L’uomo quale anima

La pietra fondamentale della Società Antroposofica


 

Le considerazioni fin qui svolte ci hanno condotto a riconoscere l’importanza dell’arto corporeo dell’essere umano. Siamo partiti dall’osservazione che il corpo mette in rapporto l’uomo con la totalità dell’esistenza presente nello spazio. Abbiamo in tal modo potuto far vedere che il corpo in realtà riempie tutto l’universo e che l’oscurissima coscienza che domina nell’arto base della nostra costituzione umana è la stessa onniscienza del cosmo. Il nostro corpo sa e vede ciò che avviene nella stella più remota, soltanto non può dircelo, perché è maggiormente legato con l’universo oggettivo che non con la nostra soggettiva personalità umana.

In seguito abbiamo esaminato la realtà dello spazio e abbiamo rettificato fino alla base il relativo concetto.

 

Fa parte delle conquiste fondamentali della conoscenza umana

il riconoscere che lo spazio non è percezione, ma idea, non è oggetto, ma concetto.

E come idea altissima della mente umana, lo spazio è l’immagine del Creatore dei Mondi, del Primo Logos.

Tutto ciò che l’uomo crede di poter dire sullo spazio, sulla sua assolutezza, intangibilità, eternità,

si riferisce in realtà allo Spirito dell’Universo.

 

L’ateismo non è perciò possibile se non come illusione di un’anima malata, se non come fondamentale errore di pensiero. La Scienza dello Spirito ci libera dalle illusioni e dagli errori e ci dà la possibilità di comprendere questa essenziale relazione dell’universo: Spazio – Dio Padre

 

Questa relazione ci permette di cogliere il vero senso e l’intimo significato di una osservazione così semplice ed immediata come è quella che abbiamo già posta in evidenza: il corpo determina l’esistenza spaziale dell’uomo.

Il vero significato di queste parole è il seguente: per mezzo del suo corpo, l’uomo giace in grembo della Divinità originaria del cosmo. Questo è il più alto segreto che possano rivelare all’uomo gli Spiriti Sublimi della Prima Gerarchia celeste, perché sono essi che hanno elaborato fin dalle origini il corpo dell’uomo.

 

Ora che abbiamo visto che cosa rappresenti per l’uomo il corpo, possiamo porci quest’altra domanda: che significato ha per l’uomo il fatto ch’egli è anima? La risposta a questa domanda è analoga a quella sull’esistenza del corpo. Perciò diciamo: L’anima determina l’esistenza temporale dell’uomo.

 

Dunque

• il corpo è in relazione con lo spazio,

• l’anima è in relazione col tempo.

 

Dobbiamo riconoscere però che questo secondo fatto non è così evidente come il primo. La relazione del corpo con lo spazio è un fatto addirittura assiomatico; s’impone con tanta evidenza che non ha bisogno di essere dimostrato. Non altrettanto si può dire per la relazione dell’anima con il tempo.

Perciò su questo argomento converrà spendere qualche parola in più.

Facciamo intanto questa prima osservazione: lo spazio non giunge fin dentro l’anima, il tempo non giunge fin dentro il corpo.

 

La prima parte di questa osservazione è assolutamente chiara. L’uomo più ignaro di filosofia sa che i suoi pensieri, i suoi sentimenti, i suoi impulsi volitivi non sono entità spaziali. Lo spazio non fa valere le sue leggi dentro l’anima. L’anima stessa non è per nulla un ente spaziale. E viceversa il corpo non è affatto un ente temporale. Quest’ultima osservazione potrà sembrare inesatta, perché tutti pensano che il tempo agisce con gran forza proprio sul corpo. Difatti questo con l’andare degli anni invecchia e infine con la morte perisce e si dissolve. Per correggere questa falsa impressione, bisogna pensare che il corpo non è un ente semplice. Esso è appunto compenetrato dall’elemento animico e per il fatto che questo si evolve nel tempo, anche il corpo subisce delle modificazioni. Queste però non derivano dalla natura del corpo, ma sono prodotte dall’elemento animico che nel corpo appunto agisce.

