Incertezza sulla differenza fra l’uomo e l’animale; l’uomo come punto d’arrivo della serie zoologica.

O.O. 326 – Nascita e sviluppo storico della scienza – 01.01.1923


 

Sommario: Il problema posto dal Locke: messa a punto gnoseologica e scientifico-spirituale. Due specie di esperienze immaginative per i caratteri sensibili primari e per quelli secondari. Incertezza sulla differenza fra l’uomo e l’animale; l’uomo come punto d’arrivo della serie zoologica. Ricerca esclusiva di caratteri differenziali anatomici. L’osso intermascellare. La protesta di Goethe contro questa tendenza rimase senza seguito. L’indagine scientifica naturalistica deve prescindere, per i suoi successi, dalla natura animico-spirituale dell’uomo.

 

Nella conferenza precedente ho ricordato che una delle radici della concezione scientifico-naturalistica moderna si trova nella distinzione (fatta dal Locke e da altri pensatori) fra le cosiddette qualità primarie degli oggetti del mondo fisico, e le cosiddette qualità secondarie. Il Locke definisce come qualità primarie tutte quelle che riguardano per esempio la forma dei corpi, le loro caratteristiche geometriche, i loro rapporti numerici, il movimento, la grandezza ecc. Da tutto ciò egli distingue le cosiddette qualità secondarie: il colore, il suono, la sensazione di calore, ecc. Le qualità primarie vengono da lui attribuite alle cose stesse, sicché egli ammette che vi sono oggetti corporei muniti di forma, di caratteri geometrici, di moto, mentre le qualità secondarie, il colore, il suono, ecc. non sarebbero che effetti provocati sull’uomo. Nel mondo esterno vi sarebbero dunque solo le qualità, primarie ìnsite nei corpi: cioè qualcosa dotato di forma, di grandezza, di movimento, che però è muto, tenebroso e freddo, che esercita certi effetti i quali à loro volta si traducono dell’esperienza che l’uomo ha della luce, del colore, del suono, del calore, e così via.

 

Ora in queste stesse conferenze ho già avuto modo di rilevare che nella nostra epoca scientifica lo spazio stesso è divenuto un che di astratto, per quanto concerne le sue dimensioni. L’uomo aveva ormai del tutto dimenticato che in passato le tre dimensioni erano state sperimentate in lui stesso concretamente, come alto-basso, destra-sinistra e davanti-dietro (cfr. il dis. a pag. 46)). Dopo l’inizio della moderna epoca scientifica non si tenne più conto delle tre dimensioni sperimentate concretamente. Esse vennero enunciate in modo del tutto astratto: l’uomo non ricercò più il punto di intersezione delle tre dimensioni là dove esso viene sperimentato realmente, cioè nell’interiorità umana, bensì in un punto qualsiasi, arbitrario, dello spazio e da lì andò costruendo le tre dimensioni. Ormai dunque lo schema spaziale delle tre dimensioni aveva una sua esistenza autonoma, ma solo escogitata e astratta. Il frutto di questa escogitazione non veniva più sperimentato come appartenente sia al mondo esterno, sia all’uomo stesso, mentre s’è visto che ih tempi più antichi l’uomo aveva sperimentate le tre dimensioni personalmente, sapendo bene di sperimentarle insieme alla natura della propria corporeità fisica.

 

Le tre dimensioni spaziali erano dunque state in certo senso espulse dall’uomo e proiettate all’esterno, assumendo in tal modo un carattere completamente astratto e privo di vita. L’uomo non sapeva più di sperimentare le dimensioni spaziali (e lo stesso vale anche per tutto quello che è geometrico, o aritmetico, o ponderabile) in se stesso e in collaborazione col mondo esterno; non sapeva più che per sperimentare tutto ciò in piena concretezza e vivezza egli avrebbe dovuto rivolgere lo sguardo in se stesso, per trovarvi la giustificazione di quelle esperienze. In fondo, il Locke traspose nel mondo esterno le qualità primarie (che sono della stessa specie delle tre dimensioni spaziali, dato che queste sono pure una specie di configurazione) perché era andata perduta la conoscenza del nesso di tali qualità con l’interiorità umana.

