Jahve e Arimane


 

1. Il Dio ignoto

 

Una delle maggiori difficoltà che incontra chi vuole acquistare una visione ampia e completa delle leggi e delle forze che regolano e impulsano l’evoluzione umana è data dal problema di Jahve. Anche per lo studioso ormai provetto nella Scienza dello Spirito questo problema si presenta di difficile soluzione. Perfino nelle società segrete che oggi, tanto in oriente che in occidente, regolano il corso degli avvenimenti storici; perfino nei templi iniziatici che anticamente fecondavano la cultura umana, troviamo a proposito di Jahve dubbi, perplessità, incomprensione.

 

Nell’insegnamento paolino Jahve è indubbiamente un’entità spirituale che agisce nel senso dell’impulso cristico e che appartiene di conseguenza alla sfera della luce. E tuttavia anche in questo insegnamento risulta un’opposizione tra l’azione della legge a quella della grazia, tra la necessità e la libertà, tra Jahve insomma e Cristo. La questione che si presenta è appunto questa: in che senso Jahve è al servizio del Cristo, se l’azione dell’uno è antitetica a quella dell’altro?

 

Sappiamo che nei tempi antichi la conoscenza spirituale ha dato in oriente la massima fioritura finora vista dall’umanità postAtlantidea. Ex oriente lux, si usa dire – la luce viene dall’oriente.

Ciò è vero, in un certo senso perché l’oriente non ha mai perso il collegamento con i mondi spirituali. L’entità che in sommo grado ha dato il lievito divino alla grande cultura orientale, da Krishna a Buddha, che ha preservato i popoli orientali dall’immersione nelle tenebre della materia, che direttamente e personalmente ha agito per creare quivi una fulgida arte e una scienza illuminata, è Lucifero. Perciò nei templi della conoscenza che ancor oggi esistono in India e nel Tibet, nei cuori degli iniziati orientali, nell’insegnamento che essi impartiscono fiammeggia un grande senso di riverenza e di riconoscenza per Lucifero.

 

L’oriente ignora il Cristo. Vediamo per esempio come gran parte dell’insegnamento del Buddha, che visse solo sei secoli prima dell’evento del Golgota e che fu contemporaneo di Socrate, sia ispirato da Lucifero.

 

La Terra considerata come un luogo di dolore,

l’esortazione a sfuggire dal cerchio delle incarnazioni per elevarsi alla beatitudine del Nirvana,

sono indubbiamente concezioni anticristiane di origine luciferica.

 

Tutto ciò lascia comprendere perché l’orientale guardi a Jahve con estrema antipatia. Jahve è difatti il naturale nemico di Lucifero e agisce in senso contrario al portatore della luce. Ma in senso contrario a Lucifero agisce anche Arimane. Ne consegue che l’iniziato orientale vede Jahve nell’ombra di Arimane o lo confonde addirittura con esso.

Per l’oriente rischiarato dalla luce di Lucifero, Jahve è un dio delle tenebre. Perciò dai templi iniziatici orientali si è combattuto a lungo contro Jahve. Nella storia questa lotta ha avuto punti drammatici e culminanti, espressi dalle guerre che gli Ebrei, il popolo eletto da Jahve, dovettero combattere contro le nazioni vicine. I popoli confinanti degli Ebrei subivano la preponderante influenza di Baal, cioè di Lucifero, che si dipartiva dai templi della Mesopotamia, con ugual forza tanto da Babilonia che da Ninive. La Bibbia ci narra la drammatica lotta che il profeta Elia dovette sostenere contro i sacerdoti di Baal, chiamati in Israele dal re Akab per compiacere sua moglie Gezabella d’origine assira.

