L’importanza dei temperamenti nell’organizzazione umana

O.O. 310 – Importanza della Conoscenza dell’Uomo per la Pedagogia e della Pedagogia per la Cultura – 23.07.1924


 

Le considerazioni qui svolte a proposito di un’arte pedagogica fondata sulla conoscenza dell’uomo avranno reso evidente quanto sia importante il modo in cui veramente il maestro, l’educatore, stia di fronte a chi egli deve educare ed istruire. Ciò che vive nell’anima, in tutta la personalità del maestro, opera, direi attraverso cento vie invisibili, dall’educatore sui fanciulli, sugli allievi. Ma opera soltanto se l’educatore porta effettivamente nell’anima una conoscenza penetrante e genuina dell’uomo, una conoscenza che sta per passare ad un’esperienza spirituale. E qui devo premettere alcune osservazioni su quanto antroposoficamente, in senso vero e proprio, si intende per « esperienza spirituale », poiché proprio a tale proposito si hanno spesso delle concezioni errate.

 

Si crede molto frequentemente che la veggenza spirituale si debba in primo luogo elevare al di sopra di tutto quanto è materiale. Ora è indubbio che l’uomo può giungere ad una profonda, ma pur sempre alquanto egoistica soddisfazione dell’anima se, elevandosi al di sopra della materialità, egli vaghi oltre, nel campo spirituale. Anche questo occorre. Si perviene infatti a conoscere lo spirito soltanto se lo si conosce come tale nel suo proprio campo; e l’antroposofia molto deve parlare di regni spirituali, di entità spirituali, che nulla hanno a che fare col mondo fisico sensibile. Allorché si tratti – cosa che è talmente necessaria all’uomo attuale – di conoscere la vita dell’uomo tra la morte e la rinascita, la vera e propria vita soprasensibile dell’uomo prima della nascita o della concezione, o la vita dopo la morte, occorre proprio elevarsi ad un’osservazione libera dal corpo, soprasensibile, soprafisica. Ma noi dobbiamo operare e lavorare anche entro la vita fisica; noi dobbiamo stare in essa fermi e sicuri. Innanzi tutto noi siamo pedagoghi non per anime disincarnate! Se intendiamo diventare pedagoghi non possiamo chiederci come ci dobbiamo comportare di fronte ad anime che siano passate attraverso la morte e che vivano nel mondo dello spirito, ma volendo lavorare da pedagoghi fra nascita e morte ci dobbiamo chiedere come viva un’anima nel corpo fisico. Così dobbiamo fare, almeno per gli anni che seguono la nascita. Qui si tratta davvero di saper guardare, con lo spirito, nel mondo della materia. Sotto questo rapporto l’antroposofia, la scienza dello spirito, è spesso un guardare dentro nel mondo materiale, con lo spirito.

 

Ma è giusto anche il contrario; occorre cioè guardare nello spirito stesso fino al punto in cui esso ci si presenti nella sua pienezza, come qualsiasi fenomeno sensorio; occorre saper parlare dello spirito come se esso rilucesse attraverso i colori, si rendesse udibile mediante i suoni, come se ci stesse davanti corporalmente, come un essere sensorio. Dell’antroposofia proprio questo indispettisce talmente i filosofi astratti. Li disturba il fatto che l’indagatore spirituale descrive il mondo spirituale e le entità spirituali, come se egli potesse imbattersi in loro ad ogni ora, come fossero uomini qualsiasi ai quali si può porger la mano e coi quali si può conversare. Egli descrive le entità spirituali come fossero esseri terrestri, ed esse quasi ci appaiono tali nella sua descrizione. Vale a dire: egli rappresenta lo spirito in immagini sensorie; e lo fa in piena coscienza poiché per lui esso è una realtà assoluta. C’è del vero quando si dice che la conoscenza reale del mondo intero conduce appunto a poter anche « dar la mano » agli spiriti, a star loro di fronte e a parlare con loro. Ai filosofi, che vogliono comprendere il mondo spirituale soltanto in concetti astratti, ciò sembra paradossale, in un primo tempo; eppure una tale descrizione è necessaria. È altrettanto necessario vedere un uomo fino al punto in cui la materia che lo avvolge scompaia del tutto, vedercelo davanti quale spirito. Tuttavia, se chi non è antroposofo vuol osservare l’uomo quale spirito, allora quest’uomo non è soltanto un fantasma; egli risulta ima specie di attaccapanni per concetti, al quale sono appesi i concetti più differenti, sul quale agisce la facoltà di rappresentazione, e così via. In confronto, un fantasma ha una certa consistenza, mentre un uomo così descritto da un filosofo è davvero indecorosamente nudo, per quanto riguarda lo spirito. Nell’antroposofia l’uomo fisico viene considerato del tutto spiritualmente, ma egli ha pure cervello, fegato, polmoni, eccetera; egli è concreto, ha tutto quello che si troverebbe in lui sezionando il suo cadavere. Tutto ciò che è spirituale penetra ed è attivo nel fisico; si guarda il fisico spiritualmente, ma si ha l’insieme. Soltanto se si è coscienti che, nel guardare il fisico, esso può diventare interamente spirituale e che, osservando lo spirituale, lo si può far scendere fino a divenire quasi fisico, soltanto così i due elementi si toccano. Si guarda l’uomo fisico, quando è sano e quando è ammalato, e la sua pesante materialità si dilegua, diviene spirituale. Si guarda poi la parte spirituale, quale essa è fra morte e rinascita: essa diviene fisica in immagini. Così i due elementi s’incontrano.

