Le esperienze e le vicende di Michele durante il compimento della sua missione cosmica – Massime 109-111

Commento di Lucio Russo


 

Prima di cominciare a leggere questa lettera, intitolata:

Le esperienze e le vicende di Michele durante il compimento della sua missione cosmica (26 ottobre 1924),

sarà bene, anticipando quanto dirà la massima 112, avere sotto gli occhi questo schema:

 

 

• Dalla Entità divino-spirituale

(alla quale Unger fa corrispondere, come ho già detto, anziché l’”essere”, il “per-essenza”) (1) discendono,

• sia la manifestazione (cui possiamo far anche corrispondere, con Unger, la “causalità”),

• sia l’effetto operante,

• sia l’opera compiuta.

 

Abbiamo visto che quest’ultima è la spoglia dell’Entità divino-spirituale,

e quindi una realtà che, prima di essere morta, è stata viva e animata.

L’Entità che la rendeva un tempo tale si è però trasferita nell’uomo (nell’Io),

e rende ora inconsciamente viva e animata la conoscenza (scientifica) della propria spoglia.

 

Lo riprova il fatto, rivelato da Steiner, che in Galilei, cioè proprio nell’indagatore per antonomasia dell’opera compiuta,

risplendeva il corpo eterico del Cristo (massima 21).

 

Ma cominciamo a leggere.

 

 

Si può seguire dal punto di vista dell’umanità il progredire dell’umanità stessa dal gradino della coscienza,

sul quale l’uomo si sente membro dell’ordinamento divino-spirituale, fino al gradino attuale

sul quale egli si sente un’individualità staccata dal divino-spirituale, in possesso dell’uso autonomo dei pensieri.

Lo abbiamo fatto nella lettera precedente” (p. 80).

 

 

Mi avete sentito dire, altre volte, che un aspetto, diciamo così, “positivo” della psicoanalisi freudiana

(ma anche, benché in forma diversa, di quella junghiana, come dimostra il lavoro di Neumann

che ho già ricordato – lettere 7/9/1924 e 19/10/1924)

è costituito dal fatto che l’individuazione e la distinzione delle fasi (“orale”, “anale”, “genitale”)

attraversate dal processo evolutivo della libido consente di vedere, nelle nevrosi e nelle psicosi,

una “fissazione” o una “regressione” di tale processo a uno dei livelli precedenti quello della normale “genitalità”.

 

So bene, ci mancherebbe, che Freud distingue le fasi di una presunta evoluzione biologica o biochimica dell’energia “psico-sessuale”, mentre Steiner distingue le fasi (indicate nello schema) della reale evoluzione animico-spirituale del mondo e della coscienza umana.

 

Ove provassimo ciò nondimeno a porre (cum grano salis),

• al posto di quella “orale”, la fase dell’anima senziente, che si appropria, percependo, dei contenuti del mondo,

• al posto di quella “anale”, la fase dell’anima razionale-affettiva, che elabora interiormente, giudicando,

i contenuti assunti dall’anima senziente,

• e, al posto di quella “genitale”, la fase dell’anima cosciente, che riporta al mondo, conoscendo,

i frutti di quanto assunto dalla prima ed elaborato dalla seconda,

• disporremmo di un criterio per valutare il grado di maturazione (individuale e collettivo) raggiunto dall’anima.

 

(A chi, ignorando, sia il modo in cui Steiner caratterizza i gradi dell’evoluzione animica nelle prime pagine di Metamorfosi della vita dell’anima [2], sia il fatto che, per “inalare il male ed esalare il bene”, bisogna cominciare con l’”inalare l’errore ed esalare la verità”, dovesse stracciarsi le vesti per un accostamento del genere, mi limito a ricordare due sole affermazioni di Steiner:

a) “Una facoltà umana di cui l’uomo nulla sapesse non verrebbe riconosciuta come sua,

ma attribuita a un ente a lui estraneo” [3], ch’è il concetto psicodinamico di proiezione;

b) “Nel momento stesso in cui l’uomo lo esilia dalla propria coscienza,

lo spirito solleva le sue esigenze nell’inconscio” [4], ch’è il concetto psicodinamico di rimozione.)

 

Dice Steiner che l’uomo,

• durante la prima fase (quella dell’Entità divino-spirituale), si sente “membro dell’ordinamento divino-spirituale”,

• mentre durante l’ultima (quella dell’opera compiuta), si sente “un’individualità staccata dal divino-spirituale,

in possesso dell’uso autonomo dei pensieri”.

 

Ricordiamoci che il processo creativo è l’inverso di quello conoscitivo.

• Gli Dèi infatti creano, per così dire, “dall’alto in basso” (dall’Entità all’opera compiuta),

• mentre gli uomini conoscono “dal basso in alto” (dall’opera compiuta all’Entità).

 

Abbiamo visto (nella lettera precedente) che

• l’uomo è stato dapprima in contatto diretto con le entità divino-spirituali,

• poi di fronte alla loro manifestazione animica,

• e poi ancora di fronte alla loro manifestazione mitica o immaginativa.

 

L’uomo è quindi passato da un contatto diretto con tali entità a un rapporto indiretto, in quanto mediato,

• in una prima fase, dall’elemento qualitativo (astrale),

• e, in una seconda fase, da quello vivente (eterico);

questi, benché mediati, erano dunque dei rapporti animati e vivi con le entità divino spirituali.

 

Abbiamo anche visto, però, che l’uomo è passato infine

• dalla manifestazione mitica o immaginativa di tali entità,

• alla loro rappresentazione sensibile,

• e quindi a uno stato di totale oblio della loro realtà sovrasensibile.

