07 – Sulla tecnica del karma nella vita dopo la morte

O.O. 140 – Ricerche occulte sulla vita fra morte e nuova nascita – 15.12.1912


 

SETTIMA CONFERENZA

 

Sommario: Rapporto del pensare e del volere con il mondo della necessità oggettiva e rapporto del sentire con la libertà. L’espandersi dell’uomo, dopo la morte, nelle sfere planetarie. L’iscrizione del nostro conto dei debiti nella sfera lunare. Sfera di Mercurio: la solitudine dell’uomo che fu immorale e la socievolezza dell’uomo che fu morale. Immutabilità delle relazioni con gli altri esseri umani nel dopo morte. Nel kamaloka si fa valere anche il ricordo di ciò che visse nel subconscio. La lettura ai defunti. Negli eventi possibili, ma non accaduti, i defunti si affacciano nel mondo dei vivi. Sfera di Venere: gli uomini sono eremiti se non ebbero alcuna disposizione religiosa; diversamente sono raggruppati sulla base del loro credo in vita. Il significato della comprensione terrena dell’impulso di Cristo per la vita nella sfera del Sole. Lucifero come guida nell’ulteriore espandersi alle successive sfere di Marte, Giove, Saturno. Il viaggio di ritorno attraverso le sfere planetarie e l’accoglimento delle forze cosmiche degli astri in vista della nuova incarnazione. Il rapporto tra le forze degli astri e le qualità animiche umane di incarnazioni precedenti; loro agire nella nuova vita terrena. Omero e la sua veggenza poetica. Michelangelo e la sua intuizione artistica: le Cappelle Medicee di Firenze. La scienza dello spirito ha per sua natura la predisposizione a farsi atteggiamento di preghiera.

 

Il gruppo di Berna festeggia oggi il suo primo quinquennio e, contemporaneamente, riusciamo per la prima volta a incontrarci in questo spazio che, per il suo carattere complessivo, dovrà essere una degna cornice per le nostre aspirazioni e attività spirituali in questo luogo. Se ambienti di tal genere vengono ricercati, e se sempre più siamo in grado di tenervi le nostre riunioni più intime, ciò significa pur sempre qualcosa nelle nostre aspirazioni spirituali. Sappiamo che ormai in varie località del nostro ambito di lavoro si sono ricercati spazi come questo ed esistono anche. Allora in questo giorno che, come si è appena caratterizzato, è per noi doppiamente festivo, ci è ben lecito ricordare con qualche parola introduttiva anche il significato di una cornice di questo tipo.

 

Nei nostri studi torniamo sempre, ogni volta, per un verso o per l’altro al numero tre, alla sacra triade, come si suol dire. Nella vita dell’anima umana questa triade sacra si trova nel pensare, nel sentire e nel volere.

• Se riflettiamo sul pensare, diremo che in esso noi dobbiamo regolarci sulla base di necessità oggettive, perché se non ci conformiamo alle necessità nel nostro pensare – che si tratti di quello riguardante cose del piano fisico, oppure del pensare relativo a cose dei mondi spirituali – potremo solo sbagliare, non giungeremo alla verità.

• Anche nel nostro volere dobbiamo anzitutto regolarci secondo quanto ci dicono determinati principi morali esteriori.

 

Di nuovo dobbiamo conformarci a quel che è necessario e possiamo ben dire che,

quanto al nostro pensare e al nostro volere,

scendono ad affacciarsi entro il mondo fisico le necessità dei mondi superiori.

• Realmente libero, nel vero senso del termine, l’uomo si sente nel proprio sentire,

che è davvero molto diverso dal pensare e dal volere.

 

• Nel provare sentimenti e sensazioni noi ci sentiamo per così dire al meglio,

quando non proviamo né la costrizione del pensare, né quella del volere

e siamo invece dediti a ciò che appunto può venir sentito. Perché è così?

 

• Ecco, riguardo al pensare noi sentiamo che esso è collegato a qualcosa, che dipende da qualcosa;

• anche per il volere sentiamo che siamo dipendenti.

• Ma quanto al sentire, siamo completamente in noi stessi.

Qui viviamo per così dire interamente entro la nostra anima. Perché è così?

Perché in fin dei conti il nostro sentimento

è proprio il riflesso di una forza che sta molto, molto al di là della nostra coscienza.

 

• I pensieri dobbiamo considerarli immagini di ciò che rappresentano,

• il volere dobbiamo dispiegarlo in modo che porti a espressione quello che è il nostro compito.

• Nel sentire ci è permesso di vivere liberamente quel che ci parla all’anima,

giacché il sentire, considerato occultamente,

è un riflesso di quanto senza dubbio non entra nella nostra coscienza –

ma sta oltre la nostra coscienza ordinaria ed è direttamente divino-spirituale.

 

• Si può dire che con il pensare e con il volere gli dèi cercano di educare l’uomo;

• nel sentire essi ci permettono, per quanto in modo misterioso,

di aver parte al loro stesso operare, al loro stesso creare.

• Nel sentire, avviene anche che è presente nella nostra anima qualcosa in cui gli dèi stessi hanno il loro diletto.

 

Ora, grazie a una cornice come quella qui creata, possiamo costantemente accompagnare tutto ciò che osserviamo, con un sentimento che ci rende più intimi, ci rende molto intimi con i mondi spirituali. E questa familiarità con i mondi spirituali deve giungerci da tutto quello che normalmente osserviamo. Possiamo perciò dare valore a un’ambientazione del genere, e familiarizzarci sempre più con ciò che essa può essere per noi.

Guardiamo dunque a ogni lato di questa cornice e sentiamo qui la forza della luce e dei colori, che diventano per noi manifestazioni di ciò che esiste nel mondo spirituale. Certamente quel che abbiamo da dire può venir inteso anche negli spazi ordinari, inguardabili, che ormai si trovano ovunque al presente; ma la nostra anima può scaldarsi, può veramente scaldarsi per le riflessioni spirituali se abbiamo cornici simili a questa.

