La materia quale forma dello spirito – II / Il superamento dell’illusione e delle negazioni materialistiche


 

1. Il superamento dei concetti di spazio e di tempo

Le considerazioni svolte in precedenza avevano più che altro lo scopo di servire di introduzione allo scritto giovanile di R. Steiner “Unica critica possibile dell’atomismo” e di illustrarne l’importanza storica e spirituale. Oggi cercheremo invece di esporre il contenuto concettuale di quell’operetta scientifica che dopo più di mezzo secolo è ancora di viva attualità, perché le teorie atomiche, pur nella loro continua evoluzione non sono riuscite a superare la contraddizione essenziale della loro tesi che fu messa a fuoco da R. Steiner e che consiste nell’assurdo di concepire l’atomo come massa e come energia.

 

Le maggiori difficoltà che si drizzano alla comprensione dello spirito sono date dai concetti falsi che si sono formati sul conto della materia. La giusta comprensione della materia apre le porte alla giusta comprensione dello spirito, mentre chi non acquista prima un chiaro concetto del fisico-sensibile non può elevarsi fino al concetto di spirituale-soprasensibile.

 

I più duri ostacoli che deve superare il pensiero di chi aspira a conoscenze spirituali

sono rappresentati indubbiamente dagli errati concetti di tempo e di spazio oggi dominanti.

 

Molti negano l’esistenza dei mondi spirituali per il semplice fatto che non sanno dove collocarli nello spazio. E coloro che credono in un purgatorio e in un paradiso, parlano d’un al di qua e d’un al di là, cioè impiegano ancora concetti spaziali. Così tanto i monisti fisici, che negano l’esistenza d’ogni altra realtà all’infuori di quella materiale perché non sanno dove collocare lo spirito, quanto i dualisti spirituali che vedono la realtà divisa in due mondi, uno accanto all’altro, sono irretiti come pesci nelle maglie del concetto di spazio.

 

Il mondo dei sensi è indubbiamente il mondo dello spazio e del tempo.

Ogni oggetto che percepiamo è collocato in un determinato posto, occupa un certo spazio ed è soggetto a processi che si svolgono nel tempo. In tal modo al concetto di materia sono intimamente legati quelli di spazio e di tempo. Essi sorgono in modo puramente empirico e perciò ci si forma la convinzione che siano percezioni, cioè realtà oggettive del mondo dei sensi. I più grandi spiriti dell’umanità non poterono superare questo scoglio, contro il quale naufraga, per esempio, il pensiero di Agostino e quello di Kant.

 

Vediamo in concreto come sorge il concetto di spazio.

Abbiamo, per esempio, una camera in cui sono collocati tanti mobili: qui un tavolo, la una sedia, a quella parete un armadio, in quel canto una specchiera, per terra un tappeto, dal soffitto un lampadario, e così via. Poi un bel giorno facciamo lo sloggio, le masserizie vengono sgombrate e la camera resta vuota. La guardiamo con un certo senso di desolazione e confrontiamo quest’immagine di vuoto con il ricordo della festosa pienezza precedente. Da tale confronto sorge il concetto di spazio che è questo: un vuoto in cui prima si trovava un oggetto.

In questo vuoto possiamo collocare un altro oggetto. Similmente se vuotiamo una bottiglia contenente vino, possiamo successivamente riempirla d’acqua. Insomma, nel pensiero dell’uomo semplice come in quello del filosofo, lo spazio finisce col venir considerato come un recipiente della realtà; un coso – l’indeterminatezza del linguaggio popolare qui calza a pennello – che contiene le cose; un oggetto più grande di tutti gli altri oggetti.

 

M’immagino che a questo punto qualcuno obbietterà di non avere mai inteso dire né dai filosofi, né dalle persone comuni che lo spazio sia un oggetto. Anzi tutti considerano lo spazio come un negativo assoluto della realtà sensibile materiale. Dirò subito che le parole e le teorie con le quali s’interpretano la realtà e i propri concetti sulla stessa contano poco; contano invece i fatti obiettivi. Ora è un fatto che tanto gli empirici quanto i filosofi legano il concetto di spazio con quello di percezione. Ma ciò che si percepisce non può esistere che come oggetto. Rileviamo solo di sfuggita questa prima contraddizione del concetto spaziale: un nulla percepibile.

