Il giudizio, per il quale coloro che non vedono, vedono e coloro che vedono diventano ciechi

Il figlio dell’uomo


 

La considerazione precedente era dedicata ai primi cinque miracoli, dalle nozze di Cana fino al camminare sulle acque. Ora si tratta di continuare la considerazione sui miracoli quali segni e guarigioni, e di portarla a termine.

Il miracolo che segue il camminare sulle acque è quello della guarigione del cieco nato (Gv 9 e 10). Si cercherà in primo luogo di leggere il segno e di comprendere il senso di quella guarigione. A tal fine occorre prendere le mosse da lontano, poiché il segno della guarigione del cieco nato chiama in causa il problema generale del vedere (Gv 9) in rapporto all’udire (Gv 10), in tutta la sua portata e profondità morale-spirituale.

Che cosa significhino cecità e vista, sordità e udito in rapporto con l’impulso del Cristo – è indicato nel segno della guarigione del cieco nato, nonché nelle parole e avvenimenti che vi si connettono.

 

Per illustrare ciò che si esprime nel segno della guarigione del cieco nato, occorre però – come già accennato – prendere le mosse da lontano. Si può dunque, a tal fine, considerare la tragedia di Caino e Abele, sotto uno speciale punto di vista. Nella tragedia di Caino e Abele si rivela la differenza originaria negli atteggiamenti conoscitivi dell’uomo.

Come il fumo sacrificale di Abele saliva verticalmente e il fumo sacrificale di Caino si espandeva orizzontalmente sul terreno, così nell’uomo la corrente del pensiero ha una doppia direzione: può salire verso l’alto oppure diffondersi in ampiezza.

• La corrente che muove verso l’ampiezza ha il carattere del vedere: si parla di ‘ampliamento della visuale’, riferendosi all’attività di pensiero così orientata.

• La corrente diretta verso l’alto, invece, viene dapprima sperimentata interiormente come una sorta di udito: si svolge per così dire un dialogo con domanda e risposta, e l’ombra proiettata da questo processo di percezione della parola, di ascolto della parola dall’alto, del Logos, è ciò che si designa con il termine di ‘logica’.

 

Considerata sotto l’aspetto morale,

• la corrente verticale è l’espressione di un atteggiamento dell’anima pieno di dedizione,

di silenziosa venerazione del mondo dal quale origina ogni verità.

• La corrente di pensiero orizzontale è invece quella del pensiero autonomo,

dell’afferrare il mondo attivamente, movendo dal proprio Io.

 

Queste due direzioni dell’anima vivono nell’uomo come i due fratelli della storia primordiale: sono strettamente collegate e tuttavia in reciproco contrasto. La corrente verticale del pensiero che ascolta, viene continuamente uccisa dal pensiero autonomo, mentre su quest’ultimo vige la maledizione di Caino: “Ramingo e fuggiasco sarai per tutta la terra” (Genesi 4:12).

 

Questo contrasto, radicato nell’uomo più profondamente che non nel solo pensare, ha il suo archetipo nella storia celeste precedente quella terrena. In particolare lo si può riconoscere nelle due vie imboccate rispettivamente dall’entità del Cristo e da Lucifero ai primordi della storia del mondo.

• L’entità del Cristo allora rinunciò alla luce, per accogliere con totale dedizione le parole rivelatrici dell’intera saggezza dei mondi passati.

Lucifero, invece, divenne lui stesso il centro dal quale doveva venir creato un mondo di luce.

 

Mentre l’entità del Cristo accolse con devozione le dodici parole primordiali del Padre, Lucifero si circondò di un mondo di figure cromatiche, che egli proiettò dal suo essere verso l’esterno. La luce di Lucifero celò l’entità del Cristo agli esseri del mondo inferiore; in conseguenza di ciò Lucifero divenne “ramingo e fuggiasco” nelle vastità del cosmo. Sorse così, da un lato, la luce esteriore che brilla nel mondo; dall’altro si formarono però anche le orbite dei pianeti visibili, i quali sono le formazioni ‘erranti’ di Lucifero di contro alle sfere planetarie in stabile quiete.

