Collegare la fisica alla vita.

O.O. 311 – L’educazione come arte – 19.08.1924


 

Sommario: La mineralogia ai 12 anni. Collegare la fisica alla vita. Affaticamento. I ritmi. I componimenti. L’insegnamento legato alla vita. Il pensare lontano dalla realtà. Le riunioni degli insegnanti. Equilibrio fra maschi e femmine nella classe. La cura dei bambini meno dotati. L’insegnamento tecnologico. Il lavoro manuale. Le pagelle. Contatti con i genitori per comprendere i bambini.

 

Sceglieremo ancora qualche argomento che riguardi il metodo pedagogico. In un periodo di tempo così breve si possono naturalmente scegliere solo alcuni esempi.

 

Osservando il periodo che l’essere umano vive dal cambio dei denti sino alla pubertà, vediamo che esso si suddivide in tre parti e di ognuna dobbiamo tener conto, se vogliamo guidare il bambino attraverso la scuola elementare. Prima di tutto abbiamo un periodo che ho già caratterizzato e che finisce quando il bambino arriva a distinguersi dal suo ambiente, quando cioè fa una differenza fra il soggetto, che è lui stesso, e le cose del mondo esterno, che diventano per lui oggetto. Fino a questo punto dobbiamo educare il bambino in modo che tutto il mondo che è in lui e tutto quanto è al di fuori di lui abbia un carattere unitario. Già dissi come vi si possa riuscire artisticamente. Abbiamo poi visto, accennando alle piante e agli animali, come si passi alla descrizione del mondo esterno. Sviluppando queste cose in modo elementare si arriva fin verso i dodici anni. A partire da lì e sino alla pubertà, abbiamo il terzo periodo durante il quale si può in effetti passare alla natura priva di vita in cui il giovane può in realtà cominciare ad afferrare il mondo inorganico.

 

Così possiamo dire: dai sette anni sino ai nove e un terzo, oppure ai nove e mezzo, il bambino accoglie tutto con l’anima. Nulla esiste che non possa accogliere animicamente. Gli alberi, le stelle, le nubi, le pietre, tutto viene accolto con l’anima. Dai nove e un terzo sin verso gli undici e due terzi già percepisce la differenza tra l’elemento animico, che sente in sé, e ciò che è dotato di vita. Allora gli possiamo parlare di tutto ciò che è dotato di vita e della terra come essere vivente. Poi, a partire dagli 11 anni e due terzi fin verso i 14, il giovane è capace di distinguere ciò che è dotato di anima, di vita e ciò che è morto; quindi anche tutto quel che nella vita si svolge sotto la legge di causa ed effetto.

 

Non dovremo quindi mai parlare ai fanciulli di quel che è privo di vita se non sono giunti ai loro dodici anni. Solo allora dobbiamo cominciare a parlare di minerali, di fenomeni fisici e di esperimenti chimici. Occorre comunque tener presente che in realtà nei fanciulli, fra la seconda dentizione e la pubertà, l’intelletto non ha ancora forza preponderante; la fantasia è invece attiva e quindi in tutto si deve contare su di essa. Come spesso ripeto è perciò necessario che il maestro sviluppi in sé in modo speciale la fantasia. Non facendolo, passando troppo presto a tutto quanto è basato sulla comprensione intellettuale, il bambino non sarà in grado di avere il suo normale sviluppo corporeo-fisico. Molti dei fenomeni patologici del nostro tempo compaiono perché nell’epoca materialistica, nell’educazione dei fanciulli dalla seconda dentizione alla pubertà, ci si è troppo basati sull’intelletto.

