Considerazioni ed episodi relativi alla nuova edizione del libro

O.O. 185 – Lo studio dei sintomi storici – 01.11.1918


 

Sommario: Considerazioni ed episodi relativi alla nuova edizione del libro

La concezione goethiana del mondo. Il nome “Goetheanum”. Essere Tedesco in Germania e in Austria. Goetheanismo come mezzo per superare la crisi del presente. Goethe e l’arte. Il goetheanismo prepara la scienza dello spirito.

 

In questi giorni mi riprometto di considerare due fenomeni diversi, anche se in un primo tempo essi non sembrano molto in relazione fra di loro; alla fine di queste conferenze, però, si vedrà che invece esiste un intimo collegamento fra i due fenomeni stessi. Come ho già detto, in queste conferenze intenderei esporre qualche considerazione sintomatica intorno all’evoluzione religiosa verificatasi nei secoli finora trascorsi della quinta epoca postatlantica. D’altro canto voglio illustrare come proprio quel genere di vita spirituale che noi vogliamo coltivare possa essere in relazione con un’istituzione che può portare il nome di Goetheanum.

 

Io penso che oggi abbiano una certa importanza decisioni che si prendono in casi di questo genere. Oggi l’umanità attraversa un momento evolutivo in cui l’avvenire può riservare ogni sorta di sorprese, ed è importante guardare al futuro, pure incerto, con grande coraggio, ma importa anche che le decisioni, alle quali si annette un certo rilievo, siano prese badando alle necessità dell’epoca. L’occasione esterna che ha determinato la scelta del nome Goetheanum mi sembra sia stata che, qualche tempo fa, in conferenze pubbliche da me tenute, ho detto che mi piacerebbe chiamare con quel nome l’edificio nel quale dev’esser coltivata la nostra corrente spirituale. Già lo scorso anno era stato discusso sul nome da dare, ma soltanto quest’anno alcuni nostri amici hanno deciso di adoperarsi affinché venisse scelto il nome di Goetheanum. Recentemente ho detto che per me esistono numerose ragioni per questa scelta, anche se non è facile esprimerle in parole; forse sarà possibile metterle in chiaro oggi, in quanto cercherò di creare una base con considerazioni simili a quelle fatte nell’ultima conferenza.

 

Non mi metterei a raccontare fatti personali se essi, specialmente oggi, non fossero in relazione ad avvenimenti oggettivi ed anche al Goetheanum; è comunque noto che la mia prima attività letteraria pubblica fu strettamente legata al nome di Goethe; è anche noto che essa si svolse in una delle zone in cui si vedono e si constatano i maggiori rivolgimenti, oggi rilevabili anche da chi meno desideri vedere, perché preferisce continuare a sonnecchiare. E anche ciò che io son portato a pensare, per rapporto a Goethe, dal punto di vista della scienza dello spirito, allo stesso modo come ho detto a proposito della Filosofia della libertà, da un lato è una questione personale, ma dall’altro è pur legato strettamente con l’evolversi degli avvenimenti degli ultimi decenni. Il fatto che io abbia vissuto in Austria fin verso il 1890, per passare poi in Germania, e più precisamente prima a Weimar e quindi a Berlino, è realmente in stretto rapporto con la nascita sia della Filosofia della libertà, sia degli altri miei scritti su Goethe. Quei miei spostamenti, rappresentano naturalmente l’aspetto esteriore dei fatti, ma un loro esame accurato, se si bada in giusto modo ai sintomi, porta a poco a poco al loro aspetto interiore. Dagli schizzi storici finora esaminati è facile rilevare che io cerco di applicare alla vita quello che chiamo sintomatologia storica, che cerco di comprendere la storia e le singole vite umane partendo dai sintomi e dalle loro manifestazioni; perché, infatti, da queste basi è possibile arrivare ai reali avvenimenti interiori. Occorre però avere realmente la volontà di arrivare dai fatti esteriori ai processi interiori.

 

Oggi molta gente desidererebbe acquisire una veggenza soprasensibile, ma il cammino per arrivarvi è difficile, e quindi molti lo evitano. Di conseguenza oggi avviene spesso che, per chi è chiaroveggente, la vita esteriore si svolga del tutto separata dalla loro veggenza soprasensibile. Quando si ha questa separazione, anche lo sguardo soprasensibile perde molto del suo valore e non arriva a superare l’ambito personale. La nostra è un’epoca di passaggio, come del resto lo è ogni epoca; si tratta soltanto di vedere che cosa è che passa. Oggi si sta trasformando qualcosa d’importante, qualcosa che riguarda da vicino l’intimo dell’uomo, che ha valore per l’interiorità umana. Se si osserva con attenzione che cosa si è svolto in questi ultimi decenni nel cosiddetto ambiente colto di tutto il mondo civile, si giunge disgraziatamente, come ho già accennato, all’immagine ben triste di un’umanità in stato di sonno. Non è una critica, né un invito al pessimismo, ma un impulso per risvegliare le forze che possono render atti gli uomini a raggiungere almeno quanto, al momento, è la cosa essenziale, avere cioè una giusta comprensione per i problemi esistenti. Il nostro tempo deve superare diverse illusioni, deve arrivare alla comprensione dei problemi.

 

Non basta chiedersi che cosa individualmente si possa fare. In un certo senso domande del genere sono fuori posto per la maggior parte degli uomini, è invece importante domandarsi come sia possibile arrivare ad una comprensione della situazione attuale. Se esisterà una sufficiente comprensione, avverrà poi anche quanto è giusto. Quando esistesse una comprensione dei fenomeni, certamente si svilupperebbe anche quanto è giusto si sviluppi. Per questo è però necessario romperla con molte cose; e prima di tutto deve svilupparsi il riconoscimento che tutti gli avvenimenti esteriori null’altro sono che sintomi di un corso evolutivo interiore che ha luogo sul piano soprasensibile, nel quale non soltanto è compresa la vita storica, ma in cui siamo immessi noi tutti individualmente con tutta la nostra essenza di uomini.

 

Voglio iniziare raccontando un esempio riguardante il poeta Robert Hamerling, del quale ho spesso avuto occasione di parlare. La nostra epoca è molto orgogliosa di poter applicare la cosiddetta legge di causa ed effetto ad ogni sorta di cose, anche se appunto la sua applicazione indiscriminata faccia parte delle più funeste illusioni del presente. Chi conosce la vita di Hamerling sa quale grande importanza abbia avuto per la sua evoluzione animica la circostanza che, dopo esser stato- per poco tempo insegnante supplente in un ginnasio di Graz, egli sia stato trasferito a Trieste, donde aveva la possibilità di ottenere frequenti permessi per visitare Venezia. Considerando i dieci anni trascorsi da Hamerling nel sud, sulle rive dell’Adriatico, parte a Trieste, nel suo posto di insegnante di ginnasio, e parte in visita a Venezia, si rileva come nell’anima di Hamerling si formasse un ardente entusiasmo per tutto quanto gli offriva il sud, e come, dalle sue esperienze di allora, egli continuasse ad attingere capacità di vita dell’anima, da riversare in tutta la sua successiva opera poetica. Hamerling sarebbe stato del tutto diverso da come concretamente ci appare, se non avesse trascorso quei dieci anni a Trieste, con le sue vacanze a Venezia.

