Il valore sorge in economia solo con lo scambio dei prodotti

O.O. 340 – I capisaldi dell’economia – 30.07.1922


 

Sommario: I tre fattori economici dinamici: donazione, vendita e prestito, e i tre statici: lavoro, terreno e capitale. Il valore sorge in economia solo con lo scambio dei prodotti. Prestito e vendita. Il prezzo dei terreni risente di posizioni di forza, con conseguenti squilibri fra produzione agricola e industriale. Tendenza alla rendita terriera, perché in agricoltura domina il principio del consumo ili proprio. La tendenza dell’imprenditore a svalutare il capitale. Tensioni sociali fra I prezzi in aumento dei prodotti agricoli 0 quelli in diminuzione dei prodotti derivati dalla libera volontà umana. Il movimento inverso nel circolo economico: dal mezzo di produzione al capitale d’impresa e alla merce. Le associazioni come possibile mezzo per correggere i disturbi nel processo economico.

 

Abbiamo ormai veduto che, nel complesso economico, i fattori che dànno l’impulso sono: compravendita, prestito e donazione. Occorre proprio riconoscere chiaramente che un complesso economico non può sussistere senza questo gioco reciproco di prestare, donare e acquistare (o vendere). Dunque, ciò che nell’economia genera i valori dei quali da un lato abbiamo già parlato, ciò che conduce alla formazione del prezzo, scaturirà da questi tre fattori: acquisto, prestito e donazione. L’importante sarà di vedere come essi agiscano nella formazione del prezzo, poiché soltanto quando lo avremo riconosciuto, potremo giungere a una specie di formulazione del problema del prezzo.

 

Si tratta ora di osservare con precisione in che cosa consistano i singoli problemi economici; sotto questo aspettò, la nostra economia è piena di idee confuse, di idee che diventano confuse principalmente perché, come spesso ho spiegato, si pretende di considerare allo stato di riposo ciò che è in movimento.

 

Premesso che nel movimento economico sono inseriti donazione, acquisto e prestito, consideriamo dunque i più importanti fattori, vorrei dire statici, della nostra economia. Osserviamo ciò che, appunto al tempo nostro, si discute più di ogni altra cosa, e che è la fonte dei massimi errori per la nostra scienza economica. Si parla di salario, e se ne parla come se fosse il prezzo del lavoro. Quando a un cosiddetto salariato si deve dare di più, si dice che il lavoro è rincarato, e quando lo si deve pagare di meno, si dice che il lavoro è più a buon mercato; si parla dunque effettivamente come se avvenisse una compra-vendita tra l’operaio che vende il proprio lavoro, e chi glielo compra. Ma è un acquisto immaginario; in realtà, non si tratta affatto di un acquisto. Quel che rende tanto difficile le nostre condizioni economiche, è appunto il fatto che abbiamo dovunque dei rapporti larvati, mascherati, i quali si svolgono diversamente da come sono in realtà in un senso più profondo. Ne ho già accennato.

 

In economia il valore (lo abbiamo già rilevato) può nascere soltanto nello scambio di merci o di prodotti economici in genere; in nessun altro modo. Ma è facile comprendere che se il valore può sorgere soltanto in questo modo, se il prezzo corrispondente al valore tende a formarsi come l’ho spiegato ieri (ho detto che chiunque abbia allestito un prodotto deve ricavare un controvalore tale che gli basti a soddisfare le proprie esigenze fino a che non abbia nuovamente portato a termine un prodotto uguale), sé ciò deve essere possibile, i vari prodotti devono valutarsi reciprocamente. In definitiva non è difficile riconoscere che davvero nel processo economico i prodotti si valutano reciprocamente; la realtà vien solo mascherata dal fatto che fra i prodotti che si scambiano s’intromette il denaro. Esso non è però l’elemento importante in tale questione. Esso non ci interesserebbe minimamente, se non stimolasse e non facilitasse lo scambio dei prodotti facendone anche ribassare il prezzo. Non avremmo bisogno del denaro, se non fosse che, sotto l’influsso della divisione del lavoro, chi presenta sul mercato un prodotto non vuole subito disturbarsi per andare a prendere ciò di cui ha bisogno là dove può trovarlo; ma riceve appunto il corrispettivo in denaro per provvedersi in seguito nel modo più opportuno di ciò che gli occorre.