 

Quando i fanciulli si avvicinano ai dodici anni possiamo incominciare a parlare di ciò che è privo di vita, poiché è un campo che può essere afferrato solo con l’intelletto; possiamo allora parlare di minerali e di fenomeni fisici e chimici. Anche in questo campo, per quanto possibile, dobbiamo cercare di collegarci alla vita reale. Diciamo che è meglio non partire da una raccolta di minerali, ma piuttosto dal suolo terrestre, dalle montagne, descrivendole e spiegando come configurano la terra, come la roccia montagnosa in basso sia stata ricoperta dal terreno. Più saliamo verso l’alto, più le montagne diventano brulle e più scarse diventano le piante. Ora possiamo parlare ai fanciulli della roccia nuda e spiegare che essa è appunto di natura minerale. Partiamo dunque dalle montagne e arriviamo all’elemento minerale.

 

Dopo aver dato l’immagine della montagna, possiamo mostrare un minerale qualsiasi e dire: questo lo si trova seguendo il sentiero che sale sulla montagna. Dopo aver fatto così per minerali diversi, si può passare a considerare il singolo minerale a sé. Anche qui è bene partire dal tutto e non dal particolare, ed è importantissimo farlo.

 

Per spiegare fenomeni fisici è pure importante partire sempre dalla vita. Non si deve trattare subito la fisica, come la si trova oggi nei libri di testo; anche qui è bene partire da esempi facili: si accende ad esempio un fiammifero e si fa osservare come cominci a bruciare. Occorre far notare tutti i particolari, far osservare la fiamma, come si presenti all’esterno e all’interno, come rimanga un fumo nero e una capocchia nera quando si spegne il fiammifero; soltanto ora si comincia a spiegare come dal fiammifero si sia sprigionato il fuoco. Il fuoco si è acceso perché si è sviluppato del calore. Sempre ci si collega con la vita reale.

 

Ad esempio non si parte dalla leva spiegando che è formata da un’asta dotata di un fulcro, a una cui estremità va applicata una data forza, producendone di conseguenza un’altra sull’altra estremità, come sovente il fenomeno viene descritto nei libri di fisica. Non si deve procedere così, ma partire dalla bilancia. Il fanciullo va condotto con la sua immaginazione a ricordarsi di un negozio nel quale avrà di certo visto pesare qualcosa su una grossa bilancia; da lì si può passare al concetto di equilibrio, di peso e di gravità. In ogni caso si sviluppa dalla vita la conoscenza delle leggi fisiche, e lo stesso vale per quelle chimiche.

 

Essenziale è partire dalla vita per osservare i fenomeni fisici e minerali. Se si procede in modo inverso e si parte dall’astrazione, avviene nel fanciullo qualcosa di ben caratteristico: si stanca subito dell’insegnamento; non se ne stanca se invece si parte dalla vita. La regola d’oro dell’insegnamento è che lo scolaro proprio non si stanchi. Avviene qualcosa di ben curioso con l’odierna cosiddetta pedagogia sperimentale. Si fa un’indagine e si stabilisce quando lo scolaro si stanca a seguito di una data attività spirituale. Se ne deduce la regola di quanto tempo lo si possa occupare con un dato soggetto affinché non arrivi a stancarsi.

 

Tutta questa concezione è però falsa, è del tutto errata! Si possono rileggere nei miei libri e nei cicli delle mie conferenze, o anche nel mio libro Enigmi dell’anima, che l’essere umano è composto di tre parti costitutive (voglio solo ricordare in breve queste cose: l’uomo dei sensi e dei nervi, cioè la parte dell’essere umano che crea la base per lo sviluppo di ogni attività spirituale, l’uomo del sistema ritmico, che invece abbraccia in sé tutto quanto riguarda il ritmo del respiro, il ritmo della circolazione del sangue e così via, e l’uomo delle membra e del ricambio che comprende tutti gli organi e le attività per la trasformazione delle sostanze).

 

Osservando lo sviluppo del bambino dalla nascita sino al cambio dei denti, vediamo che in questo periodo è specialmente attiva l’organizzazione della testa, l’organismo neuro-sensorio. Nel primo periodo di vita il bambino si sviluppa partendo dal capo; lo si deve solo osservare con attenzione. Si guardi anzitutto l’embrione umano, un essere non ancora nato: la testa è poderosa, tutto il resto è ancora rattrappito. Poi il bimbo nasce e anche allora la testa è la parte più possente dell’organismo, e dalla testa partono tutte le forze dello sviluppo e della crescita.

