Verità e verosimiglianza delle opere artistiche (1898)

O.O. 271 – Arte e conoscenza dell’arte – (VI)


 

Sommario: L’artista non cerca il vero naturale, ma l’apparenza del vero. L’opera artistica completa è opera dello spirito e quindi al di sopra della natura.

 

(Articolo apparso in «Dramaturgische Blàtter»)

Su questo argomento vi è un interessante saggio di Goethe in forma di colloquio. Vi è trattato in modo esauriente il problema: «Che tipo di verità si deve richiedere da un’opera d’arte?» Quel che in proposito è stato scritto negli ultimi tempi occupa volumi. Poiché oggi regna sia un grande interesse, sia una grande confusione su questo problema, sarà lecito qui ricordare i pensieri principali del colloquio di Goethe.

Il saggio inizia con la presentazione del «Teatro nel teatro». «Per un teatro ci si immagina una costruzione più o meno a semicerchio nei cui palchi vi siano dipinti molti spettatori, come se prendessero parte a quel che avviene più in basso. Parecchi spettatori nella platea e nei palchi ne erano insoddisfatti e trovavano offensivo che si pensi di propinar loro qualcosa di falso e improbabile. In quell’occasione si ebbe un colloquio di cui si presenta l’approssimativo contenuto».

Il colloquio si svolge tra un sostenitore dell’artista, che stima di aver esaurito il suo compito con gli spettatori dipinti, e uno spettatore al quale non bastano quegli spettatori immaginati, perché egli pretende la verità naturale. Vuole che «almeno tutto appaia vero e reale». «Perché il decoratore si dà la pena di tracciare le linee nel modo più preciso secondo le regole della prospettiva, e di dipingere tutti gli oggetti nel loro aspetto più perfetto? perché si studiano i costumi? perché vengono a costare tanto cari per rimanere fedeli e trasportarmi così in altri tempi? perché si celebra soprattutto l’attore che esprime nel modo più vero le sensazioni che nel linguaggio, nella posizione e nei gesti si avvicinano di più alla verità, inducendomi a credere di vedere la cosa stessa e non un’imitazione?».

 

Il sostenitore dell’artista fa presente allo spettatore che egli sbaglia perché in teatro non deve credere di avere davanti a sé persone ed eventi che gli sembrino veri; deve piuttosto credere di non avere mai la sensazione di vedere la verità, ma un’apparenza, però un’apparenza del vero.

In un primo tempo lo spettatore crede che il sostenitore faccia un gioco di parole. Con finezza Goethe fa rispondere al sostenitore: «In proposito posso assicurare che quando parliamo di effetti del nostro spirito nessuna parola è abbastanza delicata e sottile, e che giochi di parole di questo tipo mostrano un’esigenza dello spirito; poiché però non sempre arriviamo a esprimere quel che si svolge in noi, non possiamo manifestarlo direttamente attraverso contraddizioni; rispondiamo al problema da due lati, e lo spirito cerca di afferrare la cosa nel suo centro».

 

Gente che sia solo abituata a vivere nei pensieri grossolani prodotti dalla vita quotidiana, vede spesso un inutile lavoro minuzioso delle parole nelle fini differenze concettuali che deve fare chi intende comprendere le sottili e infinitamente complicate relazioni della realtà. È certo giusto lottare in modo eccellente con le parole e preparare un sistema di parole, ma non sempre è colpa di chi prepara appunto il sistema se alla parola non è legato un concetto. Spesso anche chi ascolta una parola non arriva a collegare un concetto con la parola udita. Risulta spesso comico il lamento di chi nulla può collegare alle parole di un filosofo; crede sempre di darne la colpa al filosofo; spesso dipende però dal lettore che nulla arriva a pensare, mentre il filosofo aveva pensato molto.

Vi è una grande differenza fra «apparire vero» e «l’apparenza del vero».

La rappresentazione teatrale è ovviamente apparenza. Si può soltanto essere dell’opinione che l’apparenza debba avere un aspetto tale da simulare la realtà. Oppure si può essere convinti che l’apparenza debba essere sincera: non sono la realtà, sono apparenza. Se l’apparenza ha tale sincerità, essa non può prendere le sue leggi dalla realtà, deve avere in sé le proprie leggi che non sono uguali a quelle della realtà. Chi vuole un’apparenza artistica che scimmiotti la realtà dovrà dire: in una rappresentazione teatrale tutto deve svolgersi come si svolgerebbe nella realtà, se vi accadesse lo stesso evento. Chi vuole un’apparenza artistica che si comporti fedelmente come apparenza dovrà invece dire: in una rappresentazione teatrale parecchie cose devono svolgersi in modo diverso da come sono nella realtà; le leggi secondo le quali gli avvenimenti drammatici si collegano fra loro sono diverse da quelle che collegano la realtà.

 

Chi ne sia convinto deve ammettere che nell’arte vi sono leggi per collegare i fatti che non esistono in una corrispondente immagine della natura.

La fantasia trasmette queste leggi; essa non copia la natura, ma crea una superiore verità artistica accanto alla verità della natura.

Goethe fa esprimere questa convinzione al sostenitore dell’artista. Questi afferma «che la verità artistica e la verità naturale sono del tutto diverse e che l’artista mai deve tendere, né gli è permesso far sì che la sua opera appaia come un’opera della natura».