 

Possiamo dunque dire che in realtà è la reciproca tensione fra i prodotti a determinare la formazione del prezzo nel processo economico.

 

Osserviamo ora in questa prospettiva il cosiddetto rapporto salariale, il rapportò di lavoro. In genere non è possibile scambiare il lavoro contro nessun’altra cosa, perché non vi è possibilità di valutazione reciproca tra il lavoro e qualsiasi altra cosa. Ci possiamo illudere di pagare il lavorone realizziamo tale illusione lasciando appunto che si stabilisca il rapporto salariale; ma in realtà il lavoro non si paga. Ciò che avviene in realtà è tutt’altra cosa: è anche qui uno scambio di valori: l’operaio fornisce direttamente un prodotto, e questo prodotto, in realtà, gli viene comperato dall’imprenditore. Questi paga effettivamente fino all’ultimo centesimo i prodotti che gli operai gli forniscono (dobbiamo proprio considerare queste cose nella luce giusta); egli acquista i prodotti dagli operai. Poi, dopo averli acquistati, è suo compito elevarne il valore grazie al proprio spirito d’iniziativa, secondo le condizioni generali dell’organismo sociale. È questo che in realtà gli dà poi il guadagno. Questo è quel che gli rimane, che gli dà la possibilità, dopo aver acquistato le merci dai suoi operai, di rialzarne il valore secondo la congiuntura.

 

Nel rapporto di lavoro abbiamo dunque a che fare con una vera compra-vendita, e non dobbiamo dire che nel rapporto di lavoro nasca in modo diretto un plusvalore; dobbiamo dire soltanto che, nelle circostanze esistenti, il prezzo pagato dall’imprenditore non è quello di cui ho parlato ieri. Ma avviene anche in molti altri casi nel processo economico che, sebbene i prodotti abbiano i loro veri valori che si compensano reciprocamente, pure nel traffico, nel commercio, tali valori non vengono pagati. È un fatto di cui ci si può convincere assai facilmente che nella realtà non tutti i valori vengono pagati. Si pensi per esempio un industriale, un piccolo fabbricante che riceva improvvisamente una forte eredità; non avendo più bisogno di guadagnare, la sua impresa non lo interessa più, ed egli delibera di liquidare, e svende a prezzi incredibilmente rovinosi tutte le merci che ha ancora. Non per questo quelle merci avranno minor valore! Eppure non ne viene pagato il prezzo reale; nella vicenda economica il prezzo viene falsato. Questo è il punto che dobbiamo notare: dovunque il prezzo può venir falsato; ciò nonostante il prezzo giusto esiste: le merci svendute dal fabbricante citato non hanno certo meno valore delle stesse merci prodotte da un altro.

 

Dopo aver cercato di renderci conto del fatto che nel rapporto salariale si ha a che fare con una vera compra- vendita, vediamo ora come stiano le cose nei riguardi della rendita fondiaria, del prezzo dei terreni. Il prezzo dei terreni non ha affatto origine dalle condizioni di un complesso economico già formato. Per dare un esempio molto radicale, basta considerare che le terre sono giunte in possesso di certe persone per conquista, cioè sono state acquisite con la violenza. Anche qui, si potrà forse trovare alla base qualche rapporto di scambio; chi nella conquista ha avuto un alleato, gli avrà forse ceduto singole parti del terreno conquistato. Ad ogni modo,’ al punto iniziale d’un complesso economico non si ha in verità nulla di veramente «economico». Ciò che vi si svolge non è affatto «economico», ma è tale che vi si può applicare la parola forza o diritto. Mediante la forza vengono acquistati diritti, diritti su date terre. Vediamo così l’economia confinare in effetti da un lato con rapporti di diritto e di forza.