 

A questo livello, infatti, il rapporto dell’uomo con le entità divino-spirituali diviene a tal punto indiretto e inconscio

da ingenerargli “il sentimento di essere l’artefice delle idee, e che soltanto le percezioni gli giungono dal di fuori”.

 

Nella loro ultima e più bassa manifestazione, tali entità, in quanto riflesse dal cervello fisico,

non vengono più dunque riconosciute come tali.

Il loro riflesso corticale non ha infatti vita, né anima, né spirito: è solo un’ombra o, per essere più precisi, un non-essere.

 

Un non-essere al quale dobbiamo però la nostra libertà (“da”).

• Nella medesima misura in cui il pensiero perde forza,

acquista infatti forza, come abbiamo visto, la nostra volontà personale (il fiat voluntas mea).

 

 

Mediante la veggenza soprasensibile, si può però anche tracciare un quadro di ciò che Michele e i suoi sperimentano

durante questa corrente di evoluzione, si può cioè descrivere il medesimo ordine di fatti dal punto di vista di Michele.

Questo vogliamo tentare ora” (p. 80).

 

 

Il punto di vista dell’umanità è quello del pensiero e della coscienza: ossia quello riassunto nella massima 103;

il punto di vista di Michele è invece quello indicato nello schema.

 

Ove volessimo illustrare le corrispondenze tra l’uno e l’altro, dovremmo allora porre,

• accanto alla Entità divino-spirituale, l’intuizione (incosciente),

• accanto alla manifestazione, l’ispirazione (subcosciente),

• accanto all’effetto operante, l’immaginazione (precosciente),

• e accanto all’opera compiuta, la rappresentazione (cosciente).

 

Ci si confermerebbe, così, che la coscienza rappresentativa o intellettuale

(che ci permette di conoscere quanto, divenuto nel tempo, giace ormai nello spazio)

si accende (naturalmente) solo sul piano dell’opera compiuta:

sullo stesso piano, cioè, sul quale si accende l’autocoscienza e nasce la libertà (“da”).

 

Siamo dunque dei “neonati” e, come tali, dobbiamo affrontare una vita e dei compiti.

E qual è il primo? Lo abbiamo detto:

• quello di ripercorrere a ritroso, seguendo Michele, tutto il tragitto della creazione,

portando così alla coscienza quanto di norma sperimentiamo a diversi gradi d’incoscienza.

 

Rileggiamo la massima 106:

“Michele riascende le vie che l’umanità ha discese sui gradini dell’evoluzione dello spirito fino all’esplicazione dell’intelligenza. Solo che Michele guiderà la volontà a riascendere le vie che la saggezza ha discese fino al suo ultimo gradino, l’intelligenza”.

 

 

Innanzi tutto vi è l’epoca più antica in cui veramente si può parlare soltanto di ciò che si svolge fra entità divino-spirituali.

Si ha a che fare con continue azioni fra gli dèi.  Entità spirituali compiono ciò che viene loro suggerito

dagli impulsi della loro essenza; esse sono corrispondentemente soddisfatte in tale attività.

Quello che importa è soltanto ciò che esse sperimentano in tali vicende. Soltanto in un angolo,

nel campo delle azioni divine, si può rilevare qualcosa che è l’umanità. Essa è una parte nell’agire divino” (p. 80).

 

 

Riguardo a questo, non posso far altro che rimandarvi a quanto illustrato da Steiner nel capitolo de La scienza occulta dedicato a L’evoluzione del mondo e dell’uomo (5) e al ciclo di conferenze intitolato: L’evoluzione secondo verità (6).

(Chi studia i “cicli di conferenze – scrive Steiner -, ricordando dai titoli il contenuto dei singoli cicli, e poi si accosta alle Massime, si accorgerà di trovare in diversi punti di tali cicli di conferenze ciò che sviluppa ulteriormente le Massime. Rileggendo e ricollegando ciò che i singoli cicli di conferenze contengono separatamente, si potranno trovare i punti di vista partendo dai quali si potrà parlare intorno alle Massime” [7].)

 

 

Però l’entità spirituale, che fin dal principio ha rivolto il suo sguardo all’umanità, è Michele.

In certo modo egli organizza le azioni degli dèi in modo che in un angolo cosmico possa sussistere l’umanità.

E il genere di attività che egli compie a questo scopo è affine all’attività che più tardi si manifesta nell’uomo come intelletto;

quell’attività si manifesta però come forza che fluisce attraverso il cosmo in idee ordinatrici che producono realtà.

In quella forza agisce Michele. È suo ufficio amministrare l’intelligenza cosmica.

Egli vorrebbe un ulteriore progresso nel suo campo. Tale progresso può consistere soltanto nel fatto

che l’intelligenza, attiva in tutto il cosmo, si concentri più tardi nell’individualità umana. Ne deriva di conseguenza

che nell’evoluzione del mondo giunge un’epoca in cui il cosmo non vive più della sua intelligenza presente,

ma della sua intelligenza passata; e l’intelligenza presente è nella corrente dell’evoluzione umana” (pp. 80-81).

 

 

Dell’intelligenza cosmica presentemente attiva nella corrente dell’evoluzione umana abbiamo finora fatto nostra soltanto la parte che riguarda il mondo inorganico, tanto che, nell’ambito di questa, siamo diventati perfino creativi. Che cosa sono infatti i prodotti della tecnica, se non appunto il risultato di una creatività esercitata nella sfera della morte?

(Pensando alle armi, in specie agli ordigni nucleari, dovremmo tuttavia dar ragione a Berdjaev, quando scrive: “L’uomo è creatore non solo in nome di Dio, ma anche in nome del diavolo” [8].)