 

Nel fatto che, dopo i primi cinque anni del nostro lavoro ci sia possibile averla anche a Berna, possiamo vedere un karma propizio che accompagna e benedice il nostro lavoro. E dunque, in ogni occasione simile alla duplice festa odierna, vogliamo ricordarci del significato di ciò che la scienza dello spirito, la conoscenza spirituale può essere e dovrebbe essere per l’uomo moderno.

Quello che in realtà vogliamo prendere in considerazione oggi farà riferimento a vari contenuti di cui si è già parlato di frequente; di quanto è conosciuto vogliamo però parlare partendo da un nuovo punto di vista, perché i mondi spirituali possono diventarci pienamente comprensibili solo se li osserviamo davvero dalle più diverse posizioni.

 

La vita tra morte e nuova nascita è stata descritta nel modo più vario; oggi vogliamo considerarla così da poter tenere conto di diverse cose delle quali, proprio nei mesi scorsi, ebbi di nuovo a occuparmi nel campo dell’indagine spirituale.

Sappiamo che, subito dopo essere passati per la porta della morte, attraversiamo il cosiddetto kamaloka, vale a dire un periodo nel quale siamo ancora più strettamente collegati con il nostro sentire, con i nostri affetti, con tutta la nostra vita animica dell’ultima incarnazione terrena. Un po’ alla volta ci liberiamo da questo legame.

Certo, dopo la morte non abbiamo più il corpo fisico, ma pur avendo deposto il corpo fisico e quello eterico, il nostro corpo astrale ha tutte le caratteristiche che aveva qui sulla terra; e queste peculiarità, che esso possiede per aver operato in un corpo fisico, se le deve levare. Allo scopo gli occorre un certo tempo, e questo è il periodo del kamaloka.

 

Dopo il kamaloka l’uomo vive attraversando quel che abbiamo chiamato mondo spirituale, o Devachan.

Nei nostri scritti lo abbiamo caratterizzato, si potrebbe dire, piuttosto secondo quel che l’uomo sperimenta ad opera dei diversi elementi che si dispiegano attorno a lui. Adesso vogliamo osservare il periodo tra morte e nuova nascita da un altro lato, e precisamente, per una volta, vogliamo anzitutto caratterizzarlo in generale.

 

• Quando l’uomo è passato per la porta della morte sperimenta quanto segue.

Mentre ci troviamo qui sulla terra possiamo dire di essere chiusi entro un luogo determinato,

cioè nella nostra pelle, e che al di fuori c’ è lo spazio con le altre cose e gli altri esseri.

Però non è così dopo la morte; anzitutto noi ci espandiamo con la nostra intera essenza, così che nel nostro sentirci diventiamo sempre più grandi. Questo sentimento: “io sono dentro la mia pelle e là fuori c’è lo spazio con le cose”, è un’esperienza che dopo la morte non abbiamo.

Dopo la morte noi siamo dentro le cose e dentro gli esseri,

ci espandiamo oltre lo spazio che ci riguarda.

 

• Durante il periodo del kamaloka noi continuiamo a espanderci e, quando il kamaloka giunge al termine, siamo grandi come lo spazio che sta all’interno dell’orbita lunare. Dunque noi cresciamo davvero, ci estendiamo nello spazio. L’essere-nello-spazio, l’esistenza nello spazio ha dopo la morte tutt’altro significato che qui nel mondo fisico.

Nel periodo del kamaloka è davvero così: noi siamo nello spazio che la luna percorre orbitando. Ogni singola anima è lì, così che tutte le anime che si trovano in contemporanea nel kamaloka riempiono lo spazio che l’orbita lunare delimita. Esse stanno tutte l’una dentro l’altra. E tuttavia questo stare l’una nell’altra non è in alcun modo uno stare insieme; il sentirsi-insieme, l’essere l’uno con l’altro dipende invece da tutt’altra cosa che dall’occupare uno spazio comune.

Perciò, dopo la morte, due anime possono trovarsi nello stesso spazio ed essere infinitamente lontane l’una dall’altra, vale a dire che il loro vissuto è tale per cui possono non sapere proprio nulla l’una dell’altra; mentre altre anime si trovano anch’esse nello stesso spazio ma sentono dimestichezza, si sentono insieme, sperimentano di essere l’una con l’altra. Tutto dipende quindi dai rapporti interiori, non dalle connessioni spaziali esteriori.

 

Nei periodi successivi, quando il kamaloka si conclude,

l’uomo si ambienta in spazi ancora più grandi. Si espande sempre più ampiamente.

Quando si è esteso così lontano che il kamaloka volge al termine ed egli è per così dire espanso su uno spazio del cielo tanto grande che l’orbita lunare lo delimiterebbe, allora qui – entro questo spazio dilatato che si ha da attraversare dopo la morte nel periodo del kamaloka – è rimasto indietro come abbandonato dall’uomo tutto ciò che un giorno, durante la sua vita terrena, egli ha compiuto in un modo tale per cui esso manifesta la sua vera inclinazione verso la vita terrena, la sua nostalgia, la sua passione per la vita terrena. L’uomo deve passarsi tutto questo, ma lo deve anche lasciare indietro nella sfera della Luna, nel kamaloka.

Quando dunque continua a vivere dopo la morte e più tardi torna al ricordo di questa sfera lunare, vi troverà inscritto tutto quello che qui ebbe come affetti e passioni dei sensi, tutto ciò che si esplica nella vita dell’anima e a causa del quale egli si sente attratto con simpatia verso la corporeità. Tutto questo egli lo lascia indietro nella sfera della Luna e lì resta; l’uomo non può cancellarlo alla svelta. Lo prende anch’esso con sé sotto forma di forza, tuttavia ciò rimane inscritto nella sfera lunare. Così che il nostro conto delle colpe, diciamo, il conto dei debiti di ogni essere umano resta registrato nella sfera della Luna.

 

Poi noi ci espandiamo oltre. Ampliandoci ancora, giungiamo in una seconda regione che l’occultismo chiama sfera di Mercurio. Ora non è possibile illustrare più esattamente queste cose, vogliamo però anzitutto osservarle per una volta senza illustrarle.