 

Ciò però non avviene più quando il fanciullo è fra i sette e o quattordici anni. Il ritmo del respiro, il ritmo del sangue, l’intero sistema ritmico domina nel fanciullo dalla seconda dentizione alla pubertà. Solo il ritmo! Che cosa ha però il ritmo di speciale? Riflettiamo un momento: se devo pensare e studiare molto mi stanco, la testa si stanca. Se devo camminare molto e sforzo l’organismo delle membra anche mi stanco. L’organismo del capo, l’organismo neuro-sensorio e l’organismo delle membra e del ricambio possono stancarsi, l’organismo ritmico non può stancarsi mai. Si pensi che durante tutto il giorno si respira, che il cuore batte anche durante la notte e mai può cessare di battere dalla nascita fino alla morte; deve muoversi di continuo nel ritmo, e non si stanca, proprio non si stanca.

 

Ora nell’insegnamento ci si deve rivolgere al sistema che in quel periodo è predominante; quindi fra la seconda dentizione e la pubertà ci si deve rivolgere con immagini al sistema ritmico, si deve far sì che tutto quanto si descrive e si tratta riguardi il meno possibile il capo e vi prenda invece parte il cuore, finterò sistema ritmico, l’arte. Quale ne è la conseguenza? Ne risulterà che con un insegnamento del genere il ragazzo non si stancherà, perché impiega il sistema ritmico e non quello del capo.

 

Nella nostra epoca materialistica si è spaventosamente intelligenti, e si è pensato che sia bene lasciar sfogare i bambini tra una lezione e quella successiva. Certo è bene lasciarli correre e giocare, ma per l’elemento ritmico, per la gioia che i bambini ne hanno. Sono stati anche fatti esperimenti e si è stabilito che, se i bambini hanno il giusto insegnamento, durante l’insegnamento stesso si stancano molto meno che se giocano fuori all’aperto. Il movimento delle membra li stanca molto di più, mentre l’insegnamento giusto non li deve stancare. Quanto più insegnando si sviluppa l’elemento immaginativo, quanto meno si sforza l’intelletto, impegnando invece il sistema ritmico con racconti vivi, tanto meno si stanca la scolaresca. Quando dunque sono intervenuti gli psicologi sperimentali e hanno provato quanto lo scolaro si stanca studiando, che cosa hanno stabilito? Solo che l’insegnamento è stato male ripartito. Se si insegnasse in modo giusto non si dovrebbe riscontrare alcuna stanchezza.

 

Bisogna arrivare a che nelle scuole elementari lavori nel bambino solo il sistema ritmico. Con quel sistema, che non va soggetto a stanchezza, che non può stancarsi se viene occupato in modo giusto, non c’è bisogno dell’intelletto, ma di immagini, di tutto quel che nasce dalla fantasia. Nella scuola si deve perciò far regnare senz’altro la fantasia. Anche nelle ultime classi, quando i giovani sono fra gli 11 anni e due terzi e i 14 anni, anche allora si deve vivificare con la fantasia ciò che è morto e collegarsi con la vita reale. Si può benissimo trovare il modo di collegare con la vita tutti i fenomeni fìsici. Soltanto è necessario avere fantasia, ecco che cosa è necessario.

 

Anche in seguito si farà sviluppare la fantasia dei fanciulli in quello che si chiama componimento, quando cioè dovranno scrivere un componimento, elaborare un dato soggetto. Non è bene che i fanciulli elaborino in un componimento qualcosa che prima non sia stato discusso a fondo e ben chiaramente dal maestro, di modo che il ragazzo conosca bene l’argomento. Con l’autorità di maestro e di educatore si sarà parlato di un dato argomento, e solo allora i fanciulli saranno in grado di svolgere il componimento sotto l’influenza di quel che è stato detto. Da questa linea non bisogna allontanarsi, nemmeno negli ultimi anni prima della pubertà. Anche allora non si deve permettere che i fanciulli scrivano alla cieca; si deve invece svegliare in loro il sentimento che nei componimenti deve esservi ciò che non li allontani da quel che è nato in loro dalla discussione fatta col maestro e con l’educatore. Anche in questa fase deve regnare la vita. La vivacità del maestro deve trasfondersi in quella dei fanciulli.

