Considerazioni preliminari

La pietra fondamentale della Società Antroposofica


 

La Pietra fondamentale della nostra Società è qualcosa di unico al mondo, già per il fatto di non essere costituita di materia fisica, di granito terrestre, ma di consistere in un appello sacro, in una chiamata spirituale posta da Rudolf Steiner, durante la Riunione natalizia del 1923, nei cuori di tutti i membri. Ricordiamo, per cui il giusto senso del valore di questo fatto, che anche il Cristo Gesù affermò di voler costruire la sua Casa su di una Pietra angolare, e che questa Pietra è di conoscenza completamente interiore: essa è il riconoscimento umano dello Spirito divino del Cristo. E perché la Pietra angolare del Cristianesimo non è una realtà fisica esteriore, ma è congiunta con la più intima essenza dell’uomo? Il Cristo stesso ce lo dice: perché contro di essa non abbiano a prevalere le potenze dell’inferno.

 

Gli spiriti oppositori del Cristo possono muovere il loro attacco soltanto contro quei punti in cui si è verificato un distacco dalla spiritualità originaria ed è subentrata una realtà di ordine sottospirituale. Questa realtà decaduta, su cui gli oppositori hanno facile presa, è rappresentata essenzialmente dal mondo fisico materializzato e dall’anima umana dimentica dello spirito. Il Cristianesimo è però indipendente da tutto ciò. Nessun avvenimento del mondo, nessun fatto fisico, nessuna aberrazione umana può lederlo. Esso vive in quella sfera dell’esistenza da cui parte il terribile monito per gli oppositori: «Vade retro, Satana!».

 

E ora noi dobbiamo renderci ben conto, considerando questi fatti, paragonando la fondazione della Casa del Cristo con la fondazione della Società Antroposofica, che dopo la Riunione natalizia del 1923 anche la nostra cara Società è posta in quella sfera dell’esistenza che è completamente sottratta alle vicende del mondo, che è scevra di ogni aberrante influsso umano.

 

La Pietra fondamentale è intangibile e inviolabile. Contro di essa non hanno alcun potere né Lucifero né Arimane. Che la Società possa andar soggetta a fluttuazioni per opera di potenze esterne od interne è una pura illusione. Sappiamo che in alcuni Paesi d’Europa, e anche qui da noi, la Società è stata sciolta per costrizione esteriore. Ma che significato hanno queste parole? I soci non hanno potuto più riunirsi pubblicamente, non hanno trovato nelle librerie le opere del Dottore, hanno anche corso dei pericoli, hanno subito persecuzioni come in Germania, ma non per tutto questo hanno cessato di essere soci. Anzi più forte si è levato nei loro cuori l’anelito verso lo Spirito e in questo anelito viveva trionfante la Società, tutta la Società con i suoi membri terrestri e celesti, con il suo passato e con il suo avvenire.

 

Queste parole potranno anche essere considerate da taluni come pura retorica intesa a coprire fatti banalissimi. Si potrà dire che gli antroposofi hanno la pretensione di essere qualcosa di speciale, mentre sono in tutto simili agli altri uomini. Si potrà perfino ragionare nel modo che segue: certi regimi hanno obbligato lo scioglimento dei partiti ostili a loro. Ciononostante alcuni aderenti di questi partiti hanno conservato in sé la loro fede politica e, dopo la scomparsa dei regimi avversi, hanno potuto ricostruire i partiti disciolti. Che vi è di speciale in ciò? Non è questo modo di agire pertinente alla natura umana? Un fatto del tutto simile è avvenuto anche in certi Paesi per la Società Antroposofica. Perché si vuol vedere dunque in essa qualcosa di speciale? Perché gli antroposofi vogliono distinguersi dagli altri uomini e vogliono distinguere la loro Società da tante altre società umane soggette alle perturbazioni del caso e che perciò sorgono, fioriscono, declinano e alla fine scompariscono del tutto? Che differenza c’è se alcuni uomini si riuniscono per tirar calci a un pallone e altri per occuparsi delle loro fantasticherie?

 

Chi si limita alla osservazione dei fatti esterni, non può ragionare che così. Tra un uovo vero di gallina e uno di quelli finti che si mettono nelle cassettine della cova, potrà esserci ben poca differenza visibile. Solo che dal primo può nascere un pulcino e dal secondo no. Gli uomini di solito hanno ben poca capacità di veder dentro nelle cose e perciò vanno soggetti ad ogni sorta di errori e di illusioni.

