06 – La vita tra morte e nuova nascita – II

O.O. 140 – Ricerche occulte sulla vita fra morte e nuova nascita – 28.11.1912


 

SESTA CONFERENZA

 

Sommario: La vita nel kamaloka come preparazione alla formazione del karma. La vita animica conscia e quella subconscia e il loro sviluppo nel dopo morte. La formazione di un rapporto scambievole tra mondo spirituale e mondo fisico, tra vivi e morti per mezzo del lavoro scientifico spirituale. La lettura ai defunti, specialmente a chi in questa vita osteggiò la scienza spirituale. La graduale formazione di un sentimento delle possibilità riguardo agli accadimenti. Lo sviluppo delle forze di pensiero, di sentimento e di volontà nella vita tra morte e nuova nascita.

 

La riflessione che abbiamo potuto avviare l’altro ieri, riguardo alla vita tra la morte e una nuova nascita,

ci mostra come l’intera entità umana sia strettamente connessa a ciò che si può chiamare la vita universale del cosmo.

 

Se infatti pensate a varie cose di quanto allora è stato detto, ne potrete desumere che

• l’uomo, in realtà, soltanto durante il suo tempo terreno è in un certo qual modo esiliato in un luogo,

solo durante il suo tempo terreno occupa un piccolo spazio,

mentre in tutto il tempo fra la morte e una nascita nuova egli è incorporato nel sistema planetario

e persino, in un ulteriore periodo dopo la morte, al mondo al di fuori di quello.

 

Se riguardo allo sviluppo tra la nascita e la morte spesso diciamo, per esprimere un fatto occulto,

che l’uomo si mostra come una specie di immagine microcosmica del macrocosmo,

ora dobbiamo dire che tra la morte e una nuova nascita l’uomo stesso è realmente macrocosmico;

egli è effuso nel grande cosmo, allora si dimostra appunto come un essere macrocosmico,

perché in questo periodo intermedio egli deve estrarre dal grande cosmo

le forze che gli occorrono per la sua successiva incarnazione.

 

E per la precisione, possiamo intendere questa vita macrocosmica tra la morte e una nuova nascita

così che l’uomo, nel primo periodo dopo la morte, in certo qual modo si porta ancora addosso,

i “gusci”, se così è lecito esprimersi, della vita terrena; è legato a ciò che la vita terrena potè fare di lui.

• Questo è proprio il periodo che anzitutto sta in rapporto particolarmente stretto

con i bisogni e gli interessi del cuore umano.

 

Quando lo sguardo occulto viene rivolto a qualcuno che ha lasciato il piano terreno relativamente da poco tempo, allora, come sappiamo, questi si trova nella sfera del kamaloka. Questa è la sfera che, detto in modo macrocosmico, giunge fino all’orbita della luna.

Dunque l’uomo si ambienta, espandendo la sua entità animico-spirituale così da abitare l’intera sfera lunare. In questo periodo, lo sappiamo, l’uomo è ancora del tutto legato al mondo terreno. I desideri, le brame, gli interessi, le simpatie, le antipatie che ha sviluppato costituiscono forze – lo abbiamo già descritto varie volte – che per così dire lo ripiegano verso il mondo terreno.

 

Durante il periodo del kamaloka l’uomo è dunque in un certo senso chiuso

come dentro un’atmosfera della sua personale natura astrale, come se l’è acquisita sulla terra.

• Egli si augura ancora quello che si è augurato sulla terra, ha interesse a ciò per cui in terra ha provato interesse.

• E il periodo del kamaloka esiste proprio perché l’uomo possa dipanare questi desideri,

però in modo che desideri e brame – in quanto dipendono dagli organi fisici,

e tutti i godimenti sensibili ne sono dipendenti – non possano venirgli soddisfatti

e quindi egli, per l’impossibilità dell’appagamento, se ne disavvezzi.

 

Ma tutto questo, che spesso abbiamo descritto per quanto riguarda l’essere umano immediatamente dopo la morte,

come possiamo facilmente comprendere, si riferisce all’individualità dell’uomo,

a ciò che l’uomo nel senso più stretto della parola ha quasi da estirpare dalla sua astralità,

a quello da cui si deve disabituare, che deve eliminare da sé.

 

Sotto un altro aspetto ancora, nel tempo del kamaloka l’uomo porta fuori con sé anzitutto le connessioni terrene

e precisamente nel modo seguente: ciò con cui l’uomo è collegato,

sia come fatti sia come esseri del periodo del kamaloka,

dipende dalla sua vita interiore, dipende da come è fatto l’uomo in questione, da come è predisposto nella sua anima.