 

Come si sarà visto, tutta l’educazione, tutto l’insegnamento devono essere attinti dalla vita. Spesso oggi lo si afferma; si dice che l’insegnamento deve risultare vivo, consono alla viva realtà, ma anzitutto è necessario avere un’idea di che cosa è adeguato alla realtà. Anche quando si professano buone teorie pedagogiche è poi facile cadere in errore nella pratica, e posso mostrarlo riferendomi a un caso sperimentato di persona.

 

Entrai una volta in un’aula scolastica (preferisco non precisare dove), e il maestro dava un esempio per un esercizio di addizione. L’esempio era appunto stato scelto per collegare con la vita reale l’operazione dell’addizione. Non si doveva cioè soltanto sommare 14 e 2/3, 16 e 5/6 e 23 e 3/5, ma si doveva prendere un esempio dalla vita pratica. Ora l’esempio era più o meno questo: un tale è nato il 25 marzo 1895, un altro il 27 agosto 1898 e un terzo il 3 dicembre 1899; quanti anni contano le tre persone insieme? Così era posta la domanda. Si procedeva con tutta serietà nel conto come segue: dal 1895 al 1924 sono 29 anni e 3/4. Il primo ha dunque 29 anni e 3/4; il secondo per arrivare al 1924 ha pressappoco 26 anni e 1/2, e il terzo ha 25 anni. Sommando l’età dei singoli si arrivava così al totale desiderato di quanti anni avessero insieme.

 

Ora vorrei chiedere che cosa dovranno fare quei tre di quelle somme per invecchiare insieme, per raggiungere fra tutti una data età? come lo si può immaginare? Certo i numeri trovati si possono sommare, e si giunge a un dato totale, ma come lo si può figurare nella realtà? I tre vivono nello stesso tempo, ma è impossibile che sia dato sperimentare nella realtà la somma delle tre età! Non è affatto attinto dalla vita reale un esempio che si esprima in un calcolo del genere. Mi fu mostrato in seguito che l’esempio era stato tratto da un libro scolastico. Sfogliai un poco quel libro e mi accorsi che vi erano numerose cose altrettanto intelligenti. Ho constatato che in certi posti cose del genere hanno poi le loro conseguenze nella vita, e la cosa è di grande importanza.

 

Ricordiamoci quindi che quel che insegniamo nella scuola si riflette poi nella vita. Se nella scuola usiamo in aritmetica esempi non basati sulla realtà, quel modo errato di pensare viene accolto dai giovani e poi portato nella vita. Non so se ciò avviene anche in Inghilterra, ma nell’Europa centrale succede che, quando un gruppo di delinquenti viene processato e condannato a pene diverse fra i suoi componenti, nei giornali sovente si legge che ad esempio la pena complessiva era di 75 anni e mezzo. Uno era stato condannato a 10 anni, un altro a 20 e così via fino ad arrivare al totale complessivo che si legge nei giornali. Vorrei chiedere che significato può avere nella realtà una somma del genere. Certo nessuno per il singolo condannato, ma non lo ha neppure per tutti insieme, perché finiranno tutti la loro condanna molto prima. Il totale è quindi un numero che non ha realtà alcuna.

 

L’importante è proprio arrivare in ogni campo alla realtà. Si avvelena del tutto un bambino dandogli da fare un’addizione che non è possibile nella vita reale. Lo si deve guidare a pensare soltanto cose che esistono anche nella vita. Allora dall’insegnamento si porterà realtà nella vita. Nel nostro tempo soffriamo terribilmente a causa del pensare non rispondente alla realtà delle cose. Il maestro deve riflettere molto sul problema.

