Il lavoro spirituale è improduttivo rispetto al passato e produttivo per l’avvenire

O.O. 340 – I capisaldi dell’economia – 29.07.1922


 

Sommario: La formula del «prezzo giusto». Interessi elevati rincarano il processo economico e fanno diminuire i terreni. Il lavoro spirituale è improduttivo rispetto al passato e produttivo per l’avvenire. Necessità del «puro consumatore». Pagare, prestare e donare sono concetti necessari per una sana economia. Vita spirituale libera e semilibera. Vita spirituale e vita economica. Le associazioni devono regolare le donazioni.

 

È forse noto che nel mio libro I punti essenziali della questione sociale ho cercato di determinare con una formula il modo per arrivare a una rappresentazione del prezzo giusto nel processo economico. Con una simile formula è data naturalmente solo una astrazione, ma il compito di queste conferenze, che vogliono costituire un insieme compiuto, è appunto quello di esaminare, nell’ambito di questa astrazione, tutta l’economia, almeno a grandi tratti.

 

In quel mio libro ho dunque indicato come formula che il prezzo giusto si ha quando qualcuno, per un prodotto da lui allestito, percepisce come controvalore quanto gli occorre a soddisfare i propri bisogni, la somma dei propri bisogni (fra i quali sono naturalmente compresi quelli di coloro che gli stanno a carico) fino a che egli non abbia nuovamente confezionato un altro prodotto uguale. Questa formula, per quanto astratta, è tuttavia esauriente. Quando si stabiliscono delle formule, occorre appunto che contengano davvero tutti i particolari concreti. Io ritengo che, nei riguardi dell’economia, questa formula sia altrettanto esauriente di quanto lo è, diciamo, il teorema di Pitagora per tutti i triangoli rettangoli. Se non che, come per quest’ultimo occorre comprendere la diversità dei lati, così nella formula su esposta occorre comprendere molto di più. Scienza economica è appunto la conoscenza del modo di introdurre in questa formula tutto il processo economico.

 

Oggi vorrei prendere le mosse da un elemento molto essenziale di questa formula, e cioè dal fatto che essa non contempla il passato, ma ciò che ha da venire. Ripeto esplicitamente: il controvalore deve soddisfare i bisogni futuri del produttore fino a che egli non abbia di nuovo portato a termine un prodotto uguale. E ciò è molto importante in questa formula. Se si chiedesse un controvalore (in qualche modo corrispondente ai reali processi economici) per il prodotto già ultimato, potrebbe darsi che esso bastasse ai bisogni dell’interessato solamente, diciamo, per cinque sesti del tempo necessario a fornire un nuovo prodotto. Infatti i processi economici variano dal passato all’avvenire, e chi crede di poter fare un calcolo attenendosi soltanto al passato, dovrà sempre cadere in errore, poiché l’esercizio dell’economia consiste in sostanza nel basare i processi futuri su quelli antecedenti. Ma quando ci si vale dei processi antecedenti per porre in opera quelli futuri, si constata che i valori si spostano, si spostano di continuo e talora in modo rilevante. Quindi in questa formula è essenziale rilevare che se qualcuno vende un paio di stivali, quello che economicamente importa non è il tempo passato ch’egli ha impiegato nella confezione, ma il tempo futuro che impiegherà per allestire il paio di stivali successivo. Questo importa nella nostra formula, e dovremo ora comprenderlo in senso più lato nell’insieme del processo economico.

 

Ieri abbiamo prospettato il circolo: natura-lavoro-capitale, il quale ultimo viene utilizzato dallo spirito (v. disegno precedente). In alto, al posto di «capitale», potrei anche scrivere «spirito». Abbiamo dunque seguito il processo economico in direzione contraria a quella delle lancette dell’orologio, e abbiamo trovato che nella natura non deve avvenire un ingorgo per il fatto che il capitale si fissa nei terreni a produrre redditi fondiari; deve passar oltre solamente ciò che, come una specie di seme, abbia la possibilità di proseguire.

