La scienza dello spirito e la genesi dei fenomeni celesti

O.O. 323 – Rapporto delle diverse scienze con l’astronomia – 06.01.1921


 

Sommario: La scienza dello spirito e la genesi dei fenomeni celesti. La Scolastica fra realismo e nominalismo. La prova dell’esistenza di Dio. Vincenz Knauer. Il secolo XIII fra due glaciazioni. L’evoluzione della comprensione umana dall’antica India a oggi. La modifica delle condizioni terrestri dall’ultima glaciazione. L’influsso delle zone polari, temperate e tropicali sull’organizzazione umana Il ritmo nell’evoluzione cosmica. L’anno platonico e il respiro dell’uomo. L’adorazione degli dèi un tempo e oggi.

 

Da quel che abbiamo esposto sino ad ora si sarà visto che nella spiegazione dei fenomeni naturali cerchiamo una via che conduca fuori dalla razionalità matematica. Naturalmente, come risulta evidente dallo spirito stesso del nostro studio, non si tratta di mettere in qualche modo in discussione la giustezza della matematica, ma di poter riconoscere molto nettamente il punto in cui, prendendo per base le rappresentazioni matematiche, non si riesce a procedere oltre nello studio del cielo, da un lato, e in quello dei fatti embriologici dall’altro. Dobbiamo per così dire aprire la via ai mezzi di conoscenza, illustrandoli e giustificandoli con queste conferenze. Proverò a giustificare che quel che cerchiamo nello spazio celeste sulla base di ciò che è visibile, pur ampliato per mezzo di strumenti, deve essere studiato su una base ancora più ampia, così che l’uomo sia quasi la cartina di tornasole delle nostre indagini sui fenomeni celesti. Lo giustificherò, o almeno cercherò di giustificarlo, afferrando il problema da tutt’altra parte, anche se a qualcuno potrà sembrare molto paradossale. Alla fine risulteranno le ragioni per cui ci si debba avvicinare al nostro problema anche da questo lato.

 

Studiando l’evoluzione umana sulla Terra, dobbiamo trovarvi qualcosa che ci indichi la genesi dei fenomeni celesti, altrimenti, e certo non è il caso, dovremmo ammettere che i processi extraterrestri non hanno alcuna influenza sull’uomo e sull’evoluzione dell’umanità. Nessuno lo penserà, anche se alcuni sottovaluteranno o sopravvaluteranno tale influenza. Almeno metodologicamente sembra dunque giustificato domandare: nell’evoluzione dell’umanità che cosa pare indicarci una via verso gli spazi celesti? Adesso non vogliamo utilizzare le conoscenze della scienza dello spirito, ma osservare soltanto i fatti che in effetti ognuno può raccogliere empiricamente dalla storia.

 

Se risaliamo il corso evolutivo dell’umanità sino alla fase in cui i pensieri umani si esternano, in cui si sviluppa la facoltà conoscitiva, quando in certo qual modo viene sublimato il nesso dell’uomo con il mondo, come si può anche rilevare dal mio libro Gli enigmi della filosofia, si compie un salto di appena un paio di secoli. Dico sempre che uno dei punti di svolta più importanti per la più recente fase della nostra evoluzione si trova nel secolo XV, naturalmente come dato approssimativo. Guardiamo allora al periodo centrale del medioevo, considerandone solo quel che riguarda il mondo civilizzato.

 

Non si valuta abbastanza l’impressionante forza del cambiamento avvenuto in quell’epoca per l’evoluzione del pensiero e della conoscenza dell’umanità. Per un certo periodo, da parte di filosofi e simili si è anzi avuta una certa ostilità nei riguardi di quell’epoca, l’epoca della Scolastica, in cui furono messe in rilievo importanti questioni della conoscenza umana, questioni di cui, se considerate con attenzione, si sente che non provengono solo dalle deduzioni logiche abituali nel medioevo, ma da profondità umane. Basti ricordare la grande questione del realismo e del nominalismo. Oppure l’importanza per l’evoluzione spirituale europea che ebbe la prova dell’esistenza di Dio, la cosiddetta prova ontologica, quando dal concetto si volle arrivare a una dimostrazione, a una conferma dell’esistenza di Dio. Si ricordi l’importanza di tutto ciò nell’evoluzione della conoscenza. Qualcosa si agitava nel più profondo dell’entità umana e si esprimeva in piena coscienza per mezzo delle deduzioni consuete a quel tempo.