 

Nel nostro tempo vi è una teoria che, benché formulata da persone reputate intelligentissime, è derivata dalla nostra civiltà: è la cosiddetta teoria della relatività. Certo se ne sente molto parlare; va sotto il nome di Einstein. In essa vi è molto di esatto, né io intendo contestare quel che vi è di giusto; essa viene però estesa nel seguente modo. Diciamo che in un dato luogo si spari una cannonata: se ci si trova a un certo numero di miglia di distanza, si può stabilire che il rombo del cannone sarà udito dopo un dato tempo. Se invece non si sta fermi, così prosegue l’ipotesi, e ci si allontana nella direzione del proiettile, esso verrà percepito più tardi, si avrà più tardi la percezione del suono, e quanto più rapidamente ci si allontana, tanto più tardi lo si percepirà. Se invece si fa il contrario, se si va incontro al rumore, lo si percepirà prima.

 

Proseguendo il ragionamento si arriva all’ipotesi (che però non ha alcuna realtà) che si possa andare incontro al suono più rapidamente di quanto esso non si propaghi. Pensandola sino in fondo, si arriva al punto di affermare che vi è anche la possibilità di udire il colpo prima ancora che il cannone abbia sparato.

 

A questo conducono teorie che si basano su di un pensare non fondato sulla realtà. Chi sappia veramente pensare nella realtà, a volte può soffrirne moltissimo. Nei libri di Einstein viene persino fatta l’ipotesi di prendere un orologio e di lanciarlo nel cosmo alla velocità della luce, per esaminare come esso si presenterebbe al ritorno. Einstein descrive tutto quanto avverrebbe di quell’orologio. Vorrei proprio vedere in realtà un orologio che solchi l’etere con la rapidità della luce e poi ritorni. Il punto è di non staccarsi mai dalla realtà.

 

Il male originario dell’attuale insegnamento è che molte cose si allontanino così tanto dalla realtà. Su tale errore si basa anche buona parte di quel che si fa oggi negli asili modello. Si sono inventati lavori che il bambino deve eseguire. In realtà al bambino, anche nel giocare, non si dovrebbe lasciar fare altro che imitare la vita. Sono quindi dannosi i lavori derivati dal metodo di Fròbel, tutti escogitati. Bisogna invece lasciar fare al bambino, anche nel gioco, ogni sana imitazione della vita. Questo è importante.

Come ho detto altre volte, non si devono inventare per il bambino giocattoli che siano fatti ad arte; si deve invece lasciare che, di fronte a bambole oppure a qualsiasi altro giocattolo, il bambino abbia modo di sviluppare il più possibile la sua fantasia. È importantissimo.

 

In modo speciale voglio proprio far notare come sia necessario stare molto attenti a che nell’insegnamento, e in tutto il metodo educativo, mai nulla penetri che non si colleghi in un modo o nell’altro con la vita reale. Occorre tenerne conto, quando si guida il bambino a descrivere qualcosa da lui sperimentato. Ogni volta che egli si allontana in qualche modo dalla realtà bisogna farglielo notare. L’intelletto non penetra mai tanto a fondo nella realtà quanto la fantasia. La fantasia può errare, ma penetra nella realtà, mentre l’intelletto rimane sempre alla superficie. Per il maestro è perciò tanto indispensabile basarsi sulla realtà quando è in classe. A tale scopo abbiamo fra le istituzioni pedagogiche della Scuola Waldorf il Collegio degli insegnanti, quale anima di tutto l’insegnamento. In quelle riunioni, nelle quali tutti gli insegnanti sono presenti, ognuno porta agli altri quel che ha imparato nella sua classe, le esperienze raccolte studiando i bambini a lui affidati; in tal modo i maestri imparano uno dall’altro. Nessuna delle nostre scuole potrebbe vivere realmente, se in essa quelle riunioni non avessero regolarmente luogo, dato che è la cosa più importante per la vita della scuola stessa.

