Risposte a domande dopo la conferenza

O.O. 332a – Cultura, politica, economia – 30.10.1919


 

Signor Ballmann: Dopo aver assistito a queste sei conferenze del Dr. Steiner e a quelle tenute qui a Zurigo dal Dr. Boos, dalla mia posizione neutrale ho da dire qualcosa di assolutamente neutrale. Tutte queste conferenze sono, se così posso dire, tratte dalla vita pratica per la soluzione di tali questioni, proposte ed esempi che devono risultare direttamente a chi occupa una posizione pratica. Mi è sembrato che le conferenze siano state fatte in modo da indurre alla riflessione personale, così che si debba trovare la soluzione da soli. È facilmente comprensibile che proprio per questo si sentano sollevare obiezioni da quelli che sono abituati a ricevere sul piatto qualcosa di pronto, di già confezionato. Ma allora bisogna dire che queste persone non sanno digerire, hanno uno stomaco, ma una digestione che non funziona, poiché non sono in grado di digerire essi stessi quello che gli viene servito. E devo dire che questo fa parte delle situazioni e delle istituzioni che ci riguardano nella vita e che ci causano quei dolori di stomaco che ci spingono anche ad affrontare in modo libero e imparziale le questioni che sorgono in forme nuove. Questo è il ringraziamento che, dalla mia posizione neutrale, desidero esprimere al Dr. Steiner e al Dr. Boos, e credo di aver interpretato il loro pensiero.

 

Signora…: Mi sembra che altruismo, amore ed egoismo dovrebbero essere la stessa cosa. E secondo me non è affatto necessario superare l’egoismo elevato alla massima potenza, perché è qualcosa di bello.

 

Rudolf Steiner: Cari ascoltatori, innanzitutto è stata posta per iscritto la domanda:

Qual è la posizione del Dr. Steiner rispetto all’economia degli interessi e al reddito senza lavoro?

 

Cari ascoltatori! Me ne sono occupato nel mio libro I punti essenziali della questione sociale, in maniera non polemica ma costruttiva. Mi è stato più volte rimproverato il fatto che il tasso di interesse non sia ancora scomparso dal mio progetto di assetto sociale per una convivenza umana.

Cari ascoltatori, mi sembra più onesto porsi sul terreno della realtà e sottolineare ciò che è veramente possibile e necessario, anziché mettersi su un terreno nebuloso limitandosi ad avanzare rivendicazioni campate per aria.

 

Nel mio libro I punti essenziali della questione sociale ho cercato di mostrare che è assolutamente necessario lavorare con il capitale. Senza accumulare capitali non è possibile creare grosse aziende, e tantomeno realizzare un’economia di tipo moderno. Se poi questo capitale viene concepito sotto forma di denaro o in un’altra forma, è una questione a parte.

 

Quando affronta la questione sociale, la maggior parte delle persone fa molto spesso l’errore di prendere in considerazione solo il momento presente, come se si trattasse di un unico istante, e riflette solo su questo momento chiedendosi: come dev’essere organizzata qui e ora la vita economica? Ma fare economia significa anche usare ciò che si è conseguito fino al momento presente per creare le basi in vista dell’economia del futuro. Senza creare una base per il futuro, sarebbe impossibile salvaguardare la continuità della vita economica, che si interromperebbe in continuazione.

 

Questo però non giustifica l’interesse dai proventi finanziari, cioè il tasso composto, ma solo la maturazione di interessi, cioè il tasso semplice, dato che deve esistere la possibilità che in ogni punto nel tempo si lavori abbastanza da far sì che da questo lavoro derivino delle prestazioni che servano anche ad un lavoro nel futuro. Questo è impensabile senza che l’interessato riceva una sorta di equivalente per ciò che deve produrre in futuro, vale a dire una specie di tasso di interesse.