 

È ben vero che quando un partito politico o una società qualsiasi viene disciolta, i membri che ne facevano parte rimangono e possono anche conservare nell’anima gli ideali comuni. Ne deriva questo fatto: il partito non è più, rimangono gli uomini con la loro idea. Se invece una qualche potenza esteriore ha l’illusione di poter costringere la Società Antroposofica a disciogliersi, ne consegue quest’altro fatto: i membri possono anche essere dispersi, la società continua a vivere come prima. E ciò per il fatto che la Società Antroposofica non è una realtà fisica, non esiste nel mondo in questo o quel Paese, p. es. in Germania, in Svizzera, in Italia, in Olanda, ecc. Essa è una realtà soprasensibile che vive nell’anima dell’uomo. Non può quindi essere lesa nella sua intima essenza da avvenimenti esterni. Il governo di un Paese qualsiasi non può sciogliere la Società Antroposofica per il semplice fatto che in quel Paese essa non esiste, come non esiste in alcun altro Paese del mondo. Essa non è realtà del mondo, è realtà dell’anima.

 

Il mondo non può nulla contro la Società. Però può una cosa; gli è possibile rifiutare di accogliere gli impulsi spirituali che provengono dalla Società. Se un Paese obbliga la Società a cessare la sua attività, ciò non significa che in quel Paese la Società viene disciolta. Significa che quel Paese rifiuta di accogliere l’azione spirituale che dalla Società promana. Perciò il cosiddetto scioglimento forzoso della Società può essere anche un danno gravissimo, una catastrofe irreparabile. Ma intendiamoci bene: non per la Società stessa, bensì per il Paese che la ripudia.

 

Ora è naturale, è umano che gli antroposofi sentano questo danno, questa catastrofe come un fatto che li tocca direttamente e ne provino dolore. Nessuno può né deve andare contro la propria natura umana. Si deve soffrire per il fatto che non ci si può più riunire con gli amici e svolgere l’attività prediletta. Bisogna però spogliare questo dolore da ogni influsso egoistico e sentire piuttosto il male che, a cagione del rifiuto di accogliere l’antroposofia, colpisce gli stessi avversari della Società e quindi il mondo intero. Questo sentimento renderà l’antroposofo maturo al sacrificio. Egli dirà: rinuncio al conforto che viene all’anima mia dal coltivare lo studio della Scienza dello Spirito assieme con i più cari amici, e voglio portare da solo l’antroposofia in un mondo ostile e chiuso. Se saprò sorreggerla in me senza alcun aiuto esterno, allora le forze che svilupperò in tal modo, mi renderanno atto nel momento stabilito dalle Potenze superiori a passare alla giusta azione per infrangere le porte del mondo chiuse alla salutare influenza dello Spirito.

 

L’antroposofo che abbia veramente compreso l’essenza della Società alla quale appartiene,

non ricerca in essa la propria edificazione interiore,

ma la considera come uno strumento per servire disinteressatamente l’umanità.

La Società gli dà naturalmente anche l’edificazione interiore, ma anche questa deve essere praticata nel modo indicato dal Dottore: la rosa si fa bella non per se stessa, ma per adornare il giardino.

 

Anche in ciò abbiamo indicato un elemento che distingue la nostra Società da ogni altra società umana. Se un uomo è amatore del giuoco degli scacchi, è logico ch’egli si iscriva a qualche Circolo scacchistico per aver modo di coltivare la sua passione. La Società gli dà il modo di soddisfare la sua necessità. Similmente un contadino può sentire il bisogno di iscriversi al Partito agrario perché i suoi interessi vengano tutelati nella vita complessiva dello Stato. Le associazioni sorgono sempre da questi bisogni individuali. La società viene costituita per essere posta al servizio di coloro che vi aderiscono.

Questo però non è il caso della Società Antroposofica. Essa non è stata costituita per servire i suoi membri, ma perché i suoi membri, appunto per mezzo di essa società, possano servire l’intiera umanità.

E tuttavia la Società Antroposofica non è per questo un ente di beneficenza, come p.es. la Croce Rossa, che pure si propone fini umanitari. La sua azione a pro dell’umanità va intesa in altro senso. Essa non è una cura delle anime, ciò che è invece di pertinenza delle singole Chiese confessionali. Ciò che proviene dall’antroposofìa non può essere accolto dall’uomo per se stesso, ma per l’umanità intera.

 

Con ciò abbiamo indicato la chiave dei rapporti fra Società e mondo esterno, fra antroposofi e non antroposofi.