 

Ad esempio: un uomo attraversa la porta della morte, un po’ prima vi è già passato qualcuno col quale egli ebbe un rapporto stretto, così che possiamo dire che entrambi i defunti stanno nella sfera del kamaloka; lì essi possono trovarsi.

 

L’indagine occulta mostra senz’altro che l’uomo non è solo alle prese col proprio sviluppo,

con il disabituarsi ai propri desideri, brame, interessi,

ma che subito dopo la morte, dopo un breve periodo di sonno per così dire embrionale,

l’uomo ritrova gli esseri umani con i quali sulla terra ha avuto stretti rapporti.

 

Per contro, per questo primo periodo in generale non esiste proprio l’eventualità

che l’uomo possa veramente ritrovare ogni essere che sia al contempo insieme a lui nella sfera del kamaloka.

• Lì le condizioni spaziali e temporali sono davvero molto diverse, soprattutto quelle dello spazio.

• Non è questione di giungere o meno vicino a esseri coi quali non si è avuto uno stretto rapporto,

si può anche arrivare quanto più possibile vicino a loro, ma non li si percepisce.

• Per percepire, bisogna essere stati in stretti rapporti con l’essere in questione durante la vita.

 

Perciò quelli coi quali si è stati intimi in vita – e qui in un primo tempo

difficilmente sono da prendere in considerazione esseri diversi da quelli umani –

vengono anche a trovarsi presto nel periodo del kamaloka nei dintorni di un defunto.

• Il rapporto in cui ci troviamo dopo la morte con quegli esseri,

si orienta ancora del tutto secondo le relazioni terrene che abbiamo sviluppato nei loro confronti.

 

E precisamente in un modo che già ieri l’altro ho caratterizzato, ci rapportiamo cioè a un essere umano che si trova con noi nel kamaloka conformemente alla piena verità di come ci siamo rapportati nella vita terrena; però non ci è possibile quel che durante il periodo terreno ancora potevamo, vale a dire ad esempio modificare il rapporto.

• Esso resta così come fu sulla terra.

 

• Nei confronti di una persona che abbiamo amato, sulla terra possiamo più tardi sviluppare odio e, verso una persona che abbiamo odiato, sviluppare amore – possiamo sforzarci di modificare la nostra relazione con lei.

• Nel periodo del kamaloka non è così: noi incontriamo una persona che è morta prima di noi e di primo acchito ci sentiamo portati verso di lei in un rapporto corrispondente all’ultimo che con lei abbiamo avuto sulla terra. Così ci troviamo nei suoi confronti.

• Poi, come sapete, viviamo a ritroso nel tempo. Se prima abbiamo avuto con questa persona un rapporto diverso, non possiamo suscitarlo in modo artificioso, bensì dobbiamo tranquillamente vivere a ritroso e sperimentare in seguito, al momento corrispondente, una relazione che abbiamo avuto in precedenza con lei, che di nuovo non possiamo modificare e che si manifesta esattamente come si è espressa sulla terra.

 

Si potrebbe facilmente credere che questo sia uno stato straordinariamente doloroso. E lo è anche, sotto un certo aspetto. Lo si vive proprio così come ci si sente quando volentieri si camminerebbe e si è incatenati al suolo.

Ci si sente spiritualmente vincolati a un rapporto che si è prodotto sulla terra,

ci si sente in una situazione forzata. Questo è tutto esatto.

E quando questa costrizione è forte, il rapporto naturalmente è penoso.

 

Ma per comprendere correttamente una tale condizione e darle il giusto peso nel sentimento non si deve avere soltanto il pensiero che si tratti di uno stato di sofferenza: doloroso lo è, sì, per molti aspetti, ma il defunto non ha solo coscienza che ci sia una condizione di sofferenza, ha bensì chiarissima consapevolezza che questo stato è necessario, deve esserci, che se non si patisse un dolore simile, addirittura si farebbero rotolare sul proprio cammino dei massi che ci frenano l’evoluzione.

Cosa accade infatti col passare attraverso tutto questo?

 

Supponiamo di vivere, dopo la morte, il rapporto con un altro uomo, osserviamo dunque una certa relazione che in vita abbiamo trovato con lui, che abbiamo formato, sperimentiamola. Stando a guardare, facendone esperienza, tenendovi per così dire fisso lo sguardo, si sviluppano nella nostra anima le forze, anzitutto nei loro modelli spirituali, che ci occorrono perché il nostro karma ci guidi correttamente in un futuro più lontano, affinché nel rincarnarci ci troviamo insieme all’altro uomo cosicché possa prodursi il pareggio karmico. Più o meno in questo modo vengono, tecnicamente, costruite le forze che sono necessarie al pareggio karmico.