 

• Il concetto di spazio naturalmente non subisce alcuna modificazione se dalla considerazione di una stanza passo a quella del cosmo. Come nella stanza sono collocati i mobili, così nello spazio cosmico sono posti i corpi celesti, stelle, pianeti, comete, nebulose. Quale cosmico padrone di casa ve li abbia posti, è una questione che vogliamo lasciare impregiudicata. C’importa piuttosto di considerare le qualità dello spazio. Come certi magistrati di alto rango, esso è inamovibile. Potete trasportare una sedia da una stanza all’altra, ma non potete spostare lo spazio da essa occupato. Similmente gli astri danzano nel cielo in uno spazio fisso ed immutabile. Lo spazio è dunque l’assoluto immobile.

• Inoltre lo spazio è a prova di bomba atomica. Questa può far tabula rasa di una città irta di grattacieli, ma non può far scomparire lo spazio. Lo spazio è dunque l’assoluto intangibile.

• Terza qualità dello spazio è quella di non poter subire alcuna modificazione né dal di fuori né in sé. Lo spazio è sempre uguale a se stesso. Con la moderna crisi degli alloggi sarebbe assai comodo se lo spazio potesse crescere e ingrandirsi. Lo spazio è dunque l’assoluto immutabile.

• Da tutte queste ragioni risulta che lo spazio non può essere creato né distrutto; non ha né principio né fine; non conosce la nascita né la morte. Lo spazio è dunque l’assoluto eterno.

• A ciò si può aggiungere ancora un concetto: lo spazio non ha rapporti di alcun genere. Si possono fare rapporti tra due volumi, ma non tra due spazi, per il semplice fatto che non esistono due spazi. Manca perciò ogni possibilità di confronto che deriva soltanto dalla contrapposizione di due oggetti distinti. Lo spazio è dunque l’assoluto uno.

• Queste qualità spaziali fanno naufragare tutti i tentativi di comprendere l’universo fino in fondo. Il credente e l’ateo, il materialista e lo spiritualista sono ugualmente posti davanti la stessa barriera insuperabile: l’impossibilità del pensiero di fare astrazione dello spazio.

 

Tra gli scienziati voglio citare soltanto Einstein che per superare in qualche modo lo scoglio dello spazio è giunto al concetto di un universo infinito ma non illimitato. Cioè, in parole piccine, egli s’immagina l’universo come un grande quanto si voglia luogo chiuso. Io non conosco la fondatezza matematica di simili concetti, ma come uomo dall’esperienza comune mi viene naturalmente di ragionare: se eleviamo un limite qualunque questo non racchiude soltanto una cosa, ma la divide anche da un’altra, dunque al di là del limite c’è qualcosa che continua e quindi quello non può essere il limite di tutta la realtà.

Per le concezioni materialistiche il mondo resterà sempre qualcosa di inconcepibile.

 

Osserviamo ora il pensiero del credente, cioè il nostro. Dio, o gli dei o gli Esseri spirituali hanno creato il mondo. Precisiamo il concetto: hanno creato dal nulla (facciamo questa ipotesi per non rendere le cose ancora più complicate) le stelle, il sole, i pianeti, la terra con quanto essi contengono. Togliamo via con la mente tutto questo e che cosa resta? Lo spazio cosmico vuoto. Questo non può essere stato creato, perché è fatto di niente. Non si può creare il nulla, per la contraddizione che non lo consente.

 

Similmente quando pensiamo alla fine del mondo, sia come scienziati (tutta la materia trasformata in energia allo stesso livello, cioè statica), sia come credenti (tutta la materia riassunta nello spirito), non possiamo immaginarci la contemporanea sparizione dello spazio. Questo resta, anche se vuoto, come la nostra camera dopo il trasloco dei mobili.

 

Causa il concetto di spazio ci troviamo di fronte a delle difficoltà insormontabili nella formazione di una razionale concezione del mondo. Perché, vedete, se lo spazio è un ente assoluto, eterno, intangibile, unico, non vi è cosa che possa esistere fuori dello spazio. Quindi: esiste solo ciò che esiste nello spazio. Quindi ancora: poiché nello spazio esiste soltanto la materia, esiste soltanto la materia.

Con ciò è preclusa ogni via a una concezione spirituale dell’universo e si è costretti a rimanere entro l’ambito del materialismo. E tuttavia, anche il materialismo, per altre ragioni, non può offrire una visione dell’universo sostenibile di fronte alla ragione.

L’origine di questo sommo disordine tanto nella scienza quanto nella teologia sta nel concetto di spazio che è quello di vacuità assoluta, ma percepibile.

