Istinti antisociali incoscienti e sociali coscienti.

O.O. 186 – Esigenze sociali dei tempi nuovi – 12.12.1918


 

Sommario: Istinti antisociali incoscienti e sociali coscienti. Diversità fra occidente, centro e oriente: potenza politica, apparenza, saggezza. Le tre esperienze differenziate dinanzi al Guardiano della soglia.

 

Il nostro tempo palesa già con sufficiente chiarezza l’esigenza che proprio le sensazioni e le considerazioni a cui si giunge approfondendo la nostra scienza dello spirito, siano applicate alle condizioni del nostro tempo, alla vita del nostro tempo. Non sono soltanto le condizioni esteriori dell’epoca a parlare un chiaro linguaggio, ma è la nostra concezione scientifico-spirituale stessa a giustificare in un certo senso questo linguaggio. In tante delle nostre considerazioni abbiamo preso le mosse da un fatto fondamentale dell’evoluzione umana, dal fatto che essa si svolge in tappe successive di cui per noi la più significativa, quella che ci riguarda più da vicino, ebbe inizio come sappiamo con la grande catastrofe atlantica. Sono trascorsi quattro periodi postatlantici, mentre noi viviamo nella quinta tappa dell’evoluzione. Questa tappa evolutiva, che ha avuto inizio nel secolo quindicesimo dell’èra cristiana, è quella che possiamo chiamare dell’anima cosciente. Altre forze dell’anima umana si sono sviluppate specialmente negli altri periodi di civiltà. Nell’attuale nostro periodo di civiltà, che appunto dalla prima metà del secolo quindicesimo è seguito a quello greco-latino, l’umanità deve a poco a poco sviluppare l’anima cosciente. Nel periodo precedente, iniziato nel secolo ottavo avanti Cristo e compiuto nel secolo quindicesimo dopo Cristo, l’umanità ha sviluppato principalmente l’anima razionale.

 

Non occorre che ora ci addentriamo nella caratterizzazione di queste tappe, ma vogliamo considerare specialmente le particolarità del nostro tempo, del periodo che ha dietro di sé relativamente pochi secoli. Un periodo di civiltà dura in media poco più di duemila anni. Nel nostro periodo dell’anima cosciente resta ancora molto da portare a termine. Il compito dell’umanità civile nel periodo dell’anima cosciente sarà quello di afferrare tutto l’essere umano e di appoggiarlo su se stesso; di sollevare alla piena luce della coscienza molto, moltissimo di ciò che l’uomo ha sentito e giudicato istintivamente in epoche precedenti.

 

Si sa che molte difficoltà e molti elementi caotici che ci circondano e ci coinvolgono appaiono subito spiegabili, sapendo che il compito della nostra epoca è quello di sollevare a coscienza l’elemento istintivo. Infatti l’azione istintiva avviene, per modo di dire, di per sé; ma ciò che deve attuarsi coscientemente esige che l’uomo si sforzi interiormente, che incominci anzitutto a pensare dall’intimo del proprio essere. E l’uomo ne ha paura. Partecipare coscientemente alla formazione delle condizioni del mondo è qualcosa che l’uomo non fa volentieri. Questo è inoltre un punto sul quale gli uomini si fanno ancora molte illusioni. Al giorno d’oggi la gente pensa che viviamo appunto nell’epoca dello sviluppo del pensiero. Tutti sono fieri che oggi si pensi più che in passato. Ma è innanzi tutto un’illusione, una delle tante di cui l’umanità oggi vive. Ciò che rende tanto orgogliosi gli uomini, l’afferrare i pensieri, è per lo più un fatto istintivo. Soltanto quando diventerà attivo l’elemento istintivo che si è palesato nell’evoluzione dell’umanità e che oggi si manifesta nell’essere fieri del nostro pensiero, quando l’elemento intellettuale scaturirà realmente non soltanto dal cervello, ma dall’uomo intero, quando l’elemento intellettuale stesso diventerà una parte di tutta la vita spirituale, quando esso sarà sottratto al piano razionalistico e sollevato al piano immaginativo, al piano ispirato, al piano intuitivo, allora soltanto si farà strada a poco a poco ciò che cerca di affermarsi nel nostro quinto periodo postatlantico dell’anima cosciente. Ciò che al presente si può osservare è che perfino le idee più correnti, nelle caratteristiche particolari di questo periodo, indicano quel che si deve tornar sempre a ricordare: il manifestarsi del cosiddetto problema sociale.

 

Ma chi abbia approfondito seriamente la nostra scienza dello spirito orientata antroposoficamente potrà giungere facilmente a sentire che nella formazione di un ordine sociale, lo si chiami statale o in altra maniera, l’essenziale deve pur prendere le mosse da ciò che l’uomo sviluppa da sé, da ciò che l’uomo è in grado di sviluppare da se stesso al fine di regolare le relazioni tra gli uomini. Tutto ciò che l’uomo sviluppa da sé, corrisponde naturalmente a determinati impulsi che in ultima analisi risiedono nella nostra vita animico-spirituale. Considerando il problema così, si potrà chiedere se non si debba forse rivolgere la nostra attenzione anzitutto agli impulsi sociali. Senza pensare però a qualcosa di meramente animalesco, chiamiamo tali impulsi sociali per esempio istinti sociali. Dicendo questo ricordiamo bene che non si deve immaginare l’impulso semplicemente incosciente o istintivo. Se parliamo di istinti sociali intendiamo quindi che siamo nell’epoca della coscienza e che l’istinto vuol appunto passare nella coscienza.

 

Se dunque si mette in rilievo che esistono impulsi sociali, che essi vogliono realizzarsi, ecco allora che proprio nel nostro tempo si insinua subito la terribile unilateralità che non è da condannarsi ma da considerare tranquillamente, perché, deve essere superata. Nel nostro tempo l’uomo è tanto incline a considerare tutto unilateralmente! È sempre come se si volesse affermare che il pendolo oscilla da un lato, senza mai riflettere che il pendolo, partendo dal centro, non può oscillare in una direzione senza oscillare anche nell’altra. Come il pendolo non può oscillare in una direzione soltanto, così nell’uomo gli impulsi sociali non possono estrinsecarsi in un solo senso. Agli impulsi sociali si contrappongono del tutto naturalmente nella natura umana, a causa della natura umana stessa, gli impulsi antisociali. Nello stesso modo in cui nella natura umana vi sono impulsi sociali, esistono anche impulsi antisociali. Questo bisogna anzitutto considerare. I dirigenti e gli agitatori sociali, infatti, si illudono grandemente che basti diffondere certe teorie oppure, quando le teorie esistano, fare appello a qualche classe di uomini disposti a coltivare gli impulsi sociali. È appunto un illudersi se si procede in questo modo, perché, non si tiene conto che, come esistono gli istinti sociali, si fanno valere sempre gli istinti antisociali. Al giorno d’oggi si tratta di guardare in faccia a queste cose senza farsi illusioni; e si possono guardare in faccia senza illusioni soltanto dal punto di vista di una considerazione scientifico-spirituale. Si direbbe che gli uomini lascino passare inosservata la cosa più importante della vita, se non considerano la vita stessa dal punto di vista della osservazione scientifico-spirituale.