Fra l’antroposofo e il non antroposofo possono sempre intercorrere i migliori e più profondi rapporti umani. L’antroposofo può sentire l’edificazione che le conoscenze superiori hanno prodotto nella sua anima e può quindi sentire il bisogno di questa edificazione che c’è nelle anime distrutte dal materialismo e dall’ateismo. In tal modo egli va amorevolmente incontro a tutti coloro che coscientemente o incoscientemente soffrono per la mancanza di alimento spirituale. Vien sempre data all’antroposofo la possibilità di fare del bene personale nella cerchia delle sue conoscenze. Si badi però bene, egli agisce a beneficio del singolo uomo come singolo uomo, non come rappresentante della Società.

 

L’antroposofo può rivolgersi all’Io inferiore dell’uomo, la Società soltanto e sempre all’Io superiore. Ciò che promana dalla Società non fa mai appello ai bisogni egoistici delle singole anime. Perciò abbiamo detto poco prima che l’uomo non può accogliere l’antroposofia per se stesso, ma per l’umanità intera che c’è in lui, cioè per il suo Io superiore.

Ciò spiega perché siano così stentati i passi dell’antroposofia nel mondo. Essa non dà nulla che a tutta prima appaghi i bisogni personali dell’uomo. Essa si presenta caso mai come un bagaglio di pesanti nozioni che sembrano non avere alcuna utilità per la vita pratica. L’uomo ha bisogno di qualcosa che lo riscaldi, mentre una scienza ch’egli crede astratta, gli pone nel cuore nuovo gelo. Soltanto chi sia capace di accogliere la Scienza dello Spirito antroposofica con abnegazione, s’accorge come essa si trasformi in lui in vita pulsante piena di forza e di calore.

Difficile è dunque il cammino dell’antroposofia nel mondo perché gli uomini rifiutano quasi sempre un dono che già da principio non riesce loro personalmente utile. All’accettazione dell’antroposofia, l’anima egoistica pone quasi sempre la clausola del beneficio d’inventario. Fatto l’inventario e trovatolo passivo, si rifiuta il dono.

 

Difficile è anche la vita nella Società. Sappiamo che la Riunione di Natale del 1923 segna per la Società una svolta decisiva. Chiediamoci: che cosa era la Società prima di allora e che cosa è diventata dopo?

Prima del Natale 1923 la base sulla quale poggiava la Società era la seguente: tutti i membri partecipavano in ugual misura ai doni spirituali largiti da Rudolf Steiner. Il suo insegnamento era reso accessibile a tutti i membri con la distribuzione indistinta dei cicli di conferenze.

La Società aveva allora una base reale che teneva conto soprattutto dei bisogni delle anime. Come le altre Società umane, essa era stata costituita per servire nel miglior modo possibile i suoi aderenti. Perciò accanto e al di fuori della Società vi era il Movimento antroposofico che si proponeva altri fini. La Società era al servizio dell’uomo, il Movimento era al servizio dell’umanità. E lo Spirito del Maestro era congiunto non con la Società, ma con il Movimento.

 

Purtroppo molti degli uomini di quel tempo portarono nella Società le loro piccole e miserabili passioni personali e ciò riuscì di grande pericolo non solo per la vita della Società, ma anche per lo stesso Movimento. Il dissidio interno aprì il fianco ai colpi degli avversari. Il Goetheanum, coronamento dell’opera sacrificale del Dottore, fu incenerito dalle fiamme. Allora il Maestro, che tanti sacrifici aveva già compiuti, compì anche il sacrificio estremo. Congiunse il suo Spirito e i sublimi impulsi celesti che agivano nel Movimento con la Società antroposofica. Ciò avvenne nella Riunione natalizia del 1923. Da quel momento in poi la Società mutò il suo senso e la sua ragione d’essere. Essa volle spogliarsi della sua veste terrena e dei residui degli egoismi umani che aveva ancora in sé e che l’avevano portata all’orlo del disastro, per vestire il manto celeste di essere soprasensibile.

 

E la base della Società è ora questa: attingere nei mondi spirituali ciò che si vuole realizzare in terra.

Le parole non riescono a ridire il pieno significato di tale fatto, tanto questo fatto è estraneo e sconosciuto alla nostra epoca materialistica. Esso significa il ritorno, il ripristino, la rinascita spirituale nel senso cristiano dei Misteri.