 

• Di quanto in un primo tempo gli viene incontro nell’ambiente, difficilmente il defunto può cambiare qualcosa;

ma di tanto in tanto sorge per lui l’intenso bisogno di modificare questo o quello.

• Si vorrebbe dire che, per il defunto, acquistano grande significato i desideri inappagati,

ma quei desideri insoddisfatti che durante la vita non sempre salgono del tutto alla coscienza.

 

E ora va considerato qualcosa cui è straordinariamente importante prestare attenzione. Nella vita normale, qui sul piano fisico, noi certamente sentiamo nella nostra coscienza una o un’altra inclinazione, questa o quella simpatia, ci facciamo questa o quella rappresentazione; ma al di sotto di tale coscienza si trova la coscienza astrale, il subconscio. Esso non emerge con gran forza nel conscio, nella vera e propria coscienza dell’io; perciò qualcosa di incompiuto, si vorrebbe dire, entra nella vita di coscienza dell’essere umano.

 

In effetti nella vita quasi mai l’uomo si vive appieno come essere cosciente.

• Il modo in cui l’uomo si realizza non è affatto, si potrebbe dire, sempre del tutto vero;

l’umana vita dell’anima è qualcosa di straordinariamente complicato.

• Può accadere che a qualcuno, nella sua coscienza ordinaria, nella sua coscienza egoica

– per pregiudizi, comodità, per questo o quel motivo – qualcosa proprio non piaccia o forse persino lo odi,

mentre nel suo subconscio c’è un acceso desiderio di ciò che nel suo conscio persino odia.

• E accade che l’anima dell’uomo spesso intensamente s’industrii proprio a ingannarsi riguardo a tali cose.

 

Può ad esempio succedere che due persone vivano insieme. Una delle due, che stanno in qualche rapporto fra loro, si avvicina alla scienza dello spirito, all’antroposofia, e se ne sente entusiasta; la persona che vive insieme a lei non se ne sente entusiasta, diventa invece sempre più tremenda nella sua relazione: quanto più la prima si familiarizza con la scienza dello spirito, tanto più l’altra si scaglia contro di essa, la discredita.

Ora, poiché la vita dell’anima umana è complicata, è possibile quanto segue. Quest’altra persona che denigra la scienza dello spirito, se proprio il suo amico, o uno che in qualche altro modo vive insieme a lei, non fosse diventato antroposofo, forse lo sarebbe diventata lei stessa in qualche occasione opportuna. Le impedisce di diventarlo proprio la persona che vive con lei. Questo può senz’altro succedere. E può accadere che un tale, il quale sparla della scienza dello spirito e nella sua coscienza egoica manifesta tutto il possibile contro di essa, ne abbia invece il più intenso desiderio nel suo subconscio, o coscienza astrale – anzi, quanto più la diffama, tanto più forte ne diventa in lui il desiderio.

Qui nella vita terrena è senz’altro possibile compiere una cosa del genere, che nella coscienza desta si screditino cose che nel subconscio vengano a manifestarsi con sempre più forza.

 

Ma la morte rende verità le non-verità. E così si può osservare come varchino la porta della morte uomini che, vuoi per comodità, vuoi per cose come quelle descritte, hanno diffamato la scienza dello spirito; può dunque succedere che dopo la morte – e ciò si può applicare a tutto il possibile -, dal momento che allora la verità si fa valere nell’anima umana, essi sentano in modo intensissimo il desiderio che non avevano percepito.

E si può dimostrare che passano attraverso la porta della morte uomini che all’apparenza non hanno avuto assolutamente alcun desiderio di una cosa, eppure dopo la morte un desiderio si fa avanti con grande intensità.

Nella prova del nostro periodo nel kamaloka non è dunque importante se i nostri desideri, le brame, le passioni e così via stiano nel conscio, nella coscienza egoica, bensì se si trovino anche nel subconscio, nella coscienza astrale. Dopo la morte agiscono bruciando nello stesso modo, e i desideri e le brame che qui nella vita abbiamo celato operano in realtà ancora più intensamente dopo la morte.

 

Ora, riguardo a un fatto del genere, si deve tener conto di come qualsiasi cosa che in sé sia affine all’anima umana faccia, in ogni caso, un’impressione su questa anima dell’uomo. Quel che ora vi dico è stato accuratamente investigato, può davvero presentarsi come una realtà animica umana importante, ed è bene che osserviamo la cosa proprio con l’esempio della scienza dello spirito.

 

Supponiamo che due persone abbiano vissuto insieme quaggiù: uno fervente antroposofo e l’altro che non ne voleva sapere nulla. Ora, poiché la scienza dello spirito viene coltivata nel suo ambiente, quest’altro essere umano non resta senza influssi sul suo corpo astrale.