 

Questa duplice possibilità, di contemplare la parte spirituale nell’immagine sensoria, e quella sensoria in entità spirituali, ci insegna a guardare nell’essere umano. Se dunque si domanda: Che cosa significa veramente « osservazione spirituale »? bisogna rispondere: Significa vedere il sensibile spiritualmente e lo spirituale in modo sensibile. Può sembrare paradossale, ma è così. Soltanto se si è compenetrati della giustezza di quel che ho detto, si arriva a guardare il fanciullo in modo giusto.

 

Un esempio. Un bambino della mia classe diventa sempre più pallido, ed io lo noto; è una manifestazione della vita fisica del bambino. Ma non serve a nulla andare ora dal medico e farci prescrivere qualcosa che renda al fanciullo la sua bella cera. Può infatti avvenire che il fanciullo divenga pallido; lo si vede. Arriva ora il medico della scuola e prescrive qualcosa che ridà il suo colorito al bambino. Anche il medico ha agito benissimo, prescrivendo la medicina assoluta- mente adatta, proprio come va fatto in simili casi; nel bambino così curato osserveremo tuttavia qualcosa di singolare. (Lo si è « curato », e qualsiasi superiore del medico potrà attestare alle autorità che il medico ha fatto la cura). Tuttavia il fanciullo così curato mostra poi in iscuola di non essere più capace di afferrare le cose, si dimena, è irrequieto, non presta più attenzione alle cose. E mentre prima se ne stava lì pallido, ed era un scolaro assai piacevole, ora incomincia a dar botte ai vicini di banco ; mentre prima immergeva delicatamente la penna nel calamaio, ora ve la intinge con violenza, facendo schizzare gocce d’inchiostro che vanno a macchiare il quaderno. Il medico ha fatto il suo dovere, soltanto che ora si ha un guaio, perché in effetti la gente « curata », talvolta, si comporta nella vita in modo ben strano.

 