 

Ma che cosa avviene sotto l’influsso di tali rapporti di forza e di diritto? Avviene sempre che chi possiede il diritto di disporre liberamente delle terre, provveda a se stesso assai meglio che non agli altri che egli chiama al lavoro e che gli forniscono i prodotti del lavoro (non parlo del lavoro ma dei prodotti del lavoro, poiché sono i prodotti del lavoro che importano). Gli viene consegnato più di quel che egli non dia agli altri per semplice conseguenza del diritto ottenuto a mezzo della conquista. Ma che cosa è quel «di più» ch’egli esige e per cui viene falsata la formazione del prezzo? Null’altro che una donazione forzata. Qui entra realmente in gioco la «donazione» della quale avevamo già parlato, solo che in questo caso chi ha da donare non dona per sua volontà, ma per forza. Questo accade riguardo alle terre. Ma la donazione forzata determina in sostanza il rialzo del prezzo di scambio che i prodotti ottenuti dalle terre dovrebbero avere in realtà.

 

Da qui deriva che il prezzo di tutto ciò che è soggetto a tali rapporti di diritto ha la tendenza a salire oltre il livello rispondente alla realtà. Perciò dove dei boscaioli, dei cacciatori, vivono fra agricoltori, i primi se la cavano meglio di questi ultimi. Gli agricoltori che vivono fra i boscaioli devono pagare a questi, per i loro prodotti, prezzi superiori a quelli che sarebbero i veri prezzi di scambio tra i prodotti forestali e quelli agricoli, per la semplice ragione che l’economia forestale, più d’ogni altra, può per soli rapporti di diritto essere assoggettata alle disposizioni di chi ne stabilisce i prezzi. Nell’agricoltura è già richiesta l’esecuzione di un reale lavoro; nell’economia forestale, ci troviamo ancora assai prossimi a una valutazione che prescinde dal lavoro, e che appunto è determinata esclusivamente da rapporti di diritto e di forza. Se poi fra gli agricoltori vivono degli artigiani, i prezzi hanno la tendenza a salire, nei riguardi dell’agricoltura, oltre il livello giusto, mentre, nei riguardi dell’artigiana to, hanno la tendenza a contrarsi al di sotto del livello giusto. Per artigiani che vivono fra agricoltori la vita è più cara; mentre per agricoltori che vivono fra operai, quando si tratta dunque di una minoranza, la vita è proporzionalmente più a buon mercato. Gli operai fra gli agricoltori vivono pagando in proporzione prezzi più alti. Nella graduatoria di tale tendenza dei prezzi a salire o a discendere oltre il giusto limite reale, si verifica quindi un massimo nell’economia forestale, poi viene l’agricoltura, poi l’artigianato, e infine l’attività pienamente libera. In questa graduatoria dobbiamo vedere la formazione dei prezzi nel processo economico.

 

Nel processo economico esiste la tendenza spontanea a creare la rendita fondiaria, vale a dire la tendenza spontanea ad assoggettarsi alla costrizione di pagare il prodotto agrario più caro del resto. Questa tendenza regna là dove vige la divisione del lavoro, ricordando che tutte le nostre spiegazioni si riferiscono all’organismo sociale nel quale vige appunto la divisione del lavoro. Questa tendenza è provocata dal fatto che nell’agricoltura non può verificarsi ciò che ebbi a dire già due volte in questi giorni ( con non poco sforzo di pensiero da parte dei miei ascoltatori), e cioè che chi provvede a se stesso spende effettivamente di più, e deve quindi esigere per i propri prodotti un prezzo più alto di chi invece se li procaccia dalla collettività in libero commercio. Nei riguardi delle arti e dei mestieri questo fatto ha una certa importanza, benché forse la si possa afferrare appieno solo dopo lunga riflessione. Ma nei riguardi dell’agricoltura e dell’economia forestale non ha senso. Si deve appunto sapere riguardo alle vere realtà dell’economia che i concetti valgono sempre solo per un dato campo e si modificano in un campo diverso. Ed è così dappertutto nella realtà: un farmaco utile per la testa è dannoso per lo stomaco e viceversa; ed è certo così anche nell’organismo economico. Se mai potesse darsi il caso che l’agricoltore non si provvedesse da sé di quel che gli occorre, varrebbero anche per lui le regole che si devono stabilire per la circolazione delle merci.

