Il contrasto del sistema planetario e delle comete, rispetto all’uovo e alle cellule seminali.

O.O. 323 – Rapporto delle diverse scienze con l’astronomia – 08.01.1921


 

Sommario: Le prime conferenze del ciclo. Emancipazione per la vita dei sensi, mentre prima della glaciazione la vita del pensiero dipende dal mondo esterno. Pensieri chiari e oscuri emancipati dal giorno e dalla notte. Le funzioni femminili emancipate dalle fasi lunari rispetto a piante annuali o perenni e allo sviluppo umano dopo la maturazione sessuale. Il sistema planetario rimane vitale per l’incommensurabilità dei tempi orbitali. I calcoli commensurabili e la gravitazione. Contrasto fra la gravitazione dei pianeti e le forze repulsive del Sole per le comete. Hegel, le comete e gli anni vinicoli. Keplero sulla quantità delle comete, oggi confermata. Pressione e repulsione nel piano eterico. Il calore rispetto a materia positiva e negativa nel campo dei pianeti e delle comete. Il contrasto del sistema planetario e delle comete, rispetto all’uovo e alle cellule seminali.

Per portare a buon fine le nostre considerazioni è necessario seguire il filo sottile che ho seguito sino ad ora, per riunire il massimo possibile di pensieri che appunto ci portino al nostro fine. Allo scopo è necessario che io continui queste conferenze assieme all’altro corso, dunque dall’ 11 al 15, mettendoci d’accordo con la Scuola Waldorf, altrimenti non si arriva a padroneggiare la materia. Poiché comunque le cose che trattiamo qui possono suscitare riflessioni, dubbi e interrogativi, prego anche di preparare le domande per un giorno da stabilirsi la settimana prossima; le elaborerò e darò le risposte e le precisazioni in una conferenza, in modo che si possa avere un quadro il più completo possibile. Con queste premesse potremo seguire anche le cose più sottili che ho introdotto nel corso delle conferenze.

 

Rivediamo ancora una volta come abbiamo impostato l’insieme delle considerazioni che ci devono condurre alla comprensione dell’astronomia e delle relazioni con i fenomeni terrestri; rivediamo come abbiamo condotto l’intero corso di queste considerazioni. Abbiamo cominciato col ricordare come di solito questi studi tendano a tener conto solo di ciò che si presenta all’osservazione dei sensi, sia pure con l’ausilio di strumenti. Cosi infatti sono stati orientati lo studio e la comprensione dei fenomeni celesti fino ai nostri giorni. Si è rivolta l’attenzione a quello che oggi si chiama movimento apparente dei corpi celesti. Si parla del movimento apparente del cielo stellato intorno alla Terra, del movimento apparente del Sole. Si è visto come i pianeti descrivano singolari percorsi. Parte di tali percorsi si presentano alla vista come nodi (fig. 1).

 

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Fig. 1

 

Il pianeta va avanti e poi torna indietro, e così via. Ci si è detti: se la Terra stessa è in movimento, e quindi il suo movimento non viene percepito, anche i movimenti reali dei corpi celesti sono diversi da come sono dati dalla percezione diretta. Mediante interpretazioni ci si è fatta un’idea di come, osservando appunto le figurazioni matematiche, potrebbe essere il movimento reale. Si è così arrivati prima al sistema copernicano, e in seguito a tutte le altre modificazioni che ne sono state fatte. Si è in sostanza considerato ciò che risulta all’intelletto nella misura in cui esso si affida ai sensi e all’elaborazione delle impressioni sensorie mediante la ragione.

 

Abbiamo notato che questo tipo di pensiero non è sufficiente per penetrare nella realtà dei fenomeni celesti per la semplice ragione che i procedimenti matematici non bastano, perché quando eseguiamo i calcoli viene il momento in cui ci si deve fermare. Ho fatto notare che i rapporti numerici esistenti fra i tempi di rivoluzione dei vari pianeti sono numeri incommensurabili, grandezze incommensurabili; questo ci mostra che col calcolo non arriviamo a penetrare l’intima struttura dei fenomeni celesti, e che a un certo punto dobbiamo fermarci.

 

Ne segue che dobbiamo servirci di un altro tipo di studio che non si limiti a tener conto di ciò che può conoscere l’osservazione sensoria, ma che indaghi quel che vi è alla base dell’uomo nel suo complesso e che forse è anche alla base degli altri esseri dei regni terrestri. Abbiamo parlato di tutto ciò, mostrando come alcune manifestazioni evolutive dell’organizzazione umana possano essere messe in relazione con certi eventi che abbiamo incontrato nel corso dell’evoluzione terrestre. Ad esempio le glaciazioni, che in un certo senso entrano ritmicamente nell’evoluzione terrestre, devono essere messe in relazione con l’evoluzione dell’umanità, con l’evoluzione dell’uomo. Se ciò è vero, tali rapporti ci indicano come possano essere i movimenti nello spazio celeste. Dobbiamo continuare a seguire queste cose.