 

Avrei anche potuto chiamarlo diversamente se avessi voluto lusingare quelli che oggi inveiscono contro l’interesse nel reddito, ma mi è sembrato più onesto dire le cose come stanno realmente. È necessario che coloro che contribuiscono in qualche modo alla possibilità di accumulo e utilizzo del capitale – questa è forse la maniera più semplice di esprimere dei processi complessi –, ricevano in base al lavoro svolto nel passato e nel presente una retribuzione in vista del futuro. L’interesse nella forma da me descritta nel mio libro I punti essenziali della questione sociale non è nient’altro che la retribuzione, in vista del futuro, di ciò che è stato prodotto nel presente.

 

Bene, cari ascoltatori, parlando di queste cose va naturalmente sempre preso in considerazione tutto quello che costituisce un elemento necessario dell’organismo sociale. Per esempio nell’uomo quello che conta è che il suo corpo abbia tutte le membra, perchè devono agire insieme. Si può capire un arto solo a partire dall’uomo nel suo insieme. Lo stesso vale per l’organismo sociale, dove il singolo elemento può essere compreso solo partendo dal tutto.

 

Se ricordate quanto ho spiegato riguardo a come va interpretato il rapporto nel trattamento dei mezzi di produzione, vedrete che si tratta del fatto che i mezzi di produzione costano qualcosa, sono vendibili, solo finché non sono ultimati. Se non sono ultimati rimangono presso chi ha la capacità di ultimarli, dopo di che però vengono trasferiti in base a rapporti giuridici, ragion per cui non sono più vendibili.

 

Questo comporterà un effetto ben preciso anche sul patrimonio monetario. L’importante non è tanto fare delle leggi per cui il denaro non debba fruttare interessi, quanto il creare dei processi adeguati all’organismo sociale.

 

Quello che esiste sotto forma di patrimonio monetario assumerà un carattere analogo a quello di altri beni. Oggi gli altri beni si distinguono dal denaro perché deperiscono o si consumano. Il denaro non è costretto a deteriorarsi. Questo avviene su lunghi periodi di tempo, ma non a breve scadenza, il che fa credere a certe persone che il denaro si conservi anche a lungo andare. Ci sono state addirittura persone che hanno fatto testamenti in cui lasciavano in eredità questo o quello a una città. Poi ne hanno calcolato l’ammontare risultante un paio di secoli dopo, somme talmente ingenti che si sarebbero potuti pagare i debiti pubblici di un intero Stato fortemente indebitato.

 

Ma il bello è che poi non rimane più niente, perché è impossibile continuare così a lungo una corresponsione di interessi per del denaro, come è possibile attuarla per periodi brevi. Ma se nel processo economico i mezzi di produzione cessassero di costare nel momento in cui sono ultimati e se la proprietà terriera diventasse veramente un oggetto giuridico – non un oggetto d’acquisto o economico –, allora il patrimonio monetario, come ho ripetutamente detto, dopo un certo periodo di tempo comincerebbe ad emanare un cattivo odore, come fanno i cibi andati a male, che non sono più commestibili. Semplicemente dal processo economico stesso risulta che il denaro dopo un determinato periodo di tempo perde il proprio valore, periodo che non è affatto ingiustamente breve. Ma le cose stanno appunto così.

 

Da ciò vedete come questo impulso per l’organismo sociale triarticolato sia concepito a partire dalle realtà. Quando emanate delle leggi, non fate che sfornare delle astrazioni con cui volete dominare la realtà. Se invece riflettete sulla realtà, allora vi verrà di plasmarla in modo che salti fuori ciò che corrisponde alla più profonda coscienza dell’uomo.

 

In un organismo come quello che ho in mente non c’è posto per il reddito da disoccupazione o in assenza di lavoro in quanto tale. L’importante è avere le idee chiare su queste cose. Che cos’è in fondo un reddito da disoccupazione? In questo concetto di “reddito da disoccupazione” ci sono moltissimi punti oscuri, e con i concetti confusi non è possibile effettuare delle riforme. Vedete, per chi pensa che solo lo spaccar legna sia un lavoro, quello che per esempio un individuo riceve per un quadro che ha dipinto è senz’altro un reddito da disoccupazione. È detto solo in maniera un po’ radicale, ma è così che spesso viene giudicato il cosiddetto reddito da disoccupazione.

