Atmosfere animiche e caratteristiche di singoli stati d’animo. Il colore come contenuto dell’anima

O.O. 279 – Euritmia linguaggio visibile – 01.07.1924


 

Sommario: I gesti animici che sono alla base di uno stato d’animo. Devozione, solennità. I tre contenuti animici: pensare, sentire, volere. L’elemento intimo di una poesia. Vocali e consonanti in una poesia. Linee rette e curve. Il colore delle vesti. Si penetra nel suono sentendolo anche nel colore. Il colore è il contenuto animico nel mondo esterno. Ogni uomo ha un colore di fondo.

 

Abbiamo affrontato ieri alcuni stati d’animo quali possono essere espressi euritmicamente mediante gesti; oggi proseguiremo con qualcosa di analogo. Consideriamo prima di tutto lo stato d’animo della devozione. Proprio per questo stato d’animo dobbiamo chiarirci come l’euritmia non parta dalla riproduzione della mimica usuale, ma che proprio come per il vocalizzare e il formare le consonanti, trae dall’intero essere umano, secondo il suo stile, ciò che imita il gesto dell’anima che attraverso l’intera organizzazione umana sta alla base di tale atmosfera. Come abbiamo visto per quanto riguarda i suoni, si tratta di configurare il gesto imitando in modo visibile, visibile esteriormente, ciò che è presente in realtà come una sorta di gesto d’aria quando si parla. Mentre parliamo, diamo forma all’aria. Se trovassimo la maniera di fissare quel che qui prende forma, otterremmo il modello per il gesto che rappresenta l’elemento del suono.

 

Se ci troviamo di fronte a uno stato d’animo, allora si è già molto più vicini al gesto spontaneo che si compie nella vita di tutti i giorni, quando ci si trova in quello stato d’animo.

Un gran numero di persone oggi evita di fare gesti perché pensa che non siano “distinti”. Ma, d’altro canto, la necessità di fare gesti diviene nuovamente tanto maggiore quanto più l’uomo esce da sé nello stato d’animo, esce da sé anche in quanto non sviluppa stati d’animo comuni, quotidiani, ma altri che corrispondono a situazioni straordinarie della vita. Questo è il caso della devozione.

 

Nella devozione, l’uomo ha sin dall’inizio la necessità di fare un certo gesto. E proprio il gesto della devozione corrisponde totalmente all’atteggiamento naturale di questo stato d’animo.

Possiamo quindi vedere nella devozione come il gesto divenga naturalistico, mentre la maggior parte dei gesti non può essere tale. Nel gesto quindi le braccia vengono tenute lungo il corpo, poi portate verso l’alto, partendo dal gomito e successivamente, si fermano in una posizione corrispondente all’atmosfera vocale di u o di a. Allora le mani e rispettivamente le dita possono essere tenute in una qualsiasi di queste forme, a seconda di quale sfumatura si intenda dare alla devozione.

 

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Lo stato d’animo della devozione verrà possibilmente messo in risalto rispetto a ciò che altrimenti compare nel seguito della formazione dei gesti. Lo stile sarà adeguato se si inizierà e si concluderà con questo gesto quando si tratta di devozione. Se si tratta di qualcosa di continuativo, diciamo per esempio di una preghiera più lunga che esprima devozione, possiamo avere all’inizio e alla fine di ogni strofa il gesto qui accennato. Eseguendo questo gesto, quando dico:

 

O gottlicher Geist, erhòre        meines Herz(ens) Ruf!

(O Spirito divino, ascolta          il grido del mio cuore!)

 

si dovrebbe fare il gesto prima e dopo. Sarebbe allora particolarmente bene che si vedesse come le braccia vengano portate in basso, premute contro il corpo, e poi venga fatto il gesto della devozione (v. disegno).

 

Un’intensificazione della devozione è poi lo stato d’animo della solennità. Questo stato d’animo sarà in un certo senso già simile a quello della conoscenza, soltanto che nella conoscenza ne abbiamo l’immagine simmetrica. Nella conoscenza abbiamo quindi verso destra lo stesso gesto che nella solennità abbiamo verso sinistra. Ciò può essere sentito soltanto se ci si chiarisce sin dall’inizio, a livello di sensazione, come la conoscenza sia in relazione con la solennità.

La conoscenza è possedere qualcosa che si trova al di fuori di noi e che vogliamo unire alla nostra esistenza.