 

Lo spazio è un nulla percepibile – questo concetto assurdo e contraddittorio, fonte di quasi tutti gli errori nelle scienze e nelle filosofie, ha bisogno di una correzione.

La correzione, o meglio la messa a punto effettuata da R. Steiner fa parte di quelle idee semplicissime ed evidenti, che però devono essere conquistate con duro e lungo lavoro di pensiero.

 

Osserviamo un oggetto del mondo dei sensi, un corpo fisico e cerchiamo di definire le sue qualità. Tra tutte le definizioni che possiamo trovare, una è indubbiamente la seguente: i corpi fisici sono estesi.

L’estensione è una qualità fondamentale dei corpi fisici. E poiché è data da continuità materiale è anche percepibile.

Sorge così il concetto di spazio come posto occupato da un oggetto, ma in esso avviene una contaminazione tra senso ed idea che porta all’illusione e all’errore che lo spazio sia percepibile, mentre percepibile è soltanto l’estensione fisica.

 

Lo spazio è un puro   c o n c e t t o .

Sta nel mondo delle idee, non in quello dei sensi.

Nel mondo dei sensi sta soltanto il corpo fisico esteso.

Lo spazio   f i s i c a m e n t e   non esiste.

I corpi non sono posti nello spazio vuoto;

i corpi presentano la qualità dell’estensione che fa sorgere il concetto di spazio.

Lo spazio  è   i d e a .

 

Eppure prima abbiamo fatto alcune caratterizzazioni dello spazio ed abbiamo detto che esso ci si presenta come l’assoluto immobile, intangibile, immutabile, eterno, uno. L’errore non consiste certo in queste caratterizzazioni, ma nell’illusione che esse riguardino un misterioso ente materiale fatto di niente.

Il concetto di spazio, ristabilito e corretto da R. Steiner, ci apre la visione ideale della sublime spiritualità originaria, del Dio Padre.

Lo spazio è l’immagine del Primo Logos.

 

Il concetto di tempo conduce pure la mente umana in un labirinto inestricabile di idee. Esso si fonda sulle tre determinazioni ideali di passato, presente, futuro, di cui solo una, il presente, è fisicamente percepibile. Da ciò sorgono le angosciose domande di S. Agostino: «Dov’è andato il passato? Donde viene il futuro?».

Il concetto di tempo s’accende dalla constatazione che i corpi fisici subiscono delle modificazioni. Ogni cosa non ci mostra una sola immagine, ma tante immagini successive, di cui una sola è percepibile in un determinato istante. Diciamo con più precisione: l’esistenza fisica di una forma dell’oggetto, esclude quella di tutte le altre. Una pianta non può essere seme, fiore, frutto contemporaneamente. Se ne conclude: i processi fisici si svolgono nel tempo. Con ciò il tempo viene ad assumere un valore fisicamente obiettivo.

Di solito si ragiona nel modo seguente. Osservo lo spostarsi delle lancette sul quadrante dell’orologio. Esse segnano la misura del tempo. Se però l’orologio non esistesse, il tempo passerebbe ugualmente. Me ne accorgerei da altre modificazioni in me e nell’ambiente. Esse non sarebbero che nuove misure di tempo. Se però non esistessi io né alcun altro oggetto modificabile, il tempo esisterebbe ancora, benché non ci sarebbe nulla per misurarlo. Il tempo per se stesso è un eterno divenire senza nulla che divenga.

 

Questa oggettivazione fisica del tempo porta alle stesse incongruenze della già considerata oggettivazione fisica dello spazio. Tra spazio e tempo passa però questa significativa differenza:

• lo spazio riguarda solo il corporeo,      • il tempo penetra anche nell’animico.

Pensieri e sentimenti si svolgono nel tempo.

 

L’eternità viene considerata come un tempo infinito. Ciò porta a grande confusione soprattutto quando si voglia elevare una concezione soddisfacente del mondo. Dalle considerazioni svolte dovrebbe essere chiaro che il concetto di eternità può basarsi solo sullo spazio. Il tempo, secondo il suo essere, dovrebbe sempre segnare un principio e una fine, una a (alfa) e una ω (omega).

Dobbiamo mettere a punto il concetto di tempo. Una rosa – abbiamo detto – si sviluppa dal seme al frutto, cioè rivela i suoi molteplici aspetti fisici in una successione temporale. Anche qui il tempo è un puro concetto.

 

I processi fisici non si svolgono nel tempo,

ma col loro modo d’essere fanno sorgere il   c o n c e t t o   di tempo.