 

Possiamo immaginare l’umana tragedia di Gezabella. Ella crebbe in una reggia magnifica, abbellita dalle opere d’arte, allietata da danze, musiche, canti. Poteva calzare sandali d’oro e d’argento, coprirsi di bisso e di porpora, ornarsi con veli multicolori. Tutto ciò non era soltanto lecito, ma gradito al suo dio. Le statue di Baal erano meravigliose, adornate di fiori; le cerimonie religiose erano accompagnate da musiche, danze, combustione di profumi, offerte delle primizie della terra. Da questa vita lieta e luminosa ella passò improvvisamente, per ragioni di Stato, in un regno tenebroso. Tale era difatti la reggia di re Akab, fatta di grosse mura rozze e disadorne, con pochi pertugi dai quali filtrava a stento la luce del Sole. Dovette ben tosto smettere di portare i sandali d’oro e le vesti smaglianti sulle quali s’appuntavano invidi e biechi gli occhi delle donne e le critiche dei Leviti.

Le donne ebree non conoscevano nessuna sorta di adornamenti. Erano infagottate in lunghe vesti tetre e solo le fanciulle potevano cingersi la fronte con una banda simbolo della loro verginità. Le cerimonie religiose mettevano il freddo nel cuore. I fedeli dovevano stare silenziosi ed immobili in un tempio nudo e buio, mentre nel tabernacolo segreto i sacerdoti officiavano i loro invisibili e interminabili riti.

Alla regina straniera, venuta da un paese ricco e fervido, lieto e rumoroso, gli Ebrei fecero l’impressione di un popolo sordido e sornione, povero e meschino. Fu presa da un moto di ribellione, ma anche da un senso di pietà per un popolo costretto a vivere, in un mondo pieno di Sole e di bellezza, nel freddo e nel buio di rigide e maceranti norme religiose.

 

Jahve non dava tregua al suo popolo. Ogni atto della vita dal più intimo e comune al più pubblico e solenne, doveva svolgersi entro le strettoie della legge. Il potere della casta sacerdotale era enorme e dispotico, perché sostenuto dalle spade dei soldati. L’autorità del re era puramente nominale e Gezabella, nella lotta che da sola intraprese contro i preti, potè far leva sull’ambizione e sull’amore del proprio marito. Akab era insofferente dello stato di minorità e di soggezione in cui lo tenevano i sacerdoti e perciò si lasciò convincere dalla moglie. Così cominciò il grande tentativo di Gezabella di portare gli Ebrei nella sfera luminosa di Lucifero.

Dalla Mesopotamia furono chiamati sacerdoti, consiglieri, architetti, artisti e decoratori d’ogni genere. Passò come un soffio animatore per il popolo d’Israele, dedito, fino allora, ai duri lavori della gleba e al gretto commercio minuto. La reggia fu ingrandita e abbellita, fu costruito un sontuoso tempio. E sebbene per sostenere le spese delle costruzioni il re avesse dovuto imporre nuove gabelle, il popolo, liberato da altri gravami morali, guardava a lui con compiacimento ed orgoglio.

Jahve pareva ormai dimenticato dal suo popolo, quando comparve Elia. Possiamo comprendere la grandezza e la potenza spirituale di questo profeta soltanto se ci ricordiamo che egli compare alla destra del Cristo quando questi si trasfigurava sul monte. Ma appunto l’elevatezza spirituale di Elia testimonia quanto dura e impegnativa fu la lotta tra Jahve e Baal. Elia vinse: i sacerdoti furono banditi, il tempio distrutto, il re ucciso.

 

Lucifero però col tempo ebbe molte rivincite e forse la più grande fu quella di aver diffuso in tutto il mondo un forte senso di antipatia contro gli Ebrei. Nel recondito e istintivo senso di ostilità che ogni non Ebreo prova per l’Ebreo si nasconde in verità l’odio di Lucifero per Jahve. Quel qualcosa di gelido, quel qualcosa di tetro che ci muove incontro dagli Ebrei risveglia nelle nostre anime la appena sopita Gezabella delle aspirazioni luciferiche e allora comincia in noi la ribellione contro la legge divina.