 

Nel gesto si tratta quindi di non togliere alla conoscenza l’entità più profondamente significativa. Se l’uomo non avesse la conoscenza non sarebbe tale. Egli diventa veramente uomo soltanto mediante la capacità conoscitiva. Cosicché la conoscenza dev’essere effettivamente accolta sempre come qualcosa che risuona solenne; ma, d’altro canto, anche come qualcosa che includa in sé l’attività dell’anima. L’attività si esprime però sempre nel volgersi verso destra. Lo stesso stato d’animo che sviluppiamo nella conoscenza, trasformato in passivo, in raccoglimento, dà la solennità.

Tuttavia, in tutto ciò cui siamo dediti, in cui ci presentiamo quindi in modo non attivo, ma passivo, ci volgiamo verso il lato sinistro. E allora esprimeremo la solennità per il fatto di volgerci, con il gesto della conoscenza, verso il lato sinistro. Prendiamo dei versi in cui sia contenuto il gesto della solennità; per esempio:.

 

Uber menschlichen Schicksalen        Glanzen heil’ge Sterne

(Sui destini umani splendono astri sacri)

 

Il gesto della solennità va fatto sia prima dell’inizio sia alla fine.

All’inizio il gesto verrà solo accennato, poi lo si continua, passando a sinistra al gesto della solennità.

 

Tutti i contenuti animici – e nell’euritmia di norma ci troveremo di fronte all’espressione, alla rivelazione di contenuti animici – vanno ricondotti a tre categorie: pensare, sentire e volere. Quando in euritmia si vuole interpretare una poesia, è importante esprimere il carattere fondamentale della poesia stessa e, quando questo si modifica, quando il pensare si trasforma nel sentire o il sentire nel volere, portarlo ad espressione nell’intero atteggiamento dell’interpretazione euritmica.

 

Partiamo anzitutto dalla polarità di pensare e volere, le due attività contrapposte dell’essere umano. Quando l’uomo pensa – intendo nel senso più ampio della parola – quando egli pensa, si svolge un processo che ha il proprio sostegno nel capo in riposo. Il pensare non si vede in modo sensibile-esteriore, si svolge nel capo tenuto in riposo. L’opposto è costituito dall’attività del volere. Quando non compare in qualche modo nel mondo esterno, l’attività del volere è semplice intenzione. La reale attività del volere può essere vista quando entra nel mondo esterno, ma rimane oscura per l’esperienza interiore umana, in modo analogo a quanto accade interiormente all’uomo durante la notte e di cui egli nulla sa. Sa altrettanto poco di ciò che avviene tra la sua anima e i suoi muscoli, le sue ossa, quando il movimento nasce come espressione del volere.

 

In una retta, si ha una linea pienamente definita sin dall’inizio. E sufficiente un piccolo tratto di questa linea per determinare la linea intera. Nella retta si sa di che cosa si tratta.

La linea curva ci trascina con sé, non sappiamo mai di che cosa si tratti, dove ci porti.

 

 

Vi sono certamente linee curve con una forma regolare, ma anche in questo caso non si ha la stessa esperienza di regolarità che si conosce con la retta. Proprio partendo da queste fonda- menta la linea retta è in euritmia la caratteristica del pensiero, quella curva del volere. Possibilmente si inserirà quindi la linearità in ciò che è pensato, quando lo si esegue in euritmia, ed invece la linea curva in ciò che è voluto.

Si tratta senz’altro di questioni interpretative. Uno può dire: voglio esprimere il volere in una poesia qualsiasi. Un altro dice: voglio esprimere il pensare, la pura comunicazione. Uno l’intende in un modo, l’altro in modo diverso. Quando non vi è una direzione definita, tutto è affidato alla possibilità di scelta del singolo. Quando si prepara una poesia per la rappresentazione, ci si domanderà quindi: come stanno le cose secondo la nostra opinione? si tratta più di una poesia di pensiero, cioè di una poesia in cui prevale la comunicazione?

 

Diciamo quindi per esempio:

 

Zu Aachen in seiner Kaiserpracht,        Im altertiimlichen Saale,        Sass Kònig Rudolfs heilige Macht

Beim festlichen Krònungsmahle.        Die Speisen trug der Pfalzgraf des Rheins,

Es schenkte der Bòhme des perlenden Weins,        Und alle die Wàhler, die sieben,

Wie der Sterne Chor um die Sonne sich stellt,        Umstanden geschàftig den Herrscher der Welt,

Die Wurde des Amtes zu

 

(In Aquisgrana, nel suo splendore imperiale,  Sedeva nell’antica sala   Il sacro potere di re Rodolfo

Al solenne banchetto dell’incoronazione.  I cibi portava il conte palatino del Reno, Donava il Boemo il vino perlato,

E tutti gli elettori, i sette, Come il coro delle stelle si pone attorno al sole, Stavano premurosi attorno

al dominatore del mondo, Ad esercitare la dignità dell’ufficio).