 

Le altre qualità, le secondarie, che vengono sperimentate come contenuto sensibile in modo qualitativo (come il colore, il suono, il calore, l’odore, il sapore, ecc.) furono ormai considerate solo come effetti delle cose sull’uomo. Ho però già mostrato Che tali qualità secondarie non si possono ritrovare affatto all’interno dell’uomo fisico, e neppure dell’uomo eterico: si può quindi affermare in certo modo che esse furono messe al bando anche da lì! Prima si cominciò a non cercarle più nel mondo esterno, spostandole all’interno dell’uomo. Si disse: quando non si ascolta e non si guarda il mondo, se non ci si apre al mondo mediante il proprio senso del calore, il mondo rimane muto e privo di ogni qualità di questo genere. Esso possiede certo qualità primarie, come ad esempio vibrazioni dell’aria, ma non possiede il suono; presenta certi processi nell’etere, ma non ha il colore; presenta altri processi nella materia ponderabile, ma non possiede la: qualità del calore, ecc. In fondò, l’epoca scientifica moderna non sapeva dove e come sistemare tali qualità sensoriali sperimentate dall’uomo. Ci si rifiutava ormai di ricercarle nel mondo esterno, ammettendo di non essere in grado di scoprirle lì. Ci si mise allora a cercarle all’interno, ma in fondo solo perché si era in qualche modo sbadati. L’errore, o la sbadatezza, consisteva (o consiste) nel trascurare il fatto che tali qualità secondarie non si scoprono affatto all’interno dell’uomo, per quanto sia possibile indagarlo. Perciò si può proprio dire che non si sa dove mai sistemarle, quelle qualità secondarie! Da che cosa deriva questa difficoltà?

 

A questo punto conviene ricordare ancora una volta quanto segue. Se si vuole considerare in modo veramente giusto tutto quello che si riferisce allo spazio, alla figura, ai dati geometrici o aritmetici, occorre tener d’occhio l’attività interiore vivente, mediante la quale l’uomo realizza lo spazio nel proprio organismo, con l’esperienza diretta delle tre dimensioni (alto-basso; destra-sinistra; davanti-dietro). In questo caso bisogna dunque dire: se vuoi trovare l’essenza di ciò che è geometrico-spaziale, (e si potrebbe anche dire l’essenza delle qualità primarie dei corpi, nel senso del Locke), devi guardare in te stesso, altrimenti arriverai soltanto a delle astrazioni. Quanto alle qualità secondarie (suono, colore, sensazione del calore, odori, sapori, ecc.), l’uomo sembra possederne una certa conoscenza istintiva; sembra oscuramente sapere che il suo essere animico-spirituale non si trova soltanto nel corpo fisico e in quello eterico, ma che può anche trovarsi fuori di quelli, e precisamente durante il sonno. Nello stato di veglia vissuto intensamente l’uomo sperimenta in sé (e non fuori di sé) le qualità primarie (per esempio le tre dimensioni spaziali); similmente egli può apprendere per istinto, o per un’auto-conoscenza istintiva, o anche grazie alla disciplina scientifico-spirituale, a fare una vera esperienza interiore di ciò che si svolge quando egli si trova, durante il sonno, fuori del proprio corpo fisico ed eterico: in tal caso egli apprende pure di sperimentare nel mondo esterno, fuori del proprio corpo, la vera essenza delle qualità del calore, del suono, del colore, dell’odore, del sapore. Quando, durante lo stato di veglia, l’uomo si trova soltanto nella sua interiorità, egli non può fare esperienza che delle immagini delle vere realtà del suono, del colore, degli odori, del sapore, ecc. Quelle immagini corrispondono però a certe realtà animico-spirituali, non a realtà eterico-fisiche. Sebbene quello che si sperimenta come suono sembri così strettamente connesso (e lo è in effetti anche se in tutt’altro modo) con certe vibrazioni ondulatorie dell’aria; sebbene il colore sia connesso con certi processi del mondo esterno privo di colore, pure bisogna riconoscere che il suono, il colore, ecc. sono immagini, ma non di realtà corporee, bensì di realtà spirituali, o animico-spirituali, che si trovano nel mondo esterno.