 

Ho già detto che in sostanza la valutazione di vendita dei terreni è opposta agli interessi di chi fabbrica merci aventi un valore reale. Chi, con l’ausilio del capitale, vuol fabbricare merci, è avvantaggiato se il saggio d’interesse è basso; in tal caso gli interessi che ha da pagare sono più esigui, ed egli ha quindi maggior libertà di movimento col capitale che ha avuto in prestito. Invece il possidente (bisogna ch’io parli di questi fatti, poiché hanno importanza nel quadro della nostra economia), il quale ha interesse a che il prezzo dei terreni rincari, lo ottiene appunto se il saggio d’interesse è basso. Se il saggio ch’egli deve pagare è basso, il valore delle sue terre aumenta: queste diventano sempre più care, al contrario di ciò che avviene nella fabbricazione di merci, dove chi ha da pagare un saggio d’interesse basso può produrre le merci a un prezzo inferiore. Dunque le merci per le quali l’importante è il processo di fabbricazione, ribassano di prezzo quando il saggio d’interesse è basso; invece le terre, che danno un profitto senza richiedere un processo di fabbricazione, quando il tasso d’interesse è più basso rincarano. È facile calcolarlo; si tratta di un fatto economico.

 

Sorgerebbe dunque la necessità di stabilire il saggio d’interessi in duplice modo: si dovrebbe avere una misura d’interesse quanto più possibile ridotta, per le imprese legate al lavoro, per la fabbricazione di merci, e si dovrebbe averla quanto più possibile elevata per i fondi, per le terre. Ma lo stabilire il più alto tasso possibile per i terreni, non è un provvedimento che in pratica sia senz’altro facilmente applicabile. Un tasso solo di poco più elevato, che sarebbe già anche praticamente applicabile per il capitale prestato sulle terre, non gioverebbe gran che; mentre un tasso molto più alto — per esempio, un tasso del 100% che, come tale, manterrebbe semplicemente il terreno sempre allo stesso valore — sarebbe anche in pratica di difficilissima attuazione, così senz’altro. Il tasso del 100% per il prestito sulle terre migliorerebbe subito la cosa; ma come si è detto non è praticamente attuabile. Qui si tratta di guardare bene a fondo con molta chiarezza il processo economico; allora si vede che il sistemai delle associazioni è il solo che possa sanarlo, poiché la giusta osservazione del processo economico è pur quella che conduce anche a dirigerlo nel giusto modo.

 

Nel processo economico dobbiamo pur parlare di produzione e di consumo, come ho già accennato ieri. Dobbiamo dunque osservare e il modo di produrre e di consumare. Abbiamo qui un contrasto che ha avuto parte importante, specialmente nelle molte discussioni economiche recenti sfociate poi anche in agitazioni. È stato molto discusso soprattutto sul problema se il lavoro spirituale, semplicemente come tale, sia o non sia generatore di valori in campo economico.

 

Il lavoratore spirituale è di certo un consumatore. È stato molto discusso se sia anche produttore, guardando il problema dal punto di vista economico. I più accesi marxisti citano sempre quel disgraziato contabile indiano che doveva tenere i registri della sua comunità, che cioè non lavorava i campi né eseguiva altri lavori produttivi, ma si limitava a registrarli; perciò si negava ch’egli fosse comunque produttivo, e si affermava che il suo mantenimento era dovuto unicamente al plusvalore guadagnato dai produttori. Vediamo dunque sempre citato questo fantomatico contabile indiano; così come nei ginnasi abbiamo il Caio della logica che deve sempre dimostrare la mortalità dell’uomo. È nota la sequenza: «Tutti gli uomini sono mortali, Caio è un uomo, dunque Caio è mortale!», A forza di dover dimostrare la mortalità dell’uomo, è divenuto egli stesso immortale! Un’immortale personalità logica!

Lo stesso è avvenuto nella letteratura marxista, per il contabile indiano che vive grazie al plusvalore dei produttori.

 