 

Una tremenda tragedia incombe da secoli su tutta l’umanità.

Gli Ebrei non compresero il Cristo. Il Cristo fu crocifisso in nome di Jahve.

I cristiani non compresero Jahve.

Gli Ebrei vengono perseguitati in nome del Cristo.

Sui pogrom russi e polacchi viene drizzata la Croce di Colui che morì perché tutti gli uomini fossero fratelli.

Ebrei e cristiani devono affratellarsi levando gli occhi al monte della trasfigurazione,

dove accanto al Cristo che manifesta la sua divinità appare Jahve

che si umanizza nelle figure di Elia e di Giovanni il Battista.

 

L’umanità occidentale potrà comprendere il senso della sua missione

• soltanto se gli Ebrei riconosceranno nel Cristo il Messia preannunciato da Jahve

• e i cristiani riconosceranno in Jahve il collaboratore del Cristo.

 

Dobbiamo avere la coscienza di assolvere un debito di riconoscenza verso i mondi spirituali aprendo i cuori e le menti all’amore e alla comprensione per Jahve. Perché Jahve è colui che più di ogni altro spirito celeste lottò per preservare l’umanità dalle conseguenze del peccato originale e dall’influsso distruttore di Lucifero ed Arimane, perché se oggi noi siamo qui riuniti e possiamo esprimere elevate verità spirituali con concetti umani lo dobbiamo a Jahve.

Eppure Jahve è il Dio sconosciuto, il Dio incompreso, il Dio sovente odiato.

È l’oriente che ci manda allo stesso tempo la luce di Lucifero e l’odio per Jahve. Difficile è comprendere Jahve, anche se si è iniziati. Osserviamo con quanta antipatia parla di Jahve Helena Blavatsky perché la sua anima, illuminata da Lucifero, non sa scorgere Jahve che nell’ombra di Arimane. Questo è un fatto sintomatico che infirma l’opera spirituale della Società Teosofica e pone quel movimento occulto in direzione anticristiana.

L’oriente, non avendo compreso Jahve, si è precluso l’accesso al cristianesimo. Perciò la luce che viene dall’oriente è assai dubbia. Per lo spirito europeo la luce viene soltanto dal Golgota. Cristo è il vero Lucifero.

 

 

2. L’azione di Arimane

 

Per comprendere il senso della missione storica e cosmica di Jahve, dobbiamo prima acquistare un chiaro concetto di Arimane. Come agisce questo spirito delle tenebre e che cosa vuole?

Che cosa vuole? Vedete, questa domanda che nei riguardi delle Gerarchie regolari non avrebbe alcun senso, è giustificata quando si tratta dell’azione di Arimane. Difatti il primo principio arimanico è la finalità.

Un capitolo de La Filosofia della Libertà è dedicato a questo problema. Nella natura, nel cosmo, nei mondi spirituali non troviamo nulla di simile al concetto umano di finalità. Le scienze naturali si sono formate un’immagine grossolana ed errata del mondo per non aver saputo superare quel concetto nell’ambito della realtà extraumana.

 

Perché cresce il grano? Perché gli uomini lo trasformino in pane e si nutrano. Perché esiste l’aria? Perché l’uomo respiri e viva.

Simili concezioni finalistiche portano la scienza a dichiarare: poiché sulla Luna non c’è l’aria, non c’è vita; poiché il pianeta Venere presenta ora le condizioni che predominavano sulla Terra un miliardo d’anni fa, quivi non vegetano che licheni e felci.

 

Il finalismo ha come conseguenza la negazione di tutta la realtà cosmica extra-terrestre ed extra-umana e il restringimento dell’essere nella limitatissima sfera del fisico-sensibile. Da ciò si vede quanto sia importante il superamento dei concetti finalistici.

Nel cosmo domina qualcosa di molto più elevato della finalità. Il fine determina sempre un limite, mentre nel cosmo non ci sono limiti, ma infinita possibilità di essere nell’armonia del tutto.