Dobbiamo dunque poter dire a noi stessi: quando si sperimenta un suono, un colore o una qualità termica, la si sperimenta in immagine; la si sperimenta invece in modo reale, quando ci troviamo fuori del nostro corpo. Si può allora raffigurare la situazione un po’ schematicamente, come nel disegno che segue. Le qualità primarie vengono sperimentate in noi stessi, nel pieno stato di veglia, ma vengono proiettate in forma di immagini nel mondo esterno. Se l’uomo le conosce solo nel mondo esterno, egli possiede le qualità primarie solo come immagini (nel disegno la freccia in basso a destra). Tali immagini sono ciò che di matematico (geometrico o aritmetico) ritroviamo nelle cose. Diverso è il caso per quanto riguarda le qualità secondarie. Nel disegno caratterizzo con le righe orizzontali il corpo fisico e l’eterico dell’uomo, con le parti tratteggiate invece l’animico-spirituale, cioè l’io e il corpo astrale.

 

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Ora le qualità secondarie vengono sperimentate fuori del nostro corpo fisico ed eterico, mentre in noi stessi ne vengono proiettate solo le immagini. Poiché nella moderna età scientifica questi rapporti non sono più conosciuti, le forme matematiche e i numeri divennero qualcosa di cui l’uomo va solo alla ricerca astratta nel mondo esterno; le qualità secondarie invece vengono ormai ricercate solo nell’interiorità umana. Poiché però in quella sede esse sono mere immagini, l’uomo le ha perdute del tutto, per la realtà.

 

Alcune personalità dei secoli scorsi coltivavano ancora tradizioni che risalivano a concezioni più antiche; esse si sforzavano di acquistare idee più conformi alla realtà, in confronto a quelle che venivano affermandosi per così dire ufficialmente, all’inizio dell’epoca scientifica moderna. Così ad esempio, oltre a Paracelso, anche il van Helmont il quale era persuaso che nell’esperienza del colore o del suono era impegnata la parte spirituale dell’uomo. Quest’ultima però agisce durante lo stato di veglia solo mediante il corpo fisico, e per questa ragione può suscitare in se stessa solo un’immagine di ciò che è contenuto come essenza nel suono, nel colore, ecc. Di conseguenza si perviene a una descrizione insoddisfacente della realtà esterna, per quanto concerne le qualità secondarie che si sperimentano nell’interiorità umana: si perviene appunto alla formulazione meccanico-matematica del moto. La vera realtà di quei fenomeni si può invece sperimentare solo al di fuori del corpo umano. Per esempio, se si vuole conoscere l’essenza vera del suono, non bisogna condurre esperimenti fisici su quanto avviene nell’aria che trasporta il suono fino a noi. Bisognerebbe invece cercare di farsi un’idea del modo in cui si può sperimentare il suono fuori del proprio corpo fisico ed eterico. Questi però sono pensieri che non sono stati sviluppati dopo l’inizio dell’era scientifica moderna, in quanto gli uomini degli ultimi secoli non erano più inclini a tener conto della intera natura umana: non erano portati a includere nei loro studi la vera entità dell’uomo. Fu così che essi non trovarono la matematica, né le cosiddette qualità primarie nella natura umana ad essi sconosciuta; ignorando il fatto che anche l’uomo appartiene al mondo esterno, essi non trovarono nel mondo esterno neppure le cosiddette qualità secondarie.