Anche in questo caso si tratta di vedere ben chiaro che cosa sta alla base del fenomeno. Chi è capace di vedere, attraverso la parte fisica esteriore, quella spirituale animica esprimentesi nel pallore, scorgerà quanto segue. La forza della memoria operante nella parte spirituale animica non è se non forza di crescita trasformata, metamorfosata; la crescita, lo sviluppo delle forze di nutrizione, ad un altro livello, è esattamente la stessa cosa del formarsi della memoria e dei ricordi ad un livello superiore. È la medesima forza, soltanto in ima metamorfosi differente. Esponendo schematicamente, si può dire che nei primi anni di vita del bambino le due forze sono ancora frammiste, non sono ancora divise; più tardi, da quel complesso indiviso, la memoria si scevera, quale facoltà distinta, e così pure la facoltà della crescita e della nutrizione. Il bimbo, adoperando nei primi anni di vita ancora le sue forze mnemoniche per provvedere al suo stomaco e per digerire il latte, non può rammentare nulla. Quando poi, più avanti, egli non usa più le sue forze di memoria per servire lo stomaco, quando lo stomaco ha meno pretese e trattiene soltanto poche forze, allora una parte delle forze di crescita diviene memoria animica, forza mnemonica. Ora se in iscuola, perché gli altri ragazzi sono più robusti, hanno cioè in loro una ripartizione più giusta tra forza mnemonica e forza di crescita, e si è forse badato meno ad un bambino che a tale riguardo ha minori riserve, può facilmente accadere che, per lui, noi abbiamo sovraccaricato la forza mnemonica, in tal caso, in quel fanciullo, la forza mnemonica emancipata è troppo impegnata. Allora vien tolto troppo alla facoltà della crescita, che è della stessa specie della precedente. Il fanciullo diventa pallido, ed io devo dire a me stesso: « Ho affaticato troppo la tua memoria, e perciò tu sei diventato pallido ». Sarà molto facile osservare che se a quel fanciullo alleggeriamo il lavoro della sua forza mnemonica, della sua facoltà di memoria, egli riacquisterà da solo un bel colore. Ma occorre comprendere come l’impallidire sia in relazione con quanto prima si è fatto gravando la memoria del fanciullo. È importantissimo saper guardare fin nel fisico e vedere che se il fanciullo diventa troppo pallido è perché io ho sovraccaricato la sua memoria.

 

Se invece ho in classe un altro bambino che a volte arrossisce in modo strano e che può suscitare la mia preoccupazione quando diventa rosso in quel modo improvviso, molto facilmente noterò delle manifestazioni animiche che accompagnano quell’arrossire. Nei momenti più impensati infatti, quando meno ce lo attendiamo, tali fanciulli diventano irosi, turbolenti, emozionabili. Anche ora si potrà dire: Afflusso di sangue alla testa — e farsi dare qualche ricetta che lo combatta. Il medico avrà fatto nuovamente il suo dovere, s’intende! Ma occorre sapere anche dell’altro e cioè che, all’opposto che per il primo bambino, per questo si è trascurata la facoltà della memoria; in esso troppe forze risultano occupate per la crescita, per la nutrizione. In un simile caso bisogna cercare di impegnare di più le facoltà mnemoniche del fanciullo, dar più da fare alla sua memoria; allora quei fenomeni cesseranno.

 

Si imparano a conoscere molte cose, che vanno organizzate nella scuola, soltanto abbracciando con un unico sguardo la parte fisica e quella spirituale. Gradatamente ci si addestra a riconoscere questa correlazione del fisico con lo spirituale, se si può considerare quanto, a mezzo fra il fisico e lo spirituale, è alla base di tutta l’organizzazione umana, e cioè i temperamenti. I ragazzi che entrano nella scuola presentano i quattro temperamenti: il malinconico, il flemmatico, il sanguinico e il collerico — sempre, s’intende, con tutte le sfumature, e mescolati l’uno con l’altro. La nostra pedagogia dà un grande valore ai temperamenti per una chiara comprensione del fanciullo e ne tiene conto già nella disposizione dei posti in classe. Noi cerchiamo per esempio di scoprire quali siano i fanciulli collerici, e li mettiamo a sedere l’imo accanto all’altro. Così li abbiamo tutti assieme, ed anche al maestro è possibile sapere che in quell’angolo ci sono i fanciulli di disposizione collerica; in un altro angolo siedono per esempio i flemmatici; in un altro posto qualsiasi, in mezzo, i sanguinici; e altrove ancora, sono riuniti i malinconici. Una tale disposizione ha già i suoi grandi vantaggi. In tal modo si vede per esempio che i flemmatici, stando così riuniti, col tempo si annoiano talmente fra loro che cercano di scacciare la noia, quasi direi « smussandosi » a vicenda. E i collerici si dànno talmente fastidio tra di loro che dopo qualche tempo la situazione migliora. Lo stesso accade coi sanguinici per la irrequietezza del loro essere. E i malinconici vedono a loro volta come la malinconia si manifesta negli altri. I fanciulli vanno cioè trattati in modo da vedere che il simile agisce favorevolmente sul suo simile; ciò è bene già in relazione a questa disposizione esteriore; a parte il fatto che si ha inoltre così la possibilità di dominare sempre la classe perché è chiaro che la riunione dei fanciulli di indole uguale ne facilita l’osservazione.