 

Nelle loro opere vorranno produrre una verità naturale solo gli artisti cui manchi la fantasia e che quindi non possono creare qualcosa di artistico, ma devono prendere in prestito dalla natura, se proprio vogliono produrre qualcosa. Del pari richiederanno verità naturale in un’opera artistica solo gli spettatori che non hanno una sufficiente cultura estetica per elevarsi alle esigenze di una particolare verità artistica, accanto a quella naturale. Conoscono solo la verità che sperimentano giorno per giorno. Quando poi si trovano di fronte all’arte essi chiedono: quest’opera corrisponde a quel che conosciamo come realtà? Chi ha una cultura estetica conosce una verità diversa da quella comune e cerca nell’arte tale altra verità.

 

Goethe fa illustrare dal suo sostenitore dell’artista la differenza fra qualcuno che abbia una cultura estetica e chi invece ne sia privo con un esempio molto grossolano, ma pertinente:

▸ «Un grande scienziato possedeva fra gli altri animali domestici anche una scimmia; gli capitò di non trovarla più e dopo lunghe ricerche la vide nella biblioteca. L’animale sedeva per terra con sparse attorno a sé le incisioni di un’opera di storia naturale. Meravigliandosi di quel diligente lavoro della sua amica, si avvicinò e fra ammirazione e fastidio vide che la scimmia golosa aveva mangiato tutte le riproduzioni dei coleotteri».

La scimmia conosce solo coleotteri in natura, e il modo in cui li tratta nella sua vita quotidiana è mangiarli. Nelle riproduzioni le si presenta non la realtà, ma solo l’apparenza e non la prende come tale, perché non ha alcuna idea dell’apparenza. Scambia l’apparenza con la realtà e si comporta verso di essa come verso una realtà.

Chi prende un’apparenza artistica per una realtà si comporta come quella scimmia. Se vede in teatro una scena di rapina o di amore, vuole averne la stessa impressione delle analoghe scene della realtà.

 

Nel colloquio di Goethe lo spettatore viene portato dall’esempio della scimmia a una più giusta comprensione del piacere artistico e dice: ▸ «L’intenditore incolto dovrebbe pretendere che un’opera d’arte sia appunto naturale per poterla godere in modo naturale e spesso grossolano e popolare».

L’opera d’arte va goduta in un modo superiore rispetto a un’opera naturale.

Chi grazie a una cultura estetica non abbia coltivato in sé tale modo superiore è paragonabile alla scimmia che mangia i coleotteri dipinti invece di studiarli per acquisire con lo studio conoscenze scientifiche. Il sostenitore lo esprime con queste parole:

▸ «Una perfetta opera d’arte è opera dello spirito umano e in questo senso anche della natura. Poiché tuttavia riunisce gli oggetti sparsi e anzi li presenta nel loro significato e nella loro dignità, è al di sopra della natura. Vuole essere intesa attraverso lo spirito che sorge e si forma armonioso; trova così la forma migliore che si conclude in sé, anche in modo conforme alla natura. Il comune intenditore non ne ha idea alcuna e considera l’opera d’arte come un oggetto che trova al mercato. Il vero intenditore non vede solo la verità della cosa imitata, ma anche i vantaggi delle cose scelte, la ricchezza spirituale dei nessi, la sfera sovraterrena del piccolo mondo dell’arte; sente di raccogliersi rispetto alla sua vita dispersa, di vivere con l’opera d’arte, di vederla ripetutamente; sente che deve elevarsi a un’esistenza superiore».

 

L’arte che tenda alla semplice verità naturale, alla scimmiesca imitazione della normale realtà quotidiana è confutata nell’istante in cui si senta in sé la possibilità di abbandonarsi alla qui sopra suggerita «esistenza superiore». In sostanza ognuno può sentire in se stesso tale possibilità. Di conseguenza non potrebbe aver posto una generale e convinta confutazione del naturalismo. Chi conosca solo la generale e quotidiana realtà rimarrà sempre naturalista. Chi scopra invece in sé la capacità di vedere una particolare essenza artistica oltre l’essere della natura sentirà il naturalismo come la concezione estetica del mondo di gente artisticamente limitata.

Quando lo si sia afferrato non si combatterà contro il naturalismo con armi logiche o di altra natura, perché una lotta del genere sarebbe come voler dimostrare alla scimmia che i coleotteri disegnati non sono da mangiare, ma da osservare. Non si arriva a far capire che i coleotteri disegnati non sono da mangiare, una cosa che essa mai comprenderebbe, e cioè a che scopo esistano i coleotteri disegnati, dato che non sono da mangiare. Lo stesso avviene con chi è esteticamente incolto: lo si potrà magari portare a vedere che un’opera d’arte non va trattata come un oggetto che s’incontra al mercato, ma poiché egli comprende solo la relazione che ha con gli oggetti che può acquistare al mercato, non capirà a che scopo esistano in effetti opere d’arte.

Questo è press’a poco il contenuto del colloquio di Goethe. Si vede che in esso vengono esaminati in modo eccellente problemi che oggi molti sottopongono a un rinnovato esame. L’esame di questa e di altre cose non sarebbe necessario se ci si volesse dare la briga di approfondire i pensieri di coloro che si sono avvicinati ai problemi, messi in relazione con una cultura superiore.