 

Alle nostre anime succedono davvero cose immensamente significative, di cui nulla sappiamo, le quali agiscono su di noi appunto in modo spirituale; ci sono cose che semplicemente per loro natura forgiano l’anima umana, la cambiano. E così si può dire che difficilmente si trova qualcuno che sia stato nei pressi di un antroposofo e che, per quanto ostinatamente contrario, non abbia ricevuto nel suo subconscio un’inclinazione verso la scienza dello spirito.

Nel caso di coloro che fanno parte degli avversari della scienza dello spirito, si trova appunto che dopo la morte essi hanno una sfera di desiderio della quale si può dire, in tutta evidenza, che essa si esprime, si fa valere tramite il fatto che allora reclama appassionatamente la scienza spirituale.

 

Per questo si è dimostrato tanto benefico, per quei defunti, ciò che viene infatti spesso eseguito nelle nostre cerchie: che dopo la morte si legga (così si può dire) per i defunti che durante la vita hanno voluto accogliere poco della scienza dello spirito. Questo risulta straordinariamente benefico per i defunti in questione.

Viene fatto in questo modo: per avere un’immaginazione, si cerca di rappresentarsi un’immagine vivida dell’aspetto del defunto, come era negli ultimi tempi sulla terra, si prende un libro e, nella totale quiete, con il pensiero rivolto al defunto, come se egli sedesse di fronte, gli si legge, si percorrono i contenuti frase per frase. Il defunto sugge con grande bramosia e ne ricava infinitamente tanto.

 

Sì, vedete, ci troviamo in un punto nel quale la saggezza spirituale diventa davvero molto pratica nella vita, dove materialismo e spiritualità non si fronteggiano solo come teoria, bensì come potenze di vita. Si può così dire che con l’avvicinarsi alla spiritualità si crea la comunicazione, il collegamento tra individualità umane, indipendentemente dal fatto che si trovino nella vita o nella morte. Possiamo essere utili ai defunti nel modo descritto, e anche in altri modi di cui avremo occasione di parlare ancora, se siamo addentro nella vita spirituale. Se però non lo siamo, ciò non significa solo un difetto di sapere, di conoscenza, bensì significa che questo ci pone veramente entro una sfera ben limitata dell’esistenza, cioè solo nella sfera del fisico.

 

Sicché, se abbiamo una disposizione materialistica e viviamo solamente nella materia, perdiamo immediatamente il collegamento con qualsiasi individualità quando essa sia passata per la porta della morte. In ciò che è stato detto, abbiamo un esempio di quanto immensamente significativo sia l’agire di un mondo nell’altro.

Il defunto stesso, quando ad esempio abbia l’intenso desiderio di apprendere dopo la morte questo o quello della saggezza spirituale, deve farne a meno, deve restare carico di desiderio. Tutt’al più potrebbe esserci modo – cosa che per lui è però difficile nel periodo del kamaloka – di trovare là qualcuno, anch’egli defunto, che sulla terra era stato con lui in un rapporto tale per cui, con la sua sola presenza, grazie alla relazione in cui si trova con lui, possa arrecare una specie di appagamento, ma anche questo non sarebbe affatto grande. Una cosa trascurabile a confronto degli immensi benefici, alle opere di bene che può largire al defunto chi ancora vive, chi si trova ancora sul piano fisico.

 

Pensate alla condizione del defunto! Egli ha il più intenso desiderio di questo o di quello. Nel periodo successivo alla morte ciò non può venirgli soddisfatto, perché le cose che portiamo nell’anima rimangono immutabilmente fisse; ma dalla terra può salire una corrente che allora penetra in questo desiderio che altrimenti resterebbe ostinato. E questa è realmente l’unica via per cui possono venir modificate le cose che sono in gioco nella nostra anima. E si può dire che nel primo periodo dopo la morte, molto, moltissimo del modo in cui il defunto può vivere e sentirsi, dipende da quale comprensione spirituale sviluppano nei suoi confronti quelli che gli furono vicini e sono rimasti sul piano fisico.

 

Se ci comportiamo nel senso di ciò che veniamo a conoscere dalla scienza spirituale, ci rendiamo formatori di condizioni di vita molto diverse, di condizioni di vita che da un mondo entrano ad agire nell’altro. Sotto questo aspetto si deve pur dire che oggi lo svilupparsi della scienza dello spirito in potenza di vita non è proprio molto progredito. Si avrebbe così tanto, moltissimo da fare per sviluppare davvero quello che la scienza dello spirito è in grado di costituire, quanto a potenze reali, e potrebbe anche essere che ci si familiarizzasse con le verità scientifico-spirituali e poi si orientasse tutta la vita conformemente ad esse. Se si comprendesse la scienza dello spirito in questo senso profondo, se se ne facesse in tal modo un nerbo di vita, allora sulla terra si discuterebbe e si disputerebbe meno intorno a teorie spirituali. Questo è ciò su cui dovremmo riflettere.