 

Questo dramma cosmico si ripetè nel destino di Caino e Abele, il quale si perpetuò poi nel tempo, producendo conseguenze fino ad oggi. Attualmente tali conseguenze si manifestano, ad esempio, nelle due direzioni dell’attività pensante di cui si è parlato; in passato, al tempo del Mistero del Golgota, esse si esprimevano nella presenza entro i misteri di uomini organizzati spiritualmente in due modi. Alcuni erano ‘ciechi’, ma in grado di sviluppare un fine udito per la parola spirituale – uno di questi era Omero, il poeta ’cieco’ di un’epoca ancor precedente -; altri erano ‘veggenti’, ma ‘sordi’ nei riguardi della parola spirituale. Nei misteri queste due categorie di persone dipendevano strettamente le une dalle altre.

Il fatto che al tempo del Mistero del Golgota vi fosse una feconda collaborazione tra questi soggetti diversamente dotati, è segno che già allora la contrapposizione tra Caino e Abele era mitigata dall’impulso del Cristo. I “testimoni oculari” e i “ministri della parola”, di cui si parla all’inizio del Vangelo di Luca, operavano davvero assieme, per cogliere l’evento del Cristo e renderlo comprensibile all’umanità. Mediante la loro collaborazione testimoniavano della via verso la riconciliazione dei fratelli in Cristo, il quale non è solo il Logos, ma anche il vero portatore di luce.

 

Benché la riconciliazione delle due direzioni dell’anima si compia per mezzo dell’impulso del Cristo, erano tuttavia gli uomini designati come “ministri della parola” a rendere possibile agli altri, ai “testimoni oculari”, la conoscenza del Cristo. Infatti solo la percezione morale della voce del Cristo costituiva il momento decisivo, capace di dare orientamento anche al vedere dei “veggenti”.

Il ‘credere senza aver visto’ era il vero inizio del rapporto vivente con il Cristo;

tutto quello che seguiva, era appunto una conseguenza di questo primo momento.

 

La capacità di ‘credere senza aver visto’, vale a dire la capacità di udire e riconoscere la voce morale-spirituale mediante la corrente ascendente del pensiero, è in rapporto con la fronte dell’uomo. Nella stessa sede è localizzata la capacità di vedere, la cui direzione è però quella orizzontale in avanti. La fronte dell’uomo è quella parte dell’entità umana che, per il suo profondo nesso con una costellazione dello zodiaco, fin da tempi remoti fu designata come ‘ariete’.

• L’attività frontale volta al pensiero autonomo, e che conduce a una sorta di ‘formazione di corna’, fu designata come attività dell’ariete in senso proprio,

• mentre l’attività silenziosa, portata all’ascolto e obbediente nei confronti del mondo superiore, fu designata come ‘pecora’, poiché non sviluppava un pensiero autonomo e non conduceva quindi alla formazione di corna.

 

Gli uomini nella cui organizzazione prevaleva il principio dell’obbedienza, dell’ascolto, erano coloro cui si riferiva il Cristo Gesù quando parlava di ‘pecore’, “che odono la voce del pastore”, e che da questo “vengono chiamate per nome ad una ad una e condotte fuori” (Gv 10:3). Queste parole indicano il fatto che esistevano uomini, la cui organizzazione tendeva maggiormente verso l’impulso del Cristo, e che costoro avevano la capacità di udire la voce dell’entità guida sul piano morale-spirituale, distinguendola da altre voci.

Per questi uomini non erano di importanza decisiva né le visioni, né i segni e i miracoli esteriori, bensì la voce del “buon pastore”, che essi udivano e potevano distinguere con certezza dalla voce del “ladro” e del “malfattore”. Infatti, la finezza del loro udito morale-spirituale conferiva ad essi la capacità di percepire distintamente come voci estranee quelle di Lucifero e Arimane, e di non seguirle, così come percepivano distintamente e seguivano l’impulso del Cristo, quale voce loro nota da tempo immemorabile.