 

Gli uomini di allora quasi impazzivano per comprendere se i concetti, i pensieri rivestiti di parole, significassero qualcosa di reale o fossero solo il riassunto formale di fatti sensibili esteriori. I nominalisti vedevano nei concetti formulati dagli uomini un riassunto che non aveva alcun significato per la realtà, ma serviva solo a dare un orientamento, un punto d’appoggio nel confuso mondo esteriore.’ I realisti (l’espressione aveva allora un significato diverso da oggi) sostenevano di avere nei concetti qualcosa di reale entro cui vivere realmente, e non solo dei riassunti o degli schemi astratti.

 

In conferenze dirette a un pubblico più vasto spesso ho ricordato come il mio amico Vincenz Knauer trattasse queste questioni. Egli era, direi, un tardo scolastico; certo non voleva esserlo, ma almeno nella gnoseologia era un realista convinto. Scrisse un libro molto interessante: L’evoluzione dei problemi principali della filosofia e la loro soluzione da Talete a Hamerling, in cui diceva: «I nominalisti sostengono che il concetto di “agnello” altro non sia che un prodotto dello spirito umano, così come il concetto di “lupo”, e che semplice- mente la materia sia organizzata in modo diverso nel lupo e nell’agnello: una volta secondo lo schema del lupo e un’altra volta secondo lo schema dell’agnello», aggiungendo che si dovrebbe provare a nutrire un lupo soltanto con carne di agnello: dopo qualche tempo il lupo sarebbe composto di sostanza di agnello, ma non per questo avrebbe cambiato la propria natura di lupo. Dunque la natura di lupo, espressa nel concetto di “lupo”, deve essere qualcosa di reale.

 

Che si potesse arrivare alla prova ontologica dell’esistenza di Dio dimostra il grande sommovimento nella natura umana. Infatti, solo poco tempo prima della sua formulazione a nessun europeo sarebbe venuto in mente di dimostrare l’esistenza di Dio, poiché la si sarebbe considerata evidente. Quando quell’evidenza non visse più negli uomini, si richiese una dimostrazione. Non occorre dimostrare ciò che vive in noi come qualcosa di evidente.

 

Ciò che prima era evidente fu dunque perduto, e sopraggiunse qualcosa che creò nuove tendenze e nuove esigenze spirituali. Potrei ancora dare molti esempi, da prendere cum grano salis, di questo sconvolgimento nell’evoluzione conoscitiva avvenuta ai gradi più elevati dell’evoluzione della natura e dei pensieri umani in questo periodo del medioevo.

 

Se ammettiamo, e non la si può negare, una relazione fra ciò che avviene nell’uomo e i fenomeni celesti, extratellurici, pur parlandone solo in generale già potremo occuparci del particolare e chiederci (poiché vogliamo procedere con estrema prudenza, per ora ce lo chiediamo soltanto): come si pone nell’evoluzione terrestre (e forse anche al di là di essa) ciò che gli uomini hanno sperimentato intorno alla metà del medioevo? è in qualche modo in relazione con un punto speciale dell’evoluzione terrestre? potremmo pensare a qualcosa che ci indichi in certo modo un significato concreto di questo punto dell’evoluzione umana? In effetti, possiamo indicare qualcosa che incide di nuovo profondamente proprio nella zona della Terra in cui ha avuto luogo ciò che spesso ho presentato come la più sublime vita spirituale.

 

Vediamo che proprio il punto in cui l’umanità fu così sconvolta si trova a metà fra due punti estremi che delimitano un’epoca al di fuori della quale, nelle zone europee in cui ebbe inizio tale sconvolgimento (ovvero questa particolare manifestazione della civilizzazione), non fu certamente possibile avere una grande attività del genere umano.