 

Per avere una chiara idea di ciò che sia un corpo per se stesso, bisogna considerare un minerale. Il minerale difatti, come ente terrestre, è solo corpo, è corpo puro e semplice. L’elemento animico è completamente assente dal corpo del minerale. E ora chiediamoci: che importanza ha per il minerale il fluire del tempo? Assolutamente nessuna. Sì, anche un minerale può subire delle modificazioni; così p.es. un pezzo di ferro può arrugginire, l’acqua può evaporare, ecc. Tutte queste modificazioni, anche se si manifestano nel tempo, non sono però opera del tempo, sono opera di agenti esterni, nascono in realtà da una relazione spaziale. Per il fatto che ferro e ossigeno coesistono nello spazio, possono venire a contatto e produrre il perossido di ferro. Osserviamo per qualche giorno una bandiera che sventola sull’asta di un edificio pubblico. Quando fa sole, essa è asciutta; quando piove, si bagna; quando spira vento, si agita; quando l’aria è calma, pende inerte. Tali modificazioni della bandiera avvengono sì in una successione temporale, ma possiamo dire che il tempo come tempo abbia un significato qualsiasi per quella bandiera, che il tempo abbia in qualche modo influito sul suo essere? Non possiamo assolutamente dirlo. Sulla bandiera hanno agito soltanto le condizioni atmosferiche, gli agenti fisici.

 

Ed ora facciamo un salto improvviso ed osserviamo l’enorme differenza che passa tra l’Oberto, conte di S. Bonifacio e il Falstaff di Verdi. Da che cosa nasce questa differenza? Dal fatto che il genio di Verdi si è maturato col tempo. Il tempo qui ha manifestato il suo essere, la sua potenza, la sua necessità. Poniamo a confronto questi due fatti significativi e facciamoli oggetto di assidue meditazioni:

Il ferro può combinarsi con l’ossigeno in un qualunque momento. Dunque per esso il tempo non ha significato.

Il genio di Verdi può creare il “Falstaff” soltanto in un determinato momento. Dunque il tempo fa qui sentire tutta la sua potenza.

 

Consideriamo per un momento la vita di S. Francesco. Sappiamo ch’egli era figlio di un ricco mercante di Assisi e che da giovane condusse una vita piuttosto libera e mondana, conforme ai suoi mezzi e al suo ceto. Poi, spinto dallo spirito d’avventura, pensò di farsi soldato e di partire per i Luoghi Santi. Invece s’ammalò ed ebbe delle visioni che lo portarono sulla via della santità. Egli è così diventato un grande Santo e dette l’anima al suo secolo e a molti altri secoli ancora. Anche qui vediamo una differenza quasi inconcepibile tra il giovane libertino e il santo puro da ogni passione mondana.

E ora rendiamoci ben conto che il libertino e il santo non possono sussistere uno accanto all’altro. Il santo si è fatto tale solo perché vi era in lui la possibilità di eliminare il libertino.

 

Il ferro si combina con l’ossigeno, il carbonio, lo zolfo, ecc. e coesiste nel mondo in tutte le sue possibili forme d’esistenza.

Un Francesco d’Assisi libertino non può invece coesistere con un Francesco d’Assisi santo. L’esistenza dell’uno esclude l’esistenza dell’altro.

 

• La grande legge dello spazio è la coesistenza.

La grande legge del tempo è l’esclusione.

 

Ora è un fatto indubitabile che nell’anima si fa valere la legge dell’esclusione e non la legge della coesistenza. L’anima non vive nello spazio, ma nel tempo. E non è tanto significativo il fatto che nell’anima non possono svolgersi contemporaneamente due processi di pensiero, o due atti di volontà, o due vibrazioni di sentimento, quanto piuttosto il fatto che esporremo ora. Può darsi che uno s’annoi mortalmente ad ascoltare la musica di Bach. Egli non gusta che le canzonette alla moda. Poi, con il tempo, il suo gusto musicale si raffina, il suo senso d’arte si risveglia ed egli riesce alla fine ad apprezzare anche la musica eccelsa di Bach. Una cosa è però certa: ascoltando la musica di Bach non ci si può annoiare e inebriare allo stesso tempo. Ci si annoia o ci si inebria, a seconda dell’anima che si possiede.