 

Dobbiamo vedere quali siano in realtà le relazioni fra gli uomini dal punto di vista degli istinti sociali ed antisociali. In effetti il nesso fra uomo e uomo è in sostanza qualcosa di ben complicato. Naturalmente dobbiamo considerare ogni caso, direi, radicalmente. È vero che lo starsi di fronte di due uomini è una cosa diversa, differenziata, a seconda delle varie situazioni, ma dobbiamo considerare il carattere comune del nesso fra due uomini, e chiederci che cosa veramente accada in tutta la realtà non solo in ciò che si manifesta alla vista sensibile esteriore che cosa avvenga nella realtà quando un uomo sta di fronte all’altro. Avviene che una certa forza agisce passando da un uomo all’altro. Quando due uomini si stanno di fronte vuol dire semplicemente che una certa forza agisce fra di loro. Per ciò che passa da uomo a uomo non possiamo stare di fronte indifferentemente nella vita, neppure nei pensieri e nei sentimenti, e nemmeno quando siamo spazialmente separati. Se dobbiamo occuparci in qualche modo del prossimo, se dobbiamo creare qualche possibilità di relazione, esiste una forza che agisce fra un uomo e l’altro. È questo che sta alla base della vita sociale. È questo che in realtà, ramificato e intrecciato, sta a base della struttura umana. Naturalmente il fenomeno appare nella massima purezza, se si pensa al nesso immediato da uomo a uomo: si ha cioè lo sforzo di addormentare l’interlocutore attraverso l’impressione che ognuno fa sul suo prossimo. Si tratta dunque di un fenomeno presente nella vita sociale che ognuno venga addormentato da chi ha di fronte. Un fisico direbbe che vi è sempre la latente tendenza che nel rapporto sociale un uomo addormenti l’altro.

 

Perché mai? Ciò dipende da un importantissimo ordinamento nel complesso dell’entità umana. Dipende dal fatto che, in fondo, quelli che noi chiamiamo istinti sociali si sviluppano in realtà dall’anima umana, soltanto nella coscienza comune attuale, precisamente quando l’uomo dorme. Finché non si ascende alla chiaroveggenza, si è veramente pervasi da istinti sociali solo quando si dorme. E soltanto ciò che dal sonno estende la sua azione nella veglia, nella veglia stessa ha effetto di istinto sociale. Sapendolo non ci si meraviglierà se, attraverso la relazione fra uomo e uomo, nel sociale ci si addormenti. L’istinto sociale deve svilupparsi da uomo a uomo. Esso si può sviluppare solo nel sonno, e quindi nella relazione fra uomo e uomo si sviluppa la tendenza che un uomo addormenti l’altro per mezzo della creazione di un nesso sociale. Questo fatto colpisce, e si manifesta subito a chi osservi la realtà della vita. Il nesso fra uomo e uomo consiste nel fatto che innanzi tutto in tale nesso la nostra capacità rappresentativa viene addormentata per mezzo della creazione di istinti sociali fra uomo e uomo.

 

Naturalmente non ci si può aggirare di continuo addormentati nella vita. La tendenza a stabilire rapporti sociali consiste già e si esprime nel fatto che in realtà si dovrebbe essere continuamente inclini al sonno. Le cose che espongo avvengono ovviamente tutte nel subcosciente, ma non per questo si effettuano continuamente in modo meno reale, pervadendo la nostra vita. Proprio perché, si crei una struttura sociale umana, sussiste dunque una continua tendenza ad addormentarsi.

 

Vi si oppone anche un altro elemento. Agisce una continua resistenza, il nostro continuo insorgere contro questa tendenza, appunto quando non dormiamo. Quando ci troviamo di fronte ad un uomo, siamo quindi sempre inseriti nei seguenti contrasti: in quanto gli siamo di fronte si sviluppa sempre in noi la tendenza a dormire, a sperimentare il nesso relativo nel sonno; per non dover essere presi dal sonno, per non venir sommersi nel sonno, sorge in noi la forza contraria al fine di mantenerci desti. Si ha dunque sempre, nelle relazioni fra uomo e uomo, la tendenza ad addormentarsi, la tendenza a mantenersi svegli. Ma in questo caso la tendenza a mantenersi svegli è antisociale, è l’affermazione della propria individualità, della propria personalità nella società, nei confronti della struttura sociale. Semplicemente per il fatto di essere uomini fra uomini la nostra vita animica interiore oscilla in qua e in là fra l’elemento sociale e quello antisociale. Domina nella nostra vita ciò che vive in noi sotto la forma di quei due istinti, ciò che si può osservare fra uomo e uomo, quando li si vede l’uno di fronte all’altro e li si considera occultamente. Se prendiamo delle misure per quanto lontane siano dalla realtà, nonostante la coscienza attuale tanto intelligente esse sono tuttavia una espressione del legame pendolare fra istinti sociali ed antisociali. Gli economisti meditino pure sul significato del credito, del capitale, della rendita, e così via; queste cose, che rappresentano leggi nelle relazioni sociali, sono soltanto oscillazioni di quei due istinti: dell’istinto sociale e di quello antisociale.

 

Da queste cose dovrebbe prendere ragionevolmente lo spunto, in modo realmente scientifico, chi al presente pensi di trovare i rimedi per la nostra epoca. Da che cosa infatti dipende che nell’epoca nostra si manifestino esigenze sociali? Viviamo ora nel periodo dell’anima cosciente nel quale l’uomo deve poggiare su se stesso. Che cosa deve fare? Per adempiere il suo compito, la sua missione nel nostro quinto periodo postatlantico egli deve affermare se stesso, non deve lasciarsi addormentare. Per mantenere la sua posizione nell’epoca attuale, egli deve sviluppare gli istinti antisociali. L’uomo non potrebbe adempiere i compiti del nostro tempo, se appunto gli istinti antisociali, in virtù dei quali egli si colloca al vertice della propria personalità, non diventassero sempre più poderosi. Oggi l’umanità non ha neppure la più pallida idea di come gli istinti antisociali si dovranno sviluppare sempre più poderosamente fino al terzo millennio dopo Cristo. Appunto perché, l’uomo possa maturare in modo giusto, si devono sviluppare gli istinti antisociali.

 

In periodi precedenti lo sviluppo degli istinti antisociali non era così vitale per l’evoluzione umana. Non era perciò necessario mettervi un contrappeso, e neppure vi veniva messo. Nel nostro periodo, in cui l’uomo deve sviluppare gli istinti antisociali per sé, per sé singolarmente (e sono istinti che si stanno già formando in quanto l’uomo è soggetto all’evoluzione, né contro ciò vi è nulla che tenga), nel nostro periodo deve realizzarsi ciò che l’uomo può contrapporre agli istinti antisociali: una struttura sociale tale per cui sia mantenuto l’equilibrio a fronte di quella tendenza evolutiva. Perché, l’uomo possa raggiungere il vertice della sua evoluzione, gli istinti antisociali devono agire interiormente; fuori, nella vita sociale, affinché, l’uomo non perda l’uomo nelle relazioni della vita, deve agire la struttura sociale. Da qui le esigenze sociali. Nel nostro tempo le esigenze sociali non sono altro, in certo qual modo, che il necessario contrappeso alla tendenza dell’evoluzione interiore dell’umanità.

 

Si può vedere contemporaneamente da questo che considerazioni unilaterali non bastano affatto. Si immagini un po’ che certe parole, dato il modo in cui gli uomini vivono – non parlo affatto di idee o di sentimenti – acquistino un determinato valore. Così alla parola antisociale si connette qualcosa che dà un’impressione antipatica, la si considera qualcosa di cattivo. Sia pure, ma non ci si può preoccupare troppo se sia considerata qualcosa di cattivo o no; è invece necessaria e, buona o cattiva che sia, appunto nel nostro tempo essa è in relazione con le necessarie tendenze evolutive dell’uomo. Se qualcuno venisse a dire che gli istinti antisociali devono essere combattuti, direbbe una cosa del tutto insensata, perché, quegli istinti non possono essere combattuti. Nel nostro tempo, per la tendenza evolutiva assolutamente normale dell’umanità, essi devono afferrare proprio l’interiorità dell’uomo. Non si tratta di trovare ricette per combattere gli istinti antisociali, ma di conformare, di ordinare le istituzioni sociali, la struttura, l’organizzazione di quel che rimane al di fuori dell’individuo umano, di ciò che non afferra l’individuo umano, in modo che vi sia un contrappeso per gli istinti antisociali che agiscono nell’interiorità dell’uomo. Perciò è tanto necessario che nel nostro periodo di civiltà l’uomo con tutto il suo essere venga separato dall’ordinamento sociale. Altrimenti né l’uno né l’altro potrebbero essere perfetti.