Ciò significa che gli Dèi hanno passato all’uomo la gestione della morte, continuando ad amministrare la vita, l’anima e lo spirito. Sarebbe però nostro compito appropriarci anche di questi superiori livelli, per poter così ri-creare la vita, l’anima e lo spirito (“In futuro […] la natura umana, accogliendo il principio del Cristo, sarà sempre più approfondita e accoglierà sempre più luce e amore entro il suo stesso essere, tanto che dovrà percepire la luce e l’amore come qualcosa che le è proprio”) (9).

 

E’ ufficio di Michele, dice Steiner, • “amministrare l’intelligenza cosmica. Egli vorrebbe un ulteriore progresso nel suo campo. Tale progresso può consistere soltanto nel fatto che l’intelligenza, attiva in tutto il cosmo, si concentri più tardi nell’individualità umana”: è suo ufficio, dunque, concentrare nell’individualità umana, non solo l’intelligenza della morte, ma anche quelle della vita (la sua), dell’anima (della Vergine) e dello spirito (dello Spirito Santo e, per Sua intercessione, del Figlio e del Padre).

(L’antica “sapienza dovette realmente tramontare in tutti i suoi diversi aspetti, perché l’uomo fosse in certo modo costretto a ricominciare da capo, ma tendendo verso la libertà, sia nel sapere, sia nell’azione” [10].)

 

Ma veniamo all’effetto operante. Ovunque ci sia vita c’è questo effetto; ma effetto di quale causa?

Non so se sapete che, in specie nella seconda metà dell’ottocento, vi fu un acceso dibattito tra quanti sostenevano che la natura fosse “creatrice” e quanti invece sostenevano che fosse ormai “conservatrice”, e andasse perciò avanti per sola “forza d’inerzia”.

Ebbene, quello che Steiner chiama effetto operante è per l’appunto questa “forza d’inerzia”: ossia

una forza (di vita) che, avendo avuto la sua origine (la sua causa) nel passato, è un creato, e non un creante.

 

(Scrive Rüdiger Safranski: • “L’età moderna sviluppa il concetto d’una natura che conserva se stessa, che non ha più bisogno di un Dio. Durante un periodo di transizione ci si era ancora attenuti al principio della creazione, ma sotto forma dell’ipotesi dell’orologiaio. Dio ha costruito l’orologio, l’ha dotato di un meccanismo, e quello ora va: come un perpetuum mobile appunto, per dirla con Novalis” [11].)

 

Fatto si è che il creante (il Creatore), nel momento stesso in cui il “Verbo si è fatto carne”

(“Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui, neppure una delle cose create è stata fatta” – Gv 1,3),

si è trasferito nell’uomo, così che, da allora in poi, fosse l’uomo (non più la natura, ma la storia)

a portare avanti l’evoluzione

(“La creazione – scrive Paolo – attende con gran desiderio la glorificazione dei figli di Dio” Rm 8,19).

 

 

Michele vorrebbe mantenere continuamente in contatto con gli esseri divino-spirituali l’intelligenza

che va così sviluppandosi in seno all’umanità. Ma a questo si oppone una resistenza.

L’evoluzione che gli dèi compiono, seguendo la linea del distacco dell’intellettualità dalla loro attività cosmica

fino al suo innesto nella natura umana, è un fatto svolgentesi apertamente nel mondo.

E se vi sono esseri dotati di una facoltà percettiva che consenta loro di vedere questi fatti,

essi possono servirsene a loro vantaggio. Simili esseri esistono realmente; sono le entità arimaniche.

Esse hanno la disposizione ad assorbire in sé tutta l’intelligenza che si distacca dagli dèi.

Hanno la disposizione a riunire nel proprio essere la somma di tutta l’intellettualità.

Diventano così le massime, le più vaste e penetranti intelligenze del cosmo” (p. 81).

 

 

Ascoltate queste parole di Berdjaev:

• “Non è l’uomo che esige da Dio la sua libertà, ma è Dio che esige che l’uomo sia libero,

perché in questa libertà vede il segno della dignità dell’uomo, creato a sua immagine” (12).

 

• Si può però “esigere” la libertà solo dopo che la si sia creata (checché ne pensi Berdjaev, che la giudica, anteponendola all’essere, “increata” e “radicata nel nulla iniziale”), e non la si può creare senza che il male ne approfitti.

(“Per nulla al mondo – scrive – voglio essere liberato da Dio; io voglio essere libero in Dio e per Dio” [13]. Gli sfugge, dunque, che solo chi sia stato prima “liberato da Dio” – dal Padre – può poi “essere libero in Dio” – nel Figlio – e “per Dio” – nello Spirito Santo. E’ questo uno dei motivi che hanno determinato, in Berdjaev, la totale incomprensione dell’antroposofia, come dimostra, in modo perfino imbarazzante, ciò che scrive nell’ottavo capitolo della Filosofia dello spirito libero. Le radici di tale incomprensione affondano nell’ingenuità della sua posizione gnoseologica, come testimoniato ad esempio da questo passo: la passività “può appartenere allo spirito solo nella percezione e nella ricezione di oggetti appartenenti al mondo empirico esteriore, poiché per concepire e riconoscere tali oggetti non è necessaria la libera attività dello spirito” [14]. In ogni caso, a chi volesse farsi un’idea di ciò che ha significato, per il mondo spirituale, la creazione della libertà umana, consiglierei un attento ascolto de L’anello del Nibelungo di Richard Wagner.)

 

Sappiamo che mèta dell’evoluzione terrestre è l’amore, ma sappiamo pure che non può darsi amore se non si dà libertà, e che non può darsi libertà se non si è pronti, come abbiamo appena detto, ad affrontare il male (per crucem ad lucem).