 

Immaginiamo ora che un qualsiasi professore, tipicamente Borghese, scriva una biografia di Robert Hamerling e voglia lare una risposta alla domanda: quale fu l’intima ragione per cui il poeta venne trasferito a Trieste, proprio nel giusto momento della sua vita? la ragione per cui Hamerling, privo di mezzi e quindi costretto a vivere dello stipendio che gli veniva dalla sua professione, fu trasferito a Trieste proprio al giusto momento? Voglio raccontare come i fatti esteriori si svolsero: Hamerling era dunque insegnante supplente al ginnasio di Graz, in Austria. L’aspirazione di un supplente è naturalmente quella di avere una cattedra stabile; all’uopo, in quell’epoca, era necessario ricorrere ai superiori, scrivere un mucchio di domande protocollari, allegare certificati e così via; il tutto andava presentato all’autorità immediatamente superiore che a sua volta inoltrava la pratica per via gerarchica e così via; non occorre ora perdersi nei particolari. Il direttore del ginnasio di Graz, dove Hamerling aveva la supplenza, era allora il buon Kaltenbrunner. Hamerling seppe che a Budapest c’era una cattedra disponibile in un ginnasio – allora non c’era ancora il dualismo Austria-Ungheria e si poteva quindi essere trasferiti senza difficoltà da Graz a Budapest, o da Budapest a Graz. Scrisse dunque con cura la sua domanda per la cattedra d’insegnante di ginnasio a Budapest e la diede con i certificati del caso al suo direttore Kaltenbrunner, il quale la mise in un cassetto e la dimenticò. Accadde quindi che la cattedra a Budapest venisse occupata da un altro, che Hamerling non avesse quel posto, proprio perché il bravo Kaltenbrunner aveva dimenticato d’inoltrare la domanda alle autorità superiori, impedendo quindi che essa venisse trasmessa al ministro per la decisione del caso. In breve la cattedra di Budapest andò ad un altro, e Hamerling ebbe l’opportunità di trascorrere quei dieci anni, così importanti per lui, non a Budapest, ma a Trieste, perché in questa città venne libera un’altra cattedra che fu assegnata ad Hamerling; la seconda volta infatti Kaltenbrunner non dimenticò di nuovo la domanda di Hamerling!

 

Considerando l’episodio esteriormente, la dimenticanza di Kaltenbrunner è quindi la causa del più importante avvenimento nella formazione di Hamerling, che altrimenti sarebbe inacidito a Budapest. Con questo non si vuol dire nulla contro Budapest, si capisce, ma in quella città Hamerling non avrebbe certo trovato quanto era invece particolarmente adatto al suo cuore e alla sua anima. Un biografo giusto e veritiero dovrebbe quindi raccontare come avvenne che Hamerling fosse trasferito da Graz a Trieste in conseguenza del fatto che Kaltenbrunner aveva semplicemente dimenticato la sua domanda per la cattedra di Budapest.

 

Questo è un caso evidente, ma come questo ve ne sono innumerevoli nella vita. Volendo controllare la vita soltanto seguendo il filo degli avvenimenti esteriori, si troverà che, anche se si pensa di poter riscontrare dei rapporti fra causa ed effetto, sarà difficile trovare una causa che, per i suoi effetti, abbia avuto, con l’evoluzione spirituale di Robert Hamerling, un rapporto più profondo che la dimenticanza del buon Kaltenbrunner. È soltanto un’osservazione per far rilevare che realmente è strettamente necessario che le anime umane si convincano che il corso della vita esteriore è da considerare soltanto come un sintomo di manifestazioni interiori.

 

Ho già detto in queste conferenze che gli anni dal 1840 al 1880 furono anni critici per la borghesia, anni da essa perduti, ai quali seguirono poi decenni infausti, tali da portare alla situazione attuale. Io trascorsi in Austria i primi di quei decenni. Nell’ultimo terzo del secolo scorso, volendo partecipare alla vita spirituale austriaca, ci si trovava in una situazione particolare, t per me naturale illustrare il fenomeno dal punto di vista di un giovane di discendenza tedesca, cresciuto in mezzo alla vita austriaca. In territorio austriaco ci si sentiva tedeschi in modo del tutto diverso da come può avvenire ad un tedesco della Germania vera e propria, oppure anche ad uno svizzero tedesco. Naturalmente nel corso della vita si deve cercare di comprendere tutto, e ci si può anche arrivare, ci si può immedesimare in ogni cosa; ma se ci si chiede come un tedesco austriaco senta la struttura sociale nella quale egli vive, se per esempio ci si chiede se egli possa aver comprensione per la caratteristica coscienza statale esistente in Isvizzera, senza che egli prima se l’appropri, non si potrebbe rispondere che negandolo in modo assoluto. Il tedesco austriaco cresceva in un ambiente che assolutamente gli rendeva incomprensibile quella specie d’inflessibile coscienza statale comune per esempio agli Svizzeri, a meno che non si forzasse artificialmente di arrivarvi. Il tedesco austriaco non poteva avere la minima comprensione per quella coscienza statale, a meno che non volesse acquisirla artificialmente. Di solito non si tien quasi conto di queste differenziazioni esistenti fra gli uomini. Occorre invece badarvi se si vuol giungere ad una comprensione dei difficili problemi che attendono l’umanità nel prossimo futuro, anzi già oggi, proprio a questo proposito. Ho sempre considerato in un certo senso sintomatico aver trascorso proprio gli anni della mia formazione in un ambiente le cui cose più significative, in sostanza, non mi riguardavano per nulla. Era per me indicativo che proprio le cose più significative non mi dicessero nulla, né oggi ne parlerei se ciò non costituisse l’esperienza caratteristica di un tedesco austriaco. Certo ognuno attraversa le sue esperienze individuali, ma io posso dire che in un certo senso ho attraversato le esperienze caratteristiche di un tedesco austriaco: per esempio dai nove ai diciotto anni dovevo attraversare due volte al giorno il confine, segnato dal fiume Leitha, fra l’Austria e l’Ungheria; vivevo infatti in Ungheria, a Neudòrfl, ma andavo a scuola in Austria, a Wiener-Neustadt. Ci voleva un’ora a piedi oppure un quarto d’ora col treno — su quella linea non esistevano diretti, e credo che non ve ne siano neppure oggi — ogni giorno comunque occorreva passare il confine austro-ungarico. Si conoscevano così i due aspetti, le due metà, che costituivano il complesso chiamato all’estero col nome di Austria. All’interno allora la suddivisione non era semplice come adesso; naturalmente ora è diverso, anche se non si può dire più semplice, perché realmente non sarà mai semplice. Sino ad ora, nello stato austriaco, venivano distinte due parti, due metà: una parte non si chiamava ufficialmente Austria, ma invece « regni e paesi rappresentati nel Consiglio imperiale »; era la denominazione ufficiale per la parte al di qua del Leitha, comprendente Galizia, Boemia, Slesia, Moravia, Austria inferiore e superiore, Salisburgo, Tirolo, Stiria, Carnia, Carinzia, Istria e Dalmazia. La seconda parte era costituita dalle regioni della corona di Santo Stefano, vale a dire dal territorio all’estero chiamato Ungheria, e di cui facevano parte anche la Croazia e la Slavonia. Da circa il 1880 esisteva anche un altro territorio, la Bosnia-Erzegovina, sino al 1908 soltanto occupato, ed in seguito annesso, comune alle due metà originarie.

