, della tibia non corrisponde alla superficie esterna della teca cranica, bensì alla sua superficie interna. Avverrebbe qualcosa di simile al rovesciamento di un guanto: l’interno viene rovesciato in fuori e al tempo stesso si modifica l’elasticità. Nasce una forma diversa: sarebbe come se un guanto non venisse soltanto rovesciato, ma assumesse (dopo essere stato rovesciato in fuori) una forma del tutto diversa, per effetto di nuove e diverse forze di elasticità.

 

Si vede dunque che per dare anche solo un primo accenno a questo terzo tipo di pensare, io mi trovo costretto a ricorrere a qualcosa di molto complicato: un pensare che non solo vive in forme che vanno modificandosi, ma che è capace di rovesciare all’esterno la configurazione dell’interno, cambiando anche di forma. Questo risulta possibile solo se col proprio pensiero non si permane più entro il tempo: per effetto di quel rovesciamento la cosa alla quale il pensare è rivolto esce dal tempo e dallo spazio, penetrando in una realtà che si trova al di là di spazio e tempo.

 

So perfettamente che non è facile orientarsi subito in questa terza specie di pensiero, del tutto diversa sia dal pensare deduttivo, sia da quello figurativo. È un pensare che, per così dire, si immerge nell’assenza di spazio e nell’assenza di tempo: poi riemerge qualcosa di forma modificata, con l’esterno rivolto all’interno, e viceversa.

L’Antroposofia non offre quel genere di discorsi dilettanteschi sui mondi superiori, che sono tanto diffusi; siccome l’Antroposofìa è una scienza onesta come qualsiasi altra scienza onesta, essa non può fare a meno di dichiarare che occorre non solo abbandonare l’ambito della scienza ordinaria, ma che deve cambiare del tutto il modo stesso di pensare. Per poter avanzare in questo modo fino a un pensare qualitativo, bisogna saper stabilire rapporti del tutto diversi nella propria interiorità, perché nel processo di rovesciamento, di inversione che è stato descritto si modifica completamente l’intera qualità del pensare.

 

Solo dopo avere in tal modo condotto il proprio pensare ad immergersi nel qualitativo, si potrà penetrare nei mondi soprasensibili applicando il tipo di conoscenza che fa seguito al pensare immaginativo. Dopo avere dunque soppresso il quadro panoramico del quale ho parlato, in modo da avere realizzato ora una coscienza vuota, per un breve tempo ci si trova appunto in questa condizione di coscienza vuota. Sopprimendo una rappresentazione, si può appunto rendere vuota la coscienza per un momento. Col sopprimere questa realtà (che durante l’esistenza terrena ci era sempre servita nei processi nutritizi, nella crescita), ci si immerge però in un mondo completamente nuovo: ci si trova nei mondi superiori e si ha dietro di sé, come un ricordo, l’ordinario mondo dei sensi.

• Occorre conservare questo ricordo, altrimenti si è uno psicopatico, non si è animicamente sani, si soffre di allucinazioni.

 

Se nell’indagine spirituale si procede in modo corretto, il chiaro raziocinio e la coscienza compenetrata di volontà rimangono intatti, fino ai mondi più alti: è del tutto escluso che si possa cadere preda di suggestioni o di allucinazioni. Infatti, in presenza di allucinazioni o di suggestioni, la coscienza ordinaria viene rimossa completamente da quella patologica. Caratteristica essenziale della coscienza intesa dall’Antroposofìa ai fini della conoscenza dei mondi superiori, è quella di rimanere del tutto intatta: si rimane ragionevoli e vigili, anche mentre ci si solleva ai mondi superiori. Del resto il rafforzamento del pensare, e poi quel suo rovesciamento di cui ho già parlato, quel pensiero sopra-morfologico, hanno il solo scopo di poter penetrare nei mondi superiori con piena e chiara coscienza. Ora si possono realmente sperimentare questi mondi superiori con un contenuto spirituale.