A differenza dei minerali, delle piante e degli animali che esistono come sono e sono come esistono (massima 4), noi siamo sempre inquieti e insoddisfatti (guarire, diceva Freud, significa trasformare una sofferenza acuta in quella insoddisfazione cronica che appare propria del genere umano); questo stato, però, non è che il sintomo o il segno di un compito che non può e non deve più rimanere incosciente.

E’ di questo che approfitta infatti Arimane: “Qui c’è un essere – possiamo immaginare che si dica – che non solo non è più protetto e governato dagli Dèi, ma che dispone pure di una intelligenza simile, ma inferiore, alla mia, e della quale posso perciò servirmi per cercare di piegarlo ai miei fini”.

 

Ecco come si può arrivare a pensare, oggigiorno, che l’uomo “più ha cervello, più è intelligente”, e che “più è intelligente, più è uomo” (diceva Fichte: “E’ più facile indurre un individuo a credersi un pezzo di lava della luna che un vivo Io”).

Teniamo infine presente che Arimane si presenterà (tra non molto) non come un diavolo con le corna e il forcone, bensì come un benefattore che darà agli uomini tutto ciò che desiderano, togliendo loro però la libertà.

E’ quanto hanno intuito e profetizzato Dostoevskij, ne Il grande inquisitore (15), e Solov’ev, nel Breve racconto dell’anticristo (16).

 

 

Michele prevede che l’uomo, procedendo sempre più verso l’uso autonomo dell’intelligenza,

debba incontrarsi con gli esseri arimanici, e che egli possa in seguito diventare loro preda, legandosi con loro.

Perciò Michele mette sotto i piedi le potenze arimaniche, e continuamente le incalza,

respingendole in una sfera sottostante a quella dove l’uomo si evolve.

Michele con il drago sotto i piedi mentre lo spinge nell’abisso: questa

è la poderosa immagine, vivente nella coscienza umana, dei fatti soprasensibili qui descritti” (pp. 81-82).

 

 

Sapete che cosa mi disse una volta Scaligero? Che Michele non lo si può pregare. E perché? Perché il “pregante” si aspetta qualcosa dal “pregato” (che so, una grazia), mentre Michele si aspetta qualcosa da noi: si aspetta, cioè, che per nostra libera iniziativa gli si vada incontro e lo si emuli.

Dice Steiner: • “Michele con il drago sotto i piedi mentre lo spinge nell’abisso: questa è la poderosa immagine, vivente nella coscienza umana, dei fatti soprasensibili qui descritti”.

Anche noi dovremmo pertanto imparare a metterci sotto i piedi e a spingere nell’abisso la menzogna.

 

Scrive Jean-Francois Reveĺ: • “La prima di tutte le forze che governano il mondo è la menzogna” (17);

e Berdjaev ribadisce: • “L’amore per la verità è la virtù fondamentale e il mondo ha bisogno soprattutto di questo.

Il mondo si è talmente incancrenito nella menzogna da aver perso il criterio di verità” (18).

 

A tal fine, dovremmo alimentare, tenacemente, tale “poderosa immagine” di Michele con il pensiero e la coscienza,

e il pensiero e la coscienza con tale “poderosa immagine”.

 

 

L’evoluzione progredisce. L’intellettualità, che inizialmente era del tutto nel dominio della spiritualità divina,

se ne separa al punto da diventare l’animazione del cosmo.

Ciò che prima irradiava soltanto dagli dèi, ora risplende come manifestazione del divino dal mondo stellare.

Prima il mondo era governato dalla stessa   e n t i t à   d i v i n a,  ora viene governato

dalla  m a n i f e s t a z i o n e   d i v i n a   divenuta oggettiva,

dietro alla quale l’entità divina percorre il periodo successivo della sua propria evoluzione.

Di nuovo qui Michele è l’amministratore dell’intelligenza cosmica in quanto essa fluisce in idee ordinatrici,

attraverso le manifestazioni del cosmo” (p. 82).

 

 

Chi conosce la Scienza della logica di Hegel (19) non dovrebbe tardare a riconoscere, nella sua distinzione tra la “dottrina dell’essere” e la “dottrina dell’essenza” (operata, in altro senso, anche da Solov’ev) l’astratto riflesso speculativo di quella tra l’Entità divino-spirituale e la manifestazione divina di cui parla Steiner.

 

Sarà bene che vi legga, al riguardo, alcune affermazioni tratte da una conferenza tenuta da Steiner a Dornach, il 27 agosto 1920: • “Invero, si sarebbe portati a dire che quanto si sperimenta nella Logica di Hegel si lasci caratterizzare giustamente soltanto mediante la Scienza dello Spirito”; “Questa logica hegeliana è stata strappata, rapita alle potenze arimaniche e data all’umanità; è ciò di cui l’umanità ha bisogno, senza la quale non potrebbe progredire”; “Ogni scienza di carattere spirituale dovrebbe divenire rachitica, se non potesse venir compenetrata da quell’osseo sistema di idee strappato, grazie ad Hegel, all’ossificante Arimane. Si ha bisogno di questo sistema. Ci si deve in un certo senso rafforzare mediante esso. Si ha bisogno di questa fredda facoltà di riflessione, se non si vuole deviare, nell’anelare allo spirito, verso una mistica calda, ma nebulosa” [20].

 

Domanda: Non mi sembra, però, che siano in molti a cimentarsi con la Logica di Hegel.