Il problema presenta una quantità di simili trappole in cui ci si aggroviglia volendolo risolvere nel campo economico: fino a qual punto è produttiva, o è in genere economicamente produttiva l’attività spirituale? A questo proposito è della massima importanza distinguere tra il passato e l’avvenire. Rivolgendo lo sguardo soltanto a ciò che è trascorso, e riflettendo sulle sole statistiche del passato, si potrà dimostrare che il lavoro spirituale, relativamente al passato e a tutto ciò che direttamente ne deriva, è in verità improduttivo. Se si guarda al passato, si può considerare produttivo di cose materiali solo il lavoro manuale, con quanto ne deriva. Ma è ben diverso se si volge lo sguardo all’avvenire; e l’esercizio dell’economia significa appunto lavorare per il futuro. Basta riflettere a questo semplice esempio: in un villaggio vi è un artigiano che lavora ad allestire i suoi prodotti. Se egli si ammala, e per speciali contingenze capita in mano di un medico inetto, sarà costretto a starsene a letto, diciamo, per tre settimane, e quindi a non produrre. In tal modo perturberà di molto il processo economico; se fa il calzolaio, per tutte quelle tre settimane le scarpe non verranno infatti portate sul mercato (inteso quest’ultimo nel senso più ampio). Supponendo invece ch’egli si faccia curare da un bravissimo medico che lo guarisce in otto giorni, sì che dopo otto giorni egli sia in grado di riprendere il lavoro, alla domanda: «In tal caso, chi avrà fatto le scarpe durante quei 15 giorni, il calzolaio o il medico?» si potrà rispondere sul serio che sarà stato il medico a fare le scarpe! È assai chiaro che, non appena da un punto qualsiasi si rivolge lo sguardo al futuro, non si può più dire che lo spirito non sia produttivo nei riguardi dell’avvenire. Di fronte al passato lo spirito, o per meglio dire gli uomini che lavorano spiritualmente, sono soltanto consumatori; ma rispetto all’avvenire essi sono assolutamente produttori, anzi sono i produttori per eccellenza. Che siano i produttori per eccellenza, anche nel senso che trasformano il processo di produzione e lo rendono dal punto di vista economico totalmente diverso, si constata per esempio nella costruzione delle gallerie ferroviarie: non si potrebbero fare se il calcolo differenziale non fosse stato scoperto. Col suo particolare lavoro Leibnitz coopera ancora oggi alla costruzione di tutte le gallerie, e i costi che si formano oggi in questo campo sono determinati in sostanza da quella applicazione di forze spirituali. Non si potranno quindi mai risolvere questi problemi economici osservando il passato alla stessa stregua dell’avvenire. La vita non si dirige affatto verso il passato, né vuol esserne semplicemente la continuazione; la vita cammina verso l’avvenire.

 

Quindi uno studio di economia non si basa sulla realtà, se non tiene calcolo di ciò che viene effettuato dal lavoro spirituale, se così vogliamo chiamarlo, cioè in fondo dal pensiero. Ma il lavoro spirituale è veramente assai difficile da afferrare, poiché ha proprietà ben determinate che sono difficilissime da ridurre a valori economici. Il lavoro spirituale comincia già nel momento in cui si organizza, si divide il lavoro per mezzo del pensiero ordinatore. Ma diventa poi Sempre più indipendente. Considerando il lavoro spirituale di chi dirige un’azienda nell’àmbito della civiltà materiale, si osserverà che egli impiega una somma notevole di lavoro spirituale; ma egli lavora ancora con ciò che il processo economico gli ha trasmesso dal passato. È però inevitabile, non foss’altro per interessi puramente pratici, che nell’insieme dell’attività spirituale (voglio chiamarla «attività» anziché «lavoro») sorga anche l’opera completamente libera.

 

Già quando si scopre il calcolo differenziale, e tanto più quando si dipinge un quadro, si svolge un’attività spirituale del tutto libera. Almeno in senso relativo si può parlare qui di un’attività spirituale libera, poiché la parte che proviene dal passato, cioè i colori e simili, di fronte a ciò che vien prodotto, non ha certo l’importanza che ha l’acquisto di materie prime nella fabbricazione di oggetti materiali.

 

 

A questo punto («spirito» in luogo di «capitale» nel nuovo disegno) arriviamo al campo della vita spirituale completamente libera e vi troviamo anzitutto l’educazione e l’insegnamento. Coloro che hanno da impartire educazione e insegnamento esplicano veramente la loro azione nell’àmbito della vita spirituale del tutto libera. Riguardo allo svolgimento puramente materiale del processo economico, proprio questi liberi lavoratori spirituali sono, di fronte al passato, dei consumatori, nient’altro che consumatori. Si potrà dire: eppure producono qualcosa, e per ciò che producono vengono perfino pagati, ad esempio se sono pittori. Anche in questo caso si ha dunque in apparenza lo stesso processo economico che si ha quando si fabbrica una tavola e la si rivende. Tuttavia, si tratta di un processo essenzialmente diverso, se non si guarda l’acquisto e la vendita fatti dal singolo individuo, ma si comincia a pensare economicamente e ad abbracciare con lo sguardo l’organismo economico totale; cosa che, data la divisione del lavoro tanto progredita, si è resa ormai del tutto necessaria.