 

Vi prego di non considerare queste considerazioni, forse troppo prolisse, che ora stiamo facendo sul valore del tempo, come delle verità lapalissiane. Lo sono, solo in quanto l’uomo si lascia sfuggire l’ultimo valore delle cose e dà importanza solo al loro aspetto superficiale. L’esempio dato voleva condurre a questo fatto di straordinaria importanza: davanti a una qualsiasi cosa, fatto, avvenimento, fenomeno, vicenda, ecc., davanti a una qualsiasi manifestazione del mondo o dello spirito, l’anima in un determinato momento della sua esistenza non può farsi che un solo pensiero, un solo sentimento, un solo motivo d’azione. Il tempo qui impone la sua legge; il tempo si presenta nella vita animica come elemento essenziale e determinante dell’esperienza. I nostri pensieri, i nostri sentimenti, i nostri atti volitivi sono quelli che il tempo vuole che siano. Davanti a una cosa qualsiasi si possono naturalmente fare infiniti pensieri, ma in un certo lasso di tempo si riesce a farne soltanto uno. Quando del tempo sarà passato, se ne potrà fare un altro di natura diversa, e così via. E che importanza ha questo fatto apparentemente insignificante e lapalissiano? Che cosa significa per l’uomo il fatto che davanti ad una certa cosa egli ha oggi un’idea e domani può averne un’altra? Niente altro che questo: un delinquente col tempo può diventare un santo.

 

L’evoluzione è il grande prodotto del tempo. È necessario però insistere sul fatto che solo l’elemento animico può evolversi e produrre a sua volta modificazioni sull’elemento corporeo. Perciò dobbiamo dire – contro tutte le aberrazioni darwinistiche – che dove nel mondo assistiamo a un processo d’evoluzione, là è presente l’anima. Per comprendere ciò dobbiamo porci la domanda: Che cosa è veramente l’anima?

 

Per anima s’intende comunemente quel mondo interiore umano che contiene impulsi di volontà, idee, concetti, rappresentazioni e infine l’infinita serie dei sentimenti e delle passioni. Anzi proprio il sentimento viene considerato come l’elemento animico per eccellenza, il vero prodotto dell’anima. Pensiero e volontà vivono sì nell’anima, ma provengono da altre sfere. Perciò anche nell’occultismo si usa collegare l’animico con l’astrale e si pensa che la vita dell’anima si svolga essenzialmente nel corpo astrale. E così è difatti.

L’uomo terrestre sviluppa, in questo momento della sua evoluzione, il proprio elemento animico traendolo fuori dal corpo astrale. La Scienza dello Spirito però ci insegna che questo è un fatto anormale. E questa anormalità, che ci accingiamo a considerare, fa sì che proprio a riguardo della sua anima l’uomo viva nella più grande illusione. L’illusione deriva dal fatto che l’uomo esperimenta i suoi sentimenti e le sue passioni come qualcosa di assolutamente personale. L’uomo trova il suo Sé a tutta prima nell’anima, perché qui tutto gli apparisce come proprio. Nulla gli dà tanto fortemente il senso di sé come la continua agitazione delle passioni, che Dante chiama “la bufera infernal che mai non resta”. Questa bufera che di continuo agita l’uomo facendo sorgere in lui il senso della personalità, è opera di Lucifero. Ecco perché abbiamo detto poco prima che svolgere sentimenti e passioni dall’astralità è un fatto anormale.

 

L’anormalità doveva penetrare nel corso dell’evoluzione, perché altrimenti l’uomo non sarebbe mai potuto diventare un essere libero e indipendente. Ciò che noi conosciamo come personalità umana, come sé dell’uomo, sorge solo dal fatto che l’anima esperimenta il sentimento come una cosa propria. E su tale base l’uomo può costruire la sua libertà. Che cosa ha veramente fatto Lucifero per dare all’uomo l’illusione che i sentimenti siano una cosa sua personale e permettergli così di credersi un essere indipendente? Ha tolto l’animico dalla sua sfera originaria, l’etere solare, e lo ha portato nell’astralità lunare.

