Lo sviluppo infantile delle singole parti costitutive.

O.O. 311 – L’educazione come arte – 18.08.1924


 

Sommario: Lo sviluppo infantile delle singole parti costitutive. L’attività plastica del corpo eterico. L’impulso plastico-pittorico nel bambino. La pubertà. Il corpo astrale afferra l’organizzazione fisica. Significato dell’insegnamento musicale. L’insegnamento della lingua. La grammatica attorno ai 9 anni. Le lingue straniere, senza traduzioni. Nelle lingue vanno sentiti i diversi suoni. Euritmia e ginnastica.

 

Continuando ulteriormente le considerazioni fatte la volta scorsa, esamineremo dell’altro attinente al metodo, con l’avvertenza che con le poche conferenze tenute qui non si può esporre dettagliatamente il metodo pedagogico che ho dato, ma se ne possono vedere solo gli aspetti principali. Ma, se si saranno compresi questi cenni, si potranno studiare e comprendere meglio anche i corsi seminariali da me tenuti per la Scuola Waldorf.

 

Considerando ancora una volta i bambini fra il cambio dei denti e la pubertà, dobbiamo aver ben chiaro che negli anni precedenti il cambio dei denti le caratteristiche ereditarie sono più importanti nel bambino; egli riceve per così dire dal padre e dalla madre un corpo-modello che sarà sostituito nel corso dei primi sette anni da un nuovo corpo. Il cambio dei denti è solo una manifestazione esteriore del cambiamento del corpo al quale lavora l’elemento animico-spirituale. Ho detto che se quest’ultimo è forte, probabilmente il bambino, durante il periodo scolastico fra il cambio dei denti e la pubertà, cambierà molto in confronto alle caratteristiche che aveva prima. Se invece l’individualità è debole, le nuove caratteristiche saranno molto simili a quelle ereditarie. Durante il periodo scolastico nel bambino si potranno rilevare ancora profonde somiglianze con i genitori, e anche con i nonni.

 

Teniamo ben presente che con il cambio dei denti comincia in effetti l’attività indipendente del corpo eterico. Nei primi sette anni di vita il corpo eterico è impegnato con la propria attività indipendente a formare veramente il secondo corpo fìsico di modo che il corpo eterico nei primi sette anni agisce nel bambino come un intimo scultore. La forza formatrice che viene usata dal corpo eterico per il corpo fisico diviene libera, si emancipa a circa sette anni con il cambio dei denti. Può quindi essere impiegata per attività animiche.

 

Per questo il bambino ha l’impulso a creare qualcosa di plastico o di pittorico. Il corpo eterico ha esercitato per sette anni sul corpo fisico attività formatrice, ed ora vuole continuare tale attività, che non può più svolgere sul corpo fisico, verso l’esterno. Se come insegnanti si conoscono bene le forme che esistono nell’organismo umano, e di conseguenza si sa che cosa il bambino formi volentieri col materiale plastico, o quali colori preferisca, gli si potranno dare buoni consigli. Dobbiamo però avere noi stessi una specie di visione artistica dell’organismo umano. È perciò importante che l’insegnante, dato che le scuole di formazione nulla gli hanno offerto al riguardo, cerchi lui stesso di occuparsi di modellaggio. Anche se avrà imparato parecchio sui polmoni o sul fegato, o diciamo anche sul complesso delle vene, vedrà che non ne saprà tanto quanto ne avrà rilevato formandoli almeno una volta con la cera o la plastilina. Improvvisamente allora lo saprà in tutt’altro modo. Per i polmoni dovrà farne una metà diversa dall’altra, dato che non sono simmetrici. Uno ha chiaramente due lobi, mentre l’altro ne ha tre. Prima di saperlo, si sarà dimenticato come sia la parte destra e come la sinistra. Solo quando avrà rilevate in cera o in plastilina quelle forme asimmetriche, a poco a poco avrà il sentimento di non poter scambiare la destra con la sinistra, così come non si può mettere il cuore a destra; avrà anche il sentimento che ogni cosa ha la sua forma speciale nell’organismo. Facendo le forme giuste si avrà il sentimento che non possono essere diverse, che i polmoni si mettono a poco a poco in posizione eretta e che vi giungono grazie al camminare. Disegnando poi la forma dei polmoni di animali, si rileverà dalla loro forma che i polmoni sono orizzontali. Lo stesso vale anche per gli altri organi.