 

Prima di portare avanti il modo di vedere più formale cui siamo giunti ieri, riprendiamo quel che abbiamo visto delle relazioni tra l’evoluzione umana, l’evoluzione terrestre e le epoche glaciali. Abbiamo potuto dire che il tipo di conoscenza che l’uomo di oggi stima propria, è tale in fondo solo dopo l’ultima era glaciale, e che dall’era glaciale in poi si sono avute le civiltà che chiamiamo paleoindiana, paleopersiana, egizio-caldaica, greco-latina, fino alla nostra attuale. Abbiamo anche indicato che prima della glaciazione si era sviluppato nell’uomo qualcosa che risale a tempi precedenti, e che nell’uomo attuale è più ritirato, è meno in superficie: l’organizzazione della facoltà di rappresentazione. Ieri abbiamo fatto notare che tale organizzazione, per la sua qualità, può essere compresa sapendo che in effetti è paragonabile solo ai sogni. Ho detto che le nostre rappresentazioni hanno una certa configurazione e un pieno contenuto solo perché esiste l’esperienza sensoria. Tutto ciò che al di là delle percezioni sensorie in certo qual modo agisce dalla nostra organizzazione nella vita di rappresentazione, lo fa con l’ottusità del sogno. Potremmo avere solo rappresentazioni ottuse come nella vita del sogno (ammettendo che si possa dire così), se ad ogni risveglio la vita dei sensi non si inserisse nella vita di rappresentazione. Le rappresentazioni, che sono più ottuse delle percezioni sensorie, ci riportano alla fase dell’evoluzione umana precedente l’ultima glaciazione, nel nostro linguaggio antroposofìco all’antica Atlantide.

 

Ma cos’era la realtà per gli uomini a quel tempo? Anzitutto qualcosa che avesse una relazione col mondo circostante molto più stretta di quanto non si abbia oggi attraverso la percezione sensoria. Noi dominiamo le percezioni sensorie con la volontà. Per lo meno, dirigiamo lo sguardo con la volontà, e per mezzo dell’attenzione possiamo anche dominare la percezione sensoria con la volontà. Questa agisce comunque nelle percezioni sensorie. In un certo senso siamo indipendenti dal mondo esterno, perché ci possiamo orientare a nostro arbitrio. Ciò avviene perché, in quanto esseri umani, ci siamo in certo senso emancipati dal mondo. Cosi non avremmo potuto essere prima dell’ultima glaciazione. Dico “avremmo potuto”, perché voglio parlare secondo la scienza empirica ufficiale. Mentre allora si costituiva la nostra facoltà di rappresentazione, eravamo in uno stato di dipendenza da ciò che avveniva attorno a noi. Ora noi vediamo il mondo circostante grazie alla luce solare, ma questo vedere il mondo è in certo senso intrecciato con una certa libertà interiore; un tempo invece, guardando il mondo, l’uomo dipendeva dalla Terra illuminata, dalle cose illuminate, dal buio e dalle tenebre durante la notte, quando il Sole non splendeva. Quindi l’uomo deve aver sperimentato stati di avvicendamento fra il baluginare della facoltà di rappresentazione che allora sviluppava e il suo defluire.

 

In altre parole vi era una condizione interiore, preparata dal rapporto alternante dell’uomo con l’universo, simile a quella che ci è venuta incontro nei rapporti peculiari delle funzioni femminili con le fasi lunari e la loro durata. Questa attività interna della natura femminile (come ho detto, esiste anche nella natura maschile, ma è più intima e perciò meno riconoscibile) un tempo dipendeva dal mondo esterno; in seguito se ne è emancipata ed è divenuta una peculiarità della natura umana tale che oggi non ha più necessità di coincidere con i fatti esterni, mentre la successione temporale, il susseguirsi delle fasi è rimasto come era al tempo in cui le cose coincidevano anche esternamente.

 

Qualcosa di simile è in effetti lo scambio interiore della nostra organizzazione rispetto alla vita di rappresentazione, ora più o meno indipendente dalla vita dei sensi. Esiste qualcosa di simile: noi attraversiamo un ritmo interiore di forze di rappresentazione più chiare e più oscure che sorgono e scemano alternandosi quotidianamente. Non lo notiamo solo perché è un processo molto meno intenso dell’altro che va parallelo con le fasi lunari. Oggi nell’organizzazione della testa abbiamo uno scambio fra una vita più chiara e una più oscura. Nell’organizzazione della testa abbiamo dunque una vita ritmica: una volta siamo più spinti a fornire dalla nostra interiorità qualcosa alle percezioni sensorie, un’altra volta meno; solo che questi stati si alternano proprio nell’arco delle 24 ore. Sarebbe interessante poter osservare con un grafico quanto gli uomini siano diversi tra loro in questo alternarsi nella testa, proprio in questo interiore periodo, in questo susseguirsi di forze chiare e di forze oscure, addormentate. Queste ultime sono una specie di notte all’interno della testa, mentre quelle chiare e distinte corrispondono a una specie di giorno interiore della testa. Ciò non coincide con l’alternarsi del giorno e della notte. Abbiamo un alternarsi interiore di chiarezza e di oscurità; secondo la parte che prevale, l’uomo è diverso: diciamo che ha un modo diverso di osservare il mondo a seconda della maggiore o minore propensione che egli ha a collegare la parte chiara o quella oscura della sua forza di rappresentazione con le percezioni sensorie. Uno ha forte inclinazione a notare in modo acuto i fenomeni esteriori, un altro ha meno interesse per essi ed è più portato a rimuginare interiormente. Tutto ciò dipende dall’alternanza che ho appena descritto. In quanto educatori, dobbiamo imparare a fare queste osservazioni