 

Si può così realmente imparare moltissimo. Nella Scuola Waldorf abbiamo classi miste di maschi e femmine. Anche non tenendo conto di quel che dicono fra loro maschi e femmine, e dello scambio che avviene fra loro in modo cosciente, si nota una notevole differenza fra le classi in cui vi sono più maschi, quelle in cui vi sono più femmine, e le altre in cui maschi e femmine sono in pari numero. Da anni osservo queste differenze, e sempre mi appare con chiarezza che una classe in cui vi siano più femmine ha un carattere tutto diverso.

 

In una classe del genere si vede subito che anche il maestro si stanca meno, perché le bambine afferrano con più facilità e imparano anche con maggiore diligenza. Vi sono però anche altre differenze. Soprattutto si constata molto presto che i maschi, quando sono in minoranza, fanno progressi nell’afferrare le cose, mentre le femmine perdono un poco quel loro dono se sono in minoranza nella classe. Si notano così molte differenze che non derivano da quel che i bambini si dicono, né dai loro reciproci rapporti, ma che sono e rimangono imponderabili.

 

A tutte queste cose bisogna prestare molta attenzione. Sia che si riferiscano all’intera classe, sia che riguardino singoli scolari, esse vengono discusse nelle riunioni degli insegnanti, così che ognuno di loro abbia modo di approfondire le diverse caratteristiche individuali degli scolari.

 

Una cosa è naturalmente piuttosto ardua nel metodo della Scuola Waldorf: si deve riflettere molto più del normale sull’insegnamento da impartire in classe e sul modo più adatto per far progredire i propri alunni. Si vuole infatti impartire l’insegnamento (e tutto quel che ho esposto tende a darne un’idea) nel modo più adatto al periodo di vita che lo scolaro attraversa, dandogli ciò che è necessario per la sua età.

 

Si pensi ora che uno scolaro sia tra i 9 e i 10 anni e segua la classe corrispondente alla sua età: si può a cuor leggero lasciarlo nella stessa classe, non farlo andare avanti con gli altri, perché è debole in qualche materia? Se gli facciamo ripetere la stessa classe, nel prossimo anno si troverà ad avere un insegnamento che non è più adatto alla sua età. Evitiamo perciò in tutti i modi di lasciare indietro a ripetere una classe i bambini che, per così dire, non hanno raggiunto la meta prefissa per quell’anno di studio. Portarli avanti è certo meno comodo che lasciarli indietro; comunque evitiamo di far ripetere la stessa classe. Abbiamo un solo correttivo: mettiamo in un’unica classe i bambini davvero deboli e i bambini ritardati. Vengono educati dal dott. Karl Schubert, che in questo campo svolge un compito del tutto speciale con molta abilità e intelligenza.

Vi vengono però riuniti dalle altre classi anche bambini che solo in un certo modo sono meno dotati. Dato il numero di bambini che abbiamo, non ci è ancora possibile formare molte classi per bambini poco dotati.

 

Come ho già detto, non lasciamo indietro questi bambini, ma cerchiamo in ogni modo di portarli avanti con gli altri, così che ricevano veramente l’insegnamento che è adatto alla loro età.

Per i ragazzi che non possono continuare nelle scuole superiori, che devono lasciare la scuola dopo la pubertà, finite le classi elementari e le prime medie, diamo all’insegnamento una speciale direzione e cerchiamo di condurli per due vie a una concezione e comprensione del mondo corrispondente alla realtà della vita. Da un lato ordiniamo ogni insegnamento di storia naturale e di storia in modo che, alla fine del corso, il ragazzo possieda una chiara conoscenza dell’essere umano, che sappia cioè in modo soddisfacente quale posizione l’uomo ha nel mondo. Il nucleo centrale verso il quale orientiamo ogni insegnamento è lo studio dell’uomo. In tal modo possiamo arrivare a una specie di conclusione a proposito di tale conoscenza, quando i ragazzi sono nella settima o ottava classe, a 13 o 14 anni. Grazie a ciò che ha appreso sino a quel momento, il ragazzo ha la possibilità di avere un’idea di quali leggi, di quali forze e sostanze operino complessivamente nell’uomo, di conoscere come l’uomo sia collegato con tutto quanto vi è di fisico, di animico e di spirituale nel mondo. Così il giovane saprà, naturalmente a modo suo, che cosa è l’uomo nell’intero cosmo. Questa è una delle cose che cerchiamo di raggiungere con i ragazzi.