 

Si dovrà così studiare anatomia plasticamente, per far modellare e dipingere al bambino qualcosa che non sia imitazione del corpo umano, ma che abbia solo forma. Si vedrà che il bambino ha già l’impulso a fare forme che richiamano l’interno dell’organismo umano. Si fanno esperienze assolutamente singolari nel corso dell’insegnamento.

 

Dato il metodo pedagogico adottato nella Scuola Waldorf, è naturale aver introdotto l’insegnamento dell’antropologia nelle classi dalla quarta alla settima. I bambini dipingono già sin dalle prime classi e da una certa età in poi arrivano anche alle forme plastiche. Lasciando lavorare i ragazzi semplicemente da soli dopo aver spiegato qualcosa intorno ai polmoni o ad altro organo umano, è molto interessante vedere come incomincino a fare forme molto simili al polmone o a un altro organo. Interessante è vedere come i fanciulli creino forme traendole dalla propria essenza umana. È perciò necessario che l’insegnante abbia dimestichezza col lavoro plastico, che cerchi veramente di imitare le forme degli organi umani con la cera o la plastilina, oppure anche con il fango della strada, come spesso fanno anche i nostri bambini. Se non si ha altro materiale, quello è ottimo.

 

Essere plasticamente e pittoricamente attivo è l’intimo impulso, l’intima aspirazione del corpo eterico. Perciò è facilissimo sfruttare questo impulso e questa aspirazione per ricavare le lettere dell’alfabeto dalle forme dipinte dal bambino o dalle forme plastiche che egli abbia creato; in tal modo si insegna veramente partendo dalla conoscenza dell’essere umano, e ciò deve avvenire in quell’età scolastica.

 

E ora continuiamo. Il bambino non ha solo il corpo fisico e quello eterico che si emancipa e si libera ai sette anni, ma ha anche il corpo astrale e l’io. Che cosa ne è del corpo astrale del fanciullo fra i 7 e i 14 anni? Esso entra in piena attività solo con la pubertà, e solo allora agisce in pieno nell’organismo umano. Mentre fra la nascita e il cambio dei denti il corpo eterico viene in certo qual modo liberato, separato da quello fìsico, ne diventa indipendente, fra i 7 e i 14 anni il corpo astrale entra gradualmente negli altri involucri, li riveste, e quando non è più fluttuante ma fortemente congiunto al corpo fìsico e all’eterico compenetrandoli, il ragazzo arriva alla pubertà.

 

Nei ragazzi si avverte dal cambiamento della voce che il corpo astrale è entrato nella laringe; nelle ragazze dalla formazione di altri organi come il seno e così via. Il corpo astrale entra lentamente da tutte le parti nel corpo umano. Entra dall’esterno verso l’interno seguendo le linee e le direzioni dei fasci nervosi. Comincia dall’esterno, dalla pelle, a contrarsi e a riempire tutto il corpo. Prima è una nube staccata nella quale vive il bambino, poi si interiorizza, afferra intimamente tutti gli organi; parlando all’ingrosso si lega chimicamente con tutto l’organismo, con i tessuti fìsici ed eterici.

 

Con ciò peraltro avviene qualcosa di particolare. Il corpo astrale entra dalla periferia verso l’interno del corpo, seguendo i nervi che si riuniscono nella spina dorsale (vedi disegno).

 

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n alto vi è la testa. A poco a poco l’astrale arriva anche attraverso i nervi della testa, striscia lungo i nervi verso gli organi centrali, verso la spina dorsale, verso la testa e arriva così a riempire tutto l’essere.

 

Quel che ora specialmente ci interessa è il modo in cui la respirazione collabora con tutto il sistema nervoso. In effetti la collaborazione fra la respirazione e tutto il sistema nervoso è qualcosa di particolare nell’organismo umano. L’insegnante, l’educatore dovrebbe averne il più sottile sentimento, e se lo avrà potrà insegnare giustamente. Il respiro entra nel corpo, si allarga, corre lungo il canale della colonna vertebrale (vedi disegno precedente), si dilata nel cervello, viene sempre in contatto con i fasci nervosi, discende di nuovo e segue la via attraverso la quale potrà essere eliminato come anidride carbonica. Il sistema nervoso viene così di continuo elaborato dall’aria inspirata che si estende, sale lungo il canale del midollo spinale, si effonde, si compenetra di sostanze carboniche, ritorna indietro e viene espirata. Il respiro che corre lungo il fascio dei nervi viene del tutto inserito nel corpo fisico da parte di quello astrale nel periodo in cui il bambino va a scuola fra il cambio dei denti e la pubertà. Di modo che il corpo astrale in questo periodo, inserendosi a poco a poco con l’aiuto del respiro, per così dire suona sulle corde, i nervi, che sono tesi nel canale del midollo spinale. I nervi sono veramente come una specie di lira, di strumento musicale, che risuona poi nella testa.