 

Non vi è dentro null’altro che la successione dei pensieri, come accadrà in effetti sempre con l’epica pura. Ma, nel momento in cui il pensare si trasforma in volere, lo dovremmo esprimere anche nell’atteggiamento euritmico. Proprio la strofa che ho appena citato, verrà rappresentata nel migliore dei modi muovendoci il più possibile in linea retta.

Nascono linee rette anche facendo figure rettilinee, quando ci si adegua ad altri caratteri del testo: nel triangolo, nel quadrato o nel pentagono si può esprimere il pensiero:

 

 

oppure in una linea come la seguente, se il pensiero è un po’ più complicato:

 

 

Invece in tutte le linee curve si esprime ciò che si riferisce al volere:

 

 

Si rappresenterà il sentire combinando insieme linee rette e curve. Si ha quindi un margine interpretativo abbastanza ampio:

 

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Tali forme vanno trovate; lo si può fare in modo autonomo, creando un’affinità interiore tra la rappresentazione euritmica e la poesia. Ci si può chiedere come tali forme siano in rapporto con quelle che vengono date come forme standard, per esprimere in qualche modo l’individualità di una poesia. Ci si accorgerà allora che il contenuto di tali forme è stato elaborato nel senso più ampio, lo si riscontrerà sempre.

Nell’elaborazione di tali forme ricevute, si tiene in considerazione, nei passi corrispondenti, anche l’elemento più intimo della poesia. Che cosa significa? La questione è che la maggior parte di quelle che si definiscono poesie, non sono affatto tali. In una poesia infatti l’elemento essenziale è l’elaborazione del linguaggio, che quindi non si esprima in prosa, in maniera troppo grossolana, quel che viene detto, ma lo si esprima attraverso l’elaborazione del linguaggio. Esprimere meraviglia in una poesia dicendo: «Oh, wie verwundere ich mich!» (oh, come mi meraviglio!), non è certo artistico; la si esprimerà invece in modo artistico attraverso il suono della a nei punti in cui vi deve essere la meraviglia. Oppure, quando si tratta di una visione retrospettiva, si deve usare il più possibile il suono della u; quando si tratta di consolidarsi interiormente, dopo essere stati toccati da qualcosa, si userà il suono della e.

 

Si può quindi dire: quando un vero poeta vuole esprimere un elemento di pensiero utilizzerà in grande misura il suono della e. Parlo naturalmente in senso del tutto ideale, poiché non sarà sempre possibile rispettare le esigenze dell’elemento artistico; altrimenti — o dovrei meglio dire: grazie a Dio — verrebbero scritte ben poche poesie, perché un poeta avrebbe bisogno di molto tempo per avere la giusta intuizione. Un poeta che utilizzi moltissimo il suono della e e della i, si può sempre definire un poeta di pensiero, che tende maggiormente all’epica. Un poeta che utilizzi i suoni della a, della o e della u, tende maggiormente all’aspetto emotivo. Un poeta che utilizzi poco l’elemento vocalico, ma in grande misura quello consonantico, è un poeta che sviluppa maggiormente il lato volitivo. Nella creazione della forma si dovrà seguire il poeta.

 

Se quindi una poesia scaturisce più dall’intelletto — e questo può essere un elemento positivo — allora si useranno forme rettilinee. Se vi è una predominanza di sentimento, si useranno forme rette e curve. Se però in una poesia vi è molto di volitivo, seppure espresso in un modo colmo di sentimento, allora si farà uso di forme curvilinee.

Solo prendendo in esame le forme date nel corso del tempo, si potrà comprendere la struttura intima di una poesia per la quale si deve creare una forma.

E’ interessante verificare una volta, senza tener conto del contenuto, come appaia qualcosa se viene espresso in modo intellettuale, oppure in modo emotivo, sentimentale, o in modo volitivo. Si possono avere contenuti che vengano espressi in tutti e tre i modi ed hanno una loro bellezza in tutti e tre. Diciamo per esempio la nota poesia:

 

Ich ging im Walde        So fur mich hin,        Und nichts zu suchen,         Das war mein Sinn.

Im Schatten sah ich       Ein Blumchen stehn,        Wie Sterne leuchtend,        Wie Auglein schòn.