Risposta: E’ vero, se ne era accorto già Steiner. Senti che cosa dice qui: “In Fichte, Schelling e Hegel la rivelazione orientale di un Krishna ci viene incontro rinnovata in forma astratta, concettuale, e non è poi tanto facile il rilevare la somiglianza; occorre una ben determinata disposizione dell’anima. Vorrei esprimere una volta con chiarezza di che cosa si tratta. Se oggi una persona di cultura anche superiore alla media si mette a leggere un’opera filosofica di Fichte o di Hegel, all’inizio crederà di leggervi semplicemente uno sviluppo di concetti. I più saranno poi concordi nell’affermare che non si riesce a commuoversi poi tanto, leggendo le prime pagine della Enciclopedia delle scienze filosofiche di Hegel, dove si parla prima dell’”essere” poi del “non essere”, del “divenire”, della “esistenza” e così via. Verrà fatto di dire: ecco che qui un tale ha abborracciato un mucchio di astrazioni; sarà anche pregevolissimo, ma non offre proprio niente al mio cuore, alla mia anima, non emana alcun calore. Ho conosciuto molte persone che hanno messo subito da parte proprio quell’opera di Hegel, dopo averne letto due o tre pagine. Però una cosa non si è disposti ad ammettere facilmente: che potrebbe essere colpa nostra, se quei pensieri ci lasciano freddi, se non suscitano in noi conflitti di portata vitale, capaci di sollevarci dagli abissi al cielo. Non si ammette volentieri che potrebbe dipendere da noi! Esiste infatti la possibilità di partecipare appassionatamente a quello che la gente chiama le “astrazioni” di quei tre filosofi, di sentirvi non soltanto del calore, ma addirittura l’intero trapasso dal massimo gelo al calore vitale più ardente. Si può arrivare a sentire che quelle pagine non sono scritte solo con pensieri astratti, ma direttamente col sangue” (21).

 

Ma torniamo a noi.

 

Che cos’è un’essenza?

• E’ una manifestazione determinata dell’essere o una manifestazione animata dall’essere;

• non quindi l’essere, ma una manifestazione nella quale è l’essere.

 

Dice però Steiner che • “prima il mondo era governato dalla stessa entità divina,

ora viene governato dalla manifestazione divina divenuta oggettiva,

dietro alla quale l’entità divina percorre il periodo successivo della sua propria evoluzione”.

 

Ciò significa che l’Entità divino-spirituale (l’essere), nel corso di questa seconda fase,

depone od oggettiva la manifestazione divina (l’essenza),

distaccandosene e percorrendo “dietro” di essa “il periodo successivo della sua propria evoluzione”.

 

Ciò dovrebbe corrispondere – azzardo – al distacco del Sole dalla “Luna-Terra”, così come “il periodo successivo della sua propria evoluzione” dovrebbe culminare, dopo l’espulsione della Luna, con l’incarnazione del Logos sulla Terra.

 

Tenete comunque presenti, più in generale, queste parole di Steiner:

 

“Nella terza gerarchia [alla quale dobbiamo la nostra organizzazione aeriforme o animica]

abbiamo la manifestazione (o rivelazione) e la pienezza di spirito;

• nella seconda gerarchia [alla quale dobbiamo la nostra organizzazione liquida o vitale]

la capacità di autocreazione e la stimolazione di vita.

• Nella prima gerarchia che consiste dei Troni, dei Cherubini e dei Serafini

[alla quale dobbiamo la forma della nostra organizzazione solida o fisica],

riscontriamo un’attività creatrice tale che il creato viene separato: invece di un’autocreazione,

si ha la creazione del mondo. Ciò che nasce dalle entità della prima gerarchia diventa un mondo a sé stante, 

tale da mostrare fenomeni, fatti, anche quando quelle entità non sono più presenti” [22].

 

Pensate, per fare un esempio banale, alla differenza che c’è tra, che so, la Callas che canta ”Casta Diva” (dalla Norma, di Bellini) e la registrazione discografica della sua esecuzione. Nel primo caso, il soggetto è nel canto (nella sua manifestazione); nel secondo, invece, ne è fuori, e sta magari cantando, chissà dove, altre arie.

 

Siamo ancora, comunque, al di sopra della soglia

• che divide le realtà dell’essere (dell’Io) e dell’essenza (dell’astrale o, come dice qui Steiner, delle “idee ordinatrici”)

• dalle realtà del tempo (dell’eterico) e dello spazio (del fisico): ossia da quelle (esistenziali)

in cui le essenze, le idee o i logoi (in sé) prima di-vengono fuori di sé (ex se, in veste di tempo)

e poi giacciono fuori di sé (ex se, in veste di spazio).

 

So che queste considerazioni possono sembrare a prima vista astratte;

eppure è solo chiarendoci concettualmente la differenza

• tra l’essere (l’Entità divino-spirituale) e l’essenza (la manifestazione divina)

che ci sarà possibile capire cosa succede poi,

• vuoi quando il primo si distacca dalla seconda, fissandola (le stelle “fisse”),

• vuoi quando dalla manifestazione così fissata si scende, attraversando la soglia, all’effetto operante

(quando cioè si avrà, come dirà Steiner tra breve, “un’ulteriore distacco dell’intelligenza cosmica dalla sua origine”).

 

Riguardo al carattere dell’effetto operante, potremmo riprendere l’esempio della registrazione (già comunque fissa) e immaginare che a un certo punto della riproduzione il disco s’incanti, prendendo a girare e rigirare sempre daccapo.

Se questo esempio non dovesse soddisfarvi, pensate allora a ciò che intendiamo dire quando affermiamo che un certo comportamento è diventato abitudinario, ripetitivo o di routine: non intendiamo forse dire ch’è diventato vuoto o privo di anima, e perciò appunto un “effetto operante”?

Si ha l’effetto operante, dirà infatti (come vedremo) Steiner, • “quando l’entità si ritrae dalla manifestazione”

e di conseguenza questa cade e si fissa – possiamo aggiungere – al di sotto della soglia, nel tempo.

 

 

La terza fase dell’evoluzione è un’ulteriore distacco dell’intelligenza cosmica dalla sua origine.