 

Io non affermo che occorra essere chiaroveggenti per arrivare alla verità su questi problemi; vorrei però sottolineare che se è vero che la spiegazione fondata sulla chiaroveggenza può trasmettere conoscenze più profonde, d’altra parte una sana osservazione di se stessi porta senz’altro a poter trasferire anche nell’interiorità dell’uomo l’elemento matematico-meccanico, le qualità primarie, e a poter trasferire nel mondo esterno all’uomo anche le qualità secondarie. Il fatto è che non si conosceva più la natura umana; non si sapeva più che la corporeità dell’uomo è ripiena di spiritualità, e che per poter comprendere la matematica, la spiritualità operante, quando l’uomo è sveglio, deve dimenticare se stessa e abbandonarsi interamente al corpo. Né d’altra parte si sapeva che per poter pervenire alle qualità secondarie, la spiritualità deve raccogliersi tutta in sé stessa e saper vivere indipendentemente dal corpo, cioè fuori del corpo. Su tutti questi problemi la conoscenza chiaroveggente può fornire conoscenze più precise e più intense, però essa non è necessaria. Una schietta e sana auto-osservazione può sentire (e grazie a un giusto sentimento può anche riconoscere) che la matematica è anche qualcosa che appartiene alla interiorità umana, e che il suono, il colore, ecc. sono anche qualcosa di esterno.

 

Già più di trent’anni fa, nelle mie Introduzioni alle opere scientifiche di Goethe esposi quello che, sui problemi in questione, può offrire un sano sentire, capace peraltro di condurre anche a conoscenze precise. In. quegli scritti non è tenuto alcun conto di una conoscenza chiaroveggente: vi si mostra però in che modo si possa giungere (senza conoscenza chiaroveggente) al riconoscimento della realtà del colore, del suono, ecc. Tutto ciò non è ancora stato compreso: la nostra epoca scientifica è ancora troppo impigliata nel modo di pensare del Locke. Non lo si è compreso neppure quando, al Congresso filosofico di Bologna del 1911, esposi chiaramente queste idee. In quella occasionò cercai di mostrare come nello stato di veglia l’animico-spirituale dell’uomo si trovi certo entro i corpi fisico ed eterico, pur rimanendo intimamente autonomo quanto alla sua qualità. Se si sente questa autonomia interiore dell’animico-spirituale dell’uomo, si possono anche sentire retrospettivamente le esperienze che esso fa durante il sonno, le  esperienze che concernono le realtà dei diversi colori, delle diverse note musicali, del caldo e del freddo, del sapore acido o di quello dolce. Fino ad ora però la nostra epoca scientifica non ha valutò affrontare una vera conoscenza dell’essere umano.

 

Caratterizzando in questo modo il rapporto dell’uomo col mondo, quale si esprime nelle cosiddette qualità primarie e secondarie, si vede chiaramente come ci si sia allontanati da un modo corretto di sentire quel rapporto. La medesima carenza si riscontra anche in altre idee che ci si è fatte sull’essere umano. L’incapacità di comprendere che la realtà matematica delle tre dimensioni spaziali vive all’interno dell’uomo, ha anche impedito di conoscere l’essenziale dell’uomo, quanto alla sua spiritualità. Infatti essenziale sarebbe stato riconoscere che l’uomo è in condizione di comprendere, grazie ai movimenti simmetrici del suo corpo, e in particolare a quelli degli arti superiori, la dimensione spaziale che si può chiamare «destra-sinistra». Considerando per esempio il cammino degli alimenti nell’organismo umano, si è in grado di sperimentare la dimensione spaziale «davanti-dietro». L’uomo sperimenta l’«alto-basso» in quanto in tale dimensione spaziale egli stesso deve apprendere ad inserirsi nel corso della sua vita. Se si comprende tutto questo, risulta chiaro che l’uomo svolge interiormente le attività che stanno a base delle tre dimensioni dello spazio; parlando del rapporto fra l’uomo e il mondo animale, si riconoscerà come Caratteristico il fatto che l’animale non possiede, per esempio, l’esperienza dell’«alto-basso» alla stessa maniera dell’uomo, in quanto il suo asse corporeo principale si trova sul piano orizzontale, cioè quello che l’uomo sperimenta come «davanti-dietro». Così lo schema spaziale astratto non risulta più sufficiente, se non a studiare certi rapporti meccanico-matematici astratti, esistenti nella natura inorganica. Per esempio non è più sufficiente a sviluppare una conoscenza della diversità dell’esperienza interiore dello spazio nell’animale in confronto a quella propria dell’uomo.