 

Interpretiamo la poesia prendendone la pura comunicazione, il contenuto intellettuale. (A un’euritmìsta: «Cerchi di fare la poesia nelle forme che le vengono in mente, forme rettilinee: i movimenti non vanno arrotondati, ma compiuti procedendo in moto rettilineo. »):

 

Ich ging im Walde        So fùr mich hin,        Und nichts zu suchen,        Das war mein Sinn.

Im Schatten sah ich        Ein Blumchen stehn,        Wie Sterne leuchtend,        Wie Àuglein schòn.

Ich woll’t es brechen,       Da sagt’ es fein:        Soll ich zum Welken        Gebrochen sein?

 

(Me ne andavo nel bosco così, per conto mio, e avevo proprio in mente di non cercare nulla.

Nell’ombra vidi a un tratto spuntare un fiorellino, lucente come stella, bello come pupilla.

Pensavo già di coglierlo e lui gentile disse: Solo per appassire dovrò essere colto?)

(Versione di Gilberto Forti)

 

Se lo esprimiamo in questo modo, abbiamo immediatamente l’impressione che qualcosa ci venga comunicato.

Si cerchi ora di interpretarlo esclusivamente in forme rotonde:

 

Ich ging im Walde

 

Viene così a cadere la semplice comunicazione ed anche quello che rappresenta il movimento emotivo, presente ad esempio nelle parole del fiorellino: «Soll ich zum Welken gebrochen sein?» (Solo per appassire dovrò essere colto?), oppure in quelle del poeta quando dice: «Wie Sterne leuchtend, wie Auglein schòn» (Lucente come stella, bello come pupilla). Di volta in volta viene espresso il movimento emotivo, il contenuto di volontà o di sentimento. Cercate ora di fare alternativamente linee rette e curve:

 

Ich ging im Walde

 

Si ha così subito il carattere sperimentato interiormente. Le linee rette e curve insieme fanno sì che l’euritmista torni di continuo in sé, con le rette divenga in certo qual modo invisibile, astratto. Così il tutto rimane maggiormente nell’interiorità. Passando alla linea curva, si è più espressivi.

 

Per approfondire l’elemento dell’atmosfera, vorrei parlare oggi dell’importanza che assumono i colori nelle figure euritmiche.

Dai singoli gesti euritmici della a, troviamo indicazioni per il colore del costume.

Naturalmente non è possibile esprimere il colore in euritmia nel modo qui accennato, perché, quando in un verso compaiono la a e la o, si dovrebbe passare da un costume all’altro, mentre il verso viene recitato.

 

Questo non possiamo ancora eseguirlo oggi. Vediamo sempre quante difficoltà si hanno per cambiare costume anche solo tra due poesie. Ora sarebbe impossibile, durante una poesia ad esempio di quattro strofe, effettuare ventidue o ventotto cambi di costume. Tuttavia ciò che viene rappresentato qui è senz’altro giusto, perché si penetra davvero nel suono sentendolo anche nel colore.

 

Si pensi al suono della a: la meraviglia, lo stupore! In fondo il colore è solo ciò che indica il contenuto della nostra anima al di fuori di noi. Per questo motivo vi è contesa in merito alla natura dei colori, poiché non si considera il colore come contenuto d’anima fissato nel mondo esterno.

Si considerino lo stupore, la meraviglia: come gesto li troviamo nella a. Ora ci si deve domandare: che cosa mi induce a formare questo gesto nel puro elemento del colore? E allora, partendo dal sentimento, si giungerà a questa associazione di colori che agisce dal blu e dal violetto, cioè da colori scuri.

 

Prendiamo l’atmosfera della o: e quella dell’abbracciare, dell’accogliere-in-sé, dell’unire-a-sé. In tal caso occorrono colori chiari, come vediamo nella figura euritmica della o.

Non si possono semplicemente usare questi colori come sono qui raffigurati per i motivi prima indicati. Ma sarà della massima importanza se, esercitandosi, si avrà la sensazione di come sia nel colore una a, una o o una i oppure ancora una u, la paura; in tal modo si cresce intimamente con la natura del gesto. Quando ci si esercita è bene vestirsi nel modo suggerito qui, anche se soltanto come rappresentazione. E bene vestirsi anche nell’immaginazione.

 

L’intera atmosfera della e va pensata in giallo pallido, con qualcosa di verde al centro. Si sente come il rosso e il blu si perdano nel verde. Mentre nel blu e nel violetto si ha la dedizione, a e u, nel colore chiaro si esprime l’autoaffermazione oppure l’accogliere-in-sé. Nella e, l’essere toccato e l’affermare sé dopo essere stato toccato, si ha proprio il verde. Il verde si ottiene mescolando il giallo con il blu, quindi chiaro e scuro. La e viene dunque espressa direttamente dal colore stesso. In tal modo si cresce insieme al gesto, scegliendo questo colore.