 

Ora importa di penetrare con lo sguardo nella natura umana a tal punto da poter in pratica trattare i temperamenti collerici, sanguinici, malinconici. Qui naturalmente diventa necessario creare effettivamente, intimamente, quel tal ponte di congiunzione fra scuola e casa, di cui ho parlato. Poniamo che io abbia in classe un fanciullo malinconico; egli è difficilissimo da prendere, non riesco a penetrare in lui; se ne sta lì quasi « covando », assente, tutto occupato con se stesso, non partecipa a quanto viene esposto in classe. Una pedagogia che non sia basata sulla conoscenza dell’uomo consiglierà di fare il possibile per suscitare l’attenzione del bambino, di trarlo fuori da se stesso, e così via. Di regola ciò renderà il fanciullo ancor più cogitabondo e ancor più preso dall’intimo suo. Tutti i rimedi escogitati senza cognizione di causa a poco servono; tutt’al più serve l’amore spontaneo per il bambino, poiché allora egli sa che partecipiamo alla sua vita, e il suo subcosciente ne risulta attivato. Tutte le esortazioni non sono soltanto tentativi gettati al vento, ma risultano addirittura dannose perché il fanciullo si immalinconisce sempre più. Aiuta invece enormemente, in classe, cercare di accondiscendere alla malinconia del fanciullo, sapere in che direzione vanno i suoi pensieri; mostrare poi interessamento per essi, parteciparvi e, nelle nostre azioni, divenire in certo modo noi stessi malinconici con il bambino malinconico. Bisogna che i maestri abbiano in loro stessi, armonicamente attivi, tutti e quattro i temperamenti. Dobbiamo fare in modo da contrapporre alla malinconia del bambino il nostro comportamento verso di lui; se persistiamo in siffatto comportamento, allora egli vede quello che noi siamo da quello che noi diciamo. Tutto quel nostro affettuoso inserirci nell’anima sua, che nascondiamo sotto la maschera della malinconia da noi assunta, s’insinua così nel fanciullo. Ecco quanto, in classe, può essere di aiuto.

 

A questo punto bisogna andare oltre e sapere che qualsiasi malinconia esistente in un uomo – per quanto possa sembrare inverosimile al fisiologo moderno – è in rapporto con un’irregolare funzione del fegato. È dato sapere che tutte le forme di malinconia, specie se nel fanciullo arrivano ad essere patologiche, dipendono dal funzionamento irregolare del fegato. Perciò mi rivolgerò ora ai genitori del bambino e dirò loro: Nelle vivande che mangia questo ragazzo dovete mettere più zucchero del solito; il suo vitto deve essere più dolce di quanto non gli diate di solito; lo zucchero favorisce infatti la normalizzazione delle funzioni epatiche. Consigliando dunque alla madre di dare più zucchero al bambino, farò collaborare scuola e casa per eliminare quanto la malinconia ha reso patologico e per creare la possibilità di trovare il trattamento opportuno.

 

Oppure ho un fanciullo sanguinico che passa da impressione a impressione, che vuole sempre subito quel che vien dopo, mentre ancora ha quel che precede, che si interessa molto per ogni cosa, ma se ne disinteressa poi presto. Ho dunque un ragazzo dalle caratteristiche descritte. Di regola non sarà bruno, ma biondo. Di nuovo dovrò trovare il modo col quale trattarlo a scuola. Cercherò allora, nelle mie azioni, di essere ancora più sanguinico di lui; gli farò passare davanti, molto in fretta, impressioni svariate, in modo che egli non possa abbandonarsi alla sua fretta che va da impressione a impressione, ma che sia costretto a seguire me. Egli allora se ne stanca e in conclusione non vuole saperne più. Ma fra quello che seguito a fare io, col mio contegno sanguinico nell’insegnamento, e la tendenza predominante nel suo temperamento, nel bambino, portato a correre da impressione a impressione, si va formando, per reazione, un’armonia. Arrivo così ad agire sul bambino, provocando in lui impressioni mutevoli, escogitando sempre cose nuove, sì che il ragazzo debba vedere ora bianco e ora nero, e correre senza posa da oggetto a oggetto. Mi metto poi in comunicazione con la madre di questo fanciullo e, senza dubbio, verrò a sapere da lei che egli è goloso di dolciumi, che riceve molte leccornie, o le rubacchia; oppure che in casa si usa addolcire molto le vivande ; ovvero – se neppure questo è il caso – che il latte materno era troppo dolce, conteneva troppo zucchero. Spiego allora alla madre come convenga, per qualche tempo, dare al bambino una dieta più povera di zuccheri; con tale alimentazione agisco dalla casa patema all’unisono con la scuola. Gradata- mente la diminuzione dello zucchero paralizzerà la situazione anormale dovuta al fatto che, anche in questo ragazzo, l’attività del fegato non è normalissima nella secrezione biliare: c’è una secrezione anormale, appena rilevabile. E osserverò che così la famiglia mi viene in aiuto.