Il tempo   f i s i c a m e n t e   non esiste.

 

“Eppure si diventa vecchi”- obietterà qualcuno. Si, è vero, ma ciò non significa che si diventi qualcosa di diverso di quello che si era prima. L’Io resta sempre Io. Fisicamente non può rivelarsi tutto in una volta, è troppo ricco, deve manifestarsi per gradi. Nessuno di questi è il tutto, è solo un particolare.

 

L’uomo come uomo, non è mai né giovane né vecchio;

la sua esistenza fisica si svolge semplicemente dalla nascita alla morte.

Il tempo testimonia dell’immensa sovrabbondanza dello spirito rispetto al fisico.

Il fisico non può portare all’esistenza che una minima parte dello spirituale.

Il tempo può aiutare a cogliere l’essenza di ciò che è vita e di ciò che è morte.

 

Vita e tempo sono la stessa cosa.

La vita è la realtà spirituale del concetto umano di tempo:

essa porta da divenire a divenire, incessantemente.

La morte non conosce tempo. Essa è rigidità assoluta.

 

Immaginate un mondo in cui una pianta sia sempre fiore, in cui un uomo abbia sempre vent’anni, in cui un Dante si esaurisca tutto nella “Vita Nova” e non arrivi mai alla “Divina Commedia”, e avrete una pallida immagine della morte. Con ciò però non si può dire che la morte sia eterna. È anzi il contrario dell’eternità. Per comprendere ciò bisognerà trovare nuovi concetti, non ancora posseduti dagli uomini.

 

Il tempo è l’immagine del Secondo Logos, del Figlio Divino, del Cristo.

 

La realtà è data dall’incontro di spazio e tempo, in un’armonia perfetta.

La realtà si manifesta nello spazio e nel tempo in modo che ogni particolare sia sempre il simbolo del tutto.

La realtà è l’immagine del Terzo Logos, dello Spirito Santo.

 

Chi nel perituro sa scorgere l’eterno, trova lo Spirito che lo porta alla Vita, al Cristo.

Uno dei più grandi apostoli dello Spirito Santo è Goethe

con la sua grandiosa concezione del mondo basato sulla metamorfosi della realtà.

 

2. L’atomismo

La realtà è l’immagine dello spirito. Questa concezione del mondo può essere fondata sul Goetheanismo.

In opposizione polare sta l’atomismo, non come teoria fisica, ma come visione dell’universo.

 

Per l’atomismo la realtà non è che l’illusione assoluta dello spirito umano. Le qualità percepite sono inesistenti; il suono, il calore, la luce e i colori, i sapori, gli odori, le impressioni tattili sono pure reazioni soggettive. Unico fattore obiettivo della realtà è l’atomo in movimento. Conseguentemente questo non può possedere alcuna qualità sensibile, perché esse sono soggettive e non obiettive.

 

Quando lo sperimentatore fisico dichiara di aver visto e contato gli atomi sullo schermo fluorescente o di averne fotografate le scie luminose, pecca contro la logica della sua teoria. Egli in realtà ha visto e fotografato un fenomeno di luce che, per asserto ipotetico della teoria, è soggettivo, quindi non oggettivo e pertinente all’atomo.

Questo non può avere alcuna qualità fisico-sensibile. Se qualche fisico gliene attribuisce, non s’avvede della contraddizione in cui cade. L’atomo – secondo la logica della teoria – dovrebbe avere una forma d’esistenza completamente irraggiungibile dall’esperienza dei sensi. E tuttavia questa forma d’esistenza deve essere considerata reale e non ideale.

E poiché ogni reale è tale soltanto in quanto esiste nello spazio, anche l’atomo deve avere una forma d’esistenza spaziale. L’atomo è impercettibile e tuttavia esiste in modo analogo a tutti gli altri oggetti (colore, suono, ecc.) della percezione dei sensi.

Con ciò nel concetto di atomo viene assunta una caratteristica che lo annienta, perché genera la contraddizione dell’impercepibile che ha la stessa forma d’essere del percepibile, cioè dell’oggettivo che è in tutto uguale al soggettivo.

 

La teoria atomica ha dato origine alla più grande incongruenza di pensiero della storia della cultura umana e si sostiene soltanto chiudendo gli occhi davanti alle sue contraddizioni.

A questo punto qualcuno obietterà che tutte le critiche mosse alle concezioni atomiche possono venir annientate dal fisico coi fatti sperimentali, cioè con la bomba atomica.