 

Da tale fatto, anche per la successiva intromissione di Arimane,

è sorta nella costituzione umana la massima anormalità.

La natura dell’uomo è stata addirittura invertita.

 

Dopo di allora l’uomo forma il suo sentimento per mezzo del corpo astrale

e pensa mediante il corpo eterico.

Invece secondo gli impulsi delle Gerarchie che lo hanno creato,

l’uomo dovrebbe pensare con il corpo astrale e sentire con il corpo eterico.

Naturalmente se l’uomo potesse fare così,

il suo sentimento e il suo pensiero sarebbero tutt’altra cosa di ciò che appariscono ora.

 

L’anima dell’uomo è ora un’illusione luciferica.

Essa non manifesta la sua vera natura e perciò i sentimenti si presentano con un fatto personale.

Il vero e genuino elemento animico si sviluppò sul Sole come sentimento cosmico.

Vi è una sola esperienza umana che può darci un’idea di ciò che sia veramente il sentimento cosmico solare,

ed è l’amore. L’amore è difatti un sentimento unico.

 

• Mentre tutti gli altri sentimenti ci dicono qualcosa riguardo noi stessi, solo l’amore è capace di dirci qualcosa sul conto degli altri. Quando un’anima è piena d’amore, in quest’anima non vive la propria personalità egoistica, ma si manifesta l’essere amato. Per mezzo dell’amore tutto il mondo può penetrare in noi stessi. Ciò dà l’idea della potenza del sentimento cosmico.

 

• Per mezzo del nostro sentimento umano corrotto da Lucifero, noi possiamo sentire noi stessi.

• Per mezzo del sentimento cosmico solare, gli esseri che ne sono dotati sentono in sé la presenza degli altri esseri.

L’amore fa sì che ogni essere possa fluire su un altro essere.

E questo placido fluire di una cosa in un’altra cosa, di un essere in un altro essere,

è Vita nella sua realtà e Tempo nell’astrazione del pensiero umano.

 

Ora possiamo comprendere perché nell’anima umana vi è continua bufera di passioni. La vera natura del sentimento è il moto, il placido fluire da essere ad essere. Nella nostra anima il sentimento è invece racchiuso tra le ferree pareti dell’egoismo e perciò rimugge e ribolle. Spezziamo queste pareti e lo vedremo fluire con la sua calma piena di vita.

 

Il sentimento, come lo conosciamo ora e come si manifesta nella nostra interiorità, è illusione luciferica.

Si può anzi dire che proprio il sentimento e il pensiero, nella veste illusoria in cui l’uomo li conosce,

sono l’effetto principale dell’intromissione degli oppositori nel corso dell’evoluzione.

L’uomo che pensa e che sente è per questo semplice fatto un essere anormale.

La Scienza dello Spirito ci offre però un mezzo potente ed efficace per ricondurre l’uomo alla normalità.

E questo mezzo è la meditazione sulla croce con le rose.

 

Per comprendere l’importanza di questa meditazione, dobbiamo porci la domanda: Che cosa è in realtà la rosa, o un fiore in genere?

La rosa è un sentimento cosmico. Il Dottore dice che i fiori sono i sentimenti dei morti. Osserviamo bene la singolarità della rosa come sentimento cosmico. La rosa discende sulla pianta da lontananze cosmiche, ma la pianta evolve poi questo suo fiore entro il suo corpo eterico. Ecco dunque che cosa è la rosa: un sentimento che si basa sull’eterico.

 

La croce con la rosa non è un semplice simbolo; è una realtà cosmica.

Perciò è atta a dispiegare nell’interiorità umana un’azione potente.

Essa libera il sentimento dell’uomo dalla sua base astrale e lo riporta nell’etere originario.

E che cosa avviene allora?

Il sentimento si rivela per quello che veramente è, non fatto personale dell’uomo, ma ispirazione cosmica.