 

Di conseguenza nell’epoca scientifica moderna non potè formarsi una corretta opinione sul problema di quale sia il reale rapporto fra l’uomo e l’animale, fra l’animale è l’uomo. Qual è la loro vera differenza? Poiché però sopravviveva una certa sensazione che una differenza doveva pur esservi fra l’uomo e l’animale, ci si mise a cercarla in una quantità di particolari che non sono però essenziali, né per l’uomo, né per gli animali. Un esempio significativo di questo indirizzo è stata la disputa sull’osso mascellare superiore dell’uomo, nel quale si trovano i denti superiori. Si sostenne che nei mammiferi i denti incisivi centrali si trovano infissi in un osso intermascellare separato, e che solo lateralmente a questo comincia l’osso mascellare superiore. Nell’uomo l’osso intermascellare sarebbe assente. Divenuti incapaci di stabilire il rapporto fra animale e uomo in base a criteri animico-spirituali, si dette importanza a particolari così esteriori, come quello dell’osso intermascellare.

 

Goethe fu una personalità incapace di formulare in parole delle conoscenze come quelle da me espresse sulle qualità primarie e le qualità secondarie, né si preoccupava di conquistarsi in proposito una piena chiarezza di pensieri: però egli possedeva un sano sentimento in relazione a questi problemi. Anzitutto egli sapeva per istinto che la differenza tra l’uomo e gli animali va ricercata nella struttura complessiva dell’uomo e non nei particolari. Perciò Goethe si oppose all’idea che nell’uomo l’osso intermascellare mancasse realmente: in una sua importante dissertazione giovanile egli attribuì l’intermascellare sia all’uomo, sia agli animali. Gli riuscì poi la dimostrazione diretta del fatto che l’osso intermascellare è ancora ben visibile nell’embrione umano, ma che ben presto, già durante la prima infanzia, esso si fonde con il mascellare superiore; nell’animale invece rimane distinto dal mascellare. Goethe si occupava di tali problemi con una specie di giusto istinto conoscitivo; e fu questo istinto a portarlo alla convinzione che non in simili particolari vada ricercata la differenza dell’uomo dagli animali, bensì nell’intero rapporto della sua configurazione, della sua anima e del suo spirito col mondo. L’opposizione di Goethe ai naturalisti che negavano l’esistenza dell’osso intermascellare nell’uomo ha quindi da un lato il significato di avvicinare molto l’uomo agli animali, per quanto riguarda i particolari, e d’altro lato di distinguerlo radicalmente dagli animali nella sua vera essenza. Questa concezione, che Goethe sviluppò per un suo istinto conoscitivo contrapponendola alle forme del pensiero scientifico sorte prima di lui e vigenti ancor oggi, la concezione goethiana, dico, non trovò alcun seguito nel campo scientifico. Nel secolo scorso si manifestò al contrario sempre di più, come conseguenza dell’orientamento assunto dal pensiero scientifico a partire dal quindicesimo secolo, la tendenza di avvicinare l’uomo all’animale, non per ricercarne le diversità in certi particolari materiali, ma per accostare il più possibile l’essenza dell’uomo agli animali. Questa tendenza si esprime poi nella concezione evoluzionistica darwiniana e in altre simili, e ha trovato largo seguito, mentre la concezione di Goethe non lo ha trovato. Taluni sono giunti a considerare Goethe come una specie di darwinista, perché di lui mettono in evidenza soltanto la scoperta dell’osso intermascellare, che sembra abbia ravvicinato l’uomo all’animale. Sebbene Goethe non l’abbia detto esplicitamente è però consono a tutta la sua concezione che egli sottolinei che la diversità fra l’uomo e l’animale non vada ricercata in siffatti particolari esteriori.