 

Nella zona in cui abitavo, le cose più notevoli erano soltanto quelle che in quegli anni, fra i nove e i diciotto, proprio non mi riguardavano. La prima che incontravo, infatti, era il castello di Frohsdorf nel quale viveva il conte di Chambord, della famiglia dei Borboni, che, nel 1871, aveva tentato, senza riuscirvi, di diventare re di Francia col nome di Enrico V. Costui aveva pure altre caratteristiche, era per esempio un clericale assoluto. Comunque, si poteva osservare in lui, e in tutto quanto lo circondava, un mondo in decadenza; per così dire, si sperimentavano tutti i sintomi di un mondo in decadenza. Si intravvedeva parecchio di quel castello, ma non si aveva l’impressione che riguardasse l’osservatore; si aveva l’impressione che quelle cose, un tempo considerate molto importanti dal mondo, ancor oggi considerate importanti da molti, in sostanza fossero bagattelle, assolutamente niente di speciale.

 

Il secondo incontro notevole era con un convento di gesuiti, un vero e proprio convento di gesuiti; anche se i monaci si chiamavano liguoriani, che sono una derivazione dei gesuiti. Il convento era nelle vicinanze di Frohsdorf, e si vedevano i tuonaci passeggiare, si sentiva dire delle loro intenzioni e delle varie questioni che li riguardavano, ma tutto questo non interessava gran che. Si aveva di nuovo l’impressione che anche tutto quel mondo non avesse nulla a che fare con l’evoluzione dell’umanità, col suo divenire. Quei monaci neri davano l’impressione di essere del tutto al di fuori delle forze reali che avviano l’umanità verso il suo avvenire.

 

La terza cosa di rilievo, nel luogo dove abitavo, era una loggia massonica, contro la quale il parroco sempre tuonava e che pure non m’interessava; oltre tutto l’ingresso ne era vietato. Una volta sola, in gran segreto, il guardiano mi permise di entrare a guardare; la domenica successiva udii di nuovo II parroco tenere una predica furibonda a quel proposito. In breve, nemmeno ciò mi riguardava.

 

Quando divenni più cosciente, ero ben preparato a lasciar agire su di me le cose con le quali in sostanza nulla avevo in comune. Nel corso del mio sviluppo — che poi mi spinse al goetheanismo, così come io lo intendo — considero molto importante, ed anche ben disposto dal mio karma, che, mentre ben presto ebbi un intimo interesse per il mondo spirituale, tanto da poter vivere in quel mondo in giovanissima età, le mie condizioni esteriori non mi portassero a frequentare le scuole classiche. Ebbi in seguito l’opportunità di studiare da solo quanto di solito si apprende in ginnasio e in liceo. Allora, in Austria, gli studi classici non erano cattivi. Soltanto dopo il 1870 quegli studi divennero sempre peggiori, ed ora essi si avvicinano in maniera preoccupante al livello degli studi di altri stati confinanti, ma allora non erano particolarmente cattivi. Oggi comunque non potrei rallegrarmi se allora fossi stato mandato al ginnasio-liceo di Wiener-Neustadt. Frequentai invece la scuola tecnica, ed ebbi così occasione di entrare in quanto poteva preparare al pensiero moderno, ad avere un intimo rapporto con Patteggiamento scientifico. Era possibile procedere accompagnati sempre da quell’atteggiamento scientifico perché i migliori insegnanti delle scuole tecniche austriache, allora organizzate veramente nel senso più moderno della parola, erano proprio quelli, sia pur pochi, che avevano un più stretto legame col ‘pensiero scientifico moderno. Da noi a Wiener-Neustadt, per altro, non era in tutto e per tutto così. Per esempio, nelle prime classi — e nelle scuole tecniche austriache l’insegnamento di religione era impartito soltanto nelle prime quattro classi — avevo un insegnante di religione, un uomo molto alla buona, che assolutamente non era adatto ad educarci in senso bigotto. Era un prete cattolico, e che non fosse adatto a fare di noi dei bigotti risultava già chiaro dal fatto che, ogni giorno, tre bambini venivano a prenderlo a scuola, e di essi tutti dicevano che fossero suoi figli. Ancor oggi però apprezzo straordinariamente quell’uomo per tutto quanto egli diceva in classe, al di fuori del vero e proprio insegnamento di religione che egli impartiva chiamandoci fuori e facendoci leggere un paio di pagine, che poi dovevamo studiare a casa e ripetere per prendere un bel voto; col logico risultato di non averne capito il contenuto. Al di fuori dell’insegnamento invece trovava spesso una parola bella e risvegliatrice, comunque sempre cordiale e gentile. In quella scuola avevamo i più diversi tipi d’insegnanti. Tutto ciò è sintomatico. Per esempio c’erano due carmelitani, uno per il francese e l’altro per l’inglese. Specialmente quest’ultimo era del tutto digiuno appunto in inglese, o almeno non sapeva dire una frase corretta. Per la storia naturale avevamo un professore che davvero non capiva nulla né di Dio né del mondo. Di contro avevamo insegnanti eccellenti per la matematica, la fisica, la chimica e soprattutto per la geometria descrittiva. Proprio questo permetteva di essere compenetrati da un intimo pensiero scientifico.

 

In questo modo mi veniva fornito l’elemento essenziale, l’impulso che collega sostanzialmente con l’anelito dell’umanità attuale verso l’avvenire. Dopo aver frequentato quel tipo di studi ed essendo ben desti, giunti all’università e alla vita accademica, si era spinti ad interessarsi alla vita pubblica e a quello che vi si svolgeva.