 

Vedete, ciò che costituisce dei valori economici si compone di vari fattori presenti nella vita. In primo luogo è costituito dai talenti degli uomini, in secondo luogo dal lavoro e in terzo anche da costellazioni di rapporti. E affermare che un bene inserito nella circolazione economica non è altro che lavoro cristallizzato è uno degli errori più madornali che si possano fare, perchè non è affatto così.

 

In queste conferenze mi sono espresso a proposito del lavoro. L’importante è che il concetto di lavoro non venga in qualche modo messo in relazione, come accade spesso oggigiorno, con quello di reddito. In realtà un uomo ottiene il proprio reddito non solo per mangiare e bere o per soddisfare altri bisogni fisici o psichici, ma anche per lavorare per gli altri uomini. Il processo economico è quindi molto più complesso dei semplici concetti con cui di solito lo si vorrebbe afferrare.

 

Il relatore fa derivare dall’egoismo anche la sovracoscienza, gli stati di trance, l’illuminazione e così via?

 

Cari ascoltatori, ho già fatto notare chiaramente che quelle che io cito come fonti della visione spirituale si conseguono percorrendo la stessa via delle cose che provengono dall’egoismo. Ma se due percorrono la medesima strada, non per questo devono necessariamente provenire dallo stesso punto di partenza. Entrambi passano per l’interiorità dell’uomo, ma uno sorge da profondità oggettive, come ho già detto, e si eleva ad altezze oggettive. Non vorrei però essere frainteso.

 

Cari ascoltatori, gli stati di trance non hanno niente a che vedere con la sovracoscienza, ma vengono dal subconscio, più ancora delle emozioni e cose simili. E alcuni fenomeni che vengono chiamati “illuminazione”, che vengono da soli, il più delle volte hanno molto a che fare con il subconscio. La mia idea di sovracoscienza la trovate descritta nel mio libro L’iniziazione: come si consegue la conoscenza dei mondi superiori?

 

Quale motivazione dà il relatore all’opinione espressa nella discussione di ieri, divergente dalla concezione della moderna economia nazionale, in base alla quale solo la proprietà fondiaria è produttiva? Alla base di questa affermazione c’è forse solo un’altra definizione del concetto di produzione, di produttività?

 

Ritengo di non aver minimamente dato motivo di credere che io sia del parere che solo la proprietà fondiaria sia produttiva. Cari ascoltatori, non è produttivo occuparsi eccessivamente di concetti come “produttivo”, “improduttivo” e simili. È importante non fermarsi troppo a concetti fissi, già bell’e fatti. Oggi gli uomini usano troppo spesso parole vuote. Ciò che conta non è definire qualcosa come produttivo o improduttivo – dato che dipende sempre dal significato che diamo a questi due aggettivi –, ma descrivere le situazioni concrete in base ai loro contesti reali.

 

Ieri ho cercato di descrivere come la proprietà fondiaria si inserisca nel processo economico in modo diverso per esempio dalla produzione. E ciò che conta è questo tipo di descrizione, questo modo di caratterizzare.

 

Se ci si volesse una buona volta rendere conto di quanti danni si provocano oggi, soprattutto nelle scienze, fissandosi su pure definizioni di termini! Non occorrono definizioni per qualcosa che si descrive. Oggi è diffusa la brutta abitudine di dichiararsi a proposito di una cosa o di un’altra di questa o di quella “opinione”. Prima bisogna mettersi d’accordo su quello che si intende col termine di “opinione”, ed è probabile che, dopo aver speso molto tempo per raggiungere un’intesa, ci si accorga di pensarla tutti allo stesso modo.