Nei mondi stellari, come manifestazione divina, non dominano più le idee ordinatrici presenti;

le stelle percorrono le loro vie, ordinandosi secondo le idee che sono state loro infuse nel passato,

Michele vede come sempre più ciò che egli ha amministrato nel cosmo, l’intellettualità cosmica,

prenda la sua via verso l’umanità terrestre” (p. 82).

 

 

Provate a immaginare un mondo in cui le stelle o le costellazioni se ne andassero liberamente in giro per l’universo, in cui il Sole sorgesse e tramontasse quando gli pare o in cui le stagioni si avvicendassero a capriccio.

Ne potremmo fare scienza (così come l’abbiamo fatta finora)? No, di certo. Possiamo farla, infatti, solo perché il mondo si è “fermato” o “congelato”, solo perché si è sacrificato per noi.

 

Per questo, abbiamo:

• nello spazio, l’opera compiuta, vale a dire la “terra-ferma” e non il “terre-moto”;

• nel tempo, l’effetto operante, vale a dire quella ripetitività che fa dire alla Bibbia: “Nihil novi sub sole”;

• nelle idee, la manifestazione fissata, vale a dire la regolarità, calcolabilità e prevedibilità delle cause, delle leggi

o, come dice Steiner, delle idee “infuse nel passato”.

 

 

Michele vede però anche aumentare sempre più il pericolo che l’umanità cada in balìa delle potenze arimaniche.

Egli sa: per se stesso potrà sempre avere Arimane sotto i suoi piedi; ma lo potrà anche per l’umanità?

Michele vede svolgersi il massimo evento terrestre.

Dal regno nel quale Michele stesso serve, discende nella sfera terrestre l’entità del Cristo,

per essere presente quando l’intelligenza sarà completamente presso l’individualità umana.

Allora infatti l’uomo sentirà al massimo la spinta ad abbandonarsi alla potenza

che, senza restrizioni e alla perfezione, si è fatta portatrice dell’intellettualità. Ma il Cristo sarà presente;

per il suo grande sacrificio Egli vivrà nella medesima sfera in cui vive anche Arimane.

L’uomo potrà scegliere fra Cristo e Arimane. Nell’evoluzione umana il mondo potrà trovare la via del Cristo” (pp. 82-83).

 

 

Partendo dalla sfera dell’Entità divino-spirituale, l’uomo è arrivato a quella dell’opera compiuta;

ed ecco allora che un Dio (il Logos), partendo dalla medesima sfera e sacrificandosi, lo raggiunge nel regno della morte

(“E il Verbo si è fatto carne, e abitò fra noi” – Gv 1,14): cioè nel regno in cui l’uomo avverte “al massimo

la spinta ad abbandonarsi alla potenza che, senza restrizioni e alla perfezione, si è fatta portatrice dell’intellettualità”.

 

Il fatto che il Cristo prenda a vivere “nella medesima sfera in cui vive anche Arimane”

vuol dire dunque che il Cristo prende a vivere nella sfera della ”intellettualità”,

e che l’intelletto, proprio in grazia di questo, potrà “scegliere fra Cristo e Arimane”.

 

Lasciate, a questo proposito, che vi rilegga (massima 8) questo passo di Steiner:

“La nostra scienza dello spirito evita il falso occultismo perché essa usa una quantità sempre maggiore dell’intelletto di cui gli uomini dispongono, per fondare una scienza per cui è necessaria una quantità d’intelletto più grande di quanto non fosse finora necessario. La nostra scienza dev’essere tale da richiedere più intelletto di quanto si era soliti impiegare finora. Quando si dice che è impossibile comprendere la scienza dello spirito, non è perché si dispone di un intelletto insufficiente, ma perché non si vuole impiegarne abbastanza. Volentieri ci si illude al riguardo. Impiegando tutto l’intelletto di cui si può già disporre oggi, si comprenderebbe senz’altro la scienza dello spirito”.

 

Non è ancora più chiaro, a questo punto, il motivo di queste affermazioni, e il perché sia quindi sbagliato, nell’incapacità di distinguere il sano intelletto dall’insano intellettualismo, arruolarsi, di fatto, nell’esercito dei sognatori, degli attivisti o, come direbbe Hegel, dei “misologi”?

Il Cristo vive dunque “nella medesima sfera in cui vive anche Arimane”, ma non paga, come Arimane, col denaro; col denaro viene anzi venduto: venduto da Giuda per 30 denari (come Giovanna d’Arco viene venduta per 10.000 tornesi).

 

 

Questa è l’esperienza cosmica che Michele fa con ciò che egli ha da amministrare nel cosmo.

Per restare accanto all’oggetto delle sue cure, egli intraprende la via dal cosmo all’umanità.

Sta percorrendo questa via dal secolo ottavo dopo Cristo, ma veramente è giunto al suo ufficio terrestre,

nel quale si è trasformato il suo ufficio cosmico, soltanto nell’ultimo terzo del secolo diciannovesimo.

Michele non può costringere gli uomini perché la costrizione è cessata appunto per il fatto che l’intelligenza

è entrata del tutto nella sfera dell’individualità umana.

Ma Michele, come una maestosa azione-modello nel mondo soprasensibile adiacente al mondo visibile,

può mostrare ciò che egli vuole svolgere. Ivi Michele può mostrarsi con un’aura di luce, con un gesto da essere spirituale

in cui si rivela tutto lo splendore e la magnificenza della passata intelligenza divina.

Ivi egli può rendere manifesto come l’azione dell’intelligenza del passato nel presente sia ancora più vera,

più bella e più virtuosa di tutto ciò che vive nell’immediata intelligenza presente che fluisce da Arimane

in uno splendore ingannevole e seduttore.