 

Realmente un tedesco austriaco sperimenta in modo del tutto diverso la conoscenza dello spirito tedesco da quanto avviene invece per un tedesco della Germania. Per esempio In Austria si arrivava ad avere un certo interesse esteriore per gli affari pubblici dello Stato, ma non si poteva avere con essi un intimo rapporto, specialmente se si aveva interesse per l’evoluzione dell’umanità. Come accadde anche a me, era Invece facile essere indirizzati verso quanto aveva preso forma nel mondo culturale germanico, fra la fine del secolo XVIII e l’inizio del XIX, quanto cioè vorrei condensare nell’espressione di « goetheanismo ». Si arriva però a ciò in modo diverso cc si è tedeschi austriaci o tedeschi della Germania. Né bisogna dimenticare che se, con un’educazione moderna, si viene allevati verso la scienza naturale, ci si eleva in pari tempo da una certa atmosfera non naturale, che è andata diffondendosi negli ultimi tempi, in tutta l’Austria. Si resta cioè al di fuori da ciò che, in un modo esteriore, ha fatto presa sugli austriaci occidentali, senza però afferrarli nel loro intimo; parlo degli austriaci che, in gran parte, e me escluso naturalmente, sono persone simpaticissime. Mi riferisco al cattolicesimo clericale che, nella forma esistente in Austria, è in sostanza un prodotto della cosiddetta Controriforma, un prodotto della politica che si può denominare soltanto come la politica di potenza della Casa degli Asburgo. Le idee e gli impulsi protestanti si erano certo abbastanza diffusi anche in Austria, ma la guerra dei trent’anni e le sue conseguenze hanno reso possibile agli Asburgo di favorire la Controriforma e di diffondere fra la popolazione tedesca dell’Austria, del resto molto intelligente – di nuovo non parlo per me – quelle profonde tenebre che di necessità si diffondono quando si divulga il cattolicesimo, nel modo in cui esso si stabilizzò dopo la Controriforma. Da ciò deriva che gli uomini pervengono ad un rapporto terribilmente esteriore verso tutto il fenomeno religioso. Riesce a sottrarvisi soltanto chi diventa cosciente dell’instaurarsi di quel rapporto esteriore verso la religione.

 

Chi invece non ci arriva, chi crede che la sua fede e la sua religiosità siano sincere e leali, vive, senza rendersene conto, in un’incresciosa illusione, o peggio ancora in una tremenda menzogna; tremenda, perché quella menzogna distrugge la sua intima vita animica.

 

Certo, con impulsi scientifici non si arriva a comprendere i! terribile pasticcio psichico che penetra nelle anime, ma si può sempre notare come, da quello stato, riuscissero a svincolarsi e ad evolversi singole individualità; individualità che poi s’inserirono nel fiorire della vita spirituale europea alla fine del secolo XVIII e all’inizio del XIX; individualità che riconobbero quanto era penetrato negli uomini moderni attraverso Lessing, Herder, Goethe, il romanticismo tedesco, eccetera, quanto cioè può esser indicato nel suo complesso come goetheanismo.

 

In quei decenni, per l’austriaco tedesco che aspirava alla spiritualità, era importante poter avere, al di sopra delle frontiere, una viva esperienza di Goethe, Schiller, Lessing, Herder, eccetera, un’esperienza però staccata dalla comunità nazionale nella quale quei grandi erano vissuti, e averla in un ambiente estraneo. Tutto il rimanente restava estraneo e si riceveva soltanto, singolarmente, quanto aveva dato quella corrente. Intorno a se stessi, invece, restavano quelle cose per le quali non si aveva interesse alcuno.

 

Si viveva quindi con qualcosa che, a poco a poco, si sentiva come parte del proprio essere, separato dal suo terreno d’origine e che veniva portato in una comunità contenente invece altre cose per le quali non si aveva interesse. In quei tempi era un’anomalia aver in testa idee goethiane, e si vedeva invece la gente entusiasmarsi per cose come il libro scritto dall’ allora principe ereditario austriaco Rodolfo, o meglio scritto dai suoi cortigiani: L’Austria in parole e in immagini; cito questo libro, ma avrei potuto scegliere anche altre cose; quell’entusiasmo era comunque eccessivo e non mostrava alcuna sincerità o lealtà – per cose del genere, infatti, non si aveva interesse alcuno. Si faceva parte esteriormente di quel mondo, ma non si aveva interesse alcuno per tali cose, mentre invece si portava nell’anima quanto realmente si era formato nella cultura medio-europea e che io vorrei chiamare goetheanismo, nella più vasta accezione del termine.

 

Includendo in questa corrente tutto quanto si riconnette ai nomi di Schiller, Lessing, Herder e anche ai filosofi tedeschi, si può dire che il goetheanismo è stranamente isolato nel mondo di oggi, che si trova in un isolamento straordinariamente indicativo per tutta l’evoluzione dell’umanità moderna. È un isolamento che spinge un poco a riflettere chi desideri avvicinarsi seriamente al goetheanismo.

 

Ripensando al passato è lecito chiedersi : che cosa in realtà è stato portato nel mondo da Lessing fino ai romantici, passando per Goethe, fino circa alla metà del secolo XIX? e in che rapporto si trova quanto così è stato portato nel mondo con l’evoluzione storica precedente? Non si può negare che il sorgere del movimento evangelico dal seno del cattolicesimo sia in stretto rapporto con l’evoluzione storica dell’Europa centrale. Vediamo quindi che nell’Europa centrale, per esempio in Germania — ho già parlato degli stessi fenomeni per quel che riguarda l’Austria — si è conservato quell’impulso universale proveniente dal cattolicesimo romano, quell’impulso che tiene prigioniere tante anime, intimamente in Germania ed esteriormente in Austria, come ho prima accennato. Esiste infatti una grande differenza fra un cattolico austriaco ed anche solo uno bavarese, se si vogliono realmente precisare le differenze. Molto permane di quanto è avvenuto nel corso dei secoli. Nella civiltà cattolica si è poi inserita quella evangelica, gli impulsi per esempio di un Lutero, che in Isvizzera hanno assunto la forma dello zwinglianesimo e del calvinismo, e così via. Ora, molti tedeschi, specialmente entro i confini della Germania vera e propria, appartengono al luteranesimo. Se però ci si chiede che rapporto intercorre fra il goetheanismo e il luteranesimo, si arriva alla strana conclusione che in realtà fra di essi non esiste rapporto di sorta. Certamente Goethe si è esteriormente interessato di Lutero, come esteriormente si è anche interessato del cattolicesimo. Ma se s’indagano gli intimi fermenti dell’anima di Goethe, si vede che lungo tutta la sua evoluzione nulla gli fu più indifferente che essere protestante o cattolico. Come si è detto, tutto ciò era presente nel suo ambiente, ma non lo riguardava per nulla. A questo esempio se ne può aggiungere un altro: Herder era pastore protestante, fu persino Soprintendente a Weimar, e in queste sue qualità era esteriormente legato a Lutero e sapeva molto su di lui, ma chi legge i suoi scritti può dire anche di lui che la sua formazione e il sua pensiero non avevano il minimo rapporto col luteranesimo, malgrado egli si fosse formato in quell’ambiente. Tutto quanto rientra nel goetheanismo — e v’includo pure quanto ora ho accennato — resta quindi un fenomeno del tutto isolato anche da questo punto di vista. Se poi s’indaga sulla natura e sull’essenza di questa corrente isolata, si giunge alla conclusione che essa si è formata, direi quasi cristallizzata, per effetto di tutti i più svariati impulsi della quinta epoca di civiltà postatlantica. Lutero non ebbe alcuna influenza su Goethe, sul quale invece grandemente influirono le tre personalità di Linneo, Spinoza e Shakespeare. Se ci si pone il problema degli influssi subiti da Goethe, come egli stesso ebbe occasione di indicare: si vede appunto che quelle tre personalità influirono al massimo sulla evoluzione della sua anima.