La sfera di Mercurio è più grande di quella lunare.

Quando dopo la morte vogliamo ambientarci in questa sfera, come esseri umani lo facciamo nei modi più diversi. Una persona che sia stata immorale o abbia avuto una disposizione animica moralmente bassa, si ambienta nella sfera di Mercurio molto diversamente rispetto a un’altra avente una disposizione morale – questo si può indagare con precisione tramite gli opportuni mezzi della scienza dello spirito.

Nella sfera di Mercurio, cioè nel periodo che giunge, nel modo che si è detto, dopo il kamaloka, la prima persona non può trovare quegli uomini che hanno abbandonato anch’essi il piano fisico insieme a lei, o prima o appena dopo di lei, e che pure stanno nel mondo spirituale. Vive dunque entro il mondo spirituale così da non poter proprio trovare quelli che le furono cari, insieme ai quali desidera essere.

 

L’uomo che qui sulla terra ebbe una disposizione animica immorale

diviene un eremita nel mondo spirituale, nella sfera di Mercurio.

• Invece l’uomo avente una disposizione animica morale diviene quel che si può chiamare un essere socievole.

• Là egli ritrova anzitutto quegli esseri umani che sulla terra gli sono stati vicini come anime.

 

Da questo dipende il nostro essere insieme a qualcuno, non da fattori spaziali, poiché occupiamo tutti il medesimo spazio; dipende invece da come siamo disposti animicamente. Diveniamo eremiti, pur occupando insieme agli altri lo stesso spazio, e tali restiamo, perché non troviamo la via verso gli altri, pur stando nel medesimo spazio.

 

Diveniamo eremiti quando portiamo lì dentro una disposizione immorale,

• e diveniamo esseri socievoli se vi portiamo un’intonazione animica morale.

 

Nel kamaloka, nella sfera della Luna, troviamo altre difficoltà riguardo all’elemento della socievolezza; ma in generale ci si può figurare che anche lì l’uomo possa divenire solitario, oppure socievole, a seconda delle caratteristiche della sua anima.

• Chi sulla terra fu palesemente egoista, chi di fatto conosce solo l’appagamento delle proprie brame e passioni, nella sfera lunare non riuscirà a trovare facilmente gli esseri che sulla terra gli sono stati vicini.

Ma l’uomo che abbia amato appassionatamente, per quanto con passione sensuale, anche qualcosa che si trova al di fuori di lui, nel periodo del kamaloka sarà pur sempre non del tutto isolato, troverà comunque altri esseri che gli erano stati vicini.

 

In generale, però, in queste due sfere non è possibile trovare altri esseri umani se non quelli che già sulla terra ebbero stretti rapporti con noi. Gli altri ci rimangono sconosciuti. Perciò la condizione affinché noi ci incontriamo con altri uomini, è l’essere stati insieme a loro sulla terra. L’ incontrarci dipende da un elemento morale, ma nemmeno gli slanci morali possono portarci molto al di là dell’ambito che approda agli uomini cui fummo già vicini sulla terra. Le relazioni con questi esseri umani che incontriamo dopo la morte hanno la caratteristica di non poter venir allora modificate.

Dobbiamo rappresentarci che qui nella vita abbiamo la possibilità di cambiare le situazioni e le relazioni in qualsiasi momento. Supponiamo che per un certo periodo di tempo non abbiamo amato una persona come avrebbe meritato. Nell’istante in cui ce ne rendiamo conto, quando torniamo in noi stessi, se siamo forti abbastanza possiamo far sì che il giusto amore si adempia. Dopo la morte questa possibilità viene a mancare.

 

Se dopo la morte incontriamo un essere umano al quale sulla terra abbiamo portato incontro troppo poco amore, oppure un amore ingiustificato, lo vediamo certamente, percepiamo la cosa con molta più precisione che qui sulla terra, ma non possiamo cambiare nulla. Deve restare così. Questo è appunto l’elemento caratteristico, il fatto che le relazioni della vita possiedono una certa persistenza.

Per il fatto che divengono qualcosa di duraturo, si sviluppa nella nostra anima la forza tramite la quale si pone ordine nel karma. Se dunque per quindici anni abbiamo amato troppo poco una persona, riconosciamo questo e, nel viverlo, sviluppiamo la forza per fare diversamente quando saremo di nuovo incarnati sulla terra. Attraverso ciò noi sviluppiamo la forza e la volontà per il pareggio karmico. Questa è la tecnica del karma.

 

Prima di tutto dobbiamo aver chiara una cosa: nei primi tempi dopo la morte, perciò durante il periodo di Luna e Mercurio, e anche nel periodo successivo che verrà presto caratterizzato, noi viviamo nel mondo spirituale in modo che la nostra esistenza dipende da come abbiamo vissuto in terra, qui nel mondo fisico; ma in modo tale che non si deve tener conto solo della nostra coscienza, come la possediamo sulla terra, bensì si ha da osservare anche il nostro subconscio.

 

Normalmente quaggiù, nello stato di veglia, viviamo nel nostro io.

Al di sotto della nostra coscienza dell’io c’è la nostra coscienza astrale, il subconscio.

Ed esso alle volte sulla terra agisce in tutt’altro modo, senza che l’uomo lo sappia,

rispetto al conscio, alla coscienza dell’io.

 

Prendiamo l’esempio seguente. Due persone vivono qui nel migliore rapporto di amicizia. Succede allora di frequente che una delle due giunga a un certo apprezzamento nei confronti della scienza dello spirito e l’altra, che vive con lei, mentre prima la scienza dello spirito le era indifferente, sviluppa ora un particolare odio al riguardo. Non occorre che quest’odio esista in tutta l’anima, può senz’altro darsi che esista solo nella coscienza dell’io, non in quella astrale. La persona che sempre più cerca di convincersi dell’odio furente, può in realtà amare la scienza dello spirito nella coscienza astrale, e averne desiderio senza saperlo. Questo è del tutto possibile, nella natura umana ci sono contraddizioni simili.