 

Per altro va notato che la corrente verticale, solo all’inizio ha il carattere di un udire, mentre successivamente può evolversi in una capacità di vedere in direzione verticale. Questo può avvenire, se la corrente rivolta verso l’alto diventa per così dire un canale attraverso il quale discende dall’alto una corrente di risposta. Se questa corrente di risposta discende fino al cuore e da qui più in profondità ancora, può allora avvenire che la percezione uditiva si trasformi in una sorta di visione superiore. In questo caso a coloro che “hanno orecchie per udire”, anche “gli occhi si apriranno”.

 

Tale processo ha luogo sostanzialmente nel corpo astrale e in quello eterico. Può però anche accadere, che la corrente verticale sia così fortemente attiva nel corpo eterico, che le forze eteriche, necessarie per la vista, ne vengano assorbite. In questo caso si concentra un tal grado di forza eterica nel punto mediano della fronte, che le due correnti di destra e di sinistra, destinate ad alimentare gli occhi, per così dire si esauriscano. Il processo si riflette allora fin sul piano fisico, dove può manifestarsi come malattia fisica, ossia come cecità.

Questo fu appunto il caso del cieco nato, di cui racconta il nono capitolo del Vangelo di Giovanni. Nel suo caso non si tratta della conseguenza di una mancanza in una vita precedente, e neanche di una ereditarietà negativa, ma della preparazione ad una realtà futura, “affinché le opere di Dio si manifestino in lui” (hina phanerothé ta erga tou Theoù en auto – Gv 9:3), ossia affinché egli giunga nella propria interiorità alla visione delle opere di Dio.

 

Il Cristo, dopo essersi così espresso di fronte ai discepoli, pronunciò le parole che avevano come contenuto e come effetto la corrente di luce discendente dall’alto verso il basso. “L’opera di Colui che lo aveva mandato” era in questo caso manifestare l’Io-sono quale luce del mondo.

 

Per comprendere la guarigione del cieco nato seguita a quelle parole, cioè il processo per cui la forza visiva fu ricondotta negli occhi del cieco, occorre dapprima comprendere le tre condizioni inerenti a tale processo.

Dopo che la luce dell’Io-sono aveva attivato, attraverso l’organizzazione dell’Io, la corrente diretta verso il basso, occorreva che avvenissero tre cose per attivare processi corrispondenti, rispettivamente nell’organizzazione astrale, eterica e fisica. Precisamente un impulso cristiano al vedere doveva operare nel corpo astrale, affinché la forza visiva ritornata negli occhi, in seguito all’azione risanatrice della parola d’amore, riuscisse a stabilire un rapporto con la realtà terrena esteriore.

 

Se si esamina l’impulso al vedere, quale si esplica naturalmente nell’uomo, si deve riconoscere che esso ha ben poco da spartire con la vita morale dell’uomo stesso. Noi vediamo e vogliamo vedere, non perché ci vogliamo orientare sulla Terra al fine di adempiere una missione morale-spirituale, ma semplicemente perché l’organizzazione visiva già esiste e noi la possiamo utilizzare per realizzare scopi diversi, buoni o cattivi indifferentemente. Come il sole splende sui buoni e sui cattivi, così l’occhio guarda al mondo esteriore, tanto che abbia intenzioni buone, quanto che ne abbia di cattive.

 

 Questa neutralità del senso della vista, tuttavia, non resterà tale per l’eternità.

Nel futuro l’uomo – anche nella sua organizzazione sensoriale – dovrà fare assegnamento sulla moralità.

 

Con la progressiva trasformazione del corpo astrale ad opera dello spirito, l’uomo conseguirà, ad esempio, la capacità di vedere, se lo vuole, e di non vedere, se non lo vuole. In compenso egli perderà la capacità di percepire in un determinato ambito, se mancherà in lui la corrispondente volontà morale.