 

Se da un punto centrale, che indico con A nel disegno, ci spostiamo verso un passato piuttosto lontano e verso un futuro altrettanto lontano, troveremo epoche in cui davvero si ebbe e si avrà una specie di vuoto, una morte della civiltà. Se avanziamo nel futuro di 10.000 anni e risaliamo nel passato anche di 10.000 anni, troviamo in queste zone le più grandi formazioni glaciali, quelle epoche glaciali che non permettono di certo una particolare evoluzione dell’umanità.

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Se dunque risaliamo in Europa a circa 10.000 anni prima della nostra era, abbiamo un inaridimento della civiltà, e lo riavremo circa 10.000 anni dopo il punto A. Fra questi due deserti culturali vi è lo sconvolgimento citato. Anche se ora disconosciamo la cultura filosofica dei secoli dal XIII al XIV, poiché non la conosciamo abbastanza, chi comprende l’evoluzione della conoscenza umana sa che ci troviamo ancora nella scia di ciò che agitava il pensiero umano di quei tempi e che si è manifestato anche in altri campi della civiltà, mostrandosi però in modo sintomaticamente chiaro nella fase di sviluppo della conoscenza.

 

Come è noto, quell’epoca centrale del medioevo ebbe un’importanza decisiva per la civiltà europea; ne parlo spesso in conferenze antroposofiche: è una cesura. Qualcosa cambia in tutto il corso dell’evoluzione umana, qualcosa che era iniziato sin dall’VIII secolo a.C. e che può essere chiamato lo sviluppo più intenso dell’intelletto. Da quel tempo in poi abbiamo l’evoluzione della coscienza dell’io. Tutte le conquiste e tutti gli errori da quell’epoca del medioevo in poi dipendono dall’evoluzione dell’io, dal formarsi progressivo della coscienza dell’io nell’uomo. La coscienza dei Greci e la coscienza dei Latini con i loro discendenti attuali non avevano ancora attribuito il giusto peso all’evoluzione dell’io. Anche nella costruzione della frase essi non usavano sempre il pronome “io”, ma si servivano della coniugazione dei verbi. L’io non emerge ancora nettamente. Si prenda un Aristotele, un Platone, e specialmente il più grande filosofo dell’antichità, Eraclito: si troverà sempre che l’io non è messo in risalto e che (prego di prendere l’espressione non in senso stretto ma in senso relativo) vi è un più o meno impersonale afferrare le manifestazioni cosmiche mediante la ragione, senza che l’uomo si differenzi da esse nettamente, come avviene nell’epoca in cui viviamo, che è quella dell’anima cosciente.

 

Se risaliamo oltre l’VIII secolo a.C. arriviamo all’epoca che ho chiamato egizio-caldaica (maggiori particolari nella mia Scienza occulta) in cui l’anima aveva un atteggiamento del tutto diverso. Anche in quell’epoca, durata più di duemila anni, vediamo che l’uomo non collega intellettualmente tra di loro i fenomeni esterni, ma percepisce il cosmo, le manifestazioni celesti col sentimento. E del tutto errato, e non porta a risultato alcuno, voler comprendere quel che è tramandato dell’astronomia caldaica o egizia con i giudizi intellettuali che abbiamo ereditato dall’epoca greco-latina.