 

La vita può svolgersi ugualmente nell’ossigeno e nei vapori di cianuro, micidiali per l’esistenza terrestre, ma solo per questa, perché in ogni sfera le forme d’essere si armonizzano in una saggezza superiore.

L’evoluzione che si svolge sotto l’impulso delle Gerarchie divino-spirituali non è diretta a uno scopo. È l’uomo che si forma questo concetto sotto l’ispirazione di Arimane. Arimane sì che tende a uno scopo.

 

Sappiamo dalla Scienza dello Spirito che Arimane non è un’entità che appartiene al nostro universo solare, ma che fu chiamato in esso dalla Sapienza divina per svolgervi un’azione di contrasto. Arimane dunque non ha alcun interesse per tutto ciò che è contenuto e si svolge nella grande sfera solare del Cristo segnata nello spazio dallo Zodiaco e nel tempo da Saturno e da Vulcano. Egli però dice: «Giacché sono qui in questo mondo che non è mio e che è così poco confacente alla mia natura, il meglio che mi resta da fare è prendermi quanto più mi conviene di questo mondo per crearmene uno proprio».

 

Per quanto i concetti umani siano assai poco adeguati a questi fatti di ordine superiore, possiamo dire che Arimane in tal modo porta nel cosmo solare due principi nuovi anticristici: la finalità e l’utilità. Egli ruba le forze agli esseri solari e con suprema intelligenza li impiega per il conseguimento del suo scopo personale.

Arimane è supremamente intelligente, ma la sua intelligenza consiste appunto a volgere a uno scopo ciò che esiste senza scopo.

 

Un fiume corre dalla montagna al mare. E questo suo eterno fluire, nell’armonia delle leggi naturali, si manifesta supremamente saggio, ma anche supremamente stupido: non ha scopo. Poi viene un uomo intelligente, cioè un uomo ispirato da Arimane, osserva il fenomeno e dice: il movimento delle acque di questo fiume mi servirà per azionare la ruota del molino e le turbine della centrale elettrica.

L’intelligenza è sempre diretta a uno scopo. Perciò gli esseri delle Gerarchie appariscono ad Arimane infinitamente stupidi. Sappiamo che Arimane, parlando per bocca di Nietzsche, disse: «Vorrei costruire un muro grande quanto il mondo, per scrivervi sopra una sola parola colossale: Idiota!»

 

E Arimane, nel dir ciò si riferiva al Cristo, l’essere sublime creatore dell’universo solare, al quale noi non possiamo pensare senza sentirci pervasi da sacro timore e da infinita riverenza.

Arimane con ragione può dire all’uomo: «Solo io ti sono utile. Né Angeli e Arcangeli, né Serafini e Cherubini, né il Cristo stesso, ti ispirano alcuna idea atta a farti il dominatore delle forze della Terra e a costruirti automobili, treni, aeroplani, radio e altre macchine meravigliose di cui sempre più ti farò dono in futuro».

La macchina! Ecco il grande portento arimanico! Ecco il simbolo della sua intelligenza e della stupidità degli Angeli.

 

Che cosa è la macchina? E’ una forza tolta al cosmo e diretta a un fine utile.

Arimane vuole creare un suo mondo che abbia il carattere di una grandiosa macchina potente, perfetta, perpetua, sommamente intelligente. A tale scopo ruba la sostanza del cosmo solare, ma non può usarla senz’altro. Non può usarla perché il cosmo solare è vita, è eterno divenire, è perpetua trasformazione, è incessante fluire da una forma ad un’altra. Costruire una macchina – e per macchina qui s’intende il regno finalistico di Arimane – in tali condizioni è impossibile.