 

In periodi precedenti esistevano caste, esistevano classi. Il nostro periodo tende a superare le caste e le classi. Il nostro tempo non può suddividere la gente in classi, ma deve mettere in valore l’uomo nella sua totalità, ed inserirlo in una struttura sociale tale per cui sia socialmente organizzato ciò che è separato da lui. Perciò ieri nella conferenza pubblica  ho detto che nel periodo greco-latino poteva esistere ancora la schiavitù; allora uno era il padrone, l’altro lo schiavo, gli uomini erano suddivisi. Come residuo abbiamo oggi appunto ciò che irrita tanto il proletario: che cioè la sua forza di lavoro sia merce, che dunque qualcosa insito in lui sia ancora organizzato esteriormente. Ciò deve sparire. Può essere organizzato socialmente soltanto quanto non è legato all’uomo: la sua posizione, il posto in cui si trova; non qualcosa che sia in lui stesso.

 

Tutto ciò che in tal modo si apprende sul necessario sviluppo della vita sociale, al giorno d’oggi va veramente inteso nel senso che l’uomo, come non pretende di saper far di conto se non ha mai imparato la tavola pitagorica, così non deve pretendere di interloquire in merito a riforme sociali e simili, se non ha mai imparato cose come quelle che ora abbiamo spiegato: che esiste socialità ed antisocialità nel senso in cui lo abbiamo spiegato ora concretamente. Gli uomini che oggi, nelle più importanti posizioni delle nostre organizzazioni statali o sociali, incominciano anche solo a parlare di esigenze sociali, a chi veramente conosce queste cose appaiono come persone che vogliano costruire un ponte sopra un corso d’acqua impetuoso, e che mai abbiano imparato il principio del parallelogrammo delle forze o altri simili. Costruiscano pure un ponte, ma esso crollerà alla prima occasione! Così appaiono oggi i dirigenti sociali o anche quelli che hanno cura di altre organizzazioni sociali: alla prima occasione le loro organizzazioni si riveleranno impossibili, perché le cose esigono che si agisca nel senso della realtà e non contro di essa. È immensamente importante prendere una buona volta sul serio quello che, per così dire, è il tratto fondamentale della nostra spiritualità orientata antroposoficamente.

 

Uno degli impulsi da cui siamo animati nel nostro movimento antroposofico, è in un certo senso di trasferire in tutta la vita umana ciò che la gente ritiene per lo più valido soltanto per la prima giovinezza. Anche se forse i nostri capelli sono diventati grigi da parecchio tempo, noi ciò mettiamo ancora a sedere sul banco di scuola, naturalmente sul banco di scuola della vita. Questa è anche una delle differenze che ci distingue da chi, dopo aver fatto il pigrone fino ai venticinque o ventisei anni, anzi, dopo essersi iscritto ad un corso universitario o dopo aver studiato all’università, crede di essere pronto per tutta la vita! Segue tutt’al più un hobby a più alto livello, o qualcosa di simile, per mezzo di cui impara ancora dell’altro. Ma se ci accostiamo all’essenza del movimento scientifico- spirituale, in sostanza, ci si presenta all’anima il sentimento che, se vuol essere all’altezza dei compiti che gli spettano nella vita, l’uomo deve imparare veramente durante tutta la vita. È molto importante che ci compenetriamo anche di questo sentimento. Se non si lascia l’idea che si possa già dominare tutto mediante le attitudini che si sono sviluppate fino all’età di venti o venticinque anni, che basti solo radunarsi nei parlamenti o altrove per decidere su ogni cosa, fintanto che non si lascia quest’idea, questo sentimento, nulla di salutare potrà concretarsi nella struttura sociale degli uomini.

 

Studiare il reciproco rapporto fra l’elemento sociale e quello antisociale è cosa straordinariamente importante per i giorni nostri. Noi possiamo però studiare soltanto l’elemento antisociale, perché, è conforme all’evoluzione del nostro tempo che questo elemento sia proprio una delle cose più importanti che, come ho spiegato, deve affermarsi e svilupparsi in noi stessi. Questo elemento antisociale può essere tenuto in un certo equilibrio soltanto dall’elemento sociale; ma l’elemento sociale deve essere coltivato, deve essere coltivato consapevolmente; nel nostro tempo ciò diventerà in effetti sempre più difficile, perché, l’altro elemento, l’antisociale, è quello naturale. L’elemento sociale è necessario, deve essere coltivato. Si potrà constatare che nel quinto periodo postatlantico c’è una tendenza a lasciare inosservato l’elemento sociale proprio quando ci si abbandona soltanto a se stessi, quando non si interviene attivamente, quando non si partecipa coscientemente con l’attività dell’anima. Quello che è necessario, e che deve essere conquistato molto coscientemente, è appunto l’interesse dell’uomo per l’uomo, un interesse che prima esisteva istintivamente nell’uomo. Il nucleo fondamentale di ogni vita sociale è l’interesse dell’uomo per l’uomo.

 

Oggi sembra quasi paradossale dire che non si otterrà alcun lume intorno ai cosiddetti difficili concetti economici, se non crescerà l’interesse dell’uomo per l’uomo, se la gente non incomincerà a collegare le forme apparenti, che dominano nella vita sociale, con la realtà. Chi mai pensa che semplicemente per il nostro modo di essere inseriti nell’ordinamento sociale, in realtà siamo sempre in un nesso complicato fra uomo e uomo? Supponiamo di avere in tasca una banconota, di utilizzarla una mattina per fare degli acquisti, e di comperare tanto da spenderla tutta. Che significa uscir di casa con una banconota? In realtà la banconota è una forma apparente, non vale nulla e non varrebbe nulla anche se fosse di metallo. Qui non voglio parlare dei metallisti e dei nominalisti nel campo delle teorie monetarie; ma anche se si trattasse di moneta metallica sarebbe in effetti una forma apparente, non varrebbe nulla. Il denaro si inserisce. infatti fra due altre merci, e soltanto perché, esiste un certo ordinamento sociale, al tempo nostro appunto un ordinamento statale, soltanto per questo la banconota che possediamo e spendiamo una mattina per gli acquisti più vari non è se non l’equivalente di un certo numero di giornate lavorative di un determinato numero di persone. Un certo numero di persone deve eseguire un certo numero di giornate lavorative, una determinata quantità di lavoro umano deve fluire nell’ordinamento sociale, deve cristallizzarsi in merce, perché il valore apparente di una banconota possa diventare un valore reale; e solo per disposizione dell’ordinamento sociale. La banconota dà solo potere di porre al proprio servizio una certa quantità di lavoro, di esercitare il dominio su una certa quantità di lavoro. Se ci si immagina di avere una banconota, in forza della posizione in cui ciò si trova essa dà il potere su un certo numero di lavoratori, e si vede che in ogni ora del giorno dei lavoratori vendono il loro lavoro come valore equivalente, reale valore equivalente nella banconota che abbiamo nel portafoglio, allora soltanto si ha l’immagine della realtà.