 

Bisogna sapere effettivamente in tutto dove e come la parte fisica si inserisca immediatamente in quella spirituale, dove essa diviene una cosa sola con quella spirituale.

 

Possiamo anche addentrarci più oltre nei particolari e dire: Un fanciullo mostra una grande rapidità nell’afferrare, comprende tutto alla svelta; ma se dopo un paio di giorni io ritorno su quanto egli aveva compreso, rendendomi allora felice per la sua prontezza di comprensione, ecco che tutto è sfumato, non c’è più. Anche in questo caso potrò fare parecchio nella scuola. Tenterò di svolgere davanti a questo alunno cose che lo costringono ad impiegare un’attenzione maggiore del solito. Il ragazzo capisce un po’ troppo alla svelta e non ha bisogno di applicarsi interiormente a sufficienza per impadronirsi a fondo delle cose. Gli darò dunque un osso duro da rodere, gli presenterò cose più ardue da comprendere, tali da esigere una maggiore attenzione. Così posso fare a scuola. Ma poi mi metto di nuovo in contatto con i genitori e apprendo da loro diverse cose (ciò che qui dico non corrisponde ai fatti sempre in questo modo, ma io voglio soltanto indicare una via). Con molto tatto ne parlo così alla madre; senza darle prescrizioni dall’alto al basso, mi ingegnerò di sapere quale sia il genere di vitto usato in famiglia, e scoprirò forse che il bambino mangia troppe patate. La cosa è difficile, perché ora la madre potrà rispondere: « Tu mi dici che il mio ragazzo mangia troppe patate, ma la bimbetta del mio vicino ne mangia anche di più, e non ha per nulla il medesimo difetto : sicché non può dipendere dal mangiar patate». Così dirà la madre, e tuttavia la difficoltà dipende dal mangiar patate; l’organizzazione infantile è infatti tale che un bambino ne sopporta di più e un altro di meno. E, strano a dirsi, proprio in questo ragazzo si mostra che egli, per la sua organizzazione, mangia troppe patate; lo si vede dal funzionamento poco buono della sua memoria. La guarigione del fanciullo, in questo caso, non dipende dal dargli meno patate. Può darsi persino che, dandogli meno patate, la situazione migliori ma che dopo poco tempo si ritorni come prima. Qui non agirà la diminuzione in assoluto della razione di patate, ma il lento disuso, l’attività del disuso. Occorre perciò dire alla madre di dare al fanciullo pochissime patate di meno durante la prima settimana, e poi di nuovo pochissime di meno nella seconda e così via, in modo che il bambino abbia ad essere partecipe, attivo, nel ridursi via via ad una dose minore di nutrimento proveniente dalle patate. Nel caso nostro si tratta dunque di un divezzamento, e ci accorgeremo così dell’azione addirittura guaritiva.

 