 

Quando comincia il cambio dei denti (il fenomeno avviene anche prima, ma allora il corpo astrale è ancora sciolto) il corpo astrale comincia a servirsi col respiro dei singoli fasci di nervi, come delle corde di un violino.

 

Tutto ciò viene facilitato se si insegna al bambino il canto, sentendo che il bambino che canta è uno strumento musicale; insegnando il canto e la musica si deve stare di fronte alla classe con il sentimento preciso che ogni bambino è uno strumento musicale e sente interiormente il piacere del suono.

 

Il suono viene infatti suscitato dalla speciale circolazione del respiro. È musica interiore e perciò, poiché il bambino nei primi sette anni di vita impara tutto per imitazione, bisogna cercare che impari il canto per il piacere interiore che prova nel formare le melodie e i ritmi. Quando siamo davanti alla classe per insegnare il canto dobbiamo avere un’immagine per la quale darò un esempio, anche se un po’ grossolano, che renderà chiaro che cosa intendo. Non so quanti dei presenti, ma probabilmente molti, avranno avuto l’occasione di vedere una mandria di mucche che, dopo aver mangiato, riposa sul prato per la digestione. La digestione di una mandria di mucche è qualcosa di meraviglioso. Nella mucca vi è una specie di immagine di tutto il mondo. Nel sistema digestivo e di alimentazione, mentre digerisce, mentre i cibi entrano nei vasi sanguigni e linfatici, mentre tutto ciò avviene, la mucca ha un piacere tale che in pari tempo è anche conoscenza. Durante la digestione ogni mucca ha un’aura meravigliosa nella quale si rispecchia l’intero mondo. Una mandria di mucche sul prato durante la digestione, mediante la quale comprende tutto il mondo, è quanto di più bello si possa vedere. Per noi uomini tutto ciò è sceso nel subconscio, affinché la testa possa riflettere quel che il corpo elabora conoscendosi.

 

Noi uomini non siamo in effetti in una bella posizione, perché la nostra testa non ci permette di sperimentare le belle cose che ad esempio sperimentano le mucche. Sapremmo molto di più del mondo, se ad esempio potessimo sperimentate il processo della digestione. Dovremmo naturalmente sperimentarlo solo con l’attività conoscitiva e non col sentimento subconscio che vibra in noi durante il processo digestivo. Tutto ciò serve a chiarirci che cosa volevo dire. Non che in pedagogia sia da portare a coscienza il processo digestivo, ma che ci si renda conto che nel bambino vi deve essere a un gradino elevato lo stesso piacere di fronte all’intimo risuonare di un suono. Si pensi se un violino potesse sentire quel che in esso avviene! Noi ascoltiamo il violino, che ci è estraneo come è estranea l’origine del suono del quale udiamo solo l’apparenza sensoria esteriore. Se il violino potesse sentire come ogni corda vibra con le altre, sperimenterebbe la felicità, a patto che il pezzo di musica eseguito fosse buono. Così l’insegnante dovrà far sperimentare al bambino questa piccola felicità, dovrà suscitare in lui il sentimento della musica in tutto l’organismo, e averne lui stesso piacere.

Naturalmente bisogna capire un poco la musica, poiché per l’insegnamento è necessario avere quel senso artistico quale ho sinora descritto.

 

 