Se si va a indagare la sua coscienza astrale, il suo subconscio, proprio lì vive forse una simpatia, celata alla persona stessa, nei confronti della cosa che nel suo conscio odia. Dopo la morte questo si mostra in modo particolarmente significativo, perché, sotto questo aspetto, l’uomo dopo la morte diviene vero. Una persona che qui sulla terra si sia convinta di odiare così tanto la scienza dello spirito, ma che nel subconscio la ami, e che in tutta la sua vita abbia respinto quel che vi è collegato, prova spesso l’amore più ardente verso questa scienza dello spirito.

Ciò può significare un profondo dolore per la sua vita nel kamaloka, dato che non sa nulla e quindi non ha pensieri di ricordo. Infatti nel primo periodo dopo la morte si vive soprattutto di ricordi. Sicché l’uomo, nel post-mortem, non dipende soltanto da quello che gli dà pena o anche da quello che gli arreca gioia, da quello che vive nella sua coscienza dell’io, bensì dipende anche da ciò che si è sviluppato nel suo subconscio. L’uomo diviene allora completamente vero sotto questo aspetto.

 

Qui abbiamo uno degli elementi nei quali ci è possibile vedere come la scienza dello spirito sia realmente chiamata, quando venga giustamente compresa, a intervenire in modo fruttuoso nell’intera vita umana. Vedete, l’uomo che è passato per la porta della morte non può cambiare nulla delle relazioni con gli esseri che lo attorniano e nemmeno essi possono cambiare nulla. Lì è subentrata l’immutabilità delle relazioni.

Invece le cose si possono ancora modificare nell’ambito delle relazioni fra i defunti e coloro che sono ancora vivi. Quelli che vivono ancora sul piano fisico, i vivi – se in qualche modo erano in rapporto quando sono stati qui entrambi, loro e chi ora è defunto -, sono gli unici che possono un po’ lenire il dolore, che possono placare un poco la pena di coloro che sono passati per la porta della morte. E in un gran numero di occasioni è risultato fecondo ciò che in questo caso si può proprio chiamare il leggere ai defunti.

 

Si è davvero avuta una riprova di quanto segue.

Qualcuno è morto, qui in vita non si è occupato di scienza dello spirito, per il motivo di cui si è detto o per altri motivi; chi è rimasto in terra è in grado di sapere dalla scienza dello spirito che il defunto può avere per essa un ardente interesse e, se ora chi è rimasto si fa dei pensieri insieme a lui, interiormente, come se il defunto gli stesse di fronte, col pensiero che egli si trovi davanti a lui, allora questo è un grande beneficio per il defunto.

Noi possiamo effettivamente leggere dinnanzi al defunto. Ciò getta un ponte, diciamo, sull’abisso che esiste tra i vivi e i morti.

Pensate ai due mondi, che a causa dell’attitudine materialistica degli uomini sono così separati – il mondo del piano fisico e il mondo spirituale che l’uomo percorre tra morte e nuova nascita -, pensate a come farebbe immediatamente presa nella vita, se questi due mondi venissero riuniti! Se la scienza dello spirito non rimane teoria, bensì diventa immediato impulso di vita come ha proprio da essere, allora non c’è più alcuna separazione, ma comunicazione diretta.

 

Il leggere ai defunti è uno dei casi nei quali possiamo entrare in diretto rapporto con essi, possiamo aiutarli. Chi ha rifuggito la scienza dello spirito resta sempre nel tormento di bramarla, se noi qui non lo aiutiamo. Ma noi possiamo aiutarlo anche da qui, sempre che egli abbia un tale desiderio ardente. Così il vivo può aiutare il defunto.

È però d’altro canto anche possibile che il defunto divenga percepibile per chi è vivo, sebbene oggi i vivi facciano poco per mettersi in rapporto con i defunti. Ma laddove la scienza dello spirito afferrerà direttamente la vita umana, diventerà un vero elisir di vita. Se si vuole apprendere come i morti possano influire sui vivi dobbiamo forse cominciare dalla considerazione che segue.

 

Del mondo, l’uomo cosa mai conosce? Sappiamo molto poco quando, qui sul piano fisico, osserviamo le cose semplicemente nello stato di veglia. L’uomo conosce ciò che si svolge dinnanzi ai suoi sensi e quello che con il suo intelletto sa fare partendo da quanto lì avviene. Tutto il resto non lo sa. Perlopiù egli crede che non potrebbe darsi nulla di diverso da ciò che può osservare con i sensi fisici. C’è moltissimo, però, che non accade, eppure è straordinariamente importante. E questo cosa significa?

Supponiamo di essere abituati ad andare al lavoro ogni mattina alle otto. Un giorno, però, ritardiamo appena cinque minuti. Non succede nient’altro se non che giungiamo cinque minuti più tardi. Ma, valutando più precisamente, se guardiamo a tutte le circostanze, potremmo forse venire a sapere che proprio quel giorno, se fossimo usciti puntuali, avremmo dovuto essere investiti; vale a dire che, se fossimo usciti all’ora giusta, non saremmo più vivi.

Oppure, cosa che è anche possibile e che è accaduta, supponiamo che qualcuno sia stato dissuaso da un amico dal fare un viaggio sul Titanic. Costui può ben dire che, se fosse partito, sarebbe colato a picco! Che così fosse karmicamente stabilito è un’altra faccenda. Ma pensate a quanto conoscete della vita, se la osservate in questo modo. Se non è accaduto nulla di quello che sarebbe potuto accadere, voi semplicemente non lo sapete.

Alle infinite possibilità che esistono nel mondo dei fatti realizzati, l’uomo non presta attenzione. Potete dire che non è certo questo l’importante. Non lo è per le circostanze esteriori; è più significativo il fatto che non siamo colati a picco. Vorrei però far notare che avremmo potuto sapere questo: c’era una grande probabilità che potessimo perire, se ad esempio non avessimo perso un treno coinvolto in un disastro ferroviario. Ci si potrebbe fare l’elenco di tutte le eventualità possibili che, in piccolo, accadono comunque sempre.