 

Mettiamo davanti agli occhi dell’anima questa contrapposizione:

L’uomo, in cui si fa valere l’anormalità portata da Lucifero e da Arimane,

• sviluppa il sentimento dal corpo astrale e lo considera un fatto personale,

• svolge il pensiero dal corpo eterico e lo ritiene un’astrazione della realtà.

 

L’uomo, che con i mezzi che gli vengono offerti dalla Scienza dello Spirito riporta nel suo essere la normalità,

pensa con il corpo astrale che gli dà il pensiero come immaginazione,

• e sente con il corpo eterico che gli dà il sentimento come ispirazione.

 

L’uomo dunque che non è passato attraverso l’iniziazione, non conosce la vera realtà del sentimento e quindi dell’anima. Appena nell’ispirazione il sentimento rivela la sua vera natura e fa sorgere la giusta esperienza dell’anima.

 

• Noi dobbiamo ora, sulla base delle premesse che abbiamo poste,

congiungere l’idea di anima con l’idea di vita.

Solo ciò ci permetterà di vedere come l’anima pulsi dovunque nell’universo col ritmo del tempo.

 

E che cosa è veramente il tempo? Anche il problema del tempo, come quello dello spazio che abbiamo già considerato, ha messo a dura prova l’intelletto degli uomini più grandi e rappresentativi. Famoso è il libro di S. Agostino che tratta del problema del tempo. Questo libro ci dimostra quanto duro dev’essere lo sforzo della mente umana che vuole conquistarsi la comprensione di ciò che è il tempo.

Pensiamo a un orologio che con il suo inesorabile tic-tac segna il corso del tempo e chiediamoci: se quell’orologio arrestasse il battito del suo pendolo, il tempo procederebbe ancora nel suo corso?

Questa domanda sembra addirittura ingenua o puerile, perché tutti sanno – o almeno così credono di sapere – che non è un orologio che fa sorgere il tempo, ma semplicemente lo misura. Anche se non esistesse alcun orologio per misurarlo, il tempo passerebbe lo stesso. E l’uomo se ne accorgerebbe ugualmente, se non altro dalle modificazioni che vedrebbe avvenire in sé e intorno a sé, perché l’uomo invecchia e così è egli stesso una misura di tempo.

 

Facciamoci dunque quest’altra domanda: se l’uomo non esistesse sulla faccia della terra, il tempo scorrerebbe ugualmente? Anche qui viene naturale da rispondere: Ma certo! L’uomo, come ogni altra cosa esistente, va semplicemente soggetto all’azione del tempo e non lo crea. La realtà del tempo è del tutto indipendente dall’esistenza dell’uomo. Anche se l’uomo non esistesse, il tempo procederebbe nel suo fatale andare e sarebbe misurato cosmicamente dai movimenti del sole e delle stelle.

 

Prendiamo tutto ciò come verità evidente ed indiscutibile e poniamo la terza domanda: se togliamo dall’universo il Sole, le stelle e tutto ciò che vi esiste in modo da avere uno spazio cosmico completamente vuoto, il tempo esisterebbe ancora?

Vedete, questa domanda è del tutto simile alla prima, solo non sembra tanto ingenua, perché riguarda cose più grandi. Prima si trattava eliminare soltanto un orologio, ora invece bisogna svuotare il cosmo del suo contenuto.

Eppure, se vogliamo essere coerenti con il pensiero fin qui svolto e che sembra inoppugnabile, dobbiamo rispondere anche questa volta: se nulla esistesse, il tempo esisterebbe tuttavia, sebbene non ci sarebbe alcuna cosa atta a misurarne l’esistenza.

 

Il tempo difatti non nasce dalle cose,

ma è un fatto obiettivo che sussiste di per sé e che fa valere la sua azione su tutto il resto dell’universo.