 

Ma nell’organismo sociale abbiamo inoltre meri consumatori d’altro genere; e cioè i giovani, i bambini, e anche i vecchi. I primi, fino a una certa età, sono meri consumatori, e così pure coloro che sono ormai pensionati.

Basta un momento di riflessione per vedere che, se nel processo economico non vi fossero dei meri consumatori, cioè gente che consuma senza produrre, non si andrebbe avanti. Se infatti tutti producessero, non si riuscirebbe a consumare tutti i prodotti, come deve accadere se il processo economico ha da proseguire il suo svolgimento, almeno date le condizioni attuali della vita umana. La vita umana non è soltanto «economia», ma va presa come una totalità.

Lo svolgimento del processo economico è dunque possibile solo se in esso abbiamo dei meri consumatori.

Questo fatto va illuminato anche da un altro punto di vista.

 

Riprendiamo il circolo che abbiamo disegnato or ora: esso può riuscirci assai istruttivo, poiché possiamo segnarvi tutte le qualità possibili, e sarà sempre questione di come introdurre i singoli fatti e avvenimenti economici in questa figura che per noi rappresenta appunto la circolazione nel processo economico. V’è un fatto che si svolge immediatamente sul mercato, all’atto di una vendita e di un acquisto, quando io pago subito ‘ quello che ricevo. Non, importa nemmeno che io paghi subito con del denaro; posso anche pagare, se si tratta di commerciò di scambio, con la merce adeguata che il mio contraente è disposto ad accettare. Quel che importa per ora è che io paghi subito, che in genere io paghi. Occorre ora passare a un modo di considerare le cose che sia veramente «economico». In economia i singoli concetti agiscono incessantemente l’uno nell’altro e il fenomeno totale risulta dal gioco d’insieme dei più disparati fattori. Si potrà obiettare che sarebbe pure pensabile che, in seguito a qualche disposizione speciale, nessuno pagasse più subito, che il pagamento immediato non esistesse e si pagasse sempre, mettiamo, solo dopo un mese o dopo un tempo qualsiasi.

 

Ma qui si tratta appunto di correggere questo modo di pensare, perché è una falsa formazione di concetti se si dice: oggi un tale mi consegna un vestito, e io lo pago fra un mese. Il fatto è che un mese dopo io non pago più solo quel vestito, ma pago anche qualcos’altro; pago ciò che in date circostanze, a cagione dell’aumento o della contrazione dei prezzi, ha subito una modificazione; pago dunque un quid astratto ideale in più o in meno. Dunque il concetto del pagare a pronti deve assolutamente essere presente, e lo è infatti nel semplice acquisto. Una cosa diventa merce di scambio per il fatto ch’io la pago subito. Così è in sostanza per le merci che sono «natura lavorata». Qui pago, qui il pagare ha la parte essenziale. Il pagare deve assolutamente esserci nel processo economico; e pagare vuol dire aprire la borsa e sborsare il denaro; nel momento in cui si sborsa il denaro o si consegna la propria merce in cambio di un’altra, viene stabilito il valore. Questo è pagare; ed è uno dei casi che si verificano nel processo economico.

 

Come secondo caso avviene quello su cui ho richiamato ieri l’attenzione e che ha pure la sua parte. Si tratta del prestare. Il prestare è tutt’altra cosa del pagare e, a sua volta, è un fatto economico del tutto diverso che pure esiste. Se ricevo in prestito del denaro, al capitale prestato posso applicare il mio spirito; divento debitore, ma divento anche produttore. Qui il prestare è un fattore veramente «economico». Deve esistere la possibilità che, quando uno abbia l’idoneità spirituale a intraprendere qualcosa, egli ottenga del capitale a prestito, non importa da chi o da dove, ma deve ottenerlo. In genere, è una necessità che esista il prestito di capitale. Al pagare, deve dunque aggiungersi il prestare. In seno al processo economico abbiamo così due fattori importantissimi: il pagare e il prestare.

 

Ed ora possiamo proprio, mediante una semplice deduzione, trovare il terzo caso da mettere nel posto vacante del nostro disegno. Non dovrebbe esservi dubbio che cosa sia questo terzo caso: pagare, prestare, e come terzo donare. Ecco in effetti una triade di concetti che deve far parte intrinseca di qualsiasi sana economia politica. Si rifugge in genere dall’annoverare tra i fattori del processo economico il donare; eppure, se in qualche modo non si donasse, il processo economico non potrebbe svolgersi. Si pensi soltanto che cosa avverrebbe dei bambini!