 

Certamente per il corso esteriore delle cose ci basta conoscere quello che possiamo osservare. Supponiamo però di sapere esattamente che qualcosa sarebbe potuto accadere se non avessimo perso il treno. In tal caso una simile esperienza impressiona il nostro animo e noi diciamo: “Sono stato preservato, grazie a una buona sorte, in modo ben singolare!”. Immaginatevi tutte queste cose che si avvicinano all’uomo in base alle possibilità. La vita dell’anima sarebbe infinitamente più ricca – ora egli abbraccia con lo sguardo soltanto la misera vita di quanto è accaduto, ma come sarebbe ricca se l’uomo potesse conoscere tutto ciò che nella vita entra in gioco, senza accadere veramente.

È come quando volgiamo lo sguardo al campo di grano e vi osserviamo le spighe, i tanti chicchi di grano, dei quali quelli che vengono nuovamente seminati costituiscono una quantità relativamente piccola, mentre moltissimi non divengono nuovi steli con spighe, ma prendono un’altra strada. Quello che riguardo a noi è possibile, sta in rapporto a quanto s’avvera, come i tanti chicchi di grano che non ridiventeranno spighe stanno in rapporto a quelli che lo diverranno. Così è nella realtà; poiché è immensamente abbondante quello che nella vita è possibile. E i momenti in cui in rapporto a noi avvengono cose particolarmente importanti nel mondo del possibile, sono quelli più opportuni a che i defunti ci si possano avvicinare.

 

Supponiamo che qualcuno esca cinque minuti in anticipo e venga, in tal modo, preservato dal cader morto nel momento in cui sarebbe stato raggiunto da una sventura, oppure nel momento in cui sarebbe stato raggiunto da qualcosa di lieto, al quale si è così sottratto. È in questo momento che può spirare nella vita, come in un’immagine di sogno, ciò che i defunti comunicano proprio a noi.

L’uomo però vive “a spanne”. Si cura solo di quanto è grossolano, non delle finezze della vita, che in questa vita entrano in gioco e si verificano. Sotto questo aspetto, i sentimenti e le sensazioni verranno affinati grazie alla scienza dello spirito. Allora l’uomo sentirà affacciarsi nella vita coloro che sono morti e avrà relazione con loro. La frattura tra vivi e morti verrà superata tramite la scienza dello spirito, che veramente diviene un elisir di vita.

 

• La sfera successiva, quindi l’ulteriore fase dopo la morte, è la cosiddetta sfera di Venere.

In essa noi diveniamo eremiti se sulla terra abbiamo avuto una disposizione animica irreligiosa. Diveniamo spiriti socievoli portando con noi un’intonazione animica religiosa. A seconda che qui nel mondo fisico fossimo in grado di sentire la nostra dedizione al sacro spirito, noi troviamo tutti quelli che hanno la stessa intonazione d’anima nei confronti del divino-spirituale.

 

Nella sfera di Venere gli uomini sono raggruppati in base ai rapporti con le religioni e con le visioni del mondo. Qui sulla terra è ancora così, sono decisivi tanto l’anelito religioso quanto l’esperienza religiosa.

• Nella sfera di Venere il raggruppamento avviene unicamente

sulla base del credo religioso e della visione del mondo;

• quelli che hanno la stessa concezione del mondo

si trovano in grandi, poderose comunità, non sono dei solitari su Venere.

• Sono solitari quelli che non riescono a sviluppare proprio alcun sentimento e impulso religioso.

 

Dunque, coloro che nel nostro tempo chiamiamo monisti, materialisti, non diverranno esseri socievoli, ma esseri isolati; su Venere ognuno trascorrerà il tempo in una sua gabbia: in questa sfera è del tutto impossibile una lega dei monisti, perché l’uomo a causa del credo monistico viene condannato alla solitudine.

Non è un’invenzione, è una realtà il fatto che ognuno sta rinchiuso nella propria gabbia. Ciò esiste allo scopo di educare l’anima alla realtà, di contro alla fantasticheria del monismo che qui essa ha fatto propria. Nel complesso, si può dire: ci si potrà incontrare con quelli che hanno la nostra stessa concezione del mondo, la stessa fede. Confessioni diverse sono per noi difficilmente comprensibili nella sfera di Venere.

 

• Giunge poi la sfera del Sole, è il periodo successivo.

Nella sfera solare ci può ancora essere di aiuto soltanto ciò che equipara le diverse confessioni, ciò che può costruire ponti da una all’altra. Certo, riguardo a questo costruire ponti tra un credo e l’altro gli uomini hanno le loro vedute personali e non riescono facilmente a capire come si possa trovare una reale comprensione anche di chi pensa e sente diversamente. In teoria questa comprensione viene reclamata spesso, ma quando la richiesta deve tradursi in pratica è subito tutta un’altra faccenda.

 

Allora si sente uno, un hindu per esempio, che parla del comune nucleo essenziale di tutte le religioni, certo, ma con “nucleo essenziale comune” intende soltanto quel che è contenuto nella religione hindu o nel buddismo. I seguaci parlano della religione hindu o del buddismo in egoismi specifici e quando ne parlano sono prigionieri di un egoismo di gruppo. Si potrebbe qui inserire, a questo proposito, una bella leggenda estone.

 

Riguardo alla genesi delle lingue gli Estoni hanno una leggenda molto bella: Dio voleva portare agli uomini il linguaggio per mezzo del fuoco. Dunque si dovette accendere un gran falò e il linguaggio doveva scaturire dal caratteristico crepitare del fuoco, cui gli uomini dovevano prestare ascolto, e da ciò che essi vi avrebbero udito come suoni. La divinità convocò quindi i popoli della terra affinché potessero apprendere le loro lingue. Ma prima che venissero chiamati gli altri, Dio prese in disparte gli Estoni e insegnò loro il linguaggio divino-spirituale, dunque una lingua superiore. Solo dopo vennero gli altri, poterono stare ad ascoltare il fuoco e, sentendo come bruciava, impararono a comprendere i suoni.