 

Le nostre condizioni sono diventate tanto complicate che non si fa più alcuna attenzione a queste cose, specialmente se non sono tanto ovvie. Ho un esempio della vita corrente, in cui la cosa risulta facile. Nel campo più difficile dell’economia, a proposito di capitale, rendita e credito, in cui i problemi sono molto complicati, non sanno essere precisi neppure i professori universitari; intendo quelli di economia il cui mestiere sarebbe di saperne qualcosa. Da questo risulta già quanto sia necessario che i problemi siano presi in giusta considerazione. Naturalmente non possiamo oggi riformare l’economia che, per quello che visi studia, si è ingolfata in una situazione senza uscita; ma in merito alla pedagogia sociale possiamo almeno chiederci che cosa occorra perché, la vita sociale possa essere contrapposta coscientemente alla interiore vita antisociale. Ho detto che nel nostro tempo è difficile trovare il giusto interesse fra gli uomini. Non si ha il giusto interesse se si crede di poter comperare qualcosa con una banconota e non si pensa che essa determina un rapporto sociale con un certo numero di persone e con le loro forze lavorative. Si ha il giusto interesse se, nella propria immagine del processo, si è in grado di sostituire ogni operazione apparente del genere, quale lo scambio di merci con un biglietto di banca, con l’operazione reale che vi è connessa.

 

Vedete, le mere chiacchiere commosse, che chiamerei egoiste, circa il nostro amore per il prossimo e la nostra azione relativa non appena ciò se ne presenta l’occasione, non sono la vita sociale. Quell’amore è generalmente molto egoistico. Più d’uno aiuta paternalisticamente i suoi simili con ciò che prima ha magari predato; crea così un oggetto per il suo amor proprio, per potersi commuovere al pensiero di fare delle belle azioni. Non si riesce a scoprire come una grande parte del cosiddetto amore caritatevole sia un amore per se stessi mascherato.

 

Il problema non è prendere in considerazione soltanto qualcosa di immediato che si presta all’amore per noi stessi, ma di sentirsi obbligati a rivolgere lo sguardo alla struttura sociale variamente ramificata nella quale siamo inseriti. Noi dobbiamo per lo meno creare delle basi. Ma al giorno d’oggi pochissima gente è disposta a creare tali basi.

 

Almeno dal punto di vista della pedagogia sociale vorrei parlare oggi di come si possano contrapporre, e contrapporre coscientemente, gli impulsi sociali a quelli antisociali che si sviluppano in modo naturale; come si possano coltivare perché, si metta in moto in noi l’interesse da uomo a uomo, perché, esso continui sempre pi”; noi non avremo infatti pace se non continua quell’interesse che, proprio nel nostro periodo dell’anima cosciente, è così paurosamente svanito. Nel nostro tempo abissi sono aperti fra uomo e uomo! In un modo che nemmeno si immaginano, gli uomini passano gli uni accanto agli altri senza affatto comprendersi. Esiste oggi solo un minimo desiderio di comprendere veramente il prossimo, la sua caratteristica. Da un lato abbiamo il grido della socialità e dall’altro il progressivo irrompere dell’impulso meramente antisociale. Si nota come gli uomini passino gli uni accanto agli altri senza vedersi, quando essi si riuniscono in associazioni o in società. Al presente esse non sono per nulla un’occasione per acquistare conoscenza della natura umana. Al giorno d’oggi la gente può stare per anni insieme ad altra gente, e non conoscerla meglio di quando in origine la conobbe. È proprio necessario che in avvenire si aggiunga in maniera sistematica l’elemento sociale a quello antisociale. A questo scopo esistono vari mezzi animici, fra gli altri quello di volgersi più di una volta nella vita a guardare questa nostra vita, questa incarnazione, per cercare di osservare l’incarnazione attuale, ciò che si è svolto fra noi e la gente che abbiamo conosciuto in questa vita. Se siamo onesti diremo, o almeno la maggior parte di noi dirà, che oggi per lo più consideriamo l’intervento di molte persone nella nostra vita ponendo la nostra persona al centro della nostra retrospezione sulla vita. Istintivamente chiediamo che cosa abbiamo avuto da questa o quella persona che è intervenuta nella nostra vita. È un atteggiamento che si dovrebbe combattere. Dovremmo cercare di far sorgere in immagine davanti alla nostra anima i maestri, gli amici e le persone che, aiutandoci, sono intervenute nella nostra vita, o quelle che ciò hanno danneggiato e alle quali, da un certo punto di vista, dobbiamo più che non a quelle che ci hanno protetto. Dovremmo far scorrere davanti alla nostra anima queste immagini, rappresentarci in maniera molto viva che cosa ognuno ha fatto per noi al nostro fianco, e procedendo in questo modo vedremo che man mano impariamo a dimenticare noi stessi; troveremo che realmente potremmo avere solo la minima parte delle qualità che abbiamo se questa o quella persona non fosse intervenuta nella nostra vita come amico, insegnante o in altra maniera. Soltanto rivolgendoci a considerare anni passati da molto tempo e persone con le quali forse non siamo più in relazione, nei riguardi delle quali ciò è più facile l’obiettività, capiremo come la sostanza animica della nostra vita venga assorbita da ciò che ha esercitato un influsso su di noi. Il nostro sguardo sì allarga ad abbracciare tutta una schiera di persone che nel corso del tempo è passata accanto a noi. Se cerchiamo di capire quanto dobbiamo all’una o all’altra, di vedere in questo modo noi stessi nello specchio di coloro che hanno agito su di noi e sono stati con noi, allora si sviluppa man mano (potrete sperimentarlo) un senso che consiste in questo: per effetto dell’esercizio di ritrovare immagini delle persone che furono a noi unite nel passato, si sviluppa in noi anche un senso per arrivare a formarci un’immagine dell’uomo di fronte al quale veniamo a trovarci nel presente. Importantissimo è che si svegli in noi l’impulso a non sentire soltanto l’uomo che sta di fronte a noi in base a simpatia e antipatia, a non lasciar sorgere in noi l’impulso ad amare o detestare qualcosa della persona, ma di risvegliare in noi, senza amore o odio, un’immagine dell’uomo quale è. Forse non si avrà la sensazione che quanto dico è della massima importanza, ma è importante. La capacità di far sorgere senza odio e senza amore l’immagine del prossimo, di far sorgere in sé, l’altro uomo animicamente, è infatti una caratteristica che, nell’evoluzione degli uomini, svanisce ogni settimana che passa, è una qualità che gli uomini man mano perdono. Passiamo gli uni accanto agli altri senza che si svegli in noi l’impulso a far sorgere in noi il nostro prossimo. È invece una qualità che si deve coltivare coscientemente. È qualcosa che deve trovare il suo posto anche nella pedagogia: la capacità di sviluppare nell’uomo la facoltà immaginativa. Si può realmente sviluppare tale facoltà immaginativa se, invece di cercare le sensazioni della vita come oggi si fa, non si teme di eseguire sommessamente in sé, quella retrospezione a seguito della quale sorgono di fronte all’anima le passate relazioni con gli uomini. Allora raggiungeremo la condizione di avere un atteggiamento immaginativo nei confronti delle persone che ci troviamo di fronte. Allora contrapporremo l’istinto sociale a quanto si sviluppa sempre più del tutto necessariamente ed in modo non cosciente: l’istinto antisociale. Questo è uno dei punti.