 

Noi doniamo di continuo ai bambini; e se osserviamo il processo economico integralmente e in continuo movimento, vi troviamo il fattore del donare. Sicché molto a torto il trapasso di valori che costituiscono una donazione viene considerato non facente parte del processo economico. Invece nel mio I punti essenziali della questione sociale si troverà, con grande scandalo di taluni, trattata appunto questa categoria, nella quale i valori (ad esempio i mezzi di produzione) attraverso un processo che in fondo è identico a quello del donare, passano nelle mani di persona idonea alla loro ulteriore amministrazione. Certo va curato con le dovute cautele che la donazione sia fatta saggiamente; ma in senso economico si tratta di donazioni, e tali donazioni sono assolutamente necessarie.

 

Più si riflette su questo fatto e più si potrà constatare che questa triade di pagare, prestare e donare è inerente al processo economico, e deve in esso esservi; altrimenti si cade ovunque nell’assurdo.

 

Si possono temporaneamente combattere questi concetti; oggi comunque le conoscenze economiche non sono molto grandi, e proprio coloro che intendono insegnare l’economia politica dovrebbero sapere bene che le conoscenze economiche non sono molto vaste, e che soprattutto non si è disposti ad addentrarsi nei reali nessi economici. Vorrei quasi dire che lo si può toccare con mano, tanto che per esempio oggi sul giornale di Basilea si trova curiosamente un articolo nel quale si dice quanto poco nei governi e nei privati vi sia la disposizione a sviluppare il pensiero economico. È proprio da toccare con mano l’argomento trattato dal giornale, ed è comunque interessante che si parli in quel modo, che si cominci a gettare una luce violenta sull’assoluta impotenza della scienza economica, e anche che si dica: deve intervenire qualcosa d’altro; i governi e i privati devono cominciare a pensare in modo diverso. L’articolo termina con questa asserzione. Di come si debba pensare in modo diverso, naturalmente non si fa parola in quel giornale. E anche questo è altrettanto interessante.

 

Se ora quei tre fattori vengono messi nel giusto vicendevole rapporto, si può turbare assai l’ordine del processo economico. Molti oggi si adoperano con tutto l’ardore affinché ad esempio le eredità (che sono anch’esse donazioni), siano soggette a imposte rilevanti.

 

Questo però non indica qualcosa di economicamente rilevante, perché in sostanza non diminuisce il valore dell’eredità se, diciamo, il suo valore complessivo = V viene diviso in due parti: V1 e V2, rimettendo ad altri il V2 e lasciando al primo solo il V1. Vuol dire che così facendo, saranno in due ad amministrare il valore V; si tratterà di vedere se chi possiede il V2 lo amministrerà altrettanto proficuamente di chi avrebbe ricevuto totalmente il V. Certo, chiunque può decidere secondo la propria sensibilità se sia migliore amministratore un singolo abile individuo che riceva l’eredità completa, oppure uno a cui ne pervenga solo una parte (mentre l’altra parte va allo Stato), e che debba quindi amministrare l’eredità totale insieme con lo Stato.

 

Sono cose che allontanano del tutto da una prospettiva puramente economica, perché è un modo di pensare che nasce dal sentimento e dal risentimento. Si invidiano appunto i ricchi eredi; potrà anche essere giustificato, ma non si può parlare solo di queste cose, se si vuol pensare in senso economico. Ed è importante imparare a pensare in senso economico poiché da questo devono poi venir configurate le azioni. Così si può naturalmente immaginare un organismo sociale che si ammala perché il pagare vi coopera inorganicamente col prestare e col donare, sia perché ci si oppone all’uno e all’altro, sia perché si favorisce l’uno a scapito dell’altro. Ma in un modo o nell’altro essi cooperano lo stesso, perché eliminando solo da un lato il donare, non si farà che trasporlo. La questione decisiva non è se il donare debba o no venir trasposto, ma se la trasposizione sia sempre benefica o non lo sia. Se un singolo erede individuale debba entrare in possesso dell’eredità da solo o unitamente allo Stato, è un problema che deve prima venir risolto dal punto di vista economico; quello che conta è se sia più vantaggiosa la prima soluzione oppure la seconda.