 

D’altro canto cerchiamo di guidarli a una comprensione della vita. Avviene oggi che la maggior parte di coloro che crescono in città non abbia idea alcuna di come si fabbrichi una data cosa, mettiamo ad esempio la carta. Molti scrivono sulla carta, ma non si domandano affatto come la si fabbrichi. Molti ignorano come si formino i vari tessuti con i quali si vestono, oppure, se calzano scarpe di cuoio, non sanno come il cuoio venga ottenuto.

 

Si pensi solo al numero infinito di persone che bevono birra senza avere un’idea di come la si produca. È qualcosa di ben straordinario! Certo non si può far tutto in questo campo, ma per quanto possibile cerchiamo di provvedere a che i ragazzi sappiano come si lavora nelle più svariate attività, affinché imparino anche a fare i lavori che sono parte della vita pratica.

 

Certo oggi, di fronte a ciò che viene richiesto dalle autorità scolastiche, è difficilissimo riuscire a dare agli alunni un’istruzione consona alle necessità della vita. Si fanno in merito le esperienze più disastrose. Ad esempio una volta abbiamo dovuto lasciar uscire dalla nostra scuola, perché lo esigevano le condizioni di vita dei genitori, un bambino che aveva finito la seconda classe e doveva entrare in terza. Doveva essere trasferito in un’altra scuola. Ci vennero fatti i più aspri rimproveri perché non era abbastanza avanti in aritmetica, come veniva richiesto nell’altra scuola, ed era indietro nel leggere e nello scrivere. Ci scrissero che non sapevano che cosa farsene dell’euritmia, della pittura e delle altre attività artistiche che aveva praticato.

 

Per educare i bambini secondo le necessità della vita e le conoscenze generali umane, bisogna per forza portarli in una data epoca a saper leggere e scrivere in modo corretto, come si richiede oggi. Così è pure necessario insegnare ai bambini molte cognizioni solo perché lo si ritiene necessario per le abitudini odierne.

 

Perciò anche nella Scuola Waldorf siamo obbligati a insegnare ai bambini molte cognizioni che in verità non riteniamo utili per una vera conoscenza dell’uomo. Comunque, per quanto possibile, cerchiamo sempre di avvicinare i bambini alla vita pratica.

 

Se fosse stato possibile, ci sarebbe proprio piaciuto assumere fra i maestri anche un calzolaio. Non fu possibile perché, secondo le esigenze odierne, non si può far entrare un insegnamento del genere nei programmi scolastici. Eppure sarebbe bene farlo, affinché i ragazzi imparino veramente a fare le scarpe, non in teoria, ma dalla pratica manuale, imparino a sapere che cosa occorre per fare le scarpe. Per questo, dall’inizio della Scuola Waldorf, avrei visto volentieri fra i maestri anche un calzolaio. Non fu possibile perché vi si sarebbero opposte le autorità scolastiche, ma di fronte alla vita la cosa sarebbe stata ottima. Cerchiamo comunque di indirizzare i ragazzi ad essere pratici nel lavoro.

 

Visitando la Scuola Waldorf si può vedere come i ragazzi imparino a rilegare bene i libri, a fare i più diversi lavori di cartonaggio, come vengano guidati a fare lavori manuali di carattere veramente artistico. Da noi l’insegnamento del lavoro per le ragazze non viene fatto come in genere si vede. Consideriamo ad esempio i vestiti femminili: di solito non si fa alcuna differenza fra un motivo decorativo che orni lo scollo, la cintura oppure l’orlo inferiore della gonna. Non si tiene conto che il motivo che segue lo scollo deve avere un carattere corrispondente alla sua posizione, un carattere speciale adatto a ciò che si può portare attorno al collo (vedi figura 1).