Quei popoli che agli Estoni erano particolarmente graditi arrivarono per primi, quando il fuoco ardeva ancora con un certo vigore. Quando stava quasi per spegnersi arrivarono i Tedeschi, perché gli Estoni non li amano particolarmente. E allora, dal crepitio ormai singhiozzante del fuoco si poté udire: “Deitsch, peitsch, deitsch, peitsch”. Vennero poi i Lapponi, che gli Estoni non amano per nulla, e lì si udì solo più: “Lappen, latschen”. E poiché a questo punto il fuoco era ormai solo cenere, i Lapponi sortirono il linguaggio peggiore, essendo gli Estoni loro nemici giurati. Si vede pertanto come in questo essi portino a espressione il loro egoismo di gruppo.

 

La maggior parte dei popoli è più o meno così, quando afferma di voler penetrare fino al nucleo essenziale delle diverse comunità religiose. Qui va proprio detto che sotto questo aspetto il cristianesimo è del tutto diverso dalle altre confessioni. Se ad esempio in occidente le cose stessero proprio come nella religione hindu, allora il vecchio Wotan regnerebbe ancora come divinità nazionale. Invece l’occidente non si è preso, a signoreggiarlo, un dio locale, bensì uno straniero. Questa è una differenza sostanziale rispetto all’induismo e al buddismo. Perciò per molti aspetti il cristianesimo occidentale non è permeato da egoismo religioso, è religiosamente molto più altruista rispetto alle religioni orientali. Per questo la vera conoscenza e il vero sentire dell’impulso di Cristo è anche ciò che mette gli uomini in un giusto rapporto con il prossimo, indipendentemente da quale intima vita di fede questi abbia.

 

Tra morte e nuova nascita, nella sfera solare si tratta davvero di comprendere quel che ci rende possibile entrare in rapporto non solo con esseri umani dello stesso credo, ma con tutti gli uomini; perché giammai questo cristianesimo insegna la parzialità, se lo abbracciamo fino a contemplarlo in rapporto alla religione veterotestamentaria.

 

Si è richiamata l’attenzione su una cosa che è massimamente importante e che è necessario riconoscere. Come ricorderete, una delle espressioni più belle detta da Cristo nel Nuovo Testamento – e che richiama alla memoria l’Antico – è la frase “Voi siete dèi”. Cristo indica agli uomini che nell’intimo di ogni essere umano vive un nucleo divino, un dio: “Voi siete tutti dèi. Siete pari agli dèi.”

È un elevato insegnamento di Cristo richiamare l’uomo alla sua natura divina, al fatto che egli può essere come dio. “Tu puoi essere come dio”, un insegnamento di Cristo, grande e profondo, che tocca il cuore!

 

Un altro essere ha pronunciato le stesse parole, e fa parte del credo cristiano che un altro essere abbia formulato la stessa espressione. Lucifero, all’inizio dell’Antico Testamento, si accostò all’uomo; e la tentazione consiste nel fatto che egli esordisce con le parole: “Sarete come dio”. La stessa espressione la dice Lucifero al punto di partenza della tentazione in paradiso, e la pronuncia di nuovo il Cristo Gesù: le stesse identiche parole!

Qui tocchiamo uno dei punti più profondi, più significativi del credo cristiano, in cui per così dire si punta il dito sul fatto che non è importante solo il contenuto di una qualsiasi frase, bensì importa quale essere nella compagine del mondo pronuncia una qualsiasi frase.

 

Per questo anche nell’ultima rappresentazione dei Misteri si dovette mostrare che le stesse parole le può dire Lucifero, e sono tutt’altra cosa di quando le pronuncia Arimane, e qualcosa d’altro ancora quando le pronuncia Cristo. Qui tocchiamo un profondo segreto dell’esistenza universale ed è importante che acquisiamo una comprensione nei riguardi di quanto viene espresso proprio attraverso questo “Siete dèi”, “Diventerete come dio” – una volta dalla bocca di Cristo, l’altra volta dalla bocca di Lucifero.

 

Va assolutamente tenuto conto del fatto che, tra morte e nuova nascita, un giorno vivremo per l’appunto anche nella sfera del Sole, e lì ci è necessaria una comprensione molto profonda dell’impulso del Cristo.

Questa dobbiamo portarla con noi dalla Terra, perché il Cristo è stato un tempo sul Sole ma dal Sole è disceso, come abbiamo sentito, e ora si è unito alla Terra. Di conseguenza noi dobbiamo portare l’impulso di Cristo su fin nella fase solare e allora potremo, a suo mezzo, essere socievoli, nella sfera solare potremo comprenderlo.

Dobbiamo però imparare a distinguere tra Cristo e Lucifero, e attualmente apprendiamo questo solo grazie all’antroposofia. Infatti ciò che della nostra comprensione di Cristo portiamo con noi dalla Terra, ci conduce veramente su fino al Sole e nella sfera solare è per così dire una guida da anima umana ad anima umana, indipendentemente da fedi o confessioni.

Ma nella sfera solare ci si fa incontro un altro essere che pronuncia le stesse parole, le quali hanno in fondo lo stesso contenuto; questo essere è Lucifero. Noi allora dobbiamo aver acquisito la comprensione della differenza tra Cristo e Lucifero, perché ora è Lucifero che deve accompagnarci attraverso le sfere successive tra morte e nuova nascita.

 

Vedete, noi dunque attraversiamo una sfera della Luna, di Mercurio, di Venere e del Sole.

In ognuna di queste sfere arriviamo anzitutto a quello che abbiamo portato con noi, in relazione alla forza interiore.

• Nella sfera lunare gli affetti – impulsi, passioni, amore sensuale – ci legano a questa sfera.

• Nella sfera di Mercurio ci arriva tutto quello che abbiamo come difetti morali;

• nella sfera di Venere quanto abbiamo come manchevolezze religiose;

• nella sfera del Sole quello che ci separa da tutto ciò che si chiama “umano”.

 

Quindi a questo punto andiamo nelle altre sfere, che l’occultista conosce come sfere di Marte, di Giove, di Saturno.