 

Il goetheanismo è quindi un fenomeno isolato, ed è questa la ragione per la quale esso non era destinato a diventare veramente popolare. Infatti le vecchie concezioni rimangono, e nella vasta massa del pubblico non si fa neppure il tentativo di rendere in qualche modo accessibili le idee di Lessing, di Schiller o di Goethe, per non parlare dei loro sentimenti e delle loro sensazioni. Continuano invece a sopravvivere come concezioni antidiluviane, da un lato l’antiquato cattolicesimo e dall’altro I’ altrettanto antiquato luteranesimo.

 

È certo un fenomeno caratteristico e significativo che il lavoro spirituale compiuto da uomini appartenenti a quella corrente culturale della quale un Goethe faceva parte, dalla quale è orto un Goethe, è caratteristico, ripeto, che quel lavoro spirituale possa esser in rapporto con le prediche fatte dal pulito da pastori protestanti. Fra questi ve ne sono certamente alcuni aperti verso una moderna concezione, ma questo non aiuta nelle loro prediche. Il nutrimento spirituale oggi offerto in quelle sedi è invero tale da esser considerato antidiluviano, da non aver il minimo rapporto con quanto è richiesto dai tempi, con quanto potrebbe dare nuovo vigore alla nostra epoca. Ma ciò è senza dubbio in rapporto con un altro aspetto della vita culturale del nostro tempo, e cioè col fatto che, per una gran parte dell’umanità attuale, la vita spirituale si svolge del tutto al di fuori della realtà. La più importante caratteristica della moderna mentalità borghese è appunto che la vita culturale e spirituale della borghesia, e tutto il suo parlare, restano al di fuori della realtà. Di conseguenza diventano possibili soltanto fenomeni, cui abitualmente non si fa caso, ma che risultano invece molto indicativi quali sintomi caratteristici.

 

Per esempio nella corrente letteratura dei fautori di guerra degli ultimi decenni, si trova continuamente citato Kant. Nelle ultime settimane numerosi fra i meschini scrittori di guerra si sono trasformati in meschini scrittori di pace, perché dalla guerra si sta passando alla pace. Non è ora questo l’importante, ma essenziale è invece che tutti costoro sono rimasti meschini, perché certamente uno Stresemann di oggi è lo stesso Stresemann di sei settimane fa. Oggi è nuovamente di moda citare Kant come l’uomo dei fautori della pace, ma questo è fuori della realtà. La gente non ha rapporto alcuno con quanto essa sostiene essere un nutrimento spirituale.

 

Tali sono i fenomeni più caratteristici del tempo presente, e appunto per questo si è verificato il fatto notevole che una poderosa corrente spirituale, iniziata col goetheanismo, sia in fondo rimasta del tutto incompresa. Questo è il dolore che può angustiarci oggi, di fronte ai catastrofici avvenimenti del presente, se ci chiediamo che cosa potrà accadere di quella corrente, senza dubbio una delle più importanti del quinto periodo di civiltà, e quale potrà essere il suo avvenire nella presente situazione generale del mondo.

 

In risposta si può dire che ha già una certa importanza il decidersi a chiamare « Goetheanum » quanto vuol essere in relazione proprio con i più importanti impulsi della quinta epoca di civiltà postatlantica, e questo indipendentemente da che cosa l’avvenire riserverà all’istituzione del Goetheanum. Non si tratta infatti che essa porti il nome di Goetheanum per un certo numero di anni, ma che sia esistito il pensiero di usare il nome di Goetheanum proprio in questi tempi difficilissimi.

 

Appunto per le ragioni indicate, il goetheanismo, nel suo isolamento, può diventare, in un certo senso, qualcosa di speciale, e potè anzi diventarlo per chi visse in Austria negli anni ricordati prima, quando tante cose erano estranee. Se allora II goetheanismo fosse stato preso in considerazione, non saremmo arrivati al punto attuale e non sarebbero intervenuti gli attuali avvenimenti catastrofici.

 

Si potrebbe dire che questa, e molte altre cose, avrebbero reso adatta l’Austria tedesca, sia pure attraverso alcune singole personalità, perché la gran massa è sottoposta alla tremenda pressione del cattolicesimo della Controriforma, ad unire intimamente il goetheanismo con la sua anima. Ho spesso ricordato di aver io stesso conosciuto in Karl Julius Schròer un austriaco, una persona attiva in Austria, della quale è possibile dire che in ogni settore della sua attività viveva l’impulso goethiano, che ogni sua azione era basata su tale impulso. La storia dirà un giorno che cosa abbiano pensato persone come Karl Julius Schròer a proposito delle necessità politiche austriache nella seconda metà del secolo XIX; certo che costoro non hanno trovato orecchie disposte ad ascoltare, mentre, in un certo senso, essi sapevano come sarebbe stato possibile evitare la situazione di oggi, appunto intervenuta perché essi non hanno trovato orecchie disposte ad ascoltarli.