Molto facilmente, i cosiddetti idealisti accuseranno ora l’antroposofia di essere materialista; e lo fanno sinché. Se l’antroposofia dice per esempio: Quando si ha un fanciullo che capisce alla svelta, ma che nulla ritiene, bisogna via via diminuire la sua razione di patate — allora la gente ci accusa di essere del tutto materialisti. Sta però il fatto che fra materia e spirito esiste una tale comunanza di azione che è possibile agire soltanto se si conosce la materia fino in fondo, e si è capaci di signoreggiarla con provvedimenti riconosciuti mediante lo spirito. Credo superfluo dire quanto, nella odierna nostra vita sociale, si pecchi contro tutto questo. Ma quando al maestro si schiudono le prospettive di una concezione universale, egli arriva in realtà a questi risultati. Basta che egli allarghi un poco le proprie vedute. Per esempio, è di enorme aiuto al maestro, per capire gli alunni, venire a sapere quanto poco zucchero si consuma in Russia e quanto se ne consuma in Inghilterra. Se poi confronterà il temperamento russo con quello inglese, egli si avvedrà quale influenza sul temperamento venga esercitata dallo zucchero. Bisogna imparare a conoscere il mondo affinché tale conoscenza ci aiuti per quel che dobbiamo fare. (Vorrei dire un’altra cosa: in Germania, in una cittadina del Baden, c’è un monumento singolare, il monumento a Drake. Una volta volli sapere che significato aveva il monumento a Drake, sfogliai un’enciclopedia e trovai che a Drake era stato elevato ad Offenburg un monumento, perché si riteneva, erroneamente, che egli avesse introdotto in Europa la patata. Così è scritto. A quest’uomo fu dunque eretto un monumento perché fu ritenuto colui che aveva introdotto la patata in Europa. Non fu lui ad introdurla, sebbene in Offenburg gli sia stato eretto quel monumento.)

 

La patata venne in realtà introdotta in Europa relativamente tardi. In proposito dirò qualcosa di cui si potrà ridere quanto si vuole, ma che tuttavia è una verità. È possibile studiare come lo sviluppo delle doti intelligenti umane si sia comportato nel tempo in cui la patata era sconosciuta, in confronto a dopo la sua introduzione. La patata viene pure usata nelle distillerie di acquavite. Essa assunse una parte ben definita nell’evoluzione dell’umanità europea. Confrontando l’uso crescente della patata con la curva di sviluppo dell’intelligenza, si scoprirà che, in confronto ai tempi attuali, in quelli precedenti la sua introduzione la gente afferrava le cose con minore intensità, ma le riteneva maggiormente; erano nature più conservatrici, profondamente interiori. Quando la patata venne introdotta, la gente diventò più svelta nell’uso mobile e intelligente dei concetti; ma le idee accolte non facevano presa, non penetravano fino nell’intimo. La storia dello sviluppo dell’intelligenza corre parallela alla storia del consumo di patate. Ecco un altro esempio di come l’antroposofia spiega « materialisticamente » le cose ; ma è così. Molto si impaurerebbe sulla storia della civiltà se ovunque fosse risaputo come nel subcosciente l’uomo viene afferrato, proprio nella sua parte spirituale, dalla materialità esteriore. Egli lo mostra nelle sue brame.

 

Prendiamo per esempio un tale che ha molto da scrivere, giornalmente un articolo per quotidiani e simili; sicché è costretto a mordicchiare la cannuccia per spremere fuori quello che deve scrivere. Quando lo si sia sperimentato è lecito raccontarlo; soltanto non bisogna criticarlo in altri, ma parlarne per esperienza propria. Si ha inoltre la necessità, mordicchiando la cannuccia, di bere un caffè, perché il bere il caffè lega meglio i pensieri. Si ottengono cioè dei pensieri in modo più logico quando si beve caffè, piuttosto che non bevendone. Un giornalista deve dunque apprezzare il caffè; non bevendolo il lavoro riesce più difficile. Prendiamo invece un diplomatico, e pensiamo quante cose, prima della guerra mondiale, erano connesse con un diplomatico: egli doveva imparare ad incedere in un modo speciale; nell’ambiente sociale in cui deve muoversi un diplomatico, occorre imparare una movenza più strisciante dei piedi di quanto non avvenga altrove, nella vita borghese. Ma bisogna imparare anche ad avere pensieri fluidi, scorrevoli. Un diplomatico che sia logico, di sicuro non condurrà delle buone trattative, né porterà avanti i popoli. Per le riunioni di diplomatici non si dice che essi si incontrino per il caffè, ma che si riuniscono per il tè; i diplomatici hanno il bisogno di bere una tazza di tè dopo l’altra, affinché i pensieri non sorgano soltanto logicamente, ma perché essi « saltino » per quanto è possibile. Perciò ì diplomatici hanno il desiderio di bere il tè: esso stacca un pensiero dall’altro, lo rende scorrevole e fluido, distrugge la logica. Si può quindi dire: gli scrittori sono amanti del caffè, i diplomatici del tè; e così è per un istinto giustissimo.