Non si tratterà allora più di una capacità percettiva data una volta per tutte, ma di un’organizzazione sensoriale con la relativa attività, entrambe espressione di forze morali.

 

• Non si vedrà semplicemente perché si hanno gli occhi,

ma si avranno gli occhi perché si avrà l’impulso morale a vedere.

• Tale impulso nascerà dalla conoscenza della missione dell’uomo sulla Terra,

quale apportatore d’amore al mondo della natura

– e dall’immergersi di tutto l’essere dell’anima in questa conoscenza.

 

Se l’uomo si compenetra della coscienza di ciò per cui è stato inviato sulla Terra, se si immerge per così dire con tutto il proprio essere in questa consapevolezza della sua missione, egli riceve una nuova motivazione, ad esempio a vedere.

La motivazione alla vista consisterà allora nel fatto che l’amore vorrà avere un punto di osservazione per vedere i bisogni dell’essere. In questo senso si può comprendere anche il particolare che il cieco nato – quantunque la sua organizzazione sensoriale fosse già sanata – potè vedere nuovamente solo dopo essersi bagnato nella piscina di Siloe, che significa “l’Inviato”.

 

Prima che ciò potesse accadere, la sua organizzazione fisica ed eterica era però già stata sanata dal Cristo Gesù, e precisamente per mezzo di un impasto di terra e saliva applicato sugli occhi.

Dell’aspetto occulto di questa guarigione, Rudolf Steiner ha parlato nel suo ciclo di conferenze sul Vangelo di Giovanni, tenuto ad Amburgo nel 1908. Ora si tratta di illustrare tale procedimento occultistico-terapeutico dal punto di vista morale. Infatti la terra e la saliva, utilizzate dal Cristo per la guarigione, non lo furono in quanto rimedi di per sé efficaci, ma poiché il Cristo Gesù poteva renderle tali per vie morali-spirituali. Ciò potè fare in quanto la saliva e la terra rappresentano l’ultimo gradino della concretizzazione della parola e dell’azione.

 

Il fatto che la saliva e l’argilla possano avere una funzione simile, richiede però una spiegazione. Si potrà comprendere il significato morale-spirituale della saliva e della terra, se si parte da due fatti: il primo riguardante l’azione dell’odio e dell’amore sulla saliva; il secondo l’azione del cadavere umano sulla Terra.

Per comprendere l’effetto dell’odio e dell’amore sulla saliva, può essere di aiuto considerare un fenomeno. Si tratta di una malattia che fa della saliva un veleno terribile. Nella rabbia, quale compare ad esempio nei cani, avviene realmente una trasformazione della saliva in veleno, il quale non è meno pericoloso per l’uomo che per gli animali.

 

La causa di questa trasformazione della saliva è che una ondata elementare di odio, proveniente dagli strati dell’interno della Terra, investe l’organismo malato. In questo caso non è il soggetto ammalato a odiare, ma è l’odio ad agire con forza elementare nella sua organizzazione. È la “parola cattiva” che agisce in questo modo, ma essa non può essere pronunciata coscientemente, e si esprime quindi nella forma della rabbia. L’espressione concreta, sostanziale di questa parola cattiva è il veleno nella saliva.

 

Al presente ciò vale specialmente per gli animali, tuttavia nel futuro si sarà posti di fronte al fatto – un fatto di cui si dovrà prendere coscienza – che la saliva umana avrà proprietà positive, terapeutiche o negative, venefiche. Si potrà constatare che uomini cattivi possiederanno nella saliva una sostanza estremamente pericolosa, mentre in quegli uomini che avranno sviluppato in sé il bene, l’amore, la saliva presenterà qualità terapeutiche.

La secrezione delle ghiandole salivari sarà riconosciuta come l’espressione sostanziale di ciò che, sul piano eterico, agisce nel sangue. Siccome però l’amore e l’odio agiscono fin sul piano eterico, dal quale si imprimono nel sangue, la saliva sarà riconosciuta come la voce silenziosa dell’amore o dell’odio.