 

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Qui il motivo è disegnato solo in modo schematico. Di solito non si fa attenzione a che il motivo per la cintura sia diverso da quello in alto e da quello in basso (v. figura 2).

 

Così pure da noi non si lascia che i ragazzi decorino un cuscino in modo che i due lati abbiamo motivi uguali, ma si bada che dal motivo decorativo appaia su quale lato ci si appoggi. In un cuscino si deve anche far notare la differenza fra i disegni di destra e di sinistra. Cosi la vita si rispecchia in tutto ciò che si fa a scuola. Da queste cose gli alunni imparano molto, e così cerchiamo di mettere i ragazzi a contatto con la vita.

 

Cerchiamo di farlo in tutti i particolari della vita scolastica, ad esempio anche con le pagelle. Non sono mai riuscito a formarmi un concetto di che cosa possa significare valutare le attitudini di uno scolaro con dei voti, ad esempio 7 oppure 8, o 7 e mezzo. Non so se anche in Inghilterra vi sia l’abitudine di mettere numeri o lettere dell’alfabeto che dovrebbero dare un’idea di che cosa sappia l’alunno. In Europa si danno voti. Noi comunque non diamo pagelle di quel genere; nella nostra scuola ogni maestro conosce ognuno dei suoi scolari e sulla pagella descrive con parole sue quel che il ragazzo ha raggiunto durante l’anno con le sue attitudini, come le ha sviluppate e quale progresso è riuscito a compiere. Ogni anno scriviamo sulla pagella dei nostri scolari un motto, una parola direttiva che possa diventare un monito che lo guidi verso il prossimo anno scolastico. La pagella si presenta così: prima il nome e cognome dell’alunno, poi il motto, e infine il maestro descrive, senza usare numeri o lettere astratte, come è il ragazzo e quali progressi ha compiuti nelle singole materie. In tal modo ogni pagella è una descrizione dell’allievo. Le nostre pagelle procurano sempre ai ragazzi grande gioia, e anche i genitori dalla lettura della pagella hanno un’idea esatta di come il loro figlio si comporti a scuola.

 

Diamo grande importanza al rimanere in contatto con i genitori di ogni singolo scolaro e con l’atmosfera di casa sua. In questo modo riesce più facile capirlo, e si sa anche come trattare le caratteristiche di ognuno. Non si può affermare che una data caratteristica, notata in un ragazzo, sia la stessa e abbia le stesse origini se la riscontriamo anche in un altro; un dato carattere in un soggetto spesso significa qualcosa del tutto diverso rispetto a un altro.

 

Mettiamo ad esempio che un ragazzo mostri la tendenza ad eccitarsi, e che la stessa cosa accada in un altro. Il punto non è soltanto rendersi conto che i ragazzi sono eccitati e che si deve far qualcosa per tranquillizzarli, ma capire da che cosa derivi quella loro tendenza: uno è eccitato perché ha un padre eccitabile e tende ad imitarlo; l’altro invece può esserlo perché ha il cuore debole, perché è malato di cuore. In ognuno dei casi occorre trovare la causa a cui risale quella data caratteristica.

 

A tale scopo teniamo le riunioni degli insegnanti. Sono istituite apposta per studiare insieme l’essere umano e far fluire in tutta la scuola una corrente ininterrotta di conoscenza. Nel Collegio si studia la scuola, e così sorge, quasi per forza propria, che cosa è necessario per la sua vita. L’essenziale è che le riunioni degli insegnanti siano uno studio costante e ininterrotto.

 

Queste sono le basi necessarie di cui volevo parlare per l’organizzazione pratica della scuola. Naturalmente ci sarebbe ancora moltissimo da dire, se potessimo continuare queste conferenze ancora per diverse settimane. Purtroppo non possiamo farlo. Perciò vi prego, quando ci ritroveremo qui domani, di domandarmi che cosa vi starebbe ancora a cuore, in modo da usare la riunione di domani per rispondere alle domande che mi saranno rivolte.