 

Quando parlo di produzione economica – se intendo chiamare produzione ciò che porta ad un effettivo consumo –, devo prendere in considerazione tutti i singoli fattori in causa, dai più elementari ai più complessi.

 

Vedete, allora per esempio diventa molto difficile elevarsi al di sopra di quella che in senso lato potrebbe essere definita “l’economia degli animali”. Anche gli animali mangiano e bevono, quindi anche loro, finché non vengono addomesticati, hanno una specie di vita economica. Ma di solito si godono quello che non ha bisogno di molta preparazione. La maggior parte degli animali prende in natura quello che per loro già esiste; nel loro caso è quindi la natura a essere “produttiva”, se vogliamo usare questo termine.

 

Molte cose che l’uomo consuma sono prodotte dal suolo. Se si nutre esclusivamente di frutta, non è molto distante dal tipo di economia degli animali, differisce solo nei rapporti di circolazione e di proprietà, fermo restando che anche negli animali si potrebbero scorgere degli accenni di rapporti di “proprietà”.

 

Ma ora si tratta di continuare a seguire il processo, per vedere come l’uomo comincia dapprima a lavorare ciò che la natura gli fornisce, per poi metterlo in circolazione ecc. ecc. Allora si segue l’evoluzione di un concetto che ha inizio in natura. E si arriva fino a quella che è la produzione per il lusso eccessivo, che non corrisponde più a bisogni reali o ragionevoli.

 

Delimitare il concetto di produttivo o improduttivo è dunque qualcosa che in fin dei conti porta a un risultato nebuloso. Ovviamente, se a uno piace muoversi in questi concetti nebulosi, può discutere a lungo, nel senso dei fisiocrati, sul fatto che solo la lavorazione del terreno è produttiva. Si può però obiettare: anche la pratica di scambi commerciali è produttiva, e lo si può dimostrare altrettanto bene. Ma proprio qui sta l’errore: ciò che serve non è il formulare la definizione di cosa è produttivo e cosa no, ma avere davvero uno sguardo d’insieme e coerente dell’intero processo dell’economia.

 

Per questo vi prego di non pensare che anche ciò che vi ho presentato possa essere incasellato in una sorta di definizione, ma di intenderlo come una descrizione fedele di quanto avviene realmente nella vita economica. Credo di avervi fatto notare una differenza oggettiva che esiste fra il modo di inserirsi nel processo economico della proprietà terriera da un lato e degli altri mezzi di produzione – per esempio le macchine – dall’altro. Ma la proprietà fondiaria, cioè ciò che le sta alla base, si inserisce nel processo economico in modo diverso, per esempio, anche dal commercio.

 

Bisogna essere né unilaterali mercantilisti né unilaterali fisiocrati per rendersi conto che è proprio nel momento in cui ci si fissa con concetti come “produttivo” e “improduttivo” che sorgono opinioni unilaterali, come nel caso del mercantilismo, del fisiocratismo ecc. Proprio in questa sede si dovrebbe sostenere che non ci si schiera dalla parte dell’unilateralità, ma dell’universalità.

 

• Poi è stata fatta un’altra domanda: è stato detto che in fondo, dal punto di vista psicologico, altruismo, egoismo e amore sono la stessa cosa e quindi nessuno di questi dev’essere superato.

 

Sì, io stesso ho esposto nella conferenza in che misura il concetto di superamento dell’egoismo è sbagliato. Ma, cari ascoltatori, è molto problematico trasferire questo concetto dell’unità dal concreto all’astratto per poi riferirlo a tutto il possibile. Di nuovo dipende dal tipo di astrazione che si ha in mente. Vedete, occorre rendersi conto che quando si rimane nell’astrattezza – e alla base di questa domanda c’è un modo di pensare molto astratto – in linea di massima si ha ragione a fare una certa affermazione e non meno ad affermarne il contrario.

 

Chi pensa in modo concreto sa apprezzare la celebre massima di Goethe che dice: non si può esprimere la verità direttamente in una parola o in una frase, ma si dice una cosa, poi se ne dice un’altra e la verità sta nel mezzo. Quello che conta è riuscire ad avere un rapporto dinamico con la verità.