 

Sappiamo che i Misteri avevano guidato l’umanità per lunghi periodi della sua evoluzione. Poi vennero spenti nel cuore della notte spirituale, nel Kali-yuga. Ora ritornano e la Società Antroposofica è il Nuovo Mistero Cristiano dell’umanità. Gli impulsi che partono da essa sono destinati a dare col tempo nuova forma alla civiltà umana.

Ciò sarà possibile se i Soci vorranno ripagare almeno in piccola misura il sacrificio del Dottore. Il suo è stato un grande sacrificio. Egli ha sacrificato il suo essere perché la Società potesse vivere e progredire nel modo giusto. Dai soci non si richiede tanto. A loro vien chiesto un piccolo sacrificio. I Soci dovrebbero sacrificare soltanto la parte più grossolana ed egoistica della loro personalità. Essi dovrebbero essere coscienti che la Società non è fatta per servire i loro piccoli interessi personali. La Società persegue alti fini umani e chi ne diventa membro dovrebbe cercar di elevarsi alla visione di questi fini e di questi compiti. Perché soltanto la visione di ciò che è universalmente umano può dare la forza di uscire dai ristretti limiti della propria personalità egoistica.

 

Tra gli esercizi che ci dà il Dottore per migliorare la nostra natura troviamo anche il seguente: compiere qualche lavoro che ci riesce sgradito e antipatico. Questo esercizio ci abitua all’abnegazione, risveglia in noi il sentimento che il nostro lavoro, la nostra opera non deve essere compiuta per la soddisfazione personale che può darci, ma per essere posta al servizio degli altri nostri fratelli.

Questo esercizio dovrebbe essere praticato sistematicamente nella Società da tutti i membri. Un gruppo si riunisce p.es. per dedicarsi allo studio di un “Corso di scienze naturali” del Dottore. A questo studio partecipano coloro che per la loro professione o la loro disposizione interiore hanno sviluppato interesse per la fisica, ed è ovvio che sia così. Costoro vanno alla ricerca di ciò che può dar loro un appagamento personale. Sarebbe però bene che a questi studi partecipassero anche coloro che non se ne sentono particolarmente attratti, anche coloro a cui addirittura questi studi ripugnano. Si dovrebbe tener sempre presente che questo o quel corso, questo o quel ciclo non è stato tenuto dal Dottore per appagare un ristretto numero d’anime, ma per portare sempre nuovi contributi a una concezione universalmente umana. Le circostanze in cui un ciclo fu tenuto potrebbero anche indurre in errore, ma il contenuto rivela sempre e senza alcun dubbio il suo carattere universale. Anche quando parla sull’essere delle api, delle vespe, delle formiche a un ristretto numero di allevatori, il Dottore parla a tutta l’umanità.

 

Se i soci praticassero con coscienza l’esercizio che abbiamo nominato, nei vari gruppi di studio e nella Società stessa si formerebbe un sano e naturale equilibrio, si effettuerebbe una reciproca correzione delle tendenze personali e unilaterali. La Società – lo sappiamo bene – non è una setta. Sussiste però sempre il pericolo che un qualsiasi piccolo gruppo si senta e si autoproclami una setta speciale. Ciò può avvenire con facilità quando delle persone si riuniscono per appagare il loro interessi personali. Se questi interessi sono elevati e spirituali, tanto peggio, perché maggiore è il pericolo dell’isolamento luciferico. Quando però alle riunioni è presente magari una sola persona che non vi partecipa per trovarvi un particolare gradimento, ma per studiare disinteressatamente l’antroposofia, allora l’equilibrio è ristabilito, la correzione si fa sentire e il pericolo scompare.

 

Ora, cari amici, bisogna avere il coraggio di guardare la realtà in faccia. Non si può dire che tutti i soci abbiano accolto l’antroposofia con disinteresse personale. Molti l’hanno accolta soltanto per gonfiarsi interiormente, per riempire e nutrire la loro vanità. Ne abbiamo avuto degli esempi anche tra di noi, ma non vogliamo far nomi, perché ciò è odioso e perché è assai più utile scoprire e combattere una tendenza che può essere nascosta in ognuno di noi, anziché colpire una persona. Una cosa però deve essere ribadita: chi si comporta così commette un vero e proprio furto spirituale e s’apre l’adito alla via nera.

E non è tanto pericoloso che un Max Heindel racimoli qua e là dai cicli del Dottore delle nozioni esoteriche e poi vada in America a spacciarle come farina del proprio sacco; è assai più pericoloso quando qualche Max Heindel rimane nella società a spacciare i parti della sua fantasia esaltata.