Egli può mostrare come per lui Arimane sia sempre il basso spirito sotto i suoi piedi (…)” (p. 83).

 

 

Diciamolo chiaro e tondo: chiunque trovi, che so, una Ferrari o una Maserati “più vera, più bella e più virtuosa” di una margherita o di una coccinella farebbe bene a preoccuparsi.

Ciò non significa, per carità, che i prodotti della tecnica non siano utili, e magari, a modo loro, anche belli. Ma c’è bellezza e bellezza, e quella creata da un designer mai potrà competere con lo splendore e la magnificenza di quella creata dalla “passata intelligenza divina” (“la Tua potenza e magnificenza – così si chiude il Pater Noster formulato da Steiner – agiscano su di noi dall’alto, attraverso i tempi dei tempi”).

(Non sarebbe male, al riguardo, dare un’occhiata alla Teologia della bellezza di Pavel Evdokimov [23].)

 

Un conto comunque è l’utile, altro il bello.

La vera bellezza o, come dice Berdjaev (parlando di Solov’ëv), “l’incanto per la bellezza del cosmo divino” (24)

è lo splendore del vero, non già dell’utile.

 

Non ci è facile capirlo perché è ormai l’utile, per noi, a essere vero.

Fatto sta, però, che il vero è utile per l’uomo, mentre l’utile è vero per Arimane.

 

Riassumiamo:

• ci siamo già impadroniti di una parte del pensiero che governa la realtà, e dovremmo perciò andare avanti.

Dovremmo essere altresì consapevoli che la natura, manifestando una saggezza che appartiene al passato,

deve essere ri-creata, e per ciò stesso redenta

(“Tutta quanta la natura insieme – scrive Paolo – sospira e soffre le doglie del parto” – Rm 8,22).

Così il Cristo redime l’uomo e, attraverso l’uomo, l’intera natura.

 

Dice Steiner che • “Michele,

come una maestosa azione-modello nel mondo soprasensibile adiacente al mondo visibile [in quello eterico],

può mostrare ciò che egli vuole svolgere”.

 

Ebbene, ciò che Michele vuole svolgere ce lo mostra soprattutto La filosofia della libertà.

Il che vuol dire che Michele ha le chiavi del vero spirito antroposofico,

e che non possiamo pertanto prescindere dalla sua mediazione.

 

Dice ancora Steiner che Michele ha “un’aura di luce” (solare).

Anche questo dovremmo imparare a percepirlo. All’inizio non ci sarà possibile, perché una capacità del genere può essere solo frutto di studio, di esercizio e di instancabile dedizione; ma a un certo punto si svilupperà e maturerà, permettendoci così di distinguere, con la stessa immediatezza e sicurezza con la quale gli animali distinguono il cibo che fa per loro da quello ch’è loro nocivo, tra ciò che, per le nostre anime, è sano o insano.

Occupiamoci adesso delle massime.

 

Massime 109/110/111 (26 ottobre 1924)

 

 

109 – “Rendersi ben consci dell’attività di Michele nella connessione spirituale del mondo,

significa sciogliere, fin dove è necessario all’uomo sulla terra, l’enigma della libertà umana,

partendo dai rapporti cosmici.

 

 

Abbiamo seguito, tappa per tappa,

il lungo cammino che ha portato il pensiero dall’essere al non-essere,

liberando così l’essere della volontà individuale, e quindi della libertà,

e abbiamo detto che non si può creare la libertà senza che il male ne approfitti

(“La libertà – dice Berdjaev – genera la tragedia”).

 

E’ importante realizzarlo, perché molti, come sapete, non riescono a darsi ragione del fatto che “Dio abbia creato il male”.

Ma Dio ha creato la libertà, non il male, e questo è solo conseguenza di quella.

 

Steiner lo esemplifica nel modo più semplice. Per costruire una ferrovia – dice – occorrono dei binari; quando i treni li percorrono, i binari si consumano. Ebbene, sarebbe corretto dire che la ferrovia è stata costruita per consumare i binari? No. La ferrovia è stata costruita per far viaggiare i treni; questi poi, viaggiando, consumano inevitabilmente i binari.

Dunque, come il consumo dei binari non è stato il fine di chi ha costruito la ferrovia, così il male non è stato il fine di chi ha creato la libertà; e come sarebbe impossibile – aggiunge Steiner – costruire un triangolo che non abbia tre lati o un quadrato che non ne abbia quattro, così è impossibile creare una libertà che non sia esposta alle tentazioni del male.

 

 

110 – “Invero la “libertà”, come fatto, è data immediatamente a ciascun uomo che intende se stesso

nel periodo attuale dell’evoluzione dell’umanità.

Nessuno, a meno che non voglia negare un fatto evidente, può dire:”La libertà non esiste.”

Ma si può trovare una contraddizione fra ciò che in tal modo è effettivamente dato e i processi del cosmo.

Osservando la missione di Michele nel cosmo, questa contraddizione cade.

 

 

Se il pensiero umano fosse semplicemente passato dal governo di determinate entità (degli Elohim o Spiriti della forma) al governo di altre (delle Archài o Spiriti della personalità), si darebbe in effetti “contraddizione” tra tale governo e la libertà.

Ma non è così. Abbiamo visto infatti che Michele (che, dal grado di Arcangelo, è salito – come rivelato da Steiner – a quello appunto di Arché), non agisce in modo coattivo, bensì si pone come un esempio che l’uomo può decidere di seguire o non seguire. Per questo, Steiner dice: • “Osservando la missione di Michele nel cosmo, questa contraddizione cade”.

 

 

111 – “Nella mia Filosofia della libertà la “libertà” dell’essere umano nell’epoca attuale

si trova dimostrata come contenuto della coscienza;

nelle descrizioni della missione di Michele che sono date qui,

si trova il “divenire di questa libertà” fondato cosmicamente”.