 

Il processo vitale fa sì che oggi una pianta sia seme, domani fiore, dopodomani frutto. Se questo processo si continuasse nelle macchine, sorgerebbero condizioni tali che annullerebbero ogni possibilità finalistica delle stesse. La macchina serve solo in quanto è sempre uguale a se stessa e le forze sulle quali si basa agiscono costantemente. Immaginate che le automobili andassero soggette a metamorfosi ovidiane e che un giorno voi trovaste la vostra con solo due ruote spostate sul tetto e un altro giorno la vedeste ridotta a un macinino da caffè. Certo, sarebbe una meraviglia, ma poco piacevole.

 

Arimane però non permette che avvengano simili trasformazioni.

Questo genito dell’Intelligenza non si limita a carpire le opere delle entità divino-spirituali, ma le fissa anche in una forma immobile. Solo così esse servono al suo scopo.

In questa fissazione della forma dobbiamo cercare il concetto della morte arimanica che è quello di staticità – non di annientamento. Contro il principio cristico di vita, di eterno divenire e avvenire, Arimane pone il suo di immobilità formale in un presente sempiterno. Così alla vita s’oppone la morte, all’eternità un istante durevole.

 

Una volta ho inteso esclamare una persona: «A me l’eternità fa paura. Non mi piace l’idea di dover contemplare sempre la stessa cosa per quanto sublime possa essere». Le ho fatto notare che l’eternità è proprio il contrario di quanto lei s’immaginava. Aveva scambiato l’inferno per il paradiso, il sempre oggi della morte con l’incessante farsi domani della vita.

 

Arimane è il creatore o, meglio detto, l’inventore del mondo di sensi. Egli ha materializzato la forma per darle maggior fissità. Non ci è riuscito del tutto, perché il mondo fisico della materia si manifesta nello spazio e nel tempo.

Spazio e tempo sono i due grandi nemici di Arimane

perché fanno valere leggi spirituali nell’ambito della materia e impediscono che il mondo diventi una macchina.

Cosmicamente Arimane ha agito in modo da far sorgere la forma fissa spirituale,

l’oggetto fisico-materiale utilizzabile per il suo scopo.

 

E nell’uomo come ha agito per trasformarlo in suo strumento?

Ne La Filosofia della Libertà il Dottor Steiner dimostra che il finalismo è possibile nell’ambito dell’azione umana solo perché l’uomo è dotato di rappresentazioni e concetti. Arimane, nel tentativo di trasformare l’uomo in un essere fatto a sua immagine e somiglianza, cioè un essere finalistico, ha dovuto dotarlo di pensiero concettuale. Questo è il segreto del pensiero concettuale. Arimane ce lo ha dato per farci vedere tutta la realtà dal suo punto di vista, che è quello finalistico. L’uomo intelligente può mettere tutto il mondo al servizio del suo Io.

 

Abbiamo così tracciato a grandissime linee un quadro dell’azione arimanica:

• essa ha suscitato nel cosmo la fissazione della forma, che è sinonimo di morte,

• e nell’uomo il pensiero concettuale che permette all’umanità di avviarsi verso un fine antisolare, anticristico.

Se queste due forze, quella della morte e quella della finalità antisolare, agissero indisturbate,

l’opera creatrice divina sarebbe frustrata e l’umanità irrimediabilmente perduta.

 

 

3. L’azione di Jahve

 

L’azione di Arimane viene però arginata, in massimo modo dal Cristo stesso con la sua opera sacrificale e redentrice, poi da Michele, da Lucifero e infine da Jahve. A noi importa di vedere oggi l’azione antiarimanica di questa ultima entità gerarchica.

Nella Scienza Occulta troviamo scritto: «Gli dei inserirono nell’evoluzione umana le forze della morte e con ciò furono posti dei limiti alla potenza di Arimane». Queste parole possono far sorgere delle difficoltà di comprensione, perché di solito si legge nelle opere di Rudolf Steiner che le forze della morte sono dispiegate da Arimane.

È necessario distinguere. Anche nei testi sacri si parla di due morti, la prima e la seconda.