Ciò che nasce dall’organizzazione dell’Io e dal corpo astrale come voce dell’amore o dell’odio, allorché si manifesta all’esterno, diventa nel corpo eterico e nel corpo fisico una qualità curativa o tossica della saliva. In tal modo la saliva diventa espressione visibile della moralità.

 

Nel caso della guarigione del cieco nato, si trattava appunto dell’azione della moralità concentrata in forma di saliva. Il Cristo Gesù pronunciò dapprima le parole di amore e poi fece agire sul malato anche le conseguenze, operanti fin nell’ambito organico, di queste parole in forma di saliva.

Quest’azione era però connessa con l’azione della Terra. Per comprendere quest’ultima è necessario considerare il rapporto morale-spirituale che il cadavere umano ha con la Terra.

 

Se la secrezione sostanziale, prodotta dalla parola di amore, si manifesta nella saliva, è lecito chiedere quale sia la secrezione prodotta dalla moralità delle azioni umane. La vita dell’uomo sulla Terra è, nel complesso, la somma delle sue azioni, o più precisamente una sola azione composta di molti elementi.

La secrezione che si forma da quest’azione per la realtà esteriore oggettiva, è il cadavere che l’uomo, morendo, espelle da sé. L’atto della vita è compiuto e il cadavere resta quale residuo sostanziale di quest’atto. Ma non è solo il residuo materiale ed amorale dell’atto della vita, bensì anche il suo risultato moralmente efficace per la Terra.

 

Come la saliva reca in sé la moralità concentrata dell’uomo,

così il cadavere reca in sé un’impronta morale che agisce fisicamente sulla Terra.

 

Rudolf Steiner parlò ripetutamente del fatto che la Terra sarebbe già seccata e pietrificata, se l’azione dei cadaveri umani non l’avesse ammorbidita, serbandola così idonea a sostenere la vita. Questo ammorbidirsi della Terra, in virtù del quale essa può continuare ad essere supporto della vita, non è un processo meccanico, ma morale. Infatti ogni cadavere – indifferentemente se seppellito o cremato – produce un’impressione sulle sostanze terrestri, la quale, per quanto ottusa possa essere, ridesta e alimenta in queste sostanze la nostalgia di diventare quali esse sono nel corpo umano.

 

L’effetto proveniente da ogni cadavere umano è quello di impressionare le sostanze della Terra, affinché esse anelino a rapportarsi vicendevolmente nello stesso modo in cui si rapportano nell’organismo umano.

• La nostalgia di divenire supporto della coscienza e di fornire gli strumenti per le azioni umane – questo è ciò che ‘ammorbidisce’ la Terra e conferisce alle sostanze terrestri la forza per opporsi all’azione induritrice di Arimane. Questa nostalgia viene continuamente alimentata dai cadaveri umani, e in ciò consiste appunto l’azione ‘ammorbidente’ degli stessi, di cui ha ripetutamente parlato Rudolf Steiner.

 

Ora, nel caso del cieco nato abbiamo a che fare con una cecità presente sin dalla nascita. L’organizzazione dell’occhio del malato, non essendo mai stata usata, era soggiaciuta all’indurimento. La terra, che il Cristo Gesù fece agire, insieme con la saliva, sugli occhi del cieco, aveva il compito di vincere l’indurimento, e produrre pertanto un processo simile a quello dell’ammorbidimento prodotto dai cadaveri umani nelle sostanze minerali terrestri.

 

La terra doveva ammorbidire la rigidità dell’organizzazione dell’occhio,

• mentre l’azione terapeutica dell’amore, trasmessa dalla saliva, doveva vivificare.

 

In tal modo il Cristo Gesù sanò l’organizzazione del cieco nato. Vedere egli potè però solo dopo il bagno nella piscina dell’‘Inviato’, dopo cioè che il corpo astrale era entrato con un nuovo impulso al vedere nella già risanata organizzazione eterico-fisica.