È quindi necessario, perché è il reale sviluppo dell’entità umana nel periodo fra il cambio dei denti e la pubertà, impartire ai bambini sin dal principio l’insegnamento della musica abituandoli, in modo del tutto empirico e senza teorie, a cantare canzoncine: solo canzoncine, però ben cantate! A poco a poco si potrà passare alle cose meno facili, in modo che il bambino afferri che cosa è melodia, ritmo, battuta e così via. In principio dunque, nel complesso dell’insegnamento, con semplici e comuni canzoncine si fanno cantare e anche suonare i bambini, per quanto possibile. Se essi non rivelano disposizioni nettamente contrarie, nella Scuola Waldorf cominciamo subito, al loro ingresso nella scuola, a far suonare ai bambini uno strumento, come ho detto a seconda delle possibilità. Occorre al più presto far sentire ai bambini come possa fluire la loro specifica musicalità in un particolare strumento. Il pianoforte, che in definitiva è solo una specie di strumento da ripasso, va adoperato il meno possibile. È invece bene usare possibilmente strumenti a fiato. Bisogna però avere molto tatto artistico e direi anche molta autorità. Imparando a maneggiare uno strumento a fiato, i bambini apprendono a poco a poco la musica e ottengono ottimi risultati, anche se in principio fanno le peggiori esperienze, quando cominciano a soffiare nello strumento. D’altro canto per il bambino è un’esperienza meravigliosa immettere nello strumento l’aria che all’interno del suo corpo è discesa lungo i fasci dei nervi e che altrimenti rimane esterna. Soffiando nello strumento il bambino sente il proprio organismo come ampliato. Vengono indirizzati verso l’esterno processi che altrimenti rimangono all’interno. Lo stesso avviene se il bambino impara a suonare il violino, perché la musica che ne sorge viene trasmessa direttamente, ed egli sente come la musica che è in lui si trasmetta alle corde attraverso l’archetto.

 

È bene cominciare al più presto possibile l’insegnamento della musica e del canto con i bambini, ed è importantissimo che non solo si insegnino tutte le materie in modo artistico, ma che si comincino anche a dare le materie artistiche stesse, la pittura, i lavori plastici e la musica, quando il bambino è alle elementari, affinché si badi che tutto diventi intima proprietà dell’essere umano.

 

La condizione di sviluppo del bambino tra i 9 e i 10 anni è di particolare importanza a proposito dell’insegnamento della lingua. Ho caratterizzato questo periodo, nel quale il bambino veramente impara a distinguersi dal suo ambiente. Quando entra a scuola dobbiamo quindi trattarlo come ho indicato. Prima di tutto non dovrebbe andare a scuola prima che inizi il cambio dei denti. In sostanza tutto l’insegnamento precedente è un assurdo; se vi siamo obbligati dalla legge dobbiamo certo farlo, ma dal punto di vista pedagogico-artistico non è giusto: il bambino dovrebbe andare a scuola solo al cambio dei denti. Come ho appunto detto, occorre insegnargli artisticamente le forme delle lettere dell’alfabeto, presentando ciò che vi è in natura in forma di favola, leggenda e mito. Comunque per l’insegnamento del linguaggio è importante badare bene al periodo tra i 9 e i 10 anni.

 

Prima di questa età l’insegnamento del linguaggio non deve assolutamente contenere considerazioni intellettualistiche sulla lingua: quindi niente grammatica, niente sintassi e così via. Fino ai 9 o 10 anni il bambino deve abituarsi a parlare così come acquisisce ogni altra abitudine. Solo dopo aver appreso a distinguersi dall’ambiente, potrà anche considerare quel che lui stesso produce, per esempio la parola. Solo allora si potrà cominciare a parlare di sostantivo, aggettivo, verbo e così via, non prima. Prima il bambino deve solo parlare e continuare a vivere nella parola.

 

Nella Scuola Waldorf abbiamo occasione di farlo, perché il bambino già nelle prime classi impara altre due lingue straniere, oltre a quella materna.

 

Accogliamo dunque il bambino a scuola. Anzitutto l’insegnamento si svolge a epoche nelle prime ore della mattina (già dissi in che cosa consiste); poi segue subito l’insegnamento di due lingue straniere, cercando di farlo senza evidenziare il rapporto fra le lingue. Prima del periodo tra i 9 e i 10 anni non diciamo come si dice “tavola” o “mangiare” in questa e nell’altra lingua. Non confrontiamo cioè una lingua con l’altra, parola per parola, ma diamo invece il nome straniero agli oggetti che abbiamo intorno. Il bambino impara a dire nella lingua straniera: “il soffitto”, “la tavola”, “la sedia”. A 7, 8 o 9 anni non si dà importanza alcuna alla traduzione, a trasporre una parola da una lingua in un’altra; il bambino impara semplicemente a parlare in un’altra lingua con riferimento diretto agli oggetti che vede. Non ha cioè bisogno di sapere o di pensare che in inglese tavola si dice table, e così per tutto. Questo rapporto neppure esiste per il bambino, dato che durante la lezione non gli viene fatta osservare alcuna relazione fra le diverse lingue.