Lì è Lucifero la nostra guida, entriamo allora in un mondo che ci feconda con nuove forze.

• Come qui abbiamo la terra sotto di noi,

• là sotto di noi abbiamo il cosmo interno al Sole.

 

Ci espandiamo nei mondi divino-spirituali e, nel farlo, dobbiamo serbare nel ricordo ciò che abbiamo portato con noi dell’impulso di Cristo. Questo lo possiamo acquisire solo sulla terra e, quanto più fortemente l’abbiamo assimilato, tanto più lontano possiamo portarlo fuori nel cosmo.

Lì ci si accosta poi Lucifero e ci guida nel mondo in cui dobbiamo uscire,

per venir preparati in vista di una nuova incarnazione.

 

Ciò di cui non possiamo essere sprovvisti, affinché Lucifero non diventi pericoloso per noi, è la comprensione dell’impulso del Cristo, ciò che di Cristo abbiamo assimilato nel tempo trascorso sulla terra; giacché Lucifero ci si avvicina nel periodo tra morte e nascita, Cristo invece dobbiamo averlo accolto nel tempo terreno.

 

• Poi ci espandiamo nelle altre sfere che sono al di fuori del Sole. Diveniamo, per così dire, sempre più grandi, abbiamo sotto di noi il Sole e sopra di noi tutto il grandioso, possente cielo stellato. Ci dilatiamo nel grande spazio dell’universo, fuori nel cosmo, fino a determinati limiti. E, mentre ci espandiamo, agiscono su di noi le forze cosmiche da tutte le stelle. Dall’intero, possente mondo degli astri accogliamo le forze nel nostro essere poderosamente espanso.

• Giungiamo fino a un dato limite. Poi torniamo a contrarci e rientriamo in quel che abbiamo attraversato. Passiamo per le sfere del Sole, di Venere, di Mercurio, della Luna, fino a giungere di nuovo vicino alla Terra – finché quello che era stato portato fuori nello spazio cosmico torna a concentrarsi in un germe che, in una madre umana, si forma come nuovo uomo. Questo dunque avviene nuovamente quando l’uomo si è espanso negli spazi lontani dell’universo e vi ha accolto le forze cosmiche.

Questo è il segreto dell’esistenza umana dopo la morte, tra morte e nuova nascita.

 

Dopo che l’uomo è passato per la porta della morte, uscendo dal piccolo spazio della Terra è divenuto sempre più grande, si è esteso fino alle sfere della Luna, di Mercurio, di Venere, del Sole, di Marte, di Giove, di Saturno. Dunque noi ci siamo espansi nello spazio cosmico.

Come esseri spirituali, diveniamo per così dire un globo gigantesco.

Poi, dopo avere accolto come anima le forze dell’universo, degli astri, torniamo a contrarci e a quel punto abbiamo in noi le forze del mondo delle stelle.

 

Qui abbiamo una spiegazione della ricerca spirituale, riguardo al fatto che in questa nostra massa cerebrale compressa si ha da trovare un’impronta dell’intero cielo stellato. Il nostro cervello racchiude veramente un segreto emblematico.

• A questo punto si trova un altro segreto: l’essere umano si è dunque contratto,

si è incarnato in un corpo fisico entro il quale è entrato tramite una coppia di genitori.

L’uomo è arrivato così lontano perché, col dilatarsi entro lo spazio cosmico, vi ha iscritto tutte quelle che erano le sue caratteristiche. Quando siamo sulla Terra e volgiamo lo sguardo fuori al cielo stellato, allora là non ci sono soltanto stelle, ma si trovano le nostre caratteristiche di incarnazioni precedenti.

 

Se, ad esempio, in incarnazioni passate eravamo ambiziosi, questa ambizione sta scritta nel mondo degli astri. È iscritta nella cronaca dell’akasha e, se noi qui sulla Terra ci troviamo in un determinato punto, l’ambizione giunge a noi, per mezzo del relativo pianeta in questa o in quella posizione, fa valere il suo influsso.

E questa è la morale degli astrologi, dato che essi non vedono solo stelle e influssi astrali, ma dicono: qui sta la vostra vanità, la vostra ambizione, la vostra immoralità, la vostra pigrizia; e quindi ora qualcosa che voi avete iscritto negli astri, dal mondo delle stelle scende ad agire quaggiù e condiziona il vostro destino.

Perciò noi iscriviamo nel grande spazio quello che esiste nella nostra anima e allora esso torna ad agire su di noi dallo spazio mentre siamo qui sulla Terra, mentre tra nascita e morte camminiamo qui sulla Terra. Queste cose ci toccano molto da vicino se le comprendiamo veramente e ci spiegano così parecchio.

 

Vedete, nella mia vita mi sono occupato molto di Omero, ma quando, proprio nella tarda estate di quest’anno, ho avuto l’incarico di indagare queste condizioni tra morte e nuova nascita, e sono giunto al punto di vista secondo il quale esse restano immutabili, allora in merito a un passo ho dovuto dirmi: i greci lo chiamano cieco perché era un grande veggente.

Omero vi afferma che la vita dopo la morte si svolge in un luogo in cui non c’è mutamento. Un’espressione mirabilmente indovinata. S’impara a comprenderla soltanto a partire dai segreti dell’occultismo, e quanto più si progredisce in questa lotta interiore, tanto più diventa chiaro che gli antichi vati furono i più grandi veggenti, che nelle loro opere hanno occultato qualcosa per la cui comprensione sono necessari molti elementi.

 

Voglio ora menzionare un fatto che mi è successo a inizio autunno e che è davvero significativo. Lì per lì vi facevo resistenza, perché è molto sorprendente. Ma è uno di quei casi in cui l’obiettività trionfa.

A Firenze c’è un monumento funebre fatto da Michelangelo per Lorenzo e Giuliano de’ Medici. Sono ivi effigiati i due fratelli e vi sono inoltre quattro figure allegoriche molto conosciute. Che qualcosa, però, non fosse del tutto a posto con questo gruppo, mi apparve subito quando lo vidi per la prima volta. Mi fu subito chiaro che quello che viene descritto come Giuliano è Lorenzo, e viceversa. È evidente: dal momento che le figure possono venir spostate, in una qualche occasione le si è scambiate e non ce ne si è accorti. Di conseguenza si descrive come Giuliano Lorenzo, e viceversa. Però adesso ci interessano le quattro figure allegoriche.