 

Arrivando poi in Germania, chi era cresciuto vivendo in continua comunione con Goethe, aveva subito l’impressione di non trovare in nessun luogo un cuore che fosse aperto appunto di fronte a tale comunione con Goethe. Io giunsi a Weimar alla fine del 1889, dopo la pubblicazione dei miei primi lavori di una certa importanza su Goethe; anche recente-ente ho raccontato i lati buoni di Weimar, ma devo dire che vai ben poca comprensione, poca vera cordiale comprensione, per quanto io portavo nell’anima per Goethe, appunto perché si riferiva alla sua spiritualità. Vi è una tutt’altra vita nell’esteriore, ed anche nell’interiore di ciò che è esteriore – o, se si preferisce, nell’esteriore di ciò che è interiore vi è una tutt’altra vita, dicevo, da ciò che sta veramente in relazione con gli impulsi di Goethe. Questi impulsi sono in fondo completamente sconosciuti in tutte le cerchie, specialmente e totalmente sconosciuti ai professori di storia della letteratura che tengono conferenze nelle università su Goethe, Lessing, Herder ed altri, sconosciuti a tutti i pedanti scrittori che hanno sulla coscienza le orrende biografie goethiane che si trovano nella letteratura tedesca. Riuscii soltanto a consolarmi delle cose spaventose che erano state scritte e stampate su Goethe, grazie alle pubblicazioni di Schròer e al bel libro di Herman Grimm, capitatomi molto presto fra le mani. Ma per esempio Herman Grimm non viene preso sul serio nel mondo accademico perché si dice egli sia un dilettante nel campo della vita culturale e non un serio ricercatore.

 

Nessun dotto professore d’università si è mai imposto di prender sul serio Karl Julius Schròer, considerato sempre e soltanto un uomo di poco valore; e potrei anche parlare di questo tema nel modo più variato. Non bisogna infatti dimenticare che nel mondo letterario, con tutte le sue diverse ramificazioni, e comprendo fra di esse – col dovuto rispetto – anche quella giornalistica, s’infiltra la borghesia, quella sempre più ottusa degli ultimi decenni, quella più retriva e sonnecchiante, quella che, anche quando coltiva una vita culturale e spirituale, non ha alcuna comprensione per il vero contenuto di essa. Da simili premesse non si può certo arrivare al goetheanismo, perché Goethe, nel senso migliore e più vero della parola, è lo spirito più moderno della quinta epoca di civiltà postatlantica. Si pensi soltanto alle speciali caratteristiche di Goethe.

 

La prima caratteristica è che la sua complessiva concezione del mondo, che può essere elevata ad altezze spirituali ancor maggiori di quanto non abbia fatto Goethe medesimo, basata su di un solido terreno scientifico. Oggi non può esistere una solida concezione del mondo se non è basata sulla scienza naturale. Per questa ragione vi sono tanti elementi scientifici nel libro col quale, nel 1897, terminai i miei studi di allora su Goethe, libro riapparso ora in nuova edizione, per ragioni analoghe a quelle per cui è stata ristampata anche la Filosofia della libertà. La critica conformista – perché allora i miei libri venivano ancora recensiti – ha detto che il titolo più appropriato sarebbe stato « La concezione goethiana della natura » invece che La concezione goethiana del mondo. Certamente, che la concezione goethiana del mondo possa esser esposta solo in modo che venga mostrata la solida base della sua concezione della natura, non veniva afferrato da chi stimava di essere uno studioso di Goethe, o dai cultori di storia della letteratura, o dai filosofi, o simili.

 

Una seconda caratteristica di Goethe, che di nuovo lo qualifica come lo spirito più moderno del quinto periodo di civiltà postatlantica, è che nel suo atteggiamento animico si forma quel tipico interiore cammino spirituale che conduce, da una concezione intuitiva della natura, all’arte. Nel campo degli studi goethiani, uno dei più interessanti problemi è quello di seguire entro l’anima di Goethe il rapporto fra concezione della natura e attività artistica, fra creazione artistica e fantasia artistica. Studiando il tipico e caratteristico cammino di Goethe, sempre svolgentesi nella sua interiorità, sia quando considera la natura artisticamente, ma non per questo meno realisticamente, sia quando è lui stesso attivo artisticamente, in modo da sentire nella sua arte, secondo le sue stesse parole, la continuazione della divina creazione naturale su di un piano più elevato, studiando questo suo cammino, si giungono a formulare non centinaia, ma migliaia di domande, non pedanti e teoriche, ma tutte piene di vita.

 

Una terza caratteristica della concezione goethiana del mondo è il suo modo di rappresentarsi l’uomo, di porlo nel complesso dell’universo in modo da vedere in lui la risultante, il frutto dell’intero restante cosmo; Goethe si preoccupa sempre di non considerare l’uomo isolato, ma di vedere come, in un certo senso, attraverso di lui agisca tutta la spiritualità che sta alla base della natura, come l’uomo, con la sua anima, offra la scena in cui lo spirito stesso della natura possa contemplarsi. Seguendo in concreto questi concetti, ora esposti in astratto, si trova che moltissime cose vi si riallacciano, vale a dire che in sostanza questa è proprio la solida base sulla quale è possibile costruire quanto oggi può condurre alle più alte concezioni soprasensibili e spirituali. Quando oggi si fa presente che il mondo ha mancato l’opportunità di occuparsi di Goethe – e l’ha invero mancata – quando si rileva che il mondo non è riuscito a raggiungere un qualsiasi rapporto col goetheanismo, non si vuole biasimare o criticare il mondo, ma si cerca d’invitarlo a trovare il giusto rapporto col goetheanismo. Continuare il goetheanismo significa però entrare nella scienza dello spirito, orientata antroposoficamente; senza di essa il mondo non uscirà dalla catastrofica situazione odierna. In un certo senso, il modo migliore per avvicinarsi alla scienza dello spirito è proprio quello di cominciare da Goethe.

 

Tutto ciò è anche in relazione con qualcosa d’altro. Ho già fatto notare che la diffusa vita spirituale, sviluppatasi intorno ai pulpiti, per molti uomini diventa alla lunga una menzogna della quale essi non sono affatto coscienti; ho già fatto notare che tutto ciò è antidiluviano. Altrettanto antidiluviana è in sostanza anche l’erudizione universitaria di tutte le facoltà, il che diventa un’anomalia storica proprio nel campo dove, lì accanto, si trova il goetheanismo. Perché infatti un’altra caratteristica della personalità di Goethe è la sua grandiosa universalità, talmente vasta che egli, nei più diversi campi, potè soltanto gettare dei semi che però possono venir sviluppati e che, se lo saranno, mostreranno di essere qualcosa di grande, di contenere i germi di qualcosa di poderoso e moderno; l’umanità però non ne vuoi sapere.

 

Di fronte a tutto ciò sta invece la moderna cultura universitaria, con la sua struttura e il suo atteggiamento antidiluviani. La moderna struttura universitaria è antiquata, se pure a volte accoglie qualche nuova scoperta. Accanto si trova invece il goetheanismo, vera vita spirituale, che passa inosservata. In un certo senso Goethe è la universitas litterarum, un’università segreta, mentre il principe usurpatore nel campo della Vita spirituale è proprio la formazione universitaria dei nostri tempi. Tutti i fenomeni che sperimentiamo e che hanno portato all’attuale catastrofe mondiale sono in definitiva il risultato esteriore di quanto vien insegnato nelle università. Oggi li uomini parlano intorno alla politica, discutono di una o dell’altra personalità, disquisiscono sul socialismo e sui lati buoni o cattivi dell’arte, parlano di bolscevismo, temono anche he sorga questa o quella cosa, osservano che una persona – o l’altra occupa questo o quel posto, si trovano persino uomini che sei settimane fa dicevano il contrario di quanto so-tengono ora… tutte queste cose avvengono. Da dove proviene tutto ciò? Indubbiamente, dai luoghi di educazione del nostro tempo. In sostanza tutto il resto sono chiacchiere del tutto secondarie, che però non hanno permesso di vedere che oggi occorre usare l’ascia alla radice stessa della cosiddetta educazione moderna. A che può servire elaborare qui o là qualche bella idea cosiddetta intelligente, se non si vede dove veramente va praticato il colpo d’ascia?