 

Poiché dell’uomo non si sapeva più nulla, si andarono a cercare i suoi caratteri distintivi essenziali negli animali, accontentandosi, di constatare che nell’uomo certi caratteri degli animali sono più evoluti. Si è andata sempre più perdendo la nozione che all’uomo deve essere attribuito un rapporto del tutto diverso col mondo, già solamente in senso spaziale. In fondo, tutte le concezioni relative all’evoluzione degli esseri viventi, nell’epoca scientifica moderna hanno costruito dei sistemi che escludono una vera conoscenza dell’uomo. Dell’entità umana non si sa che cosa fare! Perciò si finisce per mostrare l’uomo esclusivamente come il punto d’arrivo della serie degli animali. È come se si dicesse: ecco che gli animali raggiungono alla fine un ultimo gradino di perfezionamento; l’animale più perfetto è l’uomo.

 

Con tali considerazioni mi sono proposto di attirare l’attenzione sul fatto che il pensiero scientifico-naturalistico è proceduto (dai suoi inizi nel quindicesimo secolo) con una sua certa coerenza interiore. L’uomo va delineando il proprio rapporto col mondo, sia nel campo della fisica, sia in quello della fisiologia; egli afferma dapprima che il mondo fuori di lui è muto e privo di colore, ma agisce su di lui, sull’uomo. Per effetto di tale azione, nell’uomo si formano i colori e i suoni, come esperienza appunto di azioni esercitate dal mondo esterno. Dunque l’uomo disse a se stesso, da un’lato: nel mondo esterno sono presenti, indipendentemente da te, le tre dimensioni spaziali (in quanto aveva perduto la capacità di riconoscere certe qualità perfezionate in lui stesso); e d’altro lato sviluppò concezioni sulla struttura sua propria e su quella degli animali, concezioni che non tenevano conto della vera natura dell’uomo. Malgrado si debbano riconoscere, da un certo punto di vista, gli immensi progressi compiuti realmente nella ricerca umana, si può però affermare che la concezione scientifica moderna è diventata grande proprio per il fatto di avere escluso dal suo campo visivo l’uomo e la sua natura. Certo, non ci si rende nemmeno conto fino a qual punto si prescinda dall’uomo reale, studiandolo secondo i criteri prevalenti nella scienza contemporanea. Per esempio certi pensatori materialisti particolarmente entusiasti, nel secolo scorso, affermarono che nulla di animico-spirituale va attribuito all’uomo, poiché ciò che sembra tale non è che l’effetto di processi spaziali o temporali esterni. Così ad esempio si descrisse il modo, in cui sull’uomo agisce la luce (cioè qualcosa di eterico), mettendo in azione vibratoria i suoi nervi, o come agisce l’aria introdotta con la respirazione. Si proclamò riassuntivamente che l’uomo è dipendente da ogni variazione di temperatura, che è dipendente da qualsiasi eventuale deformazione del suo sistema nervoso; che in fin dei conti è un essere dipendente da ogni spostamento dell’aria o cambiamento di pressione atmosferica, e simili.