 

L’altro è qualcosa che si può collegare con l’osservazione retrospettiva del rapporto con le persone: il fatto che si cerchi di diventare sempre più obiettivi con noi stessi. Anche per questo dobbiamo trasporci in tempi passati. Ma in tal caso direi che possiamo affrontare direttamente i fatti; e ponendo di avere trenta o quarant’anni dobbiamo pensare a come fosse la situazione quando ne avevamo dieci. Immaginarci immersi nella situazione, immaginarci come se fossimo altri ragazzi o altre ragazze di dieci anni; dimenticare di essere stati noi stessi, volersi veramente sforzare di oggettivarsi. Nel presente dobbiamo specialmente cercare di raggiungere la auto-oggettivazione, il distacco nel presente dal proprio passato, l’estrazione dell’io dalle proprie esperienze, perché, il presente ha sempre più la tendenza a collegare l’io con le esperienze. Oggi del tutto istintivamente l’uomo vuol essere ciò che gli danno le proprie esperienze. Per questo è tanto difficile raggiungere l’attività additata dalla scienza dello spirito. Si tratta di attivare di volta in volta lo spirito a nuovo, di non basarsi su quanto si conserva a memoria. Si potrà veramente osservare che nella vera scienza dello spirito non si riesce a nulla col comodo mantenere a memoria. Le cose si dimenticano, e bisogna tornare sempre a coltivarle; ma è bene che questo avvenga, è appunto giusto che si debba rinnovare sempre lo sforzo. Chi infatti è progredito, appunto nel campo scientifico-spirituale, cerca dì porsi dinanzi agli occhi giorno per giorno le cose più elementari; gli altri se ne vergognano. Nella scienza dello spirito nulla deve dipendere dal fissare le cose nella memoria, perché, quello che conta è di afferrarle nell’esperienza del presente. Si tratta di educarsi a questa capacità con l’oggettivarsi, col rappresentarsi il ragazzo o la ragazza che fummo come se fossero degli esseri a noi estranei nel passato; occorre tendere a staccarsi sempre più dalle esperienze vissute, di essere sempre meno il trentenne nel quale in realtà affiorano ancora gli impulsi del decenne. Staccarsi dal passato non significa rinnegarlo, lo si riconquista in altro modo, ma è qualcosa di grandissima importanza. Da un lato, dunque, coltiviamo coscientemente l’istinto sociale, l’impulso sociale, in quanto ci procuriamo le immagini degli uomini del presente osservando gli uomini che in passato sono stati in relazione con noi, e considerando animicamente noi stessi come il prodotto di quella gente; dall’altro lato, per mezzo della nostra oggettivazione, acquistiamo la possibilità di sviluppare direttamente l’immaginazione di noi stessi. L’oggettivazione nostra nel passato ci torna utile, quando non agisce in noi inconsciamente. Pensiamo che se il ragazzino o la ragazzina decenne continuassero ad agire in noi, allora a noi, trentenni o quarantenni, si assommerebbe il decenne. Ma si sommano anche l’undicenne, il dodicenne, e così via. L’egoismo ne risulta enormemente potenziato. Diminuirà invece sempre più se si estromette il passato, se lo si oggettiva, se diventa piuttosto un oggetto. È questo l’importante, è questo che dobbiamo considerare.

 

In sostanza dovrà venir sempre più chiarito alla gente, la quale illudendosi solleva irragionevoli esigenze sociali, che oggi è premessa essenziale comprendere come l’uomo debba diventare innanzi tutto un essere che agisce socialmente, proprio nell’epoca in cui devono manifestarsi gli impulsi antisociali, perché, si possa elevare la natura umana.

 

Che cosa si fa invece? Si scoprirà tutto il significato di quanto ho esposto ora, considerando che nel 1848 venne pubblicato il primo scritto, in certo qual modo il più efficace, che oggi fa sentire i suoi effetti anche nel socialismo più radicale, nel bolscevismo.

 

Si tratta del Manifesto comunista di Karl Marx; in esso è riassunto ciò che domina nelle menti ed anche nei cuori dei proletari. Marx poté conquistare il mondo proletario per il semplice motivo di aver detto ciò che il proletario capisce, ciò che pensa in quanto proletario. Il Manifesto comunista, di cui non occorre che esponga il contenuto, apparve nel 1848. Fu il primo documento, il primo seme del frutto che matura appunto oggi, dopo che altri elementi contrastanti sono stati distrutti. Questo documento contiene un’espressione, una frase, che si trova citata in quasi ogni scritto socialistico: «Proletari di tutto il mondo, unitevi!». È una espressione ripetuta nelle associazioni socialistiche di ogni genere: «Proletari di tutto il mondo, unitevi!». Che cosa esprime mai? Esprime l’appello più innaturale che si possa immaginare per la nostra epoca. Esprime un impulso verso la socializzazione, per l’unione di certe masse di uomini. Su che cosa deve fondarsi tale unione, e socializzazione? Sul contrasto, sull’odio contro coloro che non sono proletari. La socializzazione, l’unione degli uomini dovrebbe essere costruita sulla separazione! Bisogna meditare ciò e cercare di seguire la realtà di questo principio in quel che oggi, come reale illusione – se mi è concesso usare questa espressione che comprenderete – si è manifestato prima in Russia, ed ora anche in Germania e nei Paesi della vecchia Austria; ed è principio che sempre più si diffonderà. È l’appello più innaturale perché, mentre da un lato esprime la necessità della socializzazione, dall’altro la socializzazione stessa viene edificata sull’istinto antisociale, e cioè sull’odio di classe, sul contrasto di classe.

 

Per l’appunto queste cose si devono considerare in una luce più alta, altrimenti non si va lontano e non si riesce soprattutto ad intervenire in modo salutare, dal posto in cui si è, nell’andamento dell’evoluzione dell’umanità. Né, oggi vi è altro mezzo all’infuori della scienza dello spirito per vedere queste cose in un senso veramente lato, vale a dire per comprendere la nostra epoca. Proprio come si teme di interessarsi dello spirito e dell’anima che sono alla base dell’uomo fisico, così si teme e non ci si vuol interessare – perché si ha paura, perché, si è pusillanimi – nemmeno di ciò che nella vita sociale è possibile cogliere con lo spirito. La gente ha paura, si mette bende sugli occhi, ficca la testa nella sabbia come lo struzzo, di fronte a tali cose veramente reali ed importanti, di fronte al fatto che, quando un uomo è di fronte all’altro, uno cerca sempre di addormentare mentre l’altro si sforza di mantenersi desto. Per parlare in senso goethiano, questo è il fenomeno primordiale della scienza sociale. Esso trascende ciò che il pensiero meramente materialistico è in grado di sapere, interviene in quanto può essere compreso soltanto sapendo che nella vita umana non si dorme solo quando si poltrisce e si dorme della grossa per delle ore, ma che nella cosiddetta vita di veglia giuoca continuamente anche la tendenza al sonno; sapendo che veramente le medesime forze, che ci svegliano la mattina e ci fanno addormentare la sera, entrano continuamente in gioco nella vita di sempre, e nella loro azione attuano insieme la socialità e l’antisocialità. Non serve a nulla tutto il pensare che si fa a proposito dell’ordinamento sociale umano, non servono a nulla i provvedimenti più particolari, se non ci si sforza di comprendere veramente queste cose.

 

Partendo da questo punto di vista è necessario non rendersi ciechi per i fatti che si diffondono sulla terra, ma considerare ciò che avviene. Che cosa pensa il socialista odierno? Pensa di poter escogitare massime sociali, massime socialistiche, oppure di lanciare l’appello a tutti gli uomini: «Proletari di tutto il mondo, unitevi!», e che in tal modo debba essere possibile creare internazionalmente una specie di paradiso in terra.