 

È invece necessario trasformarsi interiormente per immedesimarsi in quella disposizione animica tutta diversa, quando si afferrava il mondo solo col sentimento, quando il concetto non si separava ancora dal sentimento, quando nella percezione dei sensi non si dava ancora un particolare valore alla definizione verbale delle sfumature dei colori azzurro o viola (cosa che si può anche dimostrare storicamente e filologicamente), mentre si aveva un’acuta sensibilità per la parte rossa e gialla dello spettro. Vediamo addirittura come aumenta la sensibilità per i colori scuri con l’emergere della facoltà intellettuale e concettuale. L’epoca egizio-caldaica risale fino al terzo millennio circa, dunque dal 747 a.C. sino all’inizio del quarto millennio (circa 2.160 anni). Risalendo ancora nel tempo, si giunge a un’epoca in cui il modo di percepire umano era tanto diverso dall’attuale che ci è quasi impossibile, senza l’ausilio della scienza dello spirito, trasferirci nel modo di conoscere il mondo che era consueto per l’umanità del quarto o quinto millennio prima del Cristo. Non era solo un sentire, era un vivere gli eventi esteriori, un esservi immersi. L’uomo si sentiva ancora parte di tutta la natura, come il mio braccio si sentirebbe parte del mio organismo, se avesse una coscienza.

 

Arriviamo dunque a un tipo del tutto diverso di condotta interiore dell’uomo di fronte al mondo, e se risaliamo a tempi ancora precedenti abbiamo un inserimento ancor maggiore dell’uomo nel proprio ambiente. Allora però giungiamo a tempi che possono sviluppare civiltà soltanto in luoghi ove esistono condizioni particolari; siamo nell’epoca che nella mia Scienza occulta chiamo paleoindiana, che precede la civiltà vedica e rispetto alla quale la civiltà vedica è soltanto una reminiscenza. Arriviamo a un’epoca che assomiglia in modo singolare al tempo in cui i nostri luoghi erano ghiacciati; nell’evoluzione umana ci avviciniamo a un’epoca in cui una civiltà come la paleoindiana poteva svilupparsi soltanto in zone che si estendono sino all’equatore, dove era presente ciò che ora sperimentiamo più o meno nelle zone temperate. Il clima tropicale risulta anche dall’avanzare e retrocedere dei ghiacci, ed esso si ebbe in India solo più tardi, quando la glaciazione nel mondo nordico si era di nuovo ritirata.

 

Vediamo dunque come si modifichi l’evoluzione umana secondo il variare delle condizioni di vita sulla Terra, sulla superficie terrestre. Solo chi vede da miope l’evoluzione umana, può credere che i pensieri che formuliamo nei vari campi della scienza siano qualcosa di assoluto e di definitivamente conquistato. Chi però approfondisce lo studio dell’evoluzione dello spirito umano sa che le metamorfosi continueranno, e che certe zone della Terra che ora hanno una determinata configurazione della vita spirituale vanno incontro a una specie di desolazione. Si può calcolare, partendo dalle date del passato, quando si avrà in futuro una nuova era glaciale sulla nostra civiltà. Si vede anche che, potendo trovare una relazione tra i fenomeni celesti e le glaciazioni dell’evoluzione terrestre con i suoi periodi intermedi, arriveremo a conoscere quel che avviene sulla Terra nel più raffinato campo della civiltà, quello della conoscenza. Dobbiamo persino riferirlo alle condizioni della Terra. Possiamo dunque dire: la semplice osservazione empirica ci mostra che l’uomo è quello che è non solo a causa di condizioni terrestri, ma anche extraterrestri.

 

Se dunque rileviamo i fatti empiricamente (lo si fa anche nella scienza, ma non per estensioni tanto vaste) il nostro sguardo si allarga alle relazioni che abbiamo caratterizzato. Ancora oggi possiamo vedere come certi nessi fra Terra e astri producano nell’uomo un determinato tipo di spiritualità.

 

Già ne abbiamo parlato in queste conferenze, indicando come le configurazioni spirituali siano diverse nelle zone polari ed equatoriali. Ricercandone la ragione, troviamo che essa sta nella posizione particolare della Terra rispetto al Sole. Vi saranno anche altre cause che vedremo in seguito, ma per ora, accontentandoci di quel che possiamo ottenere secondo i pensieri usuali, da ciò deriva che l’uomo nelle zone polari sia meno libero dal proprio organismo, e quindi abbia maggiori impedimenti a una libera esplicazione della vita dell’anima.