 

Ove si considerino spassionatamente tali opinioni, ci si accorge che esse non descrivono affatto la vera natura dell’uomo, bensì ciò per effetto di cui una persona può diventare un nevrastenico! Quelle descrizioni, dovute a pensatori materialistici dell’Ottocento, non presentano infatti l’uomo nella sua realtà, bensì come un vero nevrastenico, morbosamente sensibile a ogni soffio d’aria! Credendo di parlare dell’uomo, si parlava di un nevrastenico, eliminando tutto ciò che caratterizza la sua vera essenza, e tenendo invece conto solamente di ciò per cui il vero essere (che rimane sconosciuto) può diventare un nevrastenico! Per effetto del carattere assunto dal pensiero scientifico sulla natura, la vera essenza dell’uomo va progressivamente perduta: si perde del tutto di vista la vera essenza dell’uomo. E contro questa tendenza che Goethe si è ribellato, sebbene egli non fosse in grado di esprimere in chiari giudizi le verità che aveva riconosciute valide, secondo la sua concezione.

 

Se si segue con attenzione il rivolgimento avvenuto nel pensiero scientifico a partire dal quindicesimo secolo, si può mettere nella giusta luce proprio l’essenziale di tale sviluppo di pensiero. Vorrei mettere in evidenza che nella sua giovinezza Goethe si interessò vivamente dei risultati ottenuti dalla scienza, nei suoi diversi rami. Studiò ogni cosa, ne ricavò stimoli svariati, pur non essendo d’accordo su ogni punto, poiché sentiva che l’uomo era stato escluso dalle concezioni dominanti. Goethe, aveva invece una viva sensibilità per l’uomo nel suo complesso; per questo si ribellò su molti punti contro le opinioni scientifiche dominanti al suo tempo. Ed ha veramente grande importanza il cercar di comprendere lo sviluppo scientifico moderno anche confrontandolo col sistema delle concezioni goethiane. Volendo procedere in modo puramente storico, è questo il modo migliore per scoprire che alla concezione scientifica moderna manca appunto la considerazione dell’essenza dell’uomo, sia nelle scienze fisiche, sia in quelle biologiche.

 

Questa non vorrebbe essere una critica della concezione scientifica moderna, ma solo la formulazione di una sua caratteristica. Facciamo un’ipotesi e un paragone: un tale dispone di acqua, ma questa non gli serve. Egli ha bisogno di idrogeno, e perciò separa l’acqua nei suoi componenti, l’ossigeno e l’idrogeno. Alla fine del procedimento siamo dunque in presenza di idrogeno. Se io a questo punto ne espongo il risultato, questa non è una critica del comportamento di quel tale. Io non ho nessuna ragione per dirgli: tu commetti un errore, non devi separare l’acqua in ossigeno e idrogeno! L’acqua non è idrogeno: questa è una semplice constatazione. Analogamente io non esprimo una critica, dicendo che lo sviluppo scientifico seguito al secolo quindicesimo eliminò dal mondo dei viventi l’uomo nella sua vera essenza, conservando invece ciò che i tempi richiedevano per il loro pensiero; allo stesso modo come quel tale elimina l’ossigeno dell’acqua per ricavarne, l’idrogeno che in quel momento gli serve. Così procedendo, la scienza naturale che prescinde dall’essenza dell’uomo è anche pervenuta ai suoi innegabili trionfi. Lo ripeto: esprimere un pensiero come quello che ho formulato non significa esercitare una critica, ma tracciare una caratteristica. Il moderno indagatore della natura aveva in certo modo bisogno che la natura fosse priva dell’uomo, come un chimico può avere bisogno dell’idrogeno separato dall’ossigeno, e quindi si trova nella necessità di scindere l’acqua in ossigeno e idrogeno. Occorre però rendersi conto di come stanno le cose, sì da non ricadere di continuo nell’errore di volere a tutti i costi cercare l’essenza dell’uomo mediante le scienze naturali. Ciò sarebbe altrettanto vano quanto il ricercare nell’idrogeno anche l’ossigeno che. era stato in precedenza da esso separato.

 

Così vanno considerati questi problemi, proprio se si vuole acquistarne una corretta prospettiva storica.