 

Dietro tali osservazioni si può scoprire — non con l’intelletto, lo si può soltanto scoprire con l’animo — che un’atmosfera, per esempio quella della e, sia questa (figura euritmica della e). Allora viene anche in mente da soli che intere poesie respirano l’atmosfera della e. Possono esservi contenute tutte le vocali, ma certe poesie hanno proprio l’atmosfera della e. Si prenda una poesia, o un qualsiasi brano da euritmizzare in cui, possiamo dire, si viene continuamente toccati in maniera sgradevole, ma non si lascia che questo prosegua: questa è l’atmosfera della e. Se la poesia ha questa atmosfera, allora faremo bene a scegliere questo costume per la poesia intera. Si tratta di fare proprie le colorazioni dei suoni stessi, così possiamo anche risalire ai costumi di intere poesie.

 

Quel che ora dirò nasce da un ben preciso motivo. Non dovrebbe cioè nascere l’opinione che imparando a u e i o, si sappiano già fare. Certo le si può fare per sé, ma non si è ancora pronti a mostrarle. Non va dimenticato che, quando si tratta del gesto, nell’espressione agiscono forze inconsce molto significative. Chi crede di poter conquistare l’euritmia al volo, ritiene di aver fatto una i tenendo semplicemente il braccio in una certa direzione. Non è così; si esprime la i soltanto con questo gesto (con un’estensione visibile). Vi è differenza tra i due gesti, fra il primo e il secondo in cui è visibile l’estensione del braccio. (A un’euritmista: «Mostri la differenza tra un’estensione di maniera del braccio e una i artisticamente libera»Viene eseguita la prima)  Questa in genere si chiamerebbe una i, ma non lo è. («Ed ora la esegua in modo artisticamente libero»).

 

In un gesto artisticamente libero, si tratta di sentire, durante l’intero processo, come sensazione e sentimento siano dentro la singola lettera dell’alfabeto. Ciò si realizza soltanto imparando le singole lettere dell’alfabeto e nello stesso tempo immaginandoci dentro i costumi. Sia nell’insegnamento artistico dell’euritmia, sia in quello condizionato dalle esigenze pedagogiche, si dovrebbe vivere il colore nell’euritmia nel modo in cui si tratta la cosa parlando: l’uomo dovrebbe far proprio il sentire nel colore.

 

Il sentire nel colore fu effettivamente una peculiarità degli uomini ai tempi dell’antica chiaroveggenza e andò poi perduto. Soltanto in alcuni soggetti ipersensibili si manifestò verso la fine del kali-yuga in modo un po’ distorto; si diceva allora che Vienna avesse il colore di un lilla un po’ scuro, Cernovcy (Ucraina) un colore giallo, Praga un colore giallo-arancione, Berlino giallo-grigio, Parigi rossastro-bluastro-cangiante e così via. Vi furono persone che cominciarono a parlare così. Chi aveva una sensibilità per fatti del genere, che cioè una città avesse un suo colore, poteva capire quello che la gente voleva dire.

 

Anche ogni uomo ha il proprio colore. È il colore del suo corpo astrale e varia a seconda delle emozioni; ognuno però porta un colore di fondo, tanto che si può domandare a qualcuno che tipo di persone abbia incontrato in luoghi diversi, ed egli può rispondere, con qualche fondamento: «Ho visto un uomo rosso» oppure: «Ho visto un uomo blu». Si può sentire in questo modo: è la stessa impressione che nasce anche dal colore fisico consueto, molto più grossolano.

 

Quindi è bene anche rappresentare un determinato movimento con il carattere del colore corrispondente indicato nelle figure euritmiche; in questo modo ci si può senz’altro esercitare. Si fa esercitare a u e i o, ma in modo che ne scaturisca il movimento blu-violetto, verde-giallo, giallognolo-verdognolo, rossastro-giallognolo, rossastro-giallognolo-arancione. In tal caso vengono fatti gli stessi movimenti, cosicché si lavori partendo dai colori come lo si fa partendo dai suoni. In tal modo i movimenti euritmici diverranno particolarmente flessuosi e si potrà percepire, quando ciò verrà fatto, che i movimenti euritmici diventano veramente pieni di stile.

 

Proseguiremo domani con la caratteristica dei singoli stati animici.