 

Vedete, cari ascoltatori, ci sono persone che, in qualità di mistici, vanno pazze per poter dire che portano Dio dentro di loro, che Dio è nell’interiorità dell’uomo, come pure tutto il divino. Trovano che questa sia l’unica definizione possibile. Altri la trovano del tutto sbagliata, e dicono: No, Dio pervade tutto e noi uomini siamo in Dio.

 

Sì, cari ascoltatori, ci sono buone prove a sostegno sia dell’una che dell’altra tesi. Ma qui vale la frase di Goethe: la verità sta nel mezzo, fra le due affermazioni contrapposte, proprio come il vero albero sta fra le due fotografie che io gli scatto una da un lato e una dall’altro.

 

Sotto questo aspetto bisogna mettere in risalto i rischi del pensiero unilaterale. L’importante non è che qualcuno dica che altruismo, egoismo e amore sono una cosa sola e pertanto non devono essere superati. Come dicevo, ho già spiegato nella conferenza la questione del superamento. Ma si tratta di cercare veramente di formulare le frasi con precisione quando bisogna spiegare qualcosa – come mi sforzo sempre di fare – e poi prendere la formulazione così come l’ha espressa l’interessato.

 

Non ho affatto sostenuto che quando si tende ad una certa unità non si possa giungere ad un’unificazione di egoismo e amore o di egoismo e altruismo. Basta salire fino al grado di astrazione necessario per giungere a questo. Ma nella vita concreta, cari ascoltatori, l’egoismo e l’altruismo si differenziano in modo tale per cui si può affermare, come ho detto di proposito nella conferenza: sono due impulsi polarmente opposti a partire dai quali l’uomo agisce.

 

Cari ascoltatori, quando dico che su questa o quella montagna c’è una sorgente e a due ore di cammino ce n’è un’altra, e che quelle due sorgenti alimentano la rete idrica di una località, lo si può paragonare a quello che ho detto oggi a proposito dell’egoismo e dell’amore. Ho indicato due fonti. Nessuno ha il diritto di dire: «Sì, guarda un po’, in una delle sorgenti c’è acqua, e nell’altra pure, quindi sono la stessa cosa.» Il fatto è che quando ci si fissa pedantemente sull’astratto, si può vedere la stessa cosa dappertutto.

 

Ma proprio nella ricerca dell’unità è importante capire per esempio cose come la metamorfosi di Goethe. Se si osserva la metamorfosi goethiana, si vede come Goethe mostri che la foglia verde e il petalo rosso della pianta sono la stessa cosa, l’una trasformatasi dall’altra. Ma nello stesso tempo si sa che entrambi, pur essendo la stessa cosa, sono anche qualcosa di molteplice, di diverso, dalle innumerevoli forme. L’importante nella ricerca dell’unità è diventare sempre più consapevoli di come nella vita concreta l’unità si trasformi sempre in una molteplicità e del fatto che nell’anelito all’unità, cari ascoltatori, non bisogna ignorare la pluralità.

 

Vedete, cari ascoltatori, esiste una società chiamata “Società Teosofica” che sostiene di cercare l’unità in tutte le confessioni religiose, dato che tutte hanno origine dalla medesima fonte e in sostanza sono la stessa cosa. Questa società insegna che tutte le professioni di fede hanno il medesimo contenuto. Questa affermazione mi ha sempre fatto l’effetto di qualcuno che pretende di descrivere ciò che c’è sulla tavola solo in base alla sua unità. Basta scegliere un’astrazione, per esempio “condimento”. Condimento può essere lo zucchero, il sale, il pepe, anche la paprica: tutto è condimento.