 

Si tratta d’intenderci bene. Noi abbiamo fatto una critica dell’atomismo e non dell’atomo, cioè del concetto e non del fatto. L’atomo, come infinitesima particella materiale, è logicamente ammissibile. Ma è altrettanto logico in questo caso affermare che l’atomo presenta tutte le qualità proprie e comuni ad ogni percepibile e che perciò non ha nessun titolo speciale per rappresentare la causalità assoluta di ogni fenomeno fisico.

Noi neghiamo che l’atomo sia la cosa in sé fisica causa ed origine di ogni processo dell’universo.

 

Noi riteniamo indimostrata dalla scienza la soggettività delle nostre percezioni. Il mondo per noi esiste nel modo in cui ci appare. Perciò rifiutiamo l’idea dei limiti della coscienza eretti dall’impercepibilità del reale. Noi affermiamo che tutto ciò che esiste è percettibile. Non accettiamo nessuna ipotesi scientifica indimostrata e nessun dogma religioso irragionevole.

Accanto alla concretezza e alla realtà della materia, riconosciamo la concretezza e la realtà superiore dello spirito. Non ci piace vivere tra fantasmi e illusioni, vagolando tra ombre e nebbie. Ci è ignota l’idea di al di qua e al di là, perché abbiamo afferrato l’idea del tutto. Siamo, almeno spiritualmente, uomini felici perché siamo convinti di vivere sempre, vivi e morti, nella pienezza dell’essere e perché sappiamo che ogni visione del reale è al contempo una manifestazione della divinità.

 

3. Oggetto e concetto

Le scienze naturali sono affette oggi da due pregiudizi.

• Il primo è dato dalla contraddizione che l’uomo arrivi alla conoscenza soltanto per la via dell’esperienza,

sebbene il reale obiettivo si trovi al di là del percepibile.

• Il secondo consiste nell’errore di considerare il pensiero

soltanto come un prodotto soggettivo dello spirito umano.

 

Ne deriva il paradosso che la conoscenza scientifica della natura è illusione assoluta,

• perché l’oggetto reale è insperimentabile

• e le induzioni sullo stesso conducono alla formazione di concetti irreali.

• La scienza materialistica si fonda su oggetti reali ma insperimentabili

• e su concetti sperimentabili ma irreali. In realtà essa è non scienza.

 

Il pregiudizio che il concetto non sia reale deriva alla scienza dalla filosofia di Kant.

Per questo filosofo le categorie concettuali sono vuoti schemi che ricevono il loro contenuto unicamente dal reale percepito. Questo suo modo di considerare oggetto e concetto (il secondo come puro riflesso del primo in uno specchio dalla forma fissa) è passato alla scienza che ritiene i pensieri generalizzati e le leggi della natura espresse in concetti come pure astrazioni.

 

A questo proposito, bisogna porre l’importante questione: che cosa si deve intendere per scienza?

Siccome essa si fonda sul metodo induttivo, comunemente a tale domanda si risponde nel modo seguente:

per scienza s’intende il risultato di tante particolari esperienze raccolte in una formula generale.

 

Ma qui sorge subito un’altra questione: da che cosa deriva la necessità di aggiungere al particolare dato sensibile un concetto di ordine generale?

Se tutto il reale, come afferma il materialismo, si esaurisce nel dato percepito, i concetti sarebbero del tutto superflui. Basterebbe che l’uomo percepisca il mondo, per comprenderlo e conoscerlo senza limiti, fino alle basi del suo essere. È dimostrato però che percezione non è sinonimo di scienza, quindi essa non dà la totalità del reale.

 

Contro ciò si può obiettare che la scienza è un affare privato dell’uomo. La natura non chiede di essere conosciuta. Essa esiste come esiste, cioè come una molteplice oggettività spaziale e temporale. Se l’uomo fosse un essere eterno e spazialmente illimitato, potrebbe percepire tutto il reale e in questo caso percezione sarebbe sinonimo di scienza. Ma poiché l’uomo è un essere limitato nello spazio e nel tempo, percepisce soltanto una piccola parte della realtà e poiché un frammento non può dare la conoscenza del tutto, è necessario che egli aggiunga alla percezione il concetto, che va al di là del tempo e dello spazio.

 

Questo ragionamento è perfettamente giusto. Il concetto mi dà quella parte della realtà che mi viene nascosta dalle limitazioni spaziali e temporali. Ma appunto perciò esso non è un puro riflesso della percezione. Se lo fosse sarebbe pur sempre un’immagine limitata con i contorni precisi del dato percepito; ma poiché il concetto contiene assai di più della percezione, esso non può essere un’immagine della stessa. Ammesso che sia un’immagine, lo è certamente di qualcosa d’altro.