 

Questa riconosciuta realtà obiettiva del tempo che lo fa esistere di per sé al di fuori e al di sopra di ogni sua determinazione sensibile data dalle cose che ne subiscono l’azione, fa sorgere il grave problema del dove vada a ricercarsi la sfera dell’esistenza temporale. La realtà del tempo non coincide difatti con la realtà delle cose che ne subiscono l’azione. È inutile chiederci dove sia andata la Roma dei Cesari, ma non è altrettanto inutile chiedere dove si trovi ora – in questo fugacissimo momento – la realtà del passato e la realtà del futuro. È questa l’angosciosa domanda, la domanda senza possibile risposta di S. Agostino: «O tempo, dove tu vai e donde tu vieni?». S. Agostino crede che soltanto Dio potrebbe rispondere a questa domanda.

La mente va a cozzare contro questi scogli insormontabili del sapere, quando qualche sottile errore di pensiero s’insinua nel processo ragionativo. Come già per il caso dello spazio, anche qui l’uomo viene tratto in inganno e in questa inestricabile matassa aggrovigliata di concetti dal fatto ch’egli attribuisce al tempo un’esistenza materiale del tutto simile a quella delle cose.

 

Il tempo viene considerato un oggetto, mentre è in realtà un concetto.

 

Per vedere come sorga nell’uomo il concetto di tempo, consideriamo per un momento lo sviluppo ciclico di una rosa. La rosa è dapprima seme. Questo seme germoglia nella terra, da cui esce il gambo, che si ramifica. I rami a loro volta mettono foglie. Alla fine sboccia il fiore. Questo poi appassisce e dal suo seno esce il seme. Il ciclo così è chiuso e può dar vita a un nuovo ciclo. Che cosa ci dice questo processo? Ci dice che noi non possiamo percepire la totalità dell’essere della rosa tutto in una volta. La percezione ci dà soltanto una parte minima dell’essere della rosa.

 

Nel mondo dei sensi la rosa non esiste mai interamente,

ma manifesta soltanto volta per volta una particolarità del suo essere con tante forme successive.

La caratteristica di queste forme è che esse non stanno mai una accanto all’altra nello spazio.

Ogni forma trapassa nella successiva senza lasciare traccia di sé.

 

Questa successione di percezioni di cui la prima non permane quando si presenta la seconda, fa sorgere l’illusione del tempo come realtà fisica. Perciò si dice: il tempo scorre, il tempo passa, ecc., ma ciò è un’illusione.

 

In realtà non è il tempo che fluisce, ma solo le cose, i fatti, gli avvenimenti.

Il tempo è un puro concetto e non dobbiamo attribuirgli alcun carattere proprio alle percezioni.

Il tempo è eterna manifestazione di esseri.

 

Guardiamo in noi stessi. Siamo stati fanciulli e diventeremo vecchi, ma siamo sempre noi. Il nostro Io non afferra soltanto la nostra personalità del momento, ma abbraccia tutto il corso della vita. Perciò non si può neanche dire che ci sia un prima o un poi nella vita dell’uomo o che l’uomo invecchi. L’uomo nella sua vita è sempre e costantemente un uomo in tantissime forme dell’esistenza. Solo che l’uomo, come non ha mai la percezione della totalità di un essere, così non può nemmeno avere la percezione della totalità del suo proprio essere.

L’uomo trova il suo vero essere poco alla volta. Egli si manifesta a se stesso grado per grado. Ciò fa sì ch’egli sia un essere interiore, che le esperienze del mondo esterno, affluendo in lui, possano pulsare di vita propria.

 

Consideriamo per un momento la nostra vita passata. Possiamo abbracciarla tutta con il ricordo in una grande visione retrospettiva. Vi scorgiamo anche avvenimenti e vicende della nostra vita che ci hanno profondamente addolorato o rallegrato, che hanno agito con grande potenza sulla nostra anima. Ora, invece, nella visione del ricordo li consideriamo con freddezza, quasi fossero dei fatti estranei. E perché ciò? Perché ormai sono inquadrati in una totalità e non hanno più virtù di commuovere l’anima.

Pensiamo anche a questo fatto. La rosa che a primavera risplende in giardino, con la sua bellezza suscita nella nostra anima sentimenti ineffabili. La rosa che sta nel nostro pensiero come concetto, non riesce a discendere fino al nostro cuore. Essa può elevarci, è vero, nelle alte sfere della conoscenza, ma per se stessa non giunge fino a noi, non anima la nostra interiorità. Invece con la rosa che risplende oggi in giardino – che ieri non fu, che domani sarà appassita – noi possiamo congiungere intimamente il nostro essere.