 

Ma egli non può fare à meno di provvedersi da sé, perché nel processo economico tutta l’agricoltura di un dato organismo sociale si compone da sé in un’unità, anche se esistono singoli proprietari. Un agricoltore deve comunque trattenere, dalla massa totale dei suoi prodotti, ciò che serve al proprio mantenimento. Lo trattiene anche se lo preleva da altri. In realtà egli si provvede da sé, e deve dunque rincarare le sue merci; per conseguenza da questo lato i prezzi devono salire.

 

In altre parole nel processo economico esiste senz’altro la tendenza a generare rendita fondiaria. Si tratta solo di far sì che essa non sia nociva nel processo economico. Tuttavia è necessario sapere che esiste la tendenza a prodursi rendita fondiaria; la si potrà sopprimere, ma in una forma o nell’altra si riprodurrà sempre, per la semplice ragione or ora esposta.

 

Per la medesima ragione per cui nel processo economico esiste la tendenza a generare rendita fondiaria, esiste dall’altro lato la tendenza degli imprenditori a svalutare il capitale, a ridurne sempre più il prezzo. Per comprendere questa tendenza bisogna rendersi conto che il capitale non si può comprare. Certo, si negozia il capitale; sembra che lo si «acquisti»; ma ogni acquisto di capitale non è a sua volta che un rapporto nascosto, mascherato. In realtà il capitale non viene acquistato, ma prestato; anche quando apparentemente il rapporto sembri diverso, si potrà sempre riscontrare il carattere di prestito del capitale d’impresa.

 

 

Dico esplicitamente «del capitale d’impresa», poiché se si estende il concetto al eredito fondiario il caso non è più lo stesso; ma per il capitale d’impresa è proprio così, per la semplice ragione che esiste stabilmente la tendenza a svalutare ciò che dipende dal volere umano (lavoro manuale e attività libera), a svalutare tutto ciò di fronte al resto. Il capitale d’impresa è tutto intessuto nell’attività libera, e viene di continuo svalutato; possiamo quindi dire: da un lato (vedi disegno) abbiamo nel processo economico la tendenza, mentre produciamo la rendita fondiaria, ad abbassare di continuo il capitale d’impresa, a valutarlo sempre meno.

 

Mentre dunque dal lato del credito fondiario il capitale subisce un continuo rincaro, dall’altro lato (come capitale d’impresa) ribassa sempre più. Il capitale ha la tendenza a diminuire continuamente il suo valore economico, ossia il suo prezzo; il credito fondiario invece ha la tendenza ad aumentare incessantemente di prezzo.

 

Vi è ancora un’altra ragione dalla quale si rileverà che il capitale d’impresa deve contrarsi. Se ci si rende chiaro conto che nell’agricoltura si può solo provvedere per sé, e che proprio da tale «autoprovvedersi» vien generato il rialzo nella valutazione dei prodotti agricoli, si potrà constatare come per il capitale d’impresa, in cui domina il principio di prestito, non ci si possa provvedere da sé. Non è infatti possibile fornire se stessi di capitale. L’autofinanziamento va oggi calcolato nel bilancio altrettanto esattamente di quanto si riceve da altri, se si vuol fare un bilancio veritiero. Siccome in questo campo non ci si può dunque provvedere da sé, deve naturalmente regnare qui la tendenza opposta a quella dell’altro campo, vale a dire la tendenza al ribasso.