 

Ora è però importante il fatto che, con una certa necessità, dall’entrata dello spirito nella vita economica scaturisce la libera vita spirituale. Ma la libera vita spirituale, l’ho detto dianzi, fa sì che vi siano persone che sono meri consumatori nei confronti del passato. Ma come si comporta, la vita spirituale rispetto all’avvenire? Essa è in certo senso mediamente produttiva; anzi straordinariamente produttiva. Vale a dire che, pensando la libera vita spirituale nell’organismo sociale davvero svincolata da ogni ceppò, sì che le facoltà umane possano svolgersi sempre più pienamente, allora appunto la vita spirituale libera sarà in grado di esercitare un’influenza straordinariamente feconda sulla vita spirituale parzialmente libera che interviene nella produzione materiale.

Qui il fatto comincia ad assumere un aspetto economico.

 

Chi è capace di considerare la vita senza preconcetti si dirà: non è indifferente se, in un campo qualsiasi, tutti coloro che operano nella vita spirituale libera vengano eliminati (forse perché non riescono a ottenere più nulla da consumare, o perché si accordi diritto d’esistenza solo a chi lavora materialmente) oppure se nell’organismo sociale possano sussistere uomini che svolgono un’attività spirituale veramente libera. Tali uomini hanno la facoltà di sprigionare «il ben dell’intelletto», la spiritualità negli altri, di dare una maggiore mobilità al loro pensiero, sì che gli altri divengano più abili anche per operare nei processi materiali. Ma bisogna accentuare che qui si intendono uomini di adesso; perciò non si può controbattere quello che ho detto, adducendo l’esempio dell’Italia dove certo in passato venne prodotto molto in fatto di vita spirituale libera; i processi economici che partono dallo spirito non ne hanno però ricevuto particolari impulsi. Infatti, là si tratta di vita spirituale libera, ma proveniente dal passato: monumenti, musei, e così via; ma essi non producono nulla. Solo ciò ch’è vivente può produrre qualcosa, ciò che emana dall’uomo spirituale libero e si trasmette agli altri produttori di beni spirituali. Ecco quello che opera verso l’avvenire anche per produrre valori economici. Esiste dunque pienamente la possibilità d’influire in modo risanatore sul processo economico, aprendo liberamente il campo ai liberi lavoratori spirituali.

 

Immaginiamo ora di avere in una comunità sociale una vita associativa sana. Quello che importa è di ordinare il processo produttivo in modo che, se in qualche luogo troppi individui lavorano in un dato ramo, essi vengano istradati altrove. L’essenziale è proprio questo intendersi tra uomini in modo vivente, facendo scaturire tutto l’ordinamento sociale dall’avvedutezza delle associazioni; se poi un giorno tali associazioni cominceranno a comprendere l’influsso della vita spirituale libera sul processo economico, esse avranno un ottimo mezzo (l’ho già accennato nel mio I punti essenziali della questione sociale) per regolare l’andamento economico. Si potrà mostrare che quando il libero lavoro spirituale decade, vuol dire che le donazioni sono troppo scarse; si riconoscerà il nesso tra la scarsità delle donazioni e la scarsità di libero lavoro spirituale.

Esse rileveranno che avviene un regresso del libero lavoro spirituale, quando le donazioni si fanno troppo scarse.

 

Ora, vi è un’ampia possibilità di far salire addirittura al 100% il saggio di interesse per la proprietà fondiaria, e cioè trasmettere quanto più possibile della proprietà terriera in libere donazioni ai produttori spirituali. Ecco la possibilità di mettere il problema fondiario in diretto rapporto con ciò che soprattutto lavora a preparare l’avvenire. In altre parole: al capitale che vuol essere investito, che tende ad avviarsi verso un’ipoteca, bisogna dare il mezzo di scaricarsi affluendo nelle libere istituzioni spirituali. Una soluzione pratica è fare in modo che le associazioni provvedano affinché il denaro, che tende a investirsi nelle ipoteche, trovi invece la via verso le libere istituzioni spirituali! Ecco la connessione della vita associativa con la vita generale. Si vede così che non appena tentiamo di penetrare nelle realtà della vita economica, ci si mostra ciò che occorre fare nei singoli casi. Non intendo affatto proclamare che questa o quella cosa si debba fare; voglio solo indicare come stanno i fatti. E fatti sono che quanto non potremo mai conseguire mediante semplici misure legislative, cioè impedire che il capitale eccedente s’investa nel terreno, potremo conseguirlo attraverso le associazioni, facendo fluire il capitale nelle libere istituzioni spirituali. Io dico semplicemente: se avviene questo, avverrà anche quello.

È appunto compito della scienza indicare le condizioni che determinano i nessi tra i diversi fenomeni.