 

• La prima è quella che conosciamo e che promana dall’azione divina;

• la seconda ha senso apocalittico e si rivelerà appieno appena dopo il Giudizio Universale

quando l’umanità verrà divisa in due parti, gli eletti del Cristo e i reprobi sui quali cadrà la condanna eterna.

 

I reprobi passeranno dalla sfera cristica della vita alla sfera della seconda morte arimanica. A tale fatto si riferiscono le seguenti parole della Scienza Occulta: «Dal seno di Giove verrà espulsa una Luna incorreggibile che si avvierà verso un’evoluzione che nessuna parola umana può descrivere».

L’azione della seconda morte arimanica fu però stroncata già al suo inizio in un momento culminante dell’evoluzione terrestre, durante l’epoca lemurica, quando si presentarono i seguenti fatti interdipendenti:

la scissione della Luna,     • la separazione dei sessi     • e l’alternarsi della vita con la morte.

Questi tre fatti sono il diretto risultato dell’intervento di Jahve per salvare l’umanità dall’azione di Arimane.

 

E adesso viene la grande domanda: come agisce Jahve?

Agisce proprio nel senso di Arimane, intensifica al massimo le forze che da quest’entità si dispiegano per determinarne l’annullamento. Un arco teso troppo finisce collo spezzarsi e non può più servire per scoccare frecce.

 

Quale sarebbe stato l’ideale di Arimane dopo aver fissato la forma fisica materiale? Il perdurare di tale forma statica che gli avrebbe permesso la realizzazione del suo fine: l’umanità distaccata per sempre dai mondi spirituali e conducente un’esistenza perpetua nel mondo dei sensi. Non è certo Arimane che porta il deperire fisico e la vecchiezza! Arimane ben vorrebbe un’umanità sempre giovane, sempre sana, sempre felice, sempre viva ma qui sulla Terra materiale. Cioè sempre morta per lo spirito. Ecco il senso della morte arimanica: morte spirituale.

 

Ma interviene Jahve e intensifica l’impulso arimanico.

• Le forze della malattia, della sofferenza, dell’invecchiamento, della morte sono certamente forze arimaniche, ma portate da Jahve oltre il loro segno. Con ciò l’irrigidimento della forma operato da Arimane viene spinto da Jahve fino al punto di frantumazione.

• Ed ecco il senso della morte di Jahve: morte fisica. Con questa morte l’umanità viene sottratta, a periodi regolari, dall’influenza arimanica ed elevata nei mondi spirituali.

 

Jahve ha inferto un colpo ad Arimane con la sua stessa arma. Arimane tenta di ribattere subito il colpo. La morte fisica ha come contropartita la generazione e la nascita. Arimane dice: «A me importa che la forma del discendente sia in tutto uguale a quella dell’ascendente». E fa sorgere la forza dell’ereditarietà, della trasmissione della forza fisica. Jahve risponde nello stesso modo. Provoca la separazione dei sessi che, tra le altre conseguenze, ha anche quella dell’intensificazione dell’ereditarietà che ha effetto la progressiva decadenza delle speci. Con ciò il possesso fisico di Arimane diventa sempre più labile.

 

Jahve opera dunque sempre nel senso dell’impulso arimanico. Per tale fatto Lucifero e gli iniziati da questo ispirati lo scambiano per un servitore dello spirito delle tenebre. Jahve è invece un collaboratore del Cristo. Egli ha compiuto un sacrificio, perché per agire come agisce, ha dovuto abbandonare il Sole e scendere nella sfera di Arimane. Questa è la sfera della Luna che segna come un grande cerchio intorno alla Terra.