 

Il bambino ha così la possibilità di imparare ognuna delle lingue dall’elemento dal quale ognuna è sorta, dall’elemento del sentimento. Che cosa è una lingua con i suoi suoni, dato che essa consiste di suoni? O è una manifestazione dell’interiorità animica, e allora abbiamo la vocale, oppure è la manifestazione di ciò che sta fuori di noi, e allora abbiamo la consonante. Tutto ciò va anzitutto sentito. Pensiamo ad esempio che il bambino debba sentire che cosa vi è nella parola “acqua”. Non lo useremo nell’insegnamento, come ora dirò, ma condurremo l’insegnamento stesso in modo che il bambino colleghi le vocali col sentimento e le consonanti con l’imitazione di qualcosa di esterno a lui. Il bambino già lo fa, perché è insito nella natura umana; noi non dobbiamo eliminare tutto ciò, né prescinderne.

 

Che cosa sia una “a” non va insegnato, perché lo si sa già. Che cosa è una “a”? Quando sorge il sole lo guardo meravigliato: “Ah!” La “a” è sempre la manifestazione della meraviglia. Una mosca mi si posa sulla fronte e io faccio “Eh!”: è la manifestazione della difesa, dell’allontanare. In altre lingue i suoni possono essere un poco spostati, ma in ogni lingua la “a” è sempre la manifestazione della meraviglia.

 

Prendiamo ora una parola caratteristica: rotolare; in inglese to roll, in tedesco rollen. Chi non sentirebbe (vedi figura 1) che la con la “1” porto il movimento in avanti, mentre la “r” da sola resterebbe una forma chiusa in sé (figura 2)? La “1” è sempre qualcosa che scorre avanti. In rollen e in to roll con le consonanti viene imitato un processo esteriore (figura 3).

 

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                                         figura 1                               figura 2                                    figura 3

 

La lingua va afferrata sia come sentimenti dell’intima meraviglia, o del difendersi, o dell’affermarsi e così via, sia come senso dell’imitazione mediante le consonanti. Non bisogna impedire che il bambino sperimenti tutto ciò; deve imparare a sentire lo sviluppo dei suoni negli oggetti esterni e nei suoi sentimenti verso gli oggetti. Tutto deve sorgere dal sentimento fonetico della lingua, ed egli deve veramente sentire nel verbo roll ogni singolo suono: r-o-l-l; e così in ogni parola.

 

L’uomo civile di oggi ha perso tutto ciò. Crede che la parola sia qualcosa di grafico e comunque di astratto. Non è assolutamente più capace di vivere nel linguaggio. Le lingue primitive ne hanno ancora il senso vivo, ma le lingue dei popoli civili sono diventate astratte. Guardiamo ad esempio come in inglese la seconda metà della parola venga mangiata, buttata via, e come non si porti attenzione al sentimento dei singoli suoni. Occorre però mantenere il bambino nel senso vivo del linguaggio.

 

Scegliendo parole caratteristiche nelle quali lo si possa rilevare, bisognerebbe curare appunto il senso del linguaggio. In tedesco per indicare il capo c’è la parola Kopf; in inglese la parola head e in italiano la parola testa. Che cosa si fa se ci si comporta astrattamente verso il linguaggio, come di solito avviene? Nelle tre lingue si indica con parole diverse la stessa cosa, ma tutto ciò non avrebbe un senso.

 

Ma che cosa è Kopf? E tutto quanto ha una forma rotonda. Pronunciando Kopf si esprime la forma. Dicendo testa traspare invece la parola “testamento”, l’attestare: si esprime con ciò il fatto che la testa delibera qualcosa. È qualcosa di completamente diverso, se indico il capo come ciò che attesta; da cui la parola testa. In inglese per contro si è dell’opinione che il capo sia la cosa più importante dell’uomo (sappiamo però che non è del tutto esatto). In inglese quindi si dice head, intendendo ciò che è più importante, ciò cui tutto mira, dove tutto confluisce.

 

Nelle diverse lingue si esprime dunque qualcosa di diverso. Se volessero indicare la stessa cosa, sia l’inglese che l’italiano direbbero Kopf come il tedesco, ma invece non indicano la stessa cosa. Nel linguaggio umano originario ogni cosa era indicata allo stesso modo, e perciò in origine il linguaggio era uguale per tutti. Poi gli uomini si sono divisi; hanno indicato le cose diversamente, e sono sorte le differenti parole. Se si indicano cose diverse come “uguali”, non si sentirà più il loro contenuto. Invece è importantissimo non dimenticare il senso della lingua: deve restarvi. Anche per questo non bisogna esporre problemi linguistici prima dei 9 o 10 anni.