 

Tramite la scienza spirituale non viene cambiata soltanto la vita terrena, bensì l’intera vita dell’umanità.

E se un giorno – passando per la via più lunga della comprensione delle idee – la scienza dello spirito diverrà molto, molto di più un fatto del cuore, se gli uomini si condurranno e si comporteranno, se è lecito usare l’espressione banale, nel senso della scienza dello spirito, allora risalterà sempre di più anche il rapporto vicendevole dei due mondi l’uno verso l’altro.

 

Qui si deve tuttavia accennare a qualcosa che non viene tanto facilmente creduto, direi, sebbene possa venir compreso quando si rifletta sulla cosa. Il sapere dell’uomo, in quanto sapere sul piano fisico, è infatti qualcosa di straordinariamente ingannevole, perché nella realtà fisica l’uomo non conosce veramente null’altro che i fatti e le connessioni che osserva. Mentre per lo scienziato normale o per l’uomo di idee materialistiche questo è tutta l’essenza di quel che egli chiama realtà, quando invece si prenda in considerazione la vita dell’anima nel suo complesso, questo è pochissimo.

 

Vorrei farvi un esempio apparentemente paradossale, ma possiamo ricordarci delle parole di Schopenhauer, secondo le quali la verità deve arrossire, poiché è paradossale. L’uomo conosce fatti e combina i fatti. Sì, egli sa: sono le 7:30. Ora è uscito da casa sua, ha attraversato questa o quella strada, alle 8 è arrivato in questo o in quel posto. Cose del genere egli le sa tramite la percezione sensibile, le sa tramite intelletto combinatorio diciamo; ma, nella maggior parte dei casi, egli non sa perché è uscito due o tre minuti prima o dopo. Pochissime persone si faranno dei pensieri se sono uscite tre o quattro minuti prima o dopo per andare da qualche parte; ma questo può avere una certa importanza.

 

Voglio scegliere un esempio strano – in piccolo, cose del genere accadono sempre nella vita – l’esempio per cui la persona ha ritardato di tre minuti. Se fosse uscita alle 8 in punto sarebbe incappata veramente, diciamo, in qualcosa che l’avrebbe investita, l’avrebbe uccisa. Non è rimasta uccisa perché ha tardato tre minuti. Di rado succederà in questa maniera grottesca, ma cose del genere accadono di continuo nella vita, in modo più o meno davvero concreto, solo che gli uomini non lo sanno. Il suo karma ha preservato quella persona dalla morte, essendo lei uscita tre minuti più tardi.

 

Ora, ciò potrebbe sembrare insignificante, indifferente, ma non lo è. Pensateci un attimo: l’uomo è indifferente riguardo a una cosa del genere solo perché non la sa; nel momento in cui la conoscesse non sarebbe affatto indifferente. Se voi sapeste: sono uscito tre minuti più tardi di quando volevo, se fossi andato via puntuale sarei morto; in tal caso per voi non sarebbe indifferente, allora farebbe una possente impressione sulla vostra anima, questa conoscenza sortirebbe un profondo effetto sulla vostra anima. Ma tenete a mente quale significato abbia per la vita dell’anima quando accade veramente qualcosa del genere. Questo non significa forse che l’uomo attraversa davvero di continuo la vita con occhi strettamente bendati? Così egli fa, infatti.

 

Egli ha conoscenza di quello che accade esteriormente, ma non sa che ne sarebbe stato di lui se le cose fossero state un po’ diverse. Vale a dire che questa conoscenza delle possibilità sfugge alle forze dell’anima. L’anima vegeta nell’indifferenza mentre potrebbe venir scossa, elevata dalla conoscenza delle possibilità.

Dunque, per il fatto che l’uomo sa pochissimo dei nessi che esistono, conosce soltanto ciò che dalle circostanze appare, per questo motivo la vita animica dell’uomo è povera, per questo in essa non viene a espressione ciò che altrimenti si manifesterebbe. Forse non si arriverebbe tanto facilmente a un’affermazione all’apparenza così paradossale come quella ora esposta, se le indagini della vita dopo la morte non venissero poste sotto il naso intellettuale, diciamo così, di qualcuno; poiché tra le varie cose che sorgono nell’anima c’è quel che appunto ora è stato caratterizzato come ciò che non giunge a coscienza.

 

Dopo la morte si presenta davanti all’anima dell’uomo, con forza,

molto di cui egli durante la vita non ha avuto alcuna idea.