 

 

Penso sappiate che Prokofieff ha scritto un libro, intitolato: Antroposofia e “La filosofia della libertà” (25),

dichiarando di aver voluto gettare così un ponte tra La filosofia della libertà e l’antroposofia

(ossia, tra la prima e la seconda parte dell’insegnamento di Steiner).

Tale ponte, però, è stato già gettato da Steiner con le Massime antroposofiche

e, in particolare, con la seconda parte, dedicata a Il mistero di Michele.

 

Che cos’è infatti La filosofia della libertà? E’ Il mistero di Michele, dal punto di vista umano;

e che cos’è Il mistero di Michele? E’ La filosofia della libertà, dal punto di vista cosmico.

 

Ricordiamo ancora che

• una cosa è la libertà “da” o libertà “negativa”,    • altra la libertà “per” o libertà “positiva”.

• E che cos’è la libertà “da”? E’ la libertà dal mondo divino-spirituale,

e quindi l’imprescindibile presupposto della libertà “per”, che è – come mi avete sentito spesso dire –

gioiosa o beata pienezza dell’essere (dell’Io).

 

La libertà “da”, ad esempio, non sapendo ancora ciò che davvero vuole, può perfino apparire, come affermano taluni esistenzialisti, una “condanna”. Ma può apparire tale solo perché il vuoto da essa lasciato viene colmato dalla natura personale (karmica) che la trasforma, alterandola, in licenza o arbitrio.

Da che cosa dovrebbe essere invece colmata per potersi trasformare in libertà “per”? Lo sappiamo già: dall’amore, quale frutto del rinnovato sposalizio della luce del pensare con il calore del volere.

 

Considerate che una libertà di cui si sia gelosi non è ancora una vera e piena libertà (“Non è bene che l’uomo sia solo” – Gn 2,18), giacché la vera e piena libertà non pensa a sé, ma anzi anela, dimentica di sé, a donarsi o servire.

Si dice, al riguardo, che vanto degli imperatori romani fosse quello di avere al loro servizio degli uomini liberi e non degli schiavi. Non so se questo risponda o meno a verità per quanto riguarda gli imperatori, ma so che risponde in pieno a verità per quanto riguarda il mondo spirituale.

Non si può infatti servire lo spirito se non si è liberi (scrive Berdjaev: “La Verità deve essere accettata liberamente, non per forza: la Verità non sopporta che si intrattengano con essa rapporti da schiavi”) (26).

 

Note:

  1. C.Unger: Il linguaggio dell’anima cosciente – Antroposofica, Milano 1970, p. 240;
  2. R.Steiner: Metamorfosi della vita dell’anima – Tilopa, Roma 1984, pp. 13-14;
  3. R.Steiner: Linee fondamentali di una gnoseologia della concezione goethiana del mondo in Saggi filosofici – Antroposofica, Milano 1974, pp. 103-104;
  4. R.Steiner: I punti essenziali della questione sociale – Antroposofica, Milano 1999, pp. 271-272;
  5. cfr. R.Steiner: La scienza occulta nelle sue linee generali – Antroposofica, Milano 1969;
  6. cfr. R.Steiner: L’evoluzione secondo verità – Antroposofica, Milano 2004;
  7. R.Steiner: Lettere ai soci. 1924 – Antroposofica, Milano 1989, p. 67;
  8. N.Berdjaev: Il senso della creazione – Jaca Book, Milano 1994, p. 1;
  9. R.Steiner: Il Cristianesimo esoterico e la guida spirituale dell’umanità – Antroposofica, Milano 2010, p. 111;
  10. R.Steiner: Impulsi evolutivi interiori dell’umanità. Goethe e la crisi del secolo diciannovesimo – Antroposofica, Milano 1976, p. 133;
  11. R.Safranski: Il Romanticismo – Longanesi, Milano 2011, p. 117;
  12. N.Berdjaev: L’idea russa – Mursia, Milano 1992, pp. 167-168;
  13. N.Berdjaev: Nuovo Medioevo – Fazi, Roma 2004, p. 94;
  14. N.Berdjaev: Filosofia dello spirito libero – SAN PAOLO, Cinisello Balsamo (Mi) 1997, p. 225;
  15. cfr. F.Dostoevskij: I fratelli Karamàzov – Mondadori, Milano 1994;
  16. cfr. V.Solov’ev: I tre dialoghi – Marietti, Torino 1975;
  17. cfr. J-F.Reveĺ: La conoscenza inutile – Longanesi, Milano 1989;
  18. N.Berdjaev: Pensieri controcorrente – La Casa di Matriona, Milano 2007, p. 22;
  19. cfr. G.W.F.Hegel: Scienza della logica (2 vol.) – Laterza, Roma-Bari 1974;
  20. R.Steiner: L’elemento perenne della logica hegeliana ed il suo capovolgimento nel marxismo in GRAAL – Rivista di Scienza dello Spirito, marzo 1988, anno VI, n° 21, pp. 25, 29 e 32;
  21. R.Steiner: Il Vangelo di Marco – Antroposofica, Milano 1993, pp. 87-88;
  22. R.Steiner: Le entità spirituali nei corpi celesti e nei regni della natura – Antroposofica 1985, pp. 63-64;
  23. cfr. P.Evdokimov: Teologia della bellezza – Jaca Book, Milano 1970;
  24. N.Berdjaev: L’idea russa, p. 179;
  25. cfr. S.Prokofieff: Antroposofia e “La filosofia della libertà” – Widar, Venezia-Marghera 2007;
  26. N.Berdjaev: Nuovo Medioevo, p. 77.