 

Certo, cari ascoltatori, sono tutti la stessa cosa, cioè condimenti, ma se invece di salare la minestra ci mettete lo zucchero, perchè tanto anche quello è un condimento, non sarete molto soddisfatti. È quindi importante non accontentarsi di un’unità come quella che viene tramandata dogmaticamente dalla Società Teosofica che dice: «Tutte le confessioni religiose sono identiche.» Questa unità delle religioni sostenuta dalla Società Teosofica mi è sempre sembrata appunto simile all’affermazione in base alla quale pepe, sale e paprica sono la stessa cosa. Come dicevo, riconosco pienamente il legittimo anelito all’unità, che però non deve finire in un’astrazione che ci allontana dalla realtà.

 

Cari ascoltatori, c’è ancora una domanda:

• Costruzione della torre di Baden. L’elemento nazionale fa parte delle cose significative sul piano culturale. Tutte le religioni sono adeguate alle razze. Ogni nazione ha una diversa propensione per l’arte e la scienza. La lingua e tutte le esteriorità dell’ambiente costringono ad una determinata forma espressiva. L’essenza è sempre internazionale, la forma è sempre arte nazionale. La musica è l’espressione artistica più internazionale. Ama il prossimo tuo come te stesso.

 

Non so bene come prendere questa domanda, perchè so di una torre di Babele, ma di una torre di Baden non ho mai sentito parlare. Non so se anche qui a Baden ci sia una torre.

«L’elemento nazionale appartiene alle cose significative sul piano culturale.»

Sì, cari ascoltatori, certo, lo si può dire, ma non so come si inserisca nella conferenza odierna.

«Tutte le religioni sono adeguate alle razze. La predisposizione delle varie nazioni e razze» – sono due cose diverse! – «per l’arte e la scienza è diversa.» Certo. «La lingua e tutte le esteriorità dell’ambiente costringono ad una determinata forma espressiva. L’essenza è sempre internazionale…» –

Sì, cari ascoltatori, l’essenza dell’elemento internazionale va dapprima cercata, poiché se davvero avessimo qui l’essenziale, non ci sarebbero così tanti atteggiamenti antinternazionali fra gli uomini. Questa è una cosa che va assolutamente presa in considerazione.

«…la forma è sempre arte nazionale. La musica è l’espressione artistica più internazionale.»

 

Cari ascoltatori, a ciò che sta alla base di questo discorso avevo già accennato lievemente nella conferenza, quando ho detto che la fantasia si esprime a livello nazionale, ma solo in certi settori dell’arte e in determinate sfumature. Ma, cari ascoltatori, chi se ne intende troverà queste sfumature anche nella musica. Si accorgerà della presenza di elementi nazionali anche laddove sembra esserci qualcosa di assolutamente internazionale – anche se dovesse solo consistere nel fatto che un popolo è semplicemente più musicale di un altro e che può essere capito a livello internazionale ciò che è in grado di produrre un popolo solo.

 

Ma ciò che conta è trovare un contenuto nell’uomo stesso, un elemento spiritualmente osservabile che è presente in ogni uomo e che è in grado di agire sul piano internazionale nel modo che ho descritto nella conferenza.

 

E con ciò, cari ascoltatori, credo di aver risposto a tutte le domande di oggi. E credo anche che ormai la sera sia progredita al punto che non intendo tenere un discorso conclusivo esauriente.

 

Ma c’è ancora una cosa che desidero sottolineare in due parole: ci terrei molto che si verificasse in che misura queste conferenze non sono qualcosa di inventato, di programmatico, ma solo il tentativo, per quanto ancora al suo inizio, di ricavare dalla vita stessa un’idea sociale o una somma di idee sociali.

 

Sì, cari ascoltatori, simili idee, desunte dalla vita come forze efficaci nella pratica, rappresentano quello che in ogni campo può nascere dalla visione spirituale che vi ho descritto. So che al giorno d’oggi, come vi ho accennato in queste conferenze, si fa spesso confusione fra quanto viene descritto da altri come visione spirituale e quella che intendo io per visione spirituale. Ma forse è valsa la pena di farsi un’idea di quanto tale visione sia aderente alla realtà.