• Con forza si presenta all’anima: lì tu eri in pericolo di vita, là ti sei giocato una fortuna, qui te la sei presa comoda

e se non fosse stato così avresti raggiunto questo o quello, avresti potuto fare questo o quest’altro di buono.

 

Dopo la morte ci viene incontro tutto un mondo di cose non sperimentate.

Quello che al materialista appare ridicolo nella vita fisica, dopo la morte diventa realtà, diventa il reale, vero reale.

Così che si deve dire: dopo la morte si viene senz’altro a conoscere un mondo intero

di quel che sta intorno a una persona e che nella vita non viene a espressione.

Ma allora, le cose di cui si sta parlando, non ci sono per niente?

 

Prendiamo il caso per cui, ebbene, siamo usciti tre minuti più tardi di quel che volevamo e in tal modo siamo sfuggiti alla morte. Questo non lo sappiamo affatto. Il fatto che come uomini non ne siamo a conoscenza, importa soltanto al materialista. L’uomo assennato si rende conto che non è importante se egli ne sa qualcosa oppure no. L’uomo di comune intelligenza sa che le cose non si curano del suo sapere, bensì esistono anche senza il suo sapere.

Il nesso delle forze, l’agire delle forze l’una contro l’altra c’erano.

C’era magari lì il treno che avrebbe potuto investirci, anche noi eravamo là, tutti i preparativi per la nostra morte erano presenti. Le forze hanno agito l’una verso l’altra, solo che hanno agito passandosi accanto; però si sono concentrate. Cose del genere ci sono in abbondanza nell’ambiente che nella vita ci circonda. È così, non le percepiamo, ma attorno a noi esistono.

 

Se però gli uomini gradualmente acquisiranno comprensione per il mondo spirituale – conformemente alla destinazione del nostro ciclo temporale e all’evoluzione dell’umanità che va entrando nel futuro -, allora agirà in un certo modo su di noi quel che senza dubbio per la comprensione dei sensi e per l’intelletto non può esistere, e che tuttavia esiste nel nostro ambiente. E qui arriviamo a un fatto straordinariamente interessante.

Supponiamo che le cose stiano veramente così, che noi siamo sfuggiti alla morte per esserci attardati tre minuti. Il materialista non avverte proprio nulla di ciò. Nell’uomo che a poco a poco – oggi la scienza spirituale è ancora all’inizio del proprio sviluppo – si procura nel suo cuore comprensione per tali nessi, l’anima si trasforma davvero. Se egli si è procurato una comprensione per questa scienza spirituale, se per un po’ di tempo ha vissuto in essa e non ne ha acquisito solo una comprensione esteriore, bensì essa si è fatta contenuto della sua anima, se egli vive con concetti e sentimenti scientifico spirituali -, allora egli esce forse anche tre minuti più tardi e sfugge alla morte, ma, nel momento in cui la morte avrebbe potuto sopraggiungere se le circostanze fossero state diverse, in quel momento egli avverte qualcosa, sente qualcosa in sé.

Imparare a sentire le possibilità, questo si presenterà quando l’antroposofia diventerà linfa vitale dell’anima.

 

E cosa sapremo ad esempio sentire, poco alla volta e grazie a qualcosa del genere, quando la natura umana si sarà fatta strada verso la comprensione scientifico-spirituale? Ebbene, tramite quell’attimo nel quale sarebbe potuto accadere qualcosa che è legato a noi, diventeremo una specie di “medium” momentaneo – secondo le definizioni che ho dato nelle mie conferenze pubbliche -, entreremo in uno stato medianico di breve durata, mettendoci nella condizione di permettere al mondo spirituale di entrare a rilucere nella nostra coscienza.

Momenti del genere, nei quali i defunti operano su di lui, possono essere i più fruttuosi per l’uomo se egli deve sapere qualcosa coscientemente su di loro. Occasioni di fatti non accaduti che sono a noi connessi nel modo che si è descritto, tali momenti a noi collegati diventano risvegliatori di impressioni provenienti dal mondo spirituale. Nelle anime di coloro ai quali la scienza dello spirito si avvicina nella vita, si svilupperà proprio in tal modo la qualità del tutto particolare di una vita colma di presagi; questo perché l’umanità è veramente in evoluzione e soltanto una persona molto corta di comprendonio può credere che il genere umano sia in ogni tempo dotato delle stesse forze animiche.

 

Le forze dell’anima cambiano, e come è vero che l’uomo è oggi preferibilmente predisposto a percepire esteriormente e a elaborare il percepito col pensiero, così è vero che per mezzo di situazioni quali quelle che sono state ora descritte egli si evolverà, entro un’epoca nella quale verranno sviluppate forze psichico-spirituali.