 

Basti ricordare quanto gli uomini delle zone polari siano in modo diverso afferrati da certi fenomeni che per noi stanno sullo sfondo. Nelle zone temperate abbiamo un periodo breve di alternanza fra giorno e notte. Pensiamo quanto questo periodo si allunghi via via che ci avviciniamo al polo: il giorno diventa per così dire un anno. Ho descritto quel che avviene anno per anno nel bambino, dalla nascita alla seconda dentizione. Ne deriva l’attività indipendente dell’anima, che segue il ritmo breve del giorno. Così non può essere nella zona polare, dove pesa di più il periodo annuale, nel quale viene maggiormente elaborata l’organizzazione umana. Là l’uomo non è così liberato dal lavorare alla propria organizzazione.

 

Se ora prendiamo gli scarsi resti di civiltà precedenti sopravvissuti all’epoca glaciale, si può riconoscere come un tempo fosse diffusa una certa “polarizzazione” (e prego di intendermi nel senso giusto) nell’odierna zona temperata, che allora era nelle stesse condizioni delle attuali zone polari. Su una gran parte della Terra si estendeva ciò che adesso è limitato al polo nord.

 

Prego ora i presenti di volersi staccare del tutto dalle spiegazioni che si basano sugli attuali pensieri, altrimenti non si arriva al puro fenomeno. Lo si prenda invece soltanto come tale. Sulla Terra abbiamo oggi gli uomini delle tre zone: tropicale, temperata e polare. Naturalmente si influenzano a vicenda, di modo che in realtà il fenomeno non è tanto netto. Ora dunque abbiamo nello spazio ciò che ritroviamo nel tempo se torniamo indietro. Arriviamo a una civiltà polare risalendo indietro nel tempo, e ne avremo un’altra procedendo verso il futuro. Se pensiamo che l’influenza polare che si manifesta nell’uomo dipende dal rapporto Terra-Sole, dobbiamo anche pensare che il cambiamento avvenuto, la “depolarizzazione” sia dipesa da un cambiamento del rapporto fra Terra e Sole. Dai fatti stessi ci si presenta dunque una domanda: che cosa è avvenuto? e che cosa ci fa notare, riguardo alla genesi dello spazio celeste?

 

Esaminiamo la cosa più da vicino. Naturalmente le condizioni sono diverse nei due emisferi nord e sud, ma in questo caso non ne teniamo conto. Ci servirà al massimo per creare immagini corrispondenti ai fatti reali. Dobbiamo cominciare dai fatti empirici. Che cosa dunque scopriamo, quando ci avviciniamo ai fatti senza ipotesi, senza preconcetti? che cosa scopriamo? Dobbiamo dire: la Terra e i fenomeni terrestri sono l’espressione di rapporti cosmici che si manifestano secondo ritmi determinati. Un fenomeno che si ebbe nel decimo millennio a.C. si ripeterà nell’undicesimo millennio dopo la nascita del cristianesimo. E quel che si trova in mezzo, in certo senso deve anche ripetersi; quel che esiste fra i due periodi glaciali era esistito certo anche prima. Abbiamo con ciò un ritmo, ci si presenta un andamento ritmico.

 

Se ora osserviamo i fenomeni celesti, tenendo in speciale conto un fatto che ho spesso sottolineato nelle mie conferenze, troveremo qualcosa che voglio solo ricordare in breve.

Sappiamo che il punto in cui il Sole sorge in primavera avanza nell’eclittica. Sappiamo anche che quel punto è oggi nella costellazione dei Pesci, che prima era in Ariete, che prima ancora era in Toro, ed era l’epoca del culto del toro degli Egizi e dei Caldei; prima ancora era in Gemelli, quindi in Cancro e in Leone. In quel punto siamo già vicini all’era glaciale. Per continuare nei nostri pensieri, possiamo dire che quel punto percorre tutta l’eclittica. È un tempo che chiamiamo anno platonico, il grande anno cosmico. Sappiamo che ha la durata di circa 25.920 anni. Possiamo dunque dire che i 25.920 anni comprendono una serie di processi, tali che sulla Terra si manifesta l’avvicendarsi ritmico di ere glaciali ed ere interglaciali. Vediamo che nel tempo del grande sommovimento spirituale, il punto in cui il Sole sorge in primavera è nel segno dei Pesci; in epoca greco-romana era nel segno dell’Ariete, prima in Toro e così via. Risaliamo al Leone e alla Vergine, al tempo in cui nelle nostre zone, in Europa e in America, vi era la glaciazione. Saremo in Scorpione, al ritorno dell’era glaciale nelle nostre zone. Tutto ciò si svolge in un ritmo di 25.920 anni, un ritmo molto ampio.