 

Vedete, quando nel corso di questa terribile catastrofe della guerra è arrivato il momento in cui si poteva credere che, per via della situazione di emergenza in cui ci si trovava, si riuscisse a capire qualcosa di ciò che urge nel profondo e vuole affiorare in superficie, ho fatto notare ad alcuni personaggi di responsabilità le esigenze del tempo – e l’ho fatto anni fa, prima di presentarmi in pubblico. Ho parlato ad alcuni di questa triarticolazione, nella piena coscienza dell’effetto che avrebbe dovuto avere il tentativo fatto a partire da questo spirito volto a venire a capo di questo terribile sterminio, mitigandolo o dandogli un termine.

 

E all’epoca ho detto: in questo impulso c’è perlomeno lo sforzo di fornire non un’idea programmatica qualunque, ma di descrivere ciò che vuol realizzarsi nei prossimi trenta o venti o quindici anni, magari addirittura nei prossimi dieci.

E ad alcuni ho detto: «Se lo si vuole, oggi è possibile negare queste cose, si può essere troppo pigri per affrontarle. Ma chi prende sul serio la vita dovrebbe dirsi che ci troviamo di fronte alla scelta: o usare la ragione o andare incontro a tempi tristi, pieni di rivoluzioni e cataclismi sociali.»

Ho fatto queste affermazioni in un’epoca in cui queste recenti rivoluzioni erano ancora di là da venire, anche quella russa.

 

E si tratta sempre del fatto che all’uomo è stato dato il dovere di non vivere dormendo, ma di farsi delle idee su come devono andare avanti le cose. L’uomo infatti ha il vantaggio rispetto alle altre creature della Terra di essere chiamato ad agire con una certa capacità di previsione, ma si può intervenire nell’azione con una certa capacità di previsione solo se si è dotati di intuito per ciò che è realmente possibile.

 

E nella prima metà del 1914 nel mondo civile si ha forse avuto intuito per ciò che è realmente possibile? In una delle discussioni precedenti ho accennato ad alcuni esempi di quello che ha detto la gente a proposito di ciò che sarebbe successo. Poi è arrivato il grande sterminio. Non dovrebbero gli uomini imparare dai fatti?

 

Bene, cari ascoltatori, è proprio questo l’attuale compito degli uomini: imparare dagli eventi. Date le dimensioni e la rapidità con cui si svolgono, gli eventi dimostrano che gli uomini devono imparare da loro, che li devono interpretare come segni dei tempi. Altrimenti potrebbe verificarsi qualcosa di simile a ciò che è accaduto negli ultimi anni a proposito di molte cose.

 

Cari ascoltatori, diverse cose hanno colpito le persone al punto da far loro dire: «Se l’avessimo saputo prima, ma adesso è troppo tardi.» Cari ascoltatori, non è necessario aspettare sempre che sia troppo tardi.

 

È in questa visuale che vengono presentate le idee della triarticolazione dell’organismo sociale. Lo si tenta nella nostra rivista Soziale Zukunft pubblicata qui in Svizzera. Nel mio libro I puntiessenziali della questione sociale queste idee vengono presentate per essere comprese e adottate nell’azione pratica prima che sia troppo tardi – affinché in seguito non si debba dire a proposito di cose importanti della vita che ormai è troppo tardi.

 

Per questo ci si deve riscuotere e sforzarsi di capire se in quello che vi ho esposto qui ci sono solo pensieri o se si tratta di qualcosa di ricavato dalla realtà. È un debole tentativo il mio, come sottolineo sempre, ma se verrà fatto suo da un numero sufficiente di persone, allora forse, come credo, potrà produrre qualcosa di più assennato di quanto ne potrebbe ricavare un singolo individuo. Ma ognuno lo dovrebbe far suo, perché è preso dalla realtà e può essere messo alla prova solo nella realtà.

 

Volevo ancora aggiungere queste poche parole a quanto ho già detto.