Dunque anche in questo senso c’è la prospettiva che la scienza dello spirito diventi una potenza vitale, la quale interverrà dando vigorosamente forma nella vita.

 

Poco fa abbiamo visto come possa venir esercitata un’azione dal piano fisico fin su nella vita dopo la morte; ora vediamo dove possono venir create delle porte, o finestre, affinché ciò che i defunti sperimentano possa venir scorto qui nella vita fisica. Con ciò volevo darvi anche un’idea di come si formino le occasioni, diciamo, di comunicazione fra i due mondi.

Sotto questo aspetto si pecca davvero molto diffondendo ogni sorta di dottrine strane e soprattutto, talvolta, di pratiche strane. Chi invece ha familiarità con queste cose sa che, se vuole incontrarsi con un defunto, deve prima venir creata un’occasione – prescindo ora da quelle che si attuano per via medianica -, un’occasione tramite la quale si apra per così dire la finestra al defunto. Esistono proprio molti sconsiderati, ai quali viene comunicato che questo o quello vuole sapere qualcosa di un defunto; molto presto, dopo poche ore, dicono a uno: “Ho parlato con lui, sta bene”. Non poche volte ho sperimentato che ciò è accaduto. Qui poi sfioriamo anche la questione del delirio di autorità e tutte le balordaggini che con ciò vengono compiute.

Da questo però potete vedere ancora un’altra cosa, potete dedurne – giacché la sfera del kamaloka è in sostanza nello spazio astrale – come al mondo astrale sia collegato il mondo delle possibilità; non il mondo di quanto qui nel fisico accade, ma di ciò che potrebbe accadere.

 

E, ve ne prego, rendete addirittura oggetto di una specie di meditazione

il fatto che quanto è possibile nel mondo fisico e tuttavia non diventa reale,

emana una sorta di atmosfera, un tipo di atmosfera di comunicazione per lo spazio astrale.

 

Delle tante cose che ci sarebbero da dire sulla vita tra morte e nuova nascita, delle quali apprenderemo qualcosa nei prossimi tempi, ne sia oggi menzionata solo ancora una.

 

Nel corso della vita tra nascita e morte

troviamo che nell’anima vengono ad espressione principalmente tre tipi di forze:

• le forze del pensiero, le forze di sentimento e le forze di volontà e desiderio.

 

• Le forze del pensiero, le forze intellettuali, così che siamo un po’ più luminosi o un po’ meno luminosi;

• le forze dell’animo o di sentimento, in modo che siamo un po’ più o un po’ meno compassionevoli

oppure duri di cuore, che abbiamo una predisposizione più o meno religiosa o irreligiosa;

• le forze del desiderio e della volontà, in modo tale

per cui le nostre azioni sono più o meno egoistiche oppure non egoistiche.

 

Così vengono ad evidenza questi tre tipi di forze animiche tra la nascita e la morte.

• Per la vita tra morte e nuova nascita queste differenti forze dell’anima hanno un significato molto diverso.

 

Prendiamo per prime le forze intellettuali. Potremmo chiederci: cosa ci procurano dopo la morte?

• Le forze intellettuali dopo la morte procurano di rendere particolarmente chiara la nostra consapevolezza,

l’attraversamento cosciente del periodo tra la morte e una nuova nascita,

di modo che, quanto più nella vita fisica ci impegniamo a pensare

per prima cosa con chiarezza e in secondo luogo in modo giusto e veritiero,

quanto più ci premuriamo di familiarizzarci in modo corretto con le realtà spirituali,

tanto più la nostra coscienza si rischiara tra la morte e una nuova nascita.

 

Sicché – e voglio subito esporre elementi concreti – una persona che sia non veritiera quanto alle sue qualità intellettuali, che non abbia particolare interesse a familiarizzarsi, partendo dalla veracità, con le condizioni spirituali cui si può giungere soltanto tramite la conoscenza, dopo la morte certamente svilupperà una coscienza, ma una coscienza che lentamente andrà smorzandosi.

 

E ora la cosa caratteristica è che lo smorzarsi della coscienza dopo la morte

fa sì che noi attraversiamo più rapidamente un determinato periodo; vale a dire che, quando siamo più dormienti,

percorriamo il mondo spirituale più velocemente di quando siamo regolarmente desti.

• Se dunque uno è torpido di fronte a tutto quello che le forze intellettuali sono,

resta cosciente per un po’ dopo la morte, ma in seguito non è più capace di mantenere la coscienza;

la sua ottusità causa una condizione crepuscolare e allora la vita restante trascorre in fretta,

così che egli può rientrare relativamente presto nella vita terrena.

 

Le cose stanno in modo diverso per le forze che riguardano la volontà e il desiderio.