 

Quel che importa è che tali rapporti inerenti al processo economico diventino per noi proprio trasparenti, perché in tal modo dovremo riconoscere che lo stabilire prezzi giusti non è poi cosa tanto semplice. Lo stabilire prezzi giusti è di continuo ostacolato dal fatto che da un lato affluiscono sul mercato prodotti che vorrebbero, per così dire, raggiungere prezzi troppo alti, dall’altro prodotti che vogliono essere troppo a buon mercato. E poiché il prezzo è determinato dallo scambio, anche ciò che si trova frammezzo è di continuo esposto a perturbazioni. Si può infatti osservare nel processo economico che nella stessa misura in cui i prodotti agricoli e forestali rincarano, quelli forniti dalla libera attività umana ribassano. Appunto così sorgono le condizioni di tensione che generano il malcontento sociale e portano poi a disordini. Quindi il problema più importante per la formazione del prezzo è il seguente: come arrivare a equilibrare la tensione che esiste nella formazione dei prezzi, tra la valutazione delle merci prodotte dal libero volere umano, e la valutazione delle merci alle quali coopera la natura? come influire su questa tensione? come equilibrare la tendenza discendente con quella ascendente?

 

In regime di divisione del lavoro si producono generi sempre più differenziati. Basta rammentare come siano semplici i generi prodotti, diciamo, in mezzo a un popolo di cacciatori che vive interamente dell’economia forestale. Qui le difficoltà della formazione dei prezzi non sono ancora molte. Ma se all’economia forestale si aggiunge l’agricoltura cominciano le difficoltà, poiché esse nascono appunto dalla differenziazione. Quanto più la divisione del lavoro si estende e si generano nuovi bisogni, tanto più si accresce la differenziazione dei prodotti e si accumulano le difficoltà nella formazione dei prezzi; quanto infatti più diversi fra loro sono i prodotti, tanto più difficile diventa il conguagliarne il prezzo (conguaglio che può essere solo reciproco). Lo possiamo desumere dal fatto che esiste realmente un conguaglio di prezzi tra prodotti non molto differenziati, diciamo per esempio, tra grano, segale e altri prodotti agricoli.

 

Considerando lunghissimi periodi di tempo, si osserverà che il rapporto della valutazione reciproca tra frumento, segale e altri cereali rimane piuttosto stabile. Se aumenta il frumento, aumentano anche gli altri cereali; se ribassa il frumento, ribassano anche gli altri cereali. Ciò proviene dal fatto che tra questi prodotti esiste solo una piccola differenziazione. Se la differenziazione aumenta, la cosa cambia del tutto; allora, in seguito a circostanze sopravvenienti nell’organismo sociale, un prodotto, che ci eravamo abituati a scambiare contro un altro, può salire rapidamente di prezzo, mentre l’altro forse discende. Si pensi quale spostamento ne deriva nei rapporti economici! Ciò che in genere avviene nell’economia, dipende in effetti molto più dai reciproci aumenti e ribassi dei prezzi che non da qualsiasi altro fatto. Dal reciproco rialzo e ribasso dei prezzi dipende senza dubbio ciò che determina la difficoltà economica della vita. Se tutti i prodotti salissero o ribassassero di prezzo nelle stesse proporzioni, in fondo potrebbe importarci ben poco; quel che importa assai è che i prodotti salgano o ribassino di prezzo in diversa misura. Questo fatto risulta ora, si potrebbe dire in modo tragico, dalle attuali condizioni economiche; il rialzo e il ribasso così disparato dei prodotti, e segnatamente il rialzo e il ribasso delle stesse valute (nelle quali è conservato un valore che in passato corrispondeva a una realtà) determinano oggi uno sconvolgimento generale della società umana.