 

Ho accennato poco fa che alcune cose non mi riguardavano personalmente; posso aggiungerne un’altra. Quando passi dalla scuola tecnica all’università, ascoltai diverse lezioni e mi iscrissi a diversi corsi: ma erano tutte cose delle quali avevo l’impressione che non mi riguardassero perché in nessun luogo sentivo l’impulso realmente connesso all’evoluzione della nostra epoca. Mi si perdonerà — ho anzi raccontato l’altro giorno come io sia stato sempre messo da parte — se affermo di aver sempre avuto soprattutto una grande simpatia per quell’università ch’è il goetheanismo stesso, per il fatto che, in fondo, anche Goethe, mentre frequentava i suoi corsi universitari, studiò cose che in realtà non lo riguardavano. Goethe si occupava pochissimo di quanto poteva ascoltare a Lipsia, presso l’università dell’allora regno di Sassonia; anche in seguito, a Strasburgo, si occupava pochissimo di quanto là poteva udire. Malgrado questo, anche le cose più artistiche nell’arte di Goethe sono radicate sul solido terreno di una rigidissima concezione della natura. Goethe si è immedesimato nei più moderni impulsi, anche nel campo della conoscenza, al di fuori e contro tutto il mondo universitario. Parlando di goetheanismo, tutto ciò non dev’esser dimenticato. Questo è quanto, coi miei studi su Goethe e anche col mio libro La concezione goethiana del mondo, avrei voluto portare a coscienza degli uomini, per far loro comprendere il vero Goethe. Disgraziatamente i tempi non erano maturi, ed in gran parte mancò quasi del tutto la risonanza nel pubblico per una comprensione. Ho già detto recentemente che esistevano delle disposizioni per una comprensione: esse si trovavano a Weimar, dove il terreno poteva considerarsi preparato. Ma su quella base non si costruì nulla di giusto, e quelli che vi furono preposti eliminarono gli altri che avrebbero potuto restare su quel terreno. Se la nostra epoca fosse un poco compenetrata di goetheanismo, essa accoglierebbe con impazienza la scienza dello spirito, perché il goetheanismo prepara il terreno per l’accoglimento della scienza dello spirito. A sua volta il goetheanismo diventerebbe il metodo per un vero risanamento dell’umanità del presente. Davvero non si può considerare superficialmente la vita del nostro tempo.

 

Quando ieri tenni una conferenza a Basilea, non potei trattenermi dal pensare che quanto oggi sarebbe da dire in proposito dovrebbe essere ammesso da ogni scienziato onesto, soltanto che egli volesse impegnarsi nel problema. Il che risulta impedito non da ragioni logiche, ma dalla brutalità che, in tutti i settori del mondo civile, ha condotto alla catastrofe attuale. Profondamente simbolico resta naturalmente il fatto che esista una società goethiana che, qualche anno fa, nulla trovò di meglio che eleggersi a presidente un ex-ministro delle finanze senza altre occupazioni; questo resta un sintomo del fatto che gli uomini rimangono estranei a quanto essi credono di onorare. Quel ministro delle finanze, del quale le ho pure detto che fors’anche sintomaticamente porta il nome di «Kreuzwendedich», crede senz’altro alla menzogna in cui vive, crede di onorare Goethe, anche perché, sulla base della cultura attuale, egli non può neppure avere un’idea della distanza astronomica che passa fra questo presidente della società goethiana e le cose più elementari del goetheanismo.

 

Naturalmente la nostra epoca non era adatta a facilitare in un modo qualsiasi la comprensione del goetheanismo. Certo è comunque che il goetheanismo non è nazionale, non è tedesco; come ho già detto, esso si è nutrito di Spinoza, di Shakespeare, di Linneo, e nessuno dei tre era tedesco. Goethe stesso disse che quei tre spiriti influirono su di lui più di qualsiasi altro, e certamente in questo egli non si sbagliava. Chi conosce Goethe sa d’altronde quanto sia giustificata questa sua affermazione. Goethe comunque è esistito, e il goetheanismo è potuto sorgere; quest’ultimo potrebbe agire in ogni campo del pensiero umano, nella vita religiosa, in ogni ramo della scienza, potrebbe agire sugli organismi sociali della convivenza umana, e anche nella vita politica; il goetheanismo potrebbe agire dappertutto. Oggi invece il mondo ascolta dei chiacchieroni, come Eucken o Bergson, o altri simili, come ve ne sono nei più diversi campi; e neppure accenno a un qualsiasi chiacchierone politico, perché in questo settore l’aggettivo è oggi divenuto quasi identico al sostantivo.

 

Di fronte all’estraneità fra la vita culturale odierna e la realtà, quanto si è voluto fare è una protesta vivente, qualcosa che in avvenire verrà molto odiato e il cui stesso completamento risulta molto problematico, specialmente al momento attuale. Questa protesta non può meglio esprimersi se non dicendo che quanto si è voluto fare è appunto un Goetheanum. Parlare ora di Goetheanum, significa, in un certo modo, riconoscere le più importanti caratteristiche e le più importanti esigenze del nostro tempo. Si è per lo meno voluto che questo Goetheanum sorgesse proprio in mezzo alla meschinità attuale, voglio dire in mezzo al mondo civile di oggi; esso si erge al di sopra del cosiddetto mondo civile di oggi.

 

Naturalmente, se dipendesse dalle inclinazioni dei nostri contemporanei, sarebbe stato più saggio chiamarlo «Wilsonianum», perché questa è, in realtà, la bandiera del momento, e ad essa il mondo vuole oggi inchinarsi, ad essa probabilmente si piegherà.

 

A molti potrà sembrare strano se oggi si dice che la sola salvezza contro il wilsonismo è il goetheanismo; certo si farà avanti qualcuno, di quelli che la sanno lunga, per affermare che chi asserisce ciò è un ideologo. Ma in realtà chi fa un’affermazione simile, chi sentenzia che io sia un uomo fuori della realtà? Sono gli uomini pratici del mondo, quelli che hanno portato il mondo alla sua attuale organizzazione, quelli che hanno creato l’odierna organizzazione del mondo; gli stessi che sempre si sono creduti particolarmente pratici e che naturalmente si ribellano contro tutto quanto deve venir detto partendo proprio dalla più profonda realtà, coloro che s’impennano quando si afferma che il mondo si ammalerà con il wilsonismo, che il mondo avrà bisogno di un rimedio in tutti i campi della vita e che tale medicina sarà appunto il goetheanismo.