 

Se sappiamo tutto questo non lo considereremo una limitazione della libertà umana; si intende che la logica non è affatto una conseguenza del caffè, ma esso ne è soltanto un sostegno incosciente, subcosciente. L’anima rimane perciò ugualmente libera.

 

Ma appunto quando abbiamo davanti a noi il fanciullo, è necessario poter vedere a fondo questi rapporti che acquistano un significato quando possiamo dire: Il tè è la bevanda dei diplomatici, il caffè quella degli scrittori, e così via. A poco a poco si acquista allora la comprensione per quanto riguarda la patata, ad esempio. Essa procura difficoltà grandissime per la digestione. E pochissimo, una dose quasi omeopatica, ne arriva al cervello. Ma questa dose omeopatica è appunto efficacissima, è uno sprone per le forze astratte dell’intelligenza. A questo proposito posso forse raccontare qualcosa: osservando al microscopio una patata, si vedono le forme ben note dei carboidrati. Guardando il corpo astrale di un uomo che abbia mangiato patate in abbondanza, si osserva come nel cervello, tre centimetri dietro la fronte, la sostanza della patata incominci ad essere attiva in analoghi circoli eccentrici. I movimenti del corpo astrale diventano corrispondenti alla sostanza della patata, e l’uomo diviene straordinariamente intelligente, di un’intelligenza spumeggiante. Ma essa non è costante, si disperde subito! Se in genere si ammette che l’uomo abbia spirito ed anima, forse non è del tutto assurdo e fantastico, parlando dello spirito, farlo in immagini sensibili. Chi voglia sempre parlare dello spirito per immagini astratte non ci dà nulla dello spirito stesso, mentre ce lo dà chi è capace di far scendere lo spirito fino all’immagine sensoria. Questi può dire: In un uomo dall’intelligenza brillante avviene che nel suo cervello prende forma, spiritualmente, la sostanza della patata. Si arrivano così di nuovo a distinguere le differenze e i sottili trapassi. Si impara a conoscere che, riguardo alla logica, il tè separa i pensieri, ma non stimola a riceverne. Dicendo che i diplomatici amano il tè, non si dice ancora che essi abbiano la facoltà di produrre dei pensieri. La patata, invece, sollecita il sorgere immediato dei pensieri, e la loro scomparsa. Al fulmineo sorgere dei pensieri, che può verificarsi anche nei fanciulli, va sempre parallela una disfunzione del sistema digerente. Si può anzi vedere, quando i ragazzi sono lesi nel loro sistema digerente e si lagnano di stitichezza, come ciò si accompagni a pensieri vani e furbi che balenano loro in testa per disperdersi poi subito, ma che tuttavia sono presenti.

 

Espongo nei particolari tutto questo, affinché si veda come la parte spirituale animica e quella fisica debbano essere considerate unitariamente e come invero, nell’evoluzione dell’umanità, debba di nuovo esser raggiunto uno stadio che tenga assieme le correnti diverse della civiltà. Noi viviamo invece in un’epoca nella quale esse del tutto si sono separate; e lo riconosceremo soltanto se sapremo leggere un poco nella storia dell’evoluzione dell’umanità.

 