 

Questo ci porta a riconoscere che dobbiamo considerare anche sotto un altro aspetto i fattori attivi nell’organismo economico. Abbiamo preso le mosse dalla solita enumerazione che troviamo nell’economia sociale, dove si parla dei fattori che sono in un organismo economico, ma abbiamo visto che enumerando semplicemente natura, capitale e lavoro, non si arriva a nulla. Se a quanto abbiamo detto in precedenza, aggiungiamo quel che abbiamo esposto oggi, vediamo infatti che la valutazione dei prodotti della natura non nasce da condizioni prettamente economiche, ma da rapporti di diritto, e che nella valutazione del capitale d’impresa entra in gioco il libero volere umano, con tutto ciò che esso sviluppa quando opera nella vita pubblica. Si pensi solo a quel che occorre per raccogliere veramente per uno scopo qualsiasi un capitale d’impresa! Qui entra in gioco la libera volontà umana. Nel «prestare» entra in gioco la libera volontà umana… forse non direttamente, poiché è naturale che chi è disposto a risparmiare del denaro intenda prestarlo, ma che uno risparmi o no, è già una manifestazione della sua volontà. In tutto questo lavora molto la volontà umana. Se ne teniamo conto, troveremo ancora un altro ordine dei fattori economici, oltre a quello che abbiamo già osservato.

 

L’ordine schematico che ho dato fin qui ci ha mostrato che la natura costituisce un valore quando muove verso il lavoro; e che il lavoro a sua volta costituisce un valore quando muove verso il capitale, ossia verso lo spirito. Da qui nasce la tendenza a ritornare di nuovo alla natura, e a questa tendenza si può ovviare istradando l’eccedenza di capitale, invece che verso la proprietà fondiaria, dove il capitale viene fissato, verso libere imprese spirituali nelle quali esso scompare, salvo quel residuo che deve sussistere, come semente, affinché il processo economico possa continuare.

 

Oltre a questo movimento (in senso contrario alle lancette dell’orologio nel disegno precedente) a seguito del quale sorgono: natura lavorata, lavoro diviso, organizzato, e capitale emancipato che figura e opera esclusivamente nell’ambito delle imprese guidate dallo spirito, oltre a questo movimento, ce n’è un altro il quale, anziché condurre alla formazione di valori, in modo che il precedente venga assunto dal susseguente, procede in senso opposto. Il primo movimento procede in senso contrario a quello delle lancette dell’orologio, l’altro nello stesso senso delle lancette. Nel primo si produce qualcosa per il fatto che in certo qual modo l’elemento precedente s’inserisce in quello successivo; nel secondo si produce qualcosa per il fatto che quanto defluisce da una parte, scorre invece dall’altra, e per così dire abbraccia l’elemento precedente. Si arriverà subito a comprendere quel che intendo dire, considerando che nel processo economico il capitale è in realtà spirito realizzato; posso quindi anche scrivere «spirito», al posto di «capitale».

 

Abbiamo così: natura, lavoro e spirito.

Quando cioè lo spirito accoglie la natura elaborata, quando non la introduce semplicemente nel processo economico in un movimento opposto a quello della lancetta dell’orologio, ma la accoglie, sorge il mèzzo di produzione. Esso è in effetti qualcosa di diverso: si trova infatti in un movimento opposto a quello del prodotto naturale lavorato per il consumo; è cioè un prodotto di natura che, preso in consegna dallo spirito, serve allo spirito. Dalla penna che ho in mano, quale mio mezzo di produzione, fino alle macchine più complicate di un’officina, i mezzi di produzione sono in certo modo natura afferrata dallo spirito. La natura può venir lavorata e avviata nella prima direzione, e allora diventa capitale; oppure può venir avviata nella direzione opposta, e allora diventa mezzo di produzione.