 

Sappiamo che Arimane è il grande Ladro cosmico. Non avendo nulla di proprio se non il freddo calcolo e l’astuzia, ruba alle Gerarchie ciò che vuol utilizzare secondo i suoi fini. Chi accoglie l’antroposofia soltanto per se stesso, non solo commette questo furto arimanico, ma attraverso la vanità e l’illusione del sapere apre l’anima all’attacco luciferico. E tutto ciò lo porta alle più ardite aberrazioni. La Società, in ogni parte del mondo, ha dovuto soffrire per questi casi estremi di larvata follia. Il Dottore ci dice che la Società non raccoglie soltanto gli eletti, ma anche anime umane alla deriva alle quali viene con ciò offerta un’asse di salvezza. Non tutte di quest’ultime ne approfittano e allora comincia per esse l’inabissamento. La Società deve di continuo lottare contro i gorghi che così si formano nel suo seno, ma si può anche capire che essa accetta volentieri questa lotta che deriva da un suo atto sacrificale. Sta al singolo di rendere meno gravoso il sacrificio che ha fatto la Società nell’accoglierlo nel suo seno.

 

Ma vogliamo anche prescindere da questi casi estremi, vogliamo considerare coloro che nel miglior senso della parola vogliono lavorare per se stessi, con la speranza di arrivare in tal modo ad una alta meta spirituale. Vi sono dei soci di grande elevatezza morale, che pur sono portati a considerare l’antroposofia soltanto come un dolcissimo miele spirituale per il nutrimento delle loro anime. Essi potranno realizzare anche una altissima edificazione dell’anima, ma non potranno mai con questo loro atteggiamento pervenire all’obiettiva realtà del mondo spirituale. Sarà loro destino rimanere chiusi in se stessi, pur avendo l’illusione di spaziare nell’ampio mondo spirituale. Rudolf Steiner definisce questo atteggiamento con le seguenti parole: «Questa è la forma spirituale dell’egoismo, a cui gradatamente è pervenuta l’umanità sotto l’influsso dell’evoluzione materialistica dei tempi moderni» (Dornach, 30.IV.1918).

 

Una simile forma di egoismo spiritualmente raffinato è molto pericolosa per la vita della Società, perché coloro che ne sono affetti sono esposti di continuo al ludibrio delle loro illusioni, pur credendole obiettive ispirazioni dei mondi spirituali. Vedete, un Max Heindel, quando resta nella società, mente sapendo si mentire e ciò toglie gran parte della sua forza nociva. Egli finisce con l’afflosciarsi su se stesso e a condurre vita marginale. Ai margini della Società, in ogni parte del mondo, vivono e prosperano perciò dei gruppi purulenti che fanno capo a un qualsiasi Max Heindel, a un qualsiasi baro spirituale. La Società non può esimersi dal portare addosso questa croce, perché da quella parte può pur sempre venire qualche anima che finalmente è riuscita ad aggrapparsi all’ancora di salvezza dell’antroposofia.

 

Diverso è il caso degli inconsapevoli egoisti spirituali. Essi non si afflosciano, essi hanno la forza che vien loro dalla moralità e dall’elevatezza interiore. Perciò si pongono quasi naturalmente al centro della vita della Società e tentano di imporre i loro dettami personali, facendo ciò con tanta più forza quanto maggiore è la loro illusione di crederli obiettive esigenze dei mondi spirituali.

 

Noi sappiamo con grande rammarico che ora la nostra cara Società è straziata da un dissidio sleale, da un conflitto oscuro. E tanto più profondo è il nostro dolore, in quanto molte persone coinvolte in questo oscuro conflitto sono, per la loro moralità e la loro elevatezza spirituale, degne della massima stima. Eppure dobbiamo dire con la massima chiarezza di pensiero e con la massima serenità d’animo: questo doloroso conflitto, quali che siano le sue cause apparenti o reali, è potuto penetrare nella Società e straziarla solo perché alcuni membri si sono dimenticati dello spirito della Riunione natalizia e hanno posto la propria personalità al di sopra degli obiettivi e universali fini dell’antroposofia.

 

Qui cade opportuno un avvertimento, che sarebbe del tutto inutile e superfluo se l’esperienza dolorosa dei fatti non ci insegnasse come in queste questioni delicate gli animi degli uomini siano facilmente inclini alla malcomprensione e alla distorsione della verità. Quanto vien qui detto non tocca affatto le elevate personalità di Albert Steffen e della signora Maria Steiner. Queste due grandi personalità, che fanno smorzare ogni critica e suscitano soltanto rispetto e reverenza, possono semmai servire da luminoso esempio di come si possa servire l’antroposofia come un’abnegazione e un disinteresse personale che spesso toccano l’eroismo. Se qualche facile critica ci sale alle labbra, pensiamo che Maria Steiner è la mirabile realizzatrice delle intenzioni artistiche del Dottore e che Albert Steffen è colui che per primo ha portato in sé la scienza antroposofica al grado di saggezza antroposofica.