Oggi noi distinguiamo religione, arte, scienza. I custodi della religione vigilano persino con la massima intensità affinché nulla di scientifico penetri nel campo religioso. Alla religione bisogna credere, e la scienza è in un altro campo. Essa va applicata in un settore dove è possibile sapere; non le è lecito credere, ma si deve sapere ogni cosa. Però, per realizzare una tale divisione, si toglie lo spirito dalla scienza e il mondo dalla religione. Così la religione diventa astratta, esiste soltanto per il soprasensibile, e la scienza diventa priva di spirito. L’arte poi si emancipa completamente. Ai nostri tempi esistono uomini i quali, se si vuol narrare loro cose soprasensibili, si atteggiano a sapientoni e, considerandoci superstiziosi, dicono: « Roba scadente! Noi sappiamo che sono tutte frottole! » Succede però che un Bjomson, o altri, scriva cose in cui giocano questi temi; si passa allora al campo dell’arte, e quindi la gente accorre per apprezzare nell’arte quello che essa rifiuta nel campo della conoscenza. La superstizione provoca spesso cose strane. Tempo fa avevo un conoscente (questi fatti della vita vissuta vanno assolutamente portati sempre nell’arte dell’educazione poiché questa, se è veramente tale, può essere appresa soltanto dalla vita) — avevo dunque un conoscente, uno scrittore drammatico. Lo incontrai un giorno per la strada: correva in gran furia, tutto sudato. Mancavano tre minuti alle otto di sera. Gli chiesi dove andasse così in fretta. Aveva talmente premura che disse soltanto di dover ancora andare alla posta prima della chiusura, alle otto. Lo lasciai correre, ma pure mi interessava, psicologicamente, di sapere il motivo della sua fretta, e perciò attesi il suo ritorno. Infine arrivò tutto trafelato e in vena di raccontare. Io volevo sapere il motivo della sua fretta di recarsi all’ufficio postale. E allora mi raccontò di aver appena spedito un suo dramma. Ma di quel dramma egli aveva finora sempre detto di non averlo ancora finito, e infatti anche allora lo confermò. « È vero che non l’ho ultimato, ma volevo soltanto spedirlo oggi, affinché il direttore potesse riceverlo domani; però gli ho anche detto di rispedirmelo subito. Sta il fatto che se si manda un dramma prima della fine del mese, esso viene ancora accettato per la rappresentazione, altrimenti no! » Ebbene, quest’uomo, straordinariamente evoluto, era convinto che se si spediva un dramma un dato giorno, questo veniva accettato, anche se doveva poi farselo rimandare per terminarlo davvero. Da questo fatterello si vede come le cose a volte disprezzate dagli uomini si nascondono in qualche angolino, dal quale poi riaffiorano alla prossima occasione.

 

Così è, specialmente nel fanciullo. Si crede di aver estirpato qualcosa in lui, ma tosto riaffiora da un’altra parte. Bisogna avere l’occhio per questo. Così bisogna avere ampiezza di cuore nell’osservare gli uomini per poter fondare una vera arte pedagogica sulla conoscenza dell’uomo. Si potrà vedere tutto questo soltanto addentrandosi nei particolari.

 

Oggi — dicevo poco fa — si parla separatamente di religione, di arte e di scienza. Così non era nei tempi antichi dell’umanità. Allora tutto era un’unità. Allora vi erano le sedi dei misteri che erano in pari tempo scuole elevate e centri per la religione, l’arte e la scienza. Poiché, quale « conoscenza », vi si accoglievano le immagini rappresentative, le immagini conformi a idee, del mondo spirituale. Queste venivano ricevute in modo tanto chiaro che esse potevano venir tradotte in immagini esteriori, e su questa base si poteva sviluppare il culto. La scienza diventava culto e anche arte. Poiché si voleva che fosse bello quanto, attinto dalla conoscenza, si plasmava esteriormente. Così in quei tempi, nelle sedi dei misteri, si avevano la verità divina, il bene morale e la bellezza sensibile in un’unità derivante da religione, arte e scienza. Soltanto più tardi si ruppe questa unità e si ebbe la scienza per sé, la religione per sé e l’arte per sé. Tutto questo ha raggiunto un apice ai nostri tempi. Le cose, che realmente possono essere soltanto un’unità, sono divise nell’evoluzione della civiltà. L’uomo ha tuttavia la disposizione a sperimentarle unitariamente, non già scisse. Egli può sperimentare in sé soltanto in unità una scienza religiosa, una religione scientifica e un’idealità artistica; diversamente, egli viene interiormente dilaniato. Perciò dove questa separazione, questa differenziazione ha toccato il suo culmine, è diventato tanto più necessario di ritrovare il nesso fra questi tre campi. Noi faremo quindi in modo da riuscire a ricomporre in unità, nell’insegnare al fanciullo, arte, religione e scienza. Vedremo con quale vivezza egli è predisposto a questa fusione di religione, arte e scienza, e come questo corrisponda alla sua natura. Ne deriva quella severa esigenza che io sempre di nuovo ho fatto valere: si educhi cioè il fanciullo, ben consci che egli è propriamente un essere con disposizioni estetiche, e si cerchi di far presente come, nei suoi primissimi anni di vita, egli si mostri naturalmente religioso. Tutto questo, vale a dire religione, arte e scienza, fuse fra loro in armonia, noi dobbiamo afferrarlo in modo giusto e metterlo in valore nelle disposizioni didattiche sulle quali ancora dovremo intrattenerci.