 

Così pure quanto si forma con l’ausilio del mezzo di produzione, può procedere oltre, e venire a sua volta accolto dal lavoro. Come dallo spirito viene accolta la natura, così dal lavoro può venire accolto quel che nel senso più lato è mezzo di produzione. Se dal lavoro viene accolto il mezzo di produzione, se dunque si stabilisce un’unione tra il mezzo di produzione e il lavoro, allora in questa unione risiederà il capitale d’impresa. Seguendo dunque questa direzione (nel disegno, il circolo esterno), risulterà un movimento che sospinge il mezzo di produzione nel capitale d’impresa.

 

Se ora tale movimento prosegue in modo che dalla natura (ma da un’altra parte della natura che non nel processo del consumo), venga di continuo assorbito ciò che viene prodotto con l’ausilio del mezzo di produzione e del capitale d’impresa, allora soltanto nasce nel processo economico quella che in sostanza è merce. La merce infatti è accolta dal processo naturale. Sia che serva all’alimentazione, e in tal caso è assorbita dalla natura in modo proprio radicale, sia che venga comunque usata e consumata, una cosa diventa merce per il fatto di ritornare alla natura.

 

Diremo dunque: abbiamo ora seguito il movimento che entro il complesso economico racchiude i fattori: mezzo di produzione, capitale d’impresa e merce. A questo punto una distinzione sarà estremamente difficile, poiché ciò che nello scambio effettivo, dunque nella compra-vendita, si muove in un senso o nell’altro, è straordinariamente difficile da distinguere in quale direzione si muova: se sia una merce, oppure qualcosa che non è lecito chiamar merce nel vero senso della parola. Quand’è infatti che un «bene» diventa merce? Nel primo movimento, quello interno, volendo dare una definizione proprio esatta, dovrei scrivere «bene»; e nel movimento inverso dovrei scrivere «merce», perché un bene è merce solo in mano al negoziante, al commerciante, che lo offre ad altri e non lo usa per sé.

 

Oggi era per me soprattutto importante che acquisissimo i concetti che sono atti a indicare i rapporti veri che devono regnare nel processo economico, poiché i procedimenti viziati influiscono sulle condizioni, in modo da produrvi in effetti continue perturbazioni; è compito essenziale dell’economia politica equilibrare, armonizzare di continuo tali perturbazioni. Si ripete spesso oggi che i danni dell’economia si devono eliminare; e chi lo dice nutre un po’ il pensiero recondito che allora tutto andrà bene, che si avrà quasi il paradiso in terra. È come se dicessi: adesso vorrei mangiare tanto da non aver bisogno di mangiare mai più. Ma non posso farlo, perché sono un organismo, e perché in un organismo devono svolgersi di continuo processi ascendenti e discendenti.

 

Tali processi ascendenti e discendenti devono svolgersi anche nell’economia, e non può a meno di esistere, da un lato la tendenza a falsare i prezzi con la formazione della rendita fondiaria, e dall’altro quella ad abbassarli nella direzione del capitale d’impresa. Queste tendenze si formano sempre, e debbono venir regolate per ottenere per quanto possibile prezzi tali che riducano al minimo le modificazioni.

 

A tal fine è necessario afferrare in certo modo il processo economico allo stato nascente mediante l’immediata esperienza degli uomini, vivendo sempre in esso. Questo non può mai farlo né il singolo, né una società che oltrepassi una certa misura, per esempio lo Stato; possono farlo soltanto le associazioni che, emanate dalla stessa vita economica, sono in grado di agire partendo dal diretto movimento vivente della stessa. Appunto se osserviamo il processo economico da un punto di vista nettamente tecnico, siamo condotti a riconoscere che dal processo economico stesso devono nascere le istituzioni atte a riunire gli uomini associativamente nel diretto processo vivente, per osservare da lì l’esistenza reale delle varie tendenze e il modo come convenga contrapporsi ad esse per arginarle con successo.