 

Perciò non bisogna spiegare che cosa siano sostantivo, verbo e aggettivo prima dei 9 o 10 anni; si farebbe notare al bambino qualcosa che vive in lui, ma che non può ancora capire, perché non sa ancora distinguersi bene dal suo ambiente. Importantissimo è tener sempre presente: niente grammatica e nessun confronto fra le lingue prima dei 9 o 10 anni! In tal modo il bambino avrà per le lingue qualcosa di simile a ciò che ha per il canto.

 

Ho cercato di rendere evidente il piacere del canto mostrando il piacere che sorge dagli organi di digestione delle mucche che riposano sul prato durante quel processo. Un piacere simile per la cosa in sé deve esistere nei bambini quando sentono il contenuto di una parola, quando ad esempio sperimentano interiormente la parola “ruotare”. Il linguaggio deve essere vissuto interiormente e non solo pensato con la testa. Oggi lo si sperimenta con la testa, e volendo sapere come si traduca qualcosa da una lingua in un’altra si prende il dizionario. Le parole vi sono elencate, e si trova “testa” o Kopf e ci si forma l’idea che siano la stessa cosa. Non sono però uguali. Si intende sempre quel qualcosa di diverso che può essere afferrato solo con il sentimento. Tutto ciò va tenuto ben presente insegnando le lingue. Vi si aggiunge anche un altro elemento spirituale. Quando si è morti, o prima di discendere sulla terra, non si ha ad esempio alcuna possibilità di comprendere i sostantivi; il cosiddetto morto nulla sa di sostantivi e neppure sa come si chiamino le cose. Sa invece ancora qualcosa di aggettivi; si ha quindi ancora la possibilità di intendersi in qualche modo con i morti per mezzo degli aggettivi. Anche questo cessa però presto, mentre più a lungo ci si può comprendere usando i verbi, attivi o passivi, e ancora più a lungo con le espressioni di sentimento: Oh! Ah! Ih! Eh! Il morto comprende queste interiezioni per più tempo che non tutto il resto.

 

Da ciò si può vedere come l’anima umana, che non voglia essere del tutto lontana dallo spirito, possa essere indirizzata a sentire vita nelle interiezioni. Tali in verità sono tutte le vocali. Invece le consonanti, che o vanno perdute presto dopo la morte o non esistono per l’essere prima della sua discesa sulla terra, sono imitazioni del mondo esterno. Questo dobbiamo sperimentare davvero nel sentimento, scoprirlo nel bambino e non allontanarlo con un prematuro insegnamento di sostantivi, aggettivi o altro di grammaticale, che va invece cominciato solo fra i 9 e i 10 anni.

 

Già all’inizio delle scuole elementari nella Scuola Waldorf abbiamo introdotto l’euritmia, il linguaggio visibile nel quale ci si manifesta con movimenti, fatti singolarmente o in gruppo, come di solito ci si manifesta con la parola. Se quindi il bambino non viene rovinato nell’insegnamento del linguaggio da un insegnante che ne trascuri il senso, se quindi il bambino riesce a conservarlo, capita veramente che egli senta il passaggio all’eu- ritmia altrettanto naturale quanto l’apprendimento della lingua parlata dal bambino piccolo. Non si ha alcuna difficoltà a insegnare l’euritmia ai bambini; essi la vogliono, se sono sviluppati in modo sano. È anzi possibile controllare se abbiano qualcosa di patologico i bambini che non vogliono avvicinarsi all’euritmia. Vogliono naturalmente fare euritmia, cosi come vogliono parlare da piccoli, se sono sani gli organi relativi. Ciò avviene perché il bambino sente fortissimo l’impulso a manifestare in forma di volontà ciò che sperimenta interiormente. La stessa cosa avviene quando il bambino ride e piange per manifestare i suoi sentimenti.

 

Volendo dire di un cane o di altri animali che essi ridono, si dovrebbe parlare in metafore o paragoni; non ridono o non piangono infatti come gli uomini. Negli animali i movimenti che manifestano nella volontà le esperienze interiori sono tutt’altri che nell’uomo.