 

Il dissidio non può mai toccare i vertici. Il distacco che li separa non è che il segno della loro elevatezza. Solo le basi possono costituire l’unità, rafforzarla o infrangerla. E quando i fondamenti sono infranti, le stesse vette minacciano di crollare.

Questo paragone potrà forse aiutarci a comprendere che la distanza che separa l’uno dall’altro Albert Steffen e Maria Steiner non è che il segno esteriore della loro grandezza spirituale. Quanto proviene da quelle alte vette è sempre salutare e proficuo per la vita della Società. E non è colpa loro se alcuni gruppi di membri lo trasformino in tossico e fiele. Ciò avviene perché questi gruppi carpiscono l’attività di Albert Steffen o di Maria Steiner e la utilizzano per i loro inconfessabili fini personali. Come si manifesta ciò in pratica? Una personalità qualsiasi, dotata magari di eminenti qualità intellettuali, aspira a una certa posizione di preminenza in seno alla Società. Viene spinta a ciò da una gretta ambizione personale, che però nasconde col dire che solo da quel posto potrà servire nel migliore dei modi possibili l’antroposofia. Per assicurarsi quella posizione deve rimacinare a modo suo il buon grano che proviene da Albert Steffen o da Maria Steiner e mette così in seno alla Società i germi della dissoluzione.

 

Ora che abbiamo chiarito il nostro pensiero, dobbiamo tornare a insistere sulla necessità di dover considerare l’antroposofia come qualcosa che non riguarda la nostra personalità. Dobbiamo accogliere l’antroposofia non come il prof. Caio o il marchese Tizio, ma come un Uomo che cerca di elevarsi al di sopra della sua razza, nazione, professione, credo religioso, scientifico e politico. E il lavoro interiore non deve essere condotto con lo scopo di rafforzare il proprio sé, ma per spogliarlo del suo contenuto egoistico ed elevarlo al reale e universale mondo dello spirito.

 

L’esercizio che abbiamo già indicato può aiutare grandemente a procedere in questo senso. Il lavoro dei gruppi dovrebbe portare a manifestazione il disinteresse personale dei singoli. Purtroppo spesso avviene il contrario. La Società è afflitta – e lo diciamo senza ironia – da troppe personalità energiche ed eminenti. Queste personalità si lamentano talvolta di avere intorno a sé soltanto un contorno di donnette insignificanti e ignorantelle. Ma poi che cosa avviene? Avviene che un bel giorno qualche personalità eminentissima, non sapendo più come gonfiare la propria vanità già supernutrita di sapienza antroposofica, comincia a dire in tutta segretezza che essa è la reincarnazione di Ramsete II o di Parsifal, o che s’incontra ai Giardini Pubblici con il sempre incarnato Cristiano Rosacroce. E spera naturalmente che il suo diventi quanto prima il segreto di Pulcinella. Vediamo così che questi eminenti personaggi che affliggono la vita della Società, vanno incontro a una ben triste sorte spirituale, mentre le donnette insignificanti e ignorantelle, dopo un po’ di tempo, cominciano ad emanare calore e luce. E perché questo miracolo? Perché esse hanno accolto l’antroposofia in modo impersonale e disinteressato. Hanno partecipato allo studio de “La Filosofia della Libertà”, non per fare grandi discussioni e mettere in mostra il loro senno filosofico, ma per imparare qualcosa che riguarda l’umanità intera. In loro l’antroposofia rivela il suo vero essere: essa dà tutto a chi non richiede nulla per sé. Chi invece ruba i tesori dell’antroposofìa per arricchire se stesso, diventa interiormente sempre più miserabile e vuoto.

 

Abbiamo detto che la nostra Società è intangibile e inviolabile e che non può essere lesa da alcuna potenza esterna od interna.

Può avvenire però questo:

Il mondo esterno può respingere i suoi doni.

I membri possono ingoiare i beni che hanno ricevuto.

E non si sa se è più dannoso il rifiuto del mondo o il furto del membro.

Una cosa è però certa: chi soffre per il rifiuto o per il furto non è la Società, è l’umanità.