 

Così il cieco riacquistò la vista. Ma prima della vista fisica, giunse la vista spirituale.

• Il suo udito spirituale, il cui sviluppo ebbe come conseguenza la cecità spirituale e fisica,

fu dapprima elevato al grado della visione spirituale superiore, e solo dopo gli fu donata anche la vista fisica.

 

Questo fatto è espresso con chiarezza anche nel Vangelo. Quando il cieco, ormai risanato, incontrò nuovamente il Cristo, questi gli chiese se credeva nel Figlio di Dio, e soggiunse quindi: “Tu lo hai veduto ed egli è colui che ti parla” (Gv 9:37).

Il Figlio di Dio non può essere visto con gli occhi fisici, ma solo con la visione spirituale. Egli tuttavia poteva parlare attraverso la personalità umana del Cristo Gesù. Solo la Parola poteva diventare carne, non però il Figlio di Dio.

 

Il senso delle parole sopra riportate è che il cieco nato, prima aveva visto il Figlio di Dio, quindi doveva riconoscerne la voce anche nella personalità del Cristo Gesù. Questo significa che la ‘fede’, su cui fu interrogato, consisteva nel compito di congiungere in una unità tre ambiti di esperienza: ciò che prima aveva udito con l’anima, ciò che aveva quindi veduto spiritualmente, e ciò che era fisicamente visibile e udibile come figura e come voce. Questa unità, ossia la conoscenza che la Parola (Logos) sia il Figlio e che il Figlio si sia incarnato in Gesù, fu conseguita anche dal cieco nato, “ed egli si prostrò innanzi a lui” (Gv 9:38).

 

Il destino del cieco nato non ha solo un significato individuale, ma anche uno di portata universale. È infatti – come disse lo stesso Cristo Gesù – un’unica manifestazione del Suo giudizio, riguardante tutti gli uomini, quella per cui “coloro che non vedono, vedono e coloro che vedono diventano ciechi” (cf. Gv 9:39).

Il Cristo, però, venne nel mondo non per giudicare, ma per condurre gli esseri alla vita eterna. Il ‘giudizio’, di cui si accenna in relazione al cieco nato, non è quindi un mero giudicare, bensì un’estensione all’intera umanità della benedizione connessa con la guarigione del cieco nato.

 

In altre parole si tratta dell’azione del Cristo Gesù in rapporto alla vista e all’udito spirituali.

• Quest’azione si espresse dapprima karmicamente nel fatto

che coloro i quali possedevano, per presupposti precristiani, una vista spirituale, la dovettero perdere,

affinché si sviluppasse in loro l’udito morale-spirituale, cioè la capacità di percepire la “voce del pastore”.

Questa è la condizione per accogliere coscientemente l’impulso del Cristo.

 

L’impulso del Cristo’ è appunto “la voce del pastore”, risonante nel mondo e attraverso la sua storia.

Affinché l’impulso del Cristo potesse essere accolto coscientemente, era necessario che coloro che ‘vedevano’, subissero una modificazione nella propria organizzazione affinché, per un certo tempo, facessero assegnamento sulla corrente dell’udito verticale. Successivamente in costoro dovrà avvenire, sul piano spirituale, la medesima guarigione avvenuta anche sul piano fisico diciannove secoli or sono nel cieco nato.

 

Coloro che, al momento dell’incontro con l’impulso del Cristo, erano già ‘ciechi’, ossia che ‘udendo la voce’ avevano già accolto l’impulso del Cristo, vedranno; quelli però che si tenevano fermi al vedere, diverranno, per una benefica disposizione del destino, ossia in virtù del karma positivo, ciechi, affinché possano pervenire anch’essi ad un accoglimento moralmente libero e cosciente dell’impulso del Cristo.

Questo è il senso della frase: “lo sono venuto in questo mondo per giudicare, affinché coloro che non vedono vedano e coloro che vedono diventino ciechi” (Gv 9:39), la quale esprime in sintesi la portata universale, per l’intera umanità, del miracolo della guarigione del cieco nato.