La Terra materiale è la prima realizzazione parziale del regno arimanico. Arimane è però costantemente attivo. Trasporta nel suo regno le forme che ruba alla vita eterna, le fissa nella morte e prepara i prototipi di nuove esistenze materiali. Ma è proprio qui che si manifesta in maggior grado l’azione di Jahve. Proprio nel regno arimanico, nella sfera delle tenebre, dove ogni forma di esistenza tende a irrigidirsi, a condensarsi, Jahve spinge il processo d’indurimento oltre il limite stabilito da Arimane e provoca la supermaterializzazione, la superdensificazione. In tal modo sorge quello stato d’esistenza superfisica, supermateriale che è la Luna, il satellite terrestre.

La Luna fisica è quel punto del regno arimanico in cui si è stabilito Jahve per dispiegare la sua azione poderosamente distruttrice per la pseudo vita fisica promossa da Arimane. All’azione cosmica di Jahve, s’accompagna quella umana, parallela come sempre all’impulso arimanico.

 

Arimane, come abbiamo visto, ha fatto sorgere nell’uomo il pensiero concettuale con il preciso intento di trasformarlo in un suo strumento finalistico. Il concetto arimanico è un’immagine vuota della realtà; Jahve lo spinge all’astrazione pura che è immagine dell’immagine. Sorge così quel concetto superastratto che è la causalità.

 

• Se nel finalismo arimanico c’è la possibilità dell’arbitrio, dell’azione autonoma,

• nella causalità di Jahve c’è soltanto costrizione assoluta, necessità, legge inflessibile.

Con ciò l’uomo viene ricollegato alla spiritualità originaria,

perché fra tutti i concetti sorge anche quello di Dio come causalità assoluta.

La causalità è finalismo spinto all’eccesso, finalismo auto-distruttivo.

 

L’eccesso, la violenza è la caratteristica precipua dell’azione di Jahve. Se essa fosse lasciata libera, in breve tutta l’esistenza fisica sarebbe annientata. Perciò le forze di Jahve sono contro-bilanciate, equilibrate da altre forze.

Sette Spiriti della Forma – che la Bibbia chiama Elohim – sono i regolatori dell’esistenza solare.

Sei di essi agiscono direttamente dal Sole, il settimo ha compiuto il sacrificio di scendere nella sfera delle tenebre e si è creato la sua dimora sulla Luna. Questi è Jahve. L’azione di Jahve è antitetica a quella degli altri sei Elohim solari, ma non contrastante.

 

• Lo scambio di forze tra il Sole e la Luna è concertato, è diretto, è armonizzato dal Cristo.

Jahve è dunque un collaboratore del Supremo Spirito solare anche se agisce nella sfera delle tenebre.

 

Dopo il Mistero del Golgota è penetrato nell’esistenza terrestre l’impulso della resurrezione che vincola le forze della morte di Arimane. Con ciò Jahve ha perso la sua importanza. Egli appare ora come un astro che si spegne, come uno spirito in decadenza. Il Dottore dice che egli è “prigioniero” dei suoi nemici.

Questi però sono concetti umani che rispecchiano la realtà osservata dal punto di vista terrestre.

Dal punto di vista spirituale Jahve è in ascesa. Il suo sacrificio lo ha reso maturo per nuove più alte missioni.

 

La Scienza dello Spirito esige da noi una grande mobilità di concetti. Ogni verità appresa deve essere considerata solo come una nota musicale, come un singolo suono nella grande armonia dell’universo. Non dobbiamo cadere nella tentazione arimanica di fissare la forma, di irrigidirne il contenuto. Soltanto l’impulso della resurrezione che promana dal Cristo e che rende vivo e mobile il nostro pensiero può destare in noi la comprensione per i sublimi fatti dell’evoluzione cosmica ed umana.

 

 

AVVERTENZA

Il contenuto esoterico del presente scritto è tratto dalle opere e dall’insegnamento di Rudolf Steiner nella trasposizione e nell’elaborazione di Fortunato Pavisi.

[R. Steiner : La comunione spirituale dell’umanità; 5 conf. 23- 31 XII 1922]

Trieste, 14 aprile 1947