Per mezzo dell’anima tutto il mondo può diventare il contenuto della nostra interiorità, può diventare una vicenda nostra propria alla quale compartecipiamo con tutto il calore dei nostri sentimenti. Rendiamoci però ben conto che senza il tempo l’anima non potrebbe esistere.

 

È il tempo che dà contenuto e vita all’anima con il manifestare la complessiva realtà del mondo soltanto in una serie successiva di forme, di cui ciascuna, al momento in cui sorge e si presenta, pare avere il massimo valore.

Se non ci fosse il tempo, l’uomo non potrebbe sentirsi congiunto con il mondo, non potrebbe anzi avere una vita interiore. Sarebbe tutt’al più uno specchio che riflette l’ambiente circostante senza congiungerlo con la sua natura.

Così difatti era durante il remoto periodo dell’evoluzione saturnea. Ora invece l’uomo è anima. Esperimenta la realtà del mondo nel grande corso del tempo e perciò ogni essere, ogni fatto, ogni vicenda può penetrare in lui e animare la sua interiorità.

 

E ora leggiamo l’inizio della seconda strofa (se possiamo chiamarla così) della Pietra fondamentale. Questa strofa di poema cosmico è stata “dettata” dalla Seconda Gerarchia. Essa è un invito rivolto all’uomo di riconoscersi quale anima.

Anima dell’uomo
tu vivi nel battito del cuore e nel respiro del petto,
che col ritmo del tempo
ti guidano 
a sentire la tua esistenza interiore.

 

Ora che abbiamo compreso il valore e il significato del tempo per l’entità umana, chiediamoci: Che cosa è il tempo? Che cosa fa sì che l’uomo possa sentire se stesso come anima vivente? Abbiamo già visto che il tempo non sta nella sfera delle percezioni, ch’esso non è un oggetto accanto ad altri oggetti, ma che è invece un concetto puro, un’idea della mente umana. È anzi un concetto così forte, così obiettivo, così saldamente fondato, così reale, che la maggior parte degli uomini lo scambia per una percezione. Dobbiamo riconoscere la piena obiettività del tempo, senza peraltro cadere nell’errore di ricercarla nella sfera delle percezioni fisiche.

 

Nel concetto, nell’idea del tempo si riflette il secondo Logos, il Figlio, la Vita e la Luce delle anime.

Ora possiamo continuare lo schema che abbiamo iniziato la volta precedente:

Dio Padre – Spazio – I Gerarchia – Corpo
Dio Figlio – Tempo – II Gerarchia – Anima

 

• Come il corpo, ponendo l’uomo nello spazio, cioè nel grembo della Divinità originaria,

lo connette con l’universalità dell’esistenza,

• così l’anima, inserendo l’uomo nella corrente del tempo, cioè nella vita cosmica che tutto pervade,

gli dà il senso ineffabile che il cosmo viva in lui.

 

Non soltanto l’uomo, ma tutto l’universo conduce così una doppia esistenza, quella esterna e quella interna.

• Quella esterna che si fonda sul corpo e si estende nello spazio, è l’immagine del Padre.

• Quella interna, che ha per sede l’anima e si svolge nel tempo, è l’immagine del Figlio.

In tal modo l’uomo – e il cosmo stesso – riposa in grembo alla Divinità creatrice.

 

L’uomo si sente annichilito di fronte alla poderosa realtà dello spazio e del tempo. È bene che sia così. Soltanto mediante il senso dell’umiltà interiore, l’uomo può elevarsi alle conoscenze superiori e alla vera grandezza spirituale del suo essere. Chi non ha mai tremato davanti all’idea dello spazio che non ha limiti e del tempo che non ha fine, non ha ancora deste in sé le forze atte ad elevare l’uomo alla comprensione dello spirito.

Il tempo e lo spazio testimoniano difatti della grandezza senza limiti e senza fine dello spirito.

 

Trieste, 22 febbraio 1948