 

Noi parliamo secondo certe leggi, e in base ad altre leggi manifestiamo qualcosa in euritmia. Il parlare non è arbitrario; ad esempio non si potrebbe dire in inglese wetar invece di water, mettendo una e al posto di una a, e così via. Si parla secondo leggi e si fa euritmia secondo leggi. Nei gesti consueti del corpo si è in un certo senso ancora liberi, per quanto anche in questo campo si faccia parecchio per istinto. Per riflettere si chiude la fronte fra le dita, per negare qualcosa si scuote la testa o la mano. Portare nell’immagine, secondo movimenti regolati, esperienze intime ed esteriori: questo fa appunto l’euritmia, come il linguaggio porta le esperienze interiori nelle vocali e nelle consonanti. Il bambino vuole imparare l’euritmia. Che l’educazione odierna sia impartita senza l’insegnamento dell’euritmia dimostra che non si pensa di estrarre le facoltà umane dalla natura e dall’essere umano, perché altrimenti si giungerebbe naturalmente all’euritmia.

 

Con ciò non va precluso l’insegnamento della ginnastica e degli esercizi corporei, perché si tratta di altro, e l’insegnante, l’educatore deve ben vedere la differenza. La ginnastica e tutti gli altri sport sono cose diverse dall’euritmia e possono esistere gli uni accanto all’altra. Il concetto di spazio viene infatti spesso inteso in modo del tutto astratto, non badando invece al fatto che lo spazio è qualcosa di molto concreto. Oggi gli uomini sono abituati a pensare la terra rotonda e si immaginano che chi vive da questa parte vada verso l’alto quando salta e che chi vive agli antipodi, avendo le gambe in alto e la testa in basso, salti verso il basso. Così si pensa, ma non è nulla di sperimentabile. Tempo fa lessi un libro: Considerazioni sulla filosofia naturale, nel quale l’autore ironicamente metteva in dubbio che il cielo stesse in alto, dicendo: “Ma allora agli antipodi il cielo sta in basso!” Le cose non sono però così semplici. Non giudichiamo del mondo e dello spazio escludendocene e considerando lo spazio come cosa astratta. Fanno così alcuni filosofi: Hume, Mill e Kant, ma non è nulla di vero, è un controsenso. Lo spazio è ben concreto e sperimentabile; l’uomo vi si sente inserito ed ha la necessità di sistemarvisi. Quando si mette in equilibrio nelle diverse posizioni spaziali, sorgono gli sport e la ginnastica. Noi vogliamo sistemarci nello spazio.

 

Chi fa l’esercizio ginnico di allungare le braccia ha per esempio il senso di mettere le sue due braccia in direzione orizzontale. Chi salta ha il senso di muovere il corpo verso l’alto, usando la propria forza. Così è la ginnastica, così sono gli esercizi ginnici.

 

Chi ha il senso di sperimentare qualcosa di intimo nella “i” può darsi che ne faccia anche il movimento, mettendovi l’esperienza animica, manifestando così la sua interiorità, come avviene nell’euritmia. L’euritmia è dunque la manifestazione dell’interiorità. Vi si manifestano le esperienze umane della respirazione e della circolazione del sangue in quanto processi animici. Nella ginnastica e nello sport l’uomo sente come se lo spazio avesse ovunque estensione, direzione e cose del genere. In esse egli salta, rispetto ad esse si orienta e si prepara anche gli attrezzi: sale su una scala, si arrampica su una fune e così via. In generale si ambienta nello spazio esterno.

 

Questa è la differenza fra la ginnastica e l’euritmia. Quest’ultima fa scorrere verso l’esterno la vita dell’anima e diventa quindi una reale espressione umana, come la parola; è un linguaggio visibile.

 

Nella ginnastica e negli sport prendiamo posizione nello spazio esterno, nel mondo, vediamo se possiamo stare in una posizione o in un’altra. Non è un linguaggio, non è una manifestazione umana, ma è una domanda del mondo all’uomo per vedere se è abile, se sa porsi nel mondo. Va tenuta presente questa differenza. Essa si manifesta perché l’insegnante di ginnastica richiede ai bambini di fare movimenti con i quali essi si adattino al mondo esterno.

 

L’insegnante di euritmia fa portare ad espressione l’interiorità umana. Tutto ciò va sentito, e allora possono trovare la loro giusta posizione nell’insegnamento sia l’euritmia, sia la ginnastica, e mi pare anche lo sport.

Ne parleremo ancora domani.