 

Ma questa è una delle più grandi illusioni, una delle più rovinose illusioni che ciò siano! Gli uomini non sono soltanto astrazioni ma uomini concreti. A base di tutto sta il fatto che ogni uomo è una individualità. Ho cercato di mostrarlo nella mia Filosofia della libertà, contrapposto al livellamento del kantismo e del socialismo. Ma sulla terra gli uomini si differenziano anche in gruppi. Esamineremo una di tali differenziazioni per vedere che non si può dire semplicemente che si incomincia in occidente e che, andando verso oriente, si realizza su tutta la terra un certo ordinamento sociale arrivando alla fine al punto di partenza. Come in passato si viaggiava intorno alla terra, si vorrebbe oggi estendere il socialismo su tutta la terra, e si considera la terra una sfera sulla quale, partendo dall’occidente, si arriva all’oriente. Gli uomini su tutta la terra sono differenziati e nella differenziazione vive appunto un impulso, un motore del progresso, se mi è consentita l’espressione. In tal modo si vede predisposto che, appunto nel nostro tempo, si deve manifestare in particolare l’anima cosciente. Direi che nell’umanità solo le popolazioni di lingua inglese sono al presente predisposte per sangue, per attitudini innate e per attitudini ereditarie, a ricevere l’impronta dell’anima cosciente. Così è differenziata l’umanità. Gli uomini facenti parte delle popolazioni di lingua inglese hanno oggi la particolare attitudine a sviluppare l’anima cosciente; in certo qual modo essi sono così i rappresentanti del quinto periodo postatlantico; sono preparati a ciò.

 

Gli orientali devono in altro modo rappresentare, produrre la giusta evoluzione dell’umanità. Presso gli orientali, a cominciare già dai russi e poi presso tutti i popoli retrostanti dell’Asia che ne costituiscono l’appendice, si manifesta una vera e propria lotta, una resistenza contro questo elemento istintivamente naturale dell’evoluzione dell’anima cosciente. Gli orientali non vogliono mescolare ad esperienze vissute quella che, nel nostro tempo, è la principale facoltà animica dell’intellettualità; essi la vogliono staccare e conservare per il periodo successivo, per il sesto periodo postatlantico, in cui poi dovrà aver luogo una unione di uomini, non come quelli odierni, ma come saranno dopo aver sviluppato il sé, spirituale. Mentre dunque si riscontra la forza caratteristica per l’evoluzione del nostro tempo proprio in occidente, forza che può essere coltivata in modo particolare precisamente dalle popolazioni di lingua inglese, a loro volta gli orientali in quanto popolo, perché, non ciò si riferisce al singolo che emerge sempre dalla massa ma si intende il popolo, hanno il compito di non permettere che nelle loro forze animiche si sviluppi il lato caratteristico del tempo, affinché, in loro possa svilupparsi il germe di ciò che sarà l’elemento principale del periodo successivo, quello che incomincerà nel quarto millennio. Il fatto è che nella vita umana e nell’essere umano vi sono delle leggi. Per la natura oggi la gente non si meraviglia se, per esempio, non si può accendere il ghiaccio, non si meraviglia che nella natura tutto sia conforme a leggi. Ma in relazione alla struttura sociale dell’umanità la gente crede che per esempio si possa attuare in Russia una struttura sociale secondo gli stessi principi sociali validi in Inghilterra o in Scozia o perfino in America. Questo non lo si può fare perché, il mondo è organizzato secondo leggi e non in modo che in ogni parte si possa fare tutto arbitrariamente. E questo va tenuto presente.

 

Nei paesi centrali la condizione è appunto intermedia. Vi si sta, come si potrebbe dire, in un equilibrio instabile fra un lato e l’altro. La popolazione sulla terra è quindi tripartita. Non si può dire: «Proletari di tutto il mondo, unitevi!» * perché anche i proletari sono triplicemente differenziati. La popolazione della terra è tripartita. Se torniamo a considerare i popoli dell’occidente, riscontreremo che tutti coloro che parlano inglese in quanto popolo anche se il singolo può differenziarsi molto hanno un particolare talento, una particolare attitudine, una particolare missione nello sviluppare l’anima cosciente, e cioè di non isolare, nel periodo dell’anima cosciente, le loro qualità caratteristiche, ma di collegare con l’esperienza la formazione dell’intelligenza, la particolare caratteristica dell’intelligenza. La grande estensione dell’impero britannico dipende dal modo naturale, istintivo, direi impulsivo, di inserirsi nel mondo come uomo dotato di anima cosciente. Il fenomeno primordiale dell’estensione dell’impero britannico consiste nell’attitudine della sua popolazione di conformarsi con gli intimi impulsi del nostro tempo. L’essenziale su questo argomento si può già trovare nel mio ciclo di conferenze sulle anime dei popoli europei, tenuto molto tempo prima della guerra; esso offre tutto il materiale essenziale per un giudizio obiettivo sulla catastrofe bellica.

 

L’attitudine di cui si parlava, che è connessa con l’evoluzione dell’anima cosciente, determina nella popolazione di lingua inglese la particolare disposizione per la vita politica. Si può studiare come il modo politico di ripartire società e strutture, si sia diffuso dall’Inghilterra in ogni direzione dove le cose, nella forma attuale, sono rimaste come erano nel quarto periodo postatlantico, si sia diffuso perfino nella ripartizione dei «Comitati» ungheresi, a cominciare dai capi locali; il pensiero politico inglese si è dunque diffuso persino fra i popoli turanici d’Europa, appunto perché, soltanto dal sangue inglese può provenire il pensiero politico del quinto periodo postatlantico. Gli inglesi hanno una particolare attitudine per la politica. Al giorno d’oggi non serve dare giudizi su queste cose, sono le necessità a decidere, che riescano simpatiche o antipatiche, ma per quanto riguarda le faccende del mondo, decidono le necessità oggettive. Oggi, nel periodo dell’anima cosciente, è appunto importante considerare le necessità obiettive.

 

Nella sua Fiaba del serpente verde e della bella Lilia, Goethe ha indicato in tre elementi le forze che si trovano nell’anima umana: potenza, apparenza o parvenza, conoscenza o saggezza; e cioè il re di bronzo, il re d’argento, il re d’oro. Nella fiaba, quando il discorso si riferisce alle condizioni di dominio, vengono dette in modo originale molte cose che al presente si stanno preparando e si svilupperanno sempre più. Bisogna appunto notare che quanto Goethe simbolizza con il re di bronzo, l’impulso della potenza, si estende sulla terra provenendo dalla popolazione di lingua inglese. Per il coincidere della civiltà dell’anima cosciente con la particolare attitudine dell’elemento britannico ed americano, questa è una necessità.

 

Nei paesi centrali, che presentemente sono già coinvolti nel caos, vige un equilibrio instabile fra l’inclinazione dell’intelletto all’anima cosciente e quella del desiderio di sottrarsene; pertanto prevalgono di volta in volta l’una e l’altra. In questi paesi la tendenza è del tutto diversa. I paesi centrali non hanno tutti l’attitudine alla politica. Se vogliono fare politica presentano molto la tendenza ad uscire dalla realtà, realtà che è sempre presente quando il pensiero politico nei popoli anglo-americani è fermo ai fatti, ancorato nell’anima umana. Nei paesi centrali domina la seconda delle forze dell’anima: l’apparenza, sembianza. I paesi centrali manifestano l’intellettualità anche con particolare lustro. La si confronti col pensiero che promana dalla popolazione di lingua inglese: sono pensieri saldamente in relazione con la solida realtà. Se si considerano le brillanti prestazioni dello spirito tedesco, sì noterà che si tratta piuttosto di una configurazione estetica dei pensieri anche se tale configurazione assume una forma logica. Spicca particolarmente il modo in cui si fa confluire un pensiero nell’altro, perché, i pensieri, che specialmente si prestano, si manifestano in dialettica, in elaborazione estetica dei pensieri. Volendo applicare questa tecnica alla solida realtà, volendo adottarla in politica, è facile diventare falsi, è facile arrivare al cosiddetto idealismo visionario; si vogliono allora fondare stati unitari, per decenni si fantastica di stati unitari mentre poi si fondano stati basati sulla forza, passando da un polo a quello opposto. Nella vita politica non si sono mai scontrate due opposte tendenze quali la visione unitaria tedesca del 1848 e la successiva realizzazione del 1871. In questo si vede l’ondeggiamento, l’oscillazione fra ciò che tende alla configurazione estetica e ciò che può diventare falso, creazione fantastica, creazione di sogno nel passare al terreno politico. Nei paesi centrali non si riscontra attitudine per la politica; se si fa politica, o si sogna o si mente. Queste cose non vanno dette affatto con simpatia o antipatia, nemmeno per incolpare o assolvere, ma van dette perché, appunto corrispondono da un lato al bisogno e dall’altro alla tragicità. Sono cose da ben ponderare.