Se si comincia contemplando la figura della Notte, di questa meravigliosa Notte, non se ne verrà certo a capo finché si resta dell’idea di aver a che fare con un’allegoria.

Però ci s’immagini quello che si sa sul corpo eterico dell’uomo, nella sua piena attività, così da chiedersi: se il corpo astrale e l’Io sono liberi e il corpo eterico cercasse il gesto a lui maggiormente consono, che ne sortirebbe? Ne risulterebbe un gesto come quello che Michelangelo ha conferito alla Notte. Davvero, questa Notte è modellata in modo da produrre la più mirabile espressione del corpo eterico libero, indipendente, che si esprime nella fisionomia del corpo fisico, quando il corpo astrale e l’Io ne sono all’esterno.

Questa figura non è un’allegoria, è invece veramente l’essere umano, rappresentato nella connessione fra i corpi fisico ed eterico, quando il corpo astrale e l’Io ne stanno fuori. Allora si comprende la figura in questa postura, che è l’espressione storicamente più fedele del corpo eterico nella sua vitalità.

Se si prende avvio da essa, si riceve allora dalla figura del Giorno lo strano giudizio: quando l’Io è attivo con il massimo vigore, minimamente influenzato dai corpi astrale, eterico e fisico, ne vien fuori questa singolare torsione, questo gesto che Michelangelo ha conferito alla figura del Giorno.

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Michelangelo – Notte e Giorno. Cappelle Medicee, Firenze

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Michelangelo – Crepuscolo e Aurora. Cappelle Medicee, Firenze

Quando il corpo astrale è attivo da solo, senza dipendere dai corpi fisico ed eterico e dall’Io, ne risulta allora il gesto della figura dell’Aurora; e, per il corpo fisico che si metta in attività indipendentemente dagli altri tre arti, risulta il gesto del Crepuscolo.

A lungo mi opposi a questa conoscenza, che all’inizio ritenevo una pazzia. Ma quanto più ci si occupa di ciò, tanto più quel che si vede in questa scrittura riversata nella pietra costringe a riconoscere tale verità. Non che Michelangelo l’avesse saputo, ma questo penetrò nel suo creare intuitivo.

Così si capisce anche cosa significhi la leggenda narrante che, quando Michelangelo era solo nella sua bottega, la figura della Notte prendeva vita, tanto da andarsene in giro.

È appunto una singolare illustrazione del fatto che si ha a che fare con il corpo eterico. La realtà spirituale entra ad agire in ogni dove, tanto nell’evoluzione dell’umanità quanto nell’arte e così via. Si impara a comprendere veramente il sensibile solo se si capisce il modo in cui lo spirituale opera nella realtà sensibile.

 

C’è un detto di Kant che è molto bello. Egli afferma: “Sono due le cose che hanno fatto un’impressione particolare su di me, il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me”.

Fa un’impressione singolarissima quando si giunge al fatto che le due cose sono un’unica e medesima realtà. Tra la morte e la nascita, infatti, noi siamo effusi nello spazio stellare e accogliamo in noi le sue forze; e quando siamo nel corpo fisico, allora queste forze che abbiamo accolto sono attive in noi come nostri impulsi morali.

Se ce ne stiamo lì e contempliamo il cielo stellato, possiamo dire che in quello che vive e tesse come forze là fuori, nello spazio cosmico, lì viviamo e tessiamo noi nel periodo tra la morte e la nuova nascita. E ora questa è la legge che dà orientamento alla nostra vita morale. Così il cielo stellato che sta fuori e la legge morale dentro di noi sono una sola e stessa realtà, soltanto vista da due lati.

• Il cielo stellato lo viviamo percorrendolo tra la morte e la nuova nascita,

• la legge morale tra la nascita e la morte.

 

Se comprendiamo questo, allora la scienza dello spirito diviene immediatamente devozione, come una possente preghiera. Cos’è infatti una preghiera, se non ciò che collega la nostra anima al divino-spirituale che intesse il mondo?

Questa preghiera è ciò che oggi una preghiera riesce ad essere.

Dobbiamo conquistarcela vivendo nel mondo sensibile. Aspirando coscientemente a questo, ciò che noi possiamo conoscere diventa proprio da sé una preghiera. Allora la conoscenza spirituale diviene direttamente sentimento, esperienza e sentore. Questo deve divenire. Allora si può anche lavorare tanto con concetti e idee: idee e concetti diventano alla fine pure sensazioni, puro sentire avente carattere di preghiera.

 

Proprio questo è ciò di cui il nostro tempo ha bisogno.

Al nostro tempo occorre evolversi direttamente dall’osservare il cosmo al farne esperienza,

là dove l’osservazione stessa diviene come una preghiera.

 

Mentre l’osservazione del mondo fisico si fa sempre più arida, sempre più erudita, sempre più astratta, la contemplazione della vita spirituale diviene sempre più intonata al cuore, sempre più profonda; diviene addirittura sempre più simile a una preghiera, e ciò non per un sentimentalismo ristretto, ma per sua stessa natura.

Allora l’uomo non saprà solo da idee astratte di portare in sé il divino che, tessendo e vivendo, attraversa lo spazio cosmico. Progredendo nella conoscenza, saprà invece di averlo veramente sperimentato nella vita tra l’ultima morte e la nuova nascita. Saprà che ciò che ha vissuto allora egli lo porta in sé adesso, come tesoro della propria vita.

E questo sono tali considerazioni, collegate proprio alle indagini svolte solo di recente, sono davvero ciò che può renderci comprensibile la nostra stessa evoluzione. La scienza dello spirito potrà allora un giorno trasformarsi in una vera linfa vitale spirituale. In futuro si dovrà parlare ancora più spesso di questi argomenti.