 

Questo ritmo, solo per i numeri, ne ricorda un altro di cui ho spesso parlato e su cui non intendo dilungarmi ora. Sono ritmi che possono venir espressi in cifre corrispondenti ad altri ritmi che ci riguardano da vicino. Si sa che il numero dei respiri umani, inspirazione ed espirazione, è di circa 18 al minuto. Calcolando il numero di respiri in una giornata, abbiamo di nuovo 25.920. In un giorno abbiamo cioè gli stessi tempi, o meglio lo stesso ritmo del grande anno cosmico della precessione degli equinozi. In un giorno abbiamo lo stesso ritmo cosmico. Nel respiro, il giorno corrisponde all’anno platonico. L’equinozio di primavera è in rapporto col Sole e fa il giro dello zodiaco in 25.920 anni; lo stesso avviene in un giorno per i 25.920 respiri umani. L’immagine è uguale a quella del cosmo. Facendo un’ipotesi sciocca, tanto per chiarire meglio, se esistesse un essere vivente in grado di compiere un solo respiro all’anno e di vivere 25.920 anni, compirebbe lo stesso processo che compie un uomo in un giorno. Vediamo che l’uomo ripete in piccolo quel che in altra forma avviene nel grande processo cosmico.

 

Questi fatti ci fanno oggi poca impressione, perché non siamo abituati a vedere il mondo qualitativamente. D’altra parte nella prospettiva quantitativa questi ritmi hanno poca importanza. Si cercano nei numeri rapporti diversi da quelli dati dai ritmi; ecco perché oggi vi badiamo meno. Nel tempo però in cui si percepiva di più la relazione fra uomo e universo, in cui ci si sentiva più immersi nei fenomeni cosmici, tutto ciò era molto sentito. Se risaliamo così nell’evoluzione umana oltre il secondo e terzo millennio, vediamo ovunque una grande considerazione per l’anno platonico. Ieri ho indicato, ma non spiegato, il sistema yoga mediante cui l’uomo viveva nel respiro; nello sforzo di rendere il pensiero cosciente egli scopriva anche la relazione tra il ritmo umano della respirazione e i grandi fenomeni cosmici. Di conseguenza, parlava del proprio respiro e del grande respiro di Brahma che comprende un anno e per il quale 25.920 anni sono un giorno, un giorno del Grande Spirito.

 

Non vorrei fare un’osservazione cattiva, ma in certo senso si prova rispetto per la distanza che gli uomini sentivano un tempo fra loro e lo spirito del macrocosmo che veneravano. L’uomo sentiva infatti di essere infimo rispetto al macrocosmo, quanto un giorno è infimo rispetto a 25.920 anni. Era un grandissimo spirito quello che l’uomo così si figurava, e gli si rapportava con grande modestia.

 

Sarebbe interessante vedere come l’uomo moderno si figura interiormente la distanza fra sé e la divinità, giacché nel proprio Dio spesso altro non vede che un uomo un po’ idealizzato.

 

Tutto ciò in apparenza non fa parte del nostro tema. Ma per ottenere reali mezzi di conoscenza in questo campo dobbiamo passare da ambiti di meri calcoli ad altri del tutto diversi, perché lo studio delle leggi di Keplero e le loro conseguenze mostrano che col calcolo si arriva a numeri incommensurabili che ci spingono oltre i limiti del calcolo stesso.