 

Questo è dunque quanto io potei personalmente intraprendere, come tentativo, per servire in realtà l’epoca attuale nel settore che mi era vicino, forse più in grazia delle condizioni in cui mi trovavo che non per mia propria inclinazione. Se ora considero quanto unisce me e i miei diversi libri agli impulsi della nostra epoca, credo davvero che quei libri la servano realmente nei più svariati settori. Essi mi hanno anche insegnato quanto sia stato fatto e intrapreso negli ultimi decenni proprio contro lo spirito del nostro tempo. Nella loro brutalità gli uomini possono anche credere di realizzare con la forza qualche cosa, ma in realtà nulla può essere realizzato in contrasto con gli impulsi del tempo. Si potrà magari evitare l’attuazione di alcune cose volute dai tempi, ma esse troveranno alla lunga la loro strada, sia pure sotto tutt’altro nome e in tutt’altre condizioni. Io credo davvero che quei miei libri, accanto ad altre loro caratteristiche, abbiano anche quella di mostrare come sia possibile servire il proprio tempo partendo proprio dall’osservazione di esso. Si può servire la propria epoca in tutti i modi, anche con un’attività infima, elementare; basta soltanto avere il coraggio di passare al goetheanismo che, a sua volta, si pone come Universitas liberarum scientiarum, accanto alle altre università antidiluviane, oggi da tutti idolatrate, ed in primo luogo dai socialisti più accesi.

 

Potrebbe facilmente sembrare che quanto ho detto abbia carattere personale, e per questo io esito sempre a parlarne. Trattando questo argomento, sono naturalmente esposto alla facile obiezione che io gridi contro le università perché non sono riuscito a diventare professore universitario. Ora, chi stima necessario far rilevare che quelli che parlano di un qualsiasi argomento da un punto di vista politico, scientifico, economico, religioso o anche di altra natura non mettono a fuoco il male della nostra epoca, non deve aversene a male per una tale obiezione; giungono al nòcciolo dei problemi soltanto quelli che mettono in evidenza il pessimo dogma dell’infallibilità che, mediante l’infausto conformismo dell’ umanità, ha portato le cose al punto che tutto è sottoposto a quanto è oggi guida all’umanità. Mi riferisco appunto alle università ufficiali nelle quali, accanto ad alcune poche buone piante, prospera tanta gramigna. Come quando parlo di Stati o di nazioni non intendo gli uomini singoli che ne fanno parte, così non mi riferisco qui ai singoli docenti universitari, che possono essere ottime persone, ma proprio alla natura del sistema.

 

Quanto il sistema sia cattivo, lo si vede oggi anche dal fatto che le facoltà tecniche, che avevano iniziato a svilupparsi partendo almeno in parte da condizioni naturali, assumono ora già delle arie universitarie, compiendo così un bel passo verso l’impantanamento.

 

Consideriamo anche quello che oggi ho esposto come una specie di episodio inserito nelle nostre considerazioni antroposofiche. Io penso appunto che la nostra epoca richieda che i nostri pensieri e i nostri sentimenti si muovano in questa direzione, e di conseguenza noi dobbiamo fare tali considerazioni; noi specialmente dobbiamo farle, perché purtroppo non vengono fatte in nessun altro luogo.

 

La nostra epoca è ancora molto, ma molto lontana dal goetheanismo che in realtà non consiste soltanto in studi su Goethe e nella disamina delle sue opere. Questa nostra epoca ha terribilmente bisogno in tutti i campi di avvicinarsi al goetheanismo. Così affermando si potrà sembrare astratti e non pratici, ma in realtà questa è la cosa più pratica da farsi oggi. Se in tutti i campi della vita ci si porrà sul terreno del goetheanismo si arriverà a tutt’altro che a quell’unica attività cui oggi ancora la borghesia può condurre, vale a dire al raziocinare. La scienza dello spirito verrà poi trovata da chi si pone sul terreno del goetheanismo. Questo è quanto si dovrebbe imprimere a lettere di fuoco nei cuori degli uomini.

 

d’altra parte quello che ho cercato di fare nei modi più diversi negli ultimi decenni. Molte delle cose dette con tutto il calore del mio cuore, dette per servire i tempi, sono state accolte come edificanti prediche domenicali. Infatti la gente che, nel campo della cultura, dorme così volentieri, null’altro voleva che prediche domenicali. Per l’umanità, invece, sarebbe assolutamente necessario che si cercasse quanto in concreto è opportuno per la nostra epoca. Questo è quel che bisognerebbe innanzi tutto cercar di portare nel proprio discernimento, perché proprio il discernimento è oggi importante. Nella spaventosa confusione attuale, destinata presto ad aumentare, potrà forse sembrare troppo comune chiedere che cosa il singolo debba fare; è innanzi tutto necessario occuparsi del discernimento, affinché, proprio nel settore al quale oggi ho accennato, l’infallibilità venga instradata in modo giusto.

 

Il libretto su La concezione goethiana del mondo fu scritto principalmente per dimostrare che oggi, nel campo della conoscenza, esistono due correnti: una in decadenza, ma adorata da tutti; l’altra che contiene in sé i più fecondi germi per l’avvenire, da tutti però evitata. Negli ultimi decenni gli uomini hanno fatto diverse cattive esperienze, molte certo per colpa loro. L’umanità dovrebbe però arrivare a capire che in sostanza essa ha fatto le peggiori esperienze, e peggiori ancora ne farà in avvenire, proprio a causa delle persone per le quali va più orgogliosa, vale a dire i suoi saccenti professori. Sembra però che l’umanità senta ora la necessità di fare anche esperienze con un professore di formato mondiale, perché si è giunti, alla fine, al punto di affidare ad un professore la sistemazione del mondo. Ai chiacchieroni che, sulla scorta della scienza universitaria, discutono sul mondo, si aggiunge ora anche chi dovrebbe organizzare tutto il mondo sulla base di chiacchiere universitarie.

 

Dico queste parole non per pessimismo, ma per sollecitare gli impulsi che sono atti a mettere l’uno di fronte all’altro il goetheanismo e il wilsonismo. Né parlo da un qualsiasi punto di vista nazionale, perché davvero Goethe stesso non è tino spirito nazionale, ma è proprio internazionale. Il mondo dovrebbe guardarsi dal patire i danni derivanti dall’applicazione del wilsonismo al posto del goetheanismo.