• Esse ci assistono nel periodo tra la morte e una nuova nascita

così che traiamo dalle condizioni macrocosmiche le forze, vigorose oppure fiacche,

a seconda di come ci occorrono per la costruzione della nostra prossima vita.

Se si entra in quelle condizioni con una disposizione animica immorale, come abbiamo descritto,

allora non si possono trarre le forze necessarie,

che dovrebbero costruire regolarmente il corpo astrale o il corpo eterico, e questi saranno dunque atrofizzati.

Si sarà, in un modo o nell’altro, debolucci.

 

È quindi la moralità che ci rende capaci di trarre dal mondo superiore

le forze di cui abbiamo bisogno per la successiva incarnazione.

• Così intellettualità e moralità sono strettamente collegate con quanto, diciamo, ne è dell’uomo,

durante il suo soggiorno nella sfera soprasensibile tra la morte e una nuova nascita.

 

• Le forze d’animo e di sentimento, in un certo senso quelle più intime dell’anima umana,

nel tempo opportuno tra la morte e una nuova nascita, ci stanno di fronte oggettivamente, si trovano al di fuori di noi.

Questo è molto significativo.

 

Un uomo che sia capace di amore e di compassione sperimenta la vita tra morte e nuova nascita così che

le immagini vivificanti, beatificanti e rinvigorenti che sono correlate alla compassione,

gli si presentano davanti all’anima come suo ambiente, come la realtà in cui si trova.

All’anima di colui che odia si presentano le figure dell’odio.

 

In un dato periodo tra la morte e una nuova nascita, noi guardiamo a come siamo nel nostro più intimo essere in forma di dipinto cosmico fuori di noi. Nessun pittore è così bravo come lo sono le forze tra la morte e una nuova nascita.

 

Quanto alle forze animiche più profonde del nostro animo,

ciò che scorgiamo tra la morte e una nuova nascita è il nostro firmamento,

così come qui sulla terra vediamo la volta celeste.

È il nostro cielo tra la morte e una nuova nascita. Esso è sempre presso di noi.

 

• A ciò è collegato il fatto che, se abbiamo accolto in noi il mistero del Golgota nell’intimo della nostra anima,

nel modo detto l’altro ieri, se ci siamo acquistati una comprensione per le parole di Paolo:

“Non io, ma il Cristo in me.”, se sperimentiamo il Cristo in noi

– allora durante l’esistenza solare abbiamo la possibilità di vedere, come l’elemento in cui viviamo e tessiamo,

quel che è stato chiamato mondo delle immagini dell’akasha che ci attornia,

il Cristo nella sua figura più bella e più grandiosa, nella gloria della sua manifestazione, come si dice.

 

Questo pensiero non ha necessariamente un significato egoistico, può avere anche un senso del tutto oggettivo, poiché quel che troviamo lì dispiegato come dipinto, lo assumiamo di nuovo nella nostra anima nel seguito del cammino e lo portiamo nell’incarnazione successiva, divenendo così non solo uomini migliori, bensì anche una forza migliore nell’evoluzione della terra.

 

Così,  ciò cui nel nostro animo lavoriamo

è persino connesso intimamente alle nostre facoltà nella seguente vita terrena,

e noi abbiamo appreso ancora una volta, diciamo, la tecnica tramite la quale

le nostre forze d’animo tra la morte e una nuova nascita si formano attorno a noi,

come un grande arazzo cosmico, come cosmico firmamento,

per essere poi di nuovo dentro di noi nel giusto modo con maggior forza rispetto alla vita precedente.

 

Tutto infatti si rafforza, per il fatto che quanto si è attraversato interiormente in una vita

lo si vede attorno a sé nel periodo intermedio tra la morte e una nuova nascita,

e in tal modo ci si rende più forti tramite le esperienze,

si sviluppano anche tutte le forze che provengono da un guardare vivente.

Abbiamo così di nuovo illustrato alcuni dei contenuti, che sono importantissimi,

relativi alle condizioni tra la morte e una nuova nascita.

 

Essi sono così importanti perché, nella vita sulla terra, noi non siamo proprio nient’altro

che quel che la vita tra la morte e una nuova nascita ha fatto di noi, e perché nel prossimo futuro dell’uomo

sempre di meno potremo giungere a una vera conoscenza del nostro essere – e a un vero fare e agire e pensare –

se tralasciamo di guardare a ciò che si svolge in un mondo spirituale tra la morte e una nuova nascita.

 

Queste riflessioni sono una parte delle cose, più estese, che possono venir qui espresse intorno alla vita tra morte e nuova nascita. Volevo anzitutto fare un primo passo, in merito a ciò che davvero, in un modo o in un altro, nel prossimo futuro sempre più deve divenire contenuto della scienza dello spirito.