 

Lo so con un semplice calcolo a quanti gradi bollirà una pentola sull’Everest. Di quale pentola in ebollizione è mai il riflesso questa mia conoscenza? So anche che da un determinato seme sorgerà una determinata pianta, e ciò non perché, come crede Kant, ho visto tale processo svolgersi ripetutamente sotto i miei occhi, ma perché ho compreso concettualmente che cosa è una pianta.

 

Il concetto dunque non è il riflesso del dato percepito,

ma di quella realtà attinente all’oggetto che sta fuori dello spazio e del tempo.

 

Le rose cresciute sulla terra mille anni fa non erano meno reali di quelle che crescono oggi e quelle che cresceranno tra dieci secoli lo saranno altrettanto. Ma dobbiamo chiederci come S. Agostino “Dove sono andate a finire le prime e da dove verranno le seconde?”, perché noi abbiamo rettificato i concetti di spazio e di tempo. Esse esistono in quella realtà senza spazio e senza tempo di cui il concetto è un pallido riflesso.

 

La realtà si manifesta in due forme di esistenza:

• una spaziale e temporale, cioè materiale,    • e l’altra non spaziale e non temporale, cioè ideale.

L’una forma ci dà il particolare e l’altra il generale.

 

L’oggetto è una forma particolare del concetto.

Esso mi dà l’idea nella forma della materia.

 

La realtà si manifesta allo spirito umano in due forme: quella materiale e quella ideale.

Ma se la forma è duplice, la sostanza è una. E questa sostanza è spirito.

 

Lo spirito è tanto soprasensibile che sopraideale.

L’idea è forma dello spirito, come anche la materia è forma dello spirito.

 

 

4. Il mondo dei sensi non è maya

La concezione del mondo che abbiamo tratteggiato e che vive in tutta l’antroposofia, non è soltanto reale, è anche salutare per lo spirito umano. Essa sta ugualmente lontano tanto dal materialismo quanto dallo spiritualismo unilaterale.

 

Negli antichi tempi precristiani la realtà del mondo dei sensi veniva considerata come maya.

Questa concezione non veniva però intesa dall’anima umana come una sciagura irreparabile,

perché essa poteva rifugiarsi nei mondi celesti e trovare ivi la pienezza dell’essere.

 

Oggi è la scienza ufficiale a proclamare il carattere illusorio di quanto il mondo fisico offre ai sensi umani.

La concezione che ne deriva è però nefasta, perché non ha alcun equivalente spirituale.

Agisce nell’anima umana come una bomba atomica devastatrice.

 

L’umanità moderna erra sperduta nel deserto della disperazione.

Il materialismo è giunto al suo massimo assurdo di negare ogni oggettività non solo allo spirito,

ma alla stessa materia.

Con impressionante evidenza appare la ragione per la quale Goethe definisce Mefistofele “lo spirito che nega”.

 

L’antroposofia di R. Steiner è invece un positivismo fisico-ideale.

Essa dà alla materia e allo spirito il giusto valore che ad essi compete.

Il mondo dei sensi non è maya. Esso è una delle tante forme in cui si può manifestare lo spirito.

E non è la forma più bassa, è, dopo il Mistero del Golgota, la forma più alta.

 

Il Cristo si è fatto uomo, il Cielo è divenuto Terra.

Nella luce, nei colori, nei suoni del mondo fisico è presente il Risorto.

La materia non è solo reale, è anche divina.

La speranza dell’umanità sta solo nell’unione con il Risorto.

Ma questa unione è possibile soltanto come fatto fisico terrestre.

Egli dice: «Mangiate la mia carne e bevete il mio sangue». Cioè: «Unitevi con me nel mondo dei sensi».

 

Dobbiamo fare oggetto di meditazione il fatto

che è proprio il materialismo a negare la realtà del mondo dei sensi.

In ciò, e soltanto in ciò, esso rivela la sua natura anticristiana arimanica.

 

La Scienza dello Spirito di R. Steiner è anche scienza della materia come forma dello spirito.

Essa dà la possibilità allo spirito che è nell’uomo di ricongiungersi con lo spirito che è nell’universo.

Per tale fatto l’antroposofia è un continuo atto sacramentale, una mensa eucaristica sempre imbandita.

Antroposofia è sinonimo di Eucaristia.