 

Se poi si osserva l’oriente e ciò che vi si sta preparando, si può arrivare a dire, esprimendosi piuttosto radicalmente, che quando il tedesco vuol diventare politico si mette a sognare, cade nell’idealismo, se va bene, nel bell’idealismo, e se va male, nell’insincerità; ma se il russo vuol far politica, si ammala del tutto o ne muore. Ha così poca attitudine alla politica che facendola si ammala, ne muore. Tutto questo è detto un po’ drasticamente, radicalmente, ma questo è il fenomeno. Nell’anima popolare russa non vi è nulla di affine alla concretezza politica dell’anima popolare inglese o americana. L’orientale ha invece l’attitudine per trasferire l’intelletto, che egli distacca dal naturale collegamento con le esperienze, nella futura epoca del sé spirituale.

 

Così si conosce come le disposizioni siano differenziate sulla terra; tali differenziazioni si manifestano fin nelle esperienze più importanti. Dalle varie esposizioni fatte vi è noto quello che l’esperienza soprasensibile più progredita chiama l’incontro col guardiano della soglia. Anche l’incontro col Guardiano della soglia presenta delle differenziazioni. Naturalmente se l’iniziazione avviene indipendentemente da ogni elemento nazionale, l’incontro col guardiano della soglia è anche multilaterale. Se per l’iniziazione viene curata da persone o da società unilaterali, o ha carattere nazionale, anche l’esperienza col guardiano della soglia si differenzia. Chi appartenga alla popolazione di lingua inglese, se non viene iniziato da spiriti superiori che fanno da guida, ma dallo spirito del popolo, ha la particolare disposizione a portare con sé, gli esseri spirituali arimanici che ci circondano sempre qui nel mondo, che ci accompagnano quando ci avviamo alla soglia del mondo soprasensibile, che possiamo poi riportare se essi, per così dire, manifestano una inclinazione per noi. Essi ci conducono anzitutto alla visione delle potenze della malattia e della morte. Così si potrà apprendere dalla maggior parte degli iniziati ai segreti soprasensibili nei paesi anglo-americani, da quelli pervenuti alla soglia, ché la prima e più importante esperienza del mondo soprasensibile è l’incontro con le potenze che esprimono malattia e la morte. Imparano a conoscere questo fatto come qualcosa a loro estraneo.

 

Nei paesi centrali, se durante l’iniziazione si ha il concorso dello spirito del popolo, l’iniziando non viene sollevato dall’elemento nazionale a quello umano universale ma, sempre che lo spirito del popolo cooperi, il primo e più significativo evento è che si notano le lotte che hanno luogo fra certe entità appartenenti al mondo spirituale soltanto, che stanno dall’altro lato della corrente, e altre entità che stanno qui nel mondo fisico, di qua della corrente, ma invisibili alla coscienza normale. Ivi ha luogo una lotta continua. È questa lotta che si nota per prima nei paesi centrali. La lotta che si nota diventa percepibile alla soglia precisamente per il fatto che nei paesi centrali un serio indagatore della verità è pervaso dalle potenze del dubbio. Si viene a conoscere tutto delle potenze del dubbio, delle potenze della plurilateralità. Nelle zone occidentali si è molto più inclini ad accontentarsi di una verità semplice; nei paesi centrali viene subito in mente l’altro lato della questione. Anche per quanto riguarda la ricerca della verità qui si è nell’incertezza: ogni cosa ha due aspetti. Nei paesi centrali, se si fa tanto di accogliere fiduciosamente un’asserzione diretta unilaterale, si è piccini. E questo si deve anche tragicamente subire quando si arriva alla soglia. Bisogna fare attenzione al modo in cui si svolge la lotta che ha luogo alla soglia fra gli spiriti che fanno solo parte del mondo spirituale, e quelli che appartengono al mondo sensibile; tutto questo determina ciò che fa sorgere il dubbio nell’interiorità dell’uomo, l’instabilità per quanto riguarda la verità, la necessità di farsi prima educare alla verità, di non tener in nessun conto gli impulsi riconosciuti della verità.

 

Se invece nei paesi orientali lo spirito del popolo tiene a battesimo l’iniziando, se l’uomo viene condotto alla soglia sotto la tutela dello spirito del popolo, allora chi appartiene ai popoli orientali scorge anzitutto gli spiriti che agiscono sull’egoismo umano. Vede tutto ciò che può dar adito all’egoismo umano. L’occidentale, per esempio, non vede questo come prima cosa, quando si presenta alla soglia. Egli vede gli spiriti che penetrano nel mondo e nell’umanità come malattia e morte nel senso più lato, come forze paralizzanti, distruttrici, degradanti. Chi viene iniziato in oriente vede alla soglia tutto ciò che si presenta all’uomo per indurlo all’egoismo. Di conseguenza l’ideale risultante in occidente dall’iniziazione è quello di rendere sani, mantenere sano l’uomo, procurare che esista per tutti gli uomini la possibilità di igienico sviluppo esteriore. In oriente, essendo la gente istintivamente al corrente dell’esistenza dell’iniziazione attraverso il solo sapere religioso, risulta anzitutto l’impulso a sentirsi piccoli nei confronti dell’elevatezza del mondo spirituale. È infatti l’elevatezza che si vede per prima avvicinarsi dal mondo spirituale. Quando ciò si trova al cospetto del mondo spirituale, l’attenzione dell’orientale viene anzitutto diretta al sublime, al fatto che occorre curare l’egoismo, cacciare l’egoismo, perché, ne vengono messi in rilievo i pericoli. Ciò si manifesta in oriente perfino nel carattere esteriore del popolo. Diversi aspetti del carattere orientale, che risultano non simpatici all’occidentale, derivano da quello che si manifesta appunto alla soglia.

 

Quando consideriamo l’evoluzione interiore, la configurazione interiore dello spirituale-animico dell’uomo, queste sono appunto le differenziazioni delle qualità umane. È importante non distogliere l’occhio da queste cose. In certi circoli occulti della popolazione di lingua inglese, là dove queste cose sono note anche se sotto la tutela dello spirito del popolo, durante tutta la seconda metà del secolo diciannovesimo si potevano trovare profetici accenni ad avvenimenti che oggi si verificano *. Si immagini che cosa sarebbe avvenuto se la gente del resto dell’Europa, all’infuori della popolazione di lingua inglese, non avesse tappato entrambe le orecchie e bendato entrambi gli occhi quando si facevano notare queste cose! Voglio citare una espressione che, appunto nella seconda metà del secolo scorso, là si tornava sempre a ripetere, e cioè: «Affinché, il popolo russo possa evolversi, lo stato russo deve sparire, perché, in Russia si devono compiere esperimenti socialistici che mai si potranno compiere nei paesi occidentali». Questa sarà forse per i non inglesi una saggezza poco simpatica, ma si tratta di grande e profonda saggezza, di una intelligenza vivissima. Chi ne è compenetrato tanto da esser convinto che si tratti di impulsi alla cui realizzazione egli partecipa, è all’altezza del suo tempo, mentre gli altri se ne escludono.

 

Queste cose devono essere considerate. Naturalmente la giustificata sorte dell’Europa centrale ed orientale fu quella di tapparsi ambo gli orecchi e di bendarsi ambo gli occhi di fronte ai fatti occulti, di non ascoltarli, di esercitare mistica astratta, intellettualismo astratto, astratta dialettica. Ma ora incomincia il tempo in cui ciò non può continuare! Considerazioni come queste non devono suscitare pessimismo, non devono suscitare sconforto. Tutt’altro! Ciò che ne ricaviamo è forza, coraggio, senso per riconoscere quel che occorre. In questo senso dobbiamo sempre ricordarci che, nell’ambito del movimento scientifico-spirituale ad orientamento antroposofico, effettivamente non dobbiamo agire contro i compiti del tempo, ma occuparcene. Ci deve essere chiaro che cosa altrimenti veniamo a perdere. La scienza dello spirito, che indica alla coscienza ciò che altrimenti le resta nascosto, che ci fa vedere quali forze l’uomo sviluppi quando è libero dal corpo, vale adire fra l’addormentarsi ed il risveglio, quella scienza dello spirito ci conduce anche svegli e coscienti all’educazione degli impulsi sociali. Deve esserci chiaro che coltiviamo le forze più necessarie del tempo, se da svegli riflettiamo a ciò che può compenetrare energicamente la nostra anima soltanto quando vi pensiamo da desti. Se lo dobbiamo sviluppare soltanto nel sonno diventiamo impotenti.

 

Due potenze agiscono nei nostri tempi. Una è la potenza che dal mistero del Golgota in poi, nelle varie metamorfosi dell’impulso cristico, attraversa tutte le epoche successive dell’evoluzione della terra. Abbiamo già spesso ricordato che proprio nei nostri secoli deve aver luogo una specie di riapparizione, questa volta del Cristo eterico. Tale riapparizione non è molto lontana. Che Egli appaia è qualcosa che non può dar adito a forme di pessimismo, ma neppure al desiderio di passare la vita soltanto nebulosamente, e di raccogliere informazioni sulle teorie teosofiche, per così dire egoisticamente esaltanti l’anima. L’impulso cristico, nei suoi vari aspetti e anche nella sua forma attuale in cui vuol annunciare all’umanità la saggezza spirituale che dal mondo soprasensibile si vuol manifestare per il nostro tempo, aiuterà perché, ciò si realizzi. Questa saggezza spirituale vorrà diventare realtà, e l’impulso cristico sarà d’aiuto per tale realizzazione che è l’importante. In questo momento critico l’umanità deve prendere una difficile decisione. Da un lato c’è l’impulso cristico che invita a rivolgerci per decisione libera dell’anima all’argomento trattato oggi, ad accogliere coscientemente gli impulsi sociali, ad accogliere liberamente con l’anima tutto ciò che è benefico per l’umanità e c può essere d’aiuto. Pertanto non ci uniamo in base a punti vista come quelli contenuti nell’appello: «Proletari di tutto mondo, unitevi! », per dedicarci all’amore che ha per fondamento l’odio, ma ci uniamo con l’intento di realizzare l’impulso c stico e di fare ciò che il Cristo vuole per il nostro tempo.

 

A ciò si oppone il demonio, quello che la Bibbia chiama principe illegittimo di questo mondo. Esso si presenta ne forme più varie. Una delle forme è di mettere al servizio de corporeità le forze delle quali gli uomini dispongono per v gerle con libera decisione a ciò di cui abbiamo parlato oggi, le forze che devono essere poste nella libera decisione. Il demonio, il principe illegittimo del mondo, ha vari strumenti, servono anche la fame ed il caos sociale. Viene così utilizzata con strumenti fisici, con costrizione, la forza che dovrebbe esse impiegata al servizio dell’uomo libero. Si consideri come oggi l’umanità mostri ad ogni piè sospinto di non volersi occupare per libera decisione della vita sociale e del riconoscimento d vero progresso umano, di volersi far costringere. Si osservi come questa costrizione non sia neppure riuscita a far sì che certo qual modo la gente faccia già la distinzione fra lo spirito del mondo soprasensibile, lo Spirito-Cristo, e lo spirito del demonio, il principe illegittimo del mondo! Si consideri questo stato di fatto, e si potrà dire che esso spiega come al presente la gente rifiuti in molti luoghi di accogliere qualcosa delle comunicazioni spirituali, dei benefici spirituali e della scienza dello spirito. Gli uomini sono appunto posseduti dall’illegittimo principe di questo mondo.

 

Mentre per libera decisione vi indirizzate alla vita spirituale, consideratevi nel senso più modesto, ma anche più serio ed energico, missionari dello spirito cristico del nostro tempo consideratevi come coloro che devono combattere il principe illegittimo del nostro tempo il quale rende ossessi tutti quelli che, non per coscienza ma indotti da altre forze, vogliono farsi costringere a realizzare qualcosa che porta l’umanità verso l’avvenire. Un tale atteggiamento non conduce al pessimismo, non concede tempo per considerare solo pessimisticamente il mondo. Esso non ci chiuderà gli occhi e le orecchie per vedere nella loro vera forma gli eventi passati, in parte anche crudi, anche terribilmente tragici. Ma esso vi presenterà anzitutto quegli eventi in modo da indurvi a dire che in ogni modo si è chiamati a vedere tutto senza illusioni, che non si deve essere né pessimisti né ottimisti, ma che si deve fare il possibile perché nella nostra anima si desti la forza per collaborare, dal posto in cui ora ci si trova, alla libera evoluzione degli uomini verso il progresso. Non vogliamo stimolare al pessimismo o all’ottimismo anche se, dal punto di vista della scienza dello spirito, si additano nettamente in ogni caso i danni o l’inerzia del tempo, ma si vuol stimolare l’uomo a poggiare su se stesso, a destarsi interiormente per lavorare e coltivare i pensieri giusti. Infatti occorre anzitutto della comprensione. Se almeno un numero sufficiente di uomini avesse oggi l’impulso di dirsi che anzitutto si devono comprendere questi problemi, il resto seguirà! E appunto se si vogliono comprendere le questioni sociali, si tratta di avere anzitutto la volontà di acquisire conoscenze per la vita di veglia. Lo stimolo della volontà — a ciò è già provveduto — viene ad un certo punto, perché esso si sviluppa. Se nella vita di veglia cercassimo solo di educarci, se volessimo farci delle rappresentazioni per la vita sociale, allora a poco a poco, precisamente per una legge occulta, si giungerebbe al punto che chiunque cerchi queste conoscenze per sé, potrebbe trascinarsi dietro un altro. Quanto alla volontà ognuno può aver cura di due persone. Si può fare molto purché si abbia la seria volontà di acquisire anzitutto della comprensione. In tal caso, ad un certo punto, il fine si raggiunge. Increscioso non è tanto che molta gente non possa fare ancora nulla; infinitamente peggio è che la gente non si possa decidere ad apprendere le leggi sociali sotto l’aspetto scientifico-spirituale, a studiarle. Se si studiano, ad un certo punto se ne avranno gli effetti.

 

Ecco quanto ho voluto comunicare oggi per quanto riguarda il sapere e l’intendimento di questioni importanti, importa per il presente, ed anche per quanto riguarda il modo in tale intendimento abbia a trasformarsi in impulso vitale. Spero ci sarà data qualche altra occasione di tornare presto a pari di cose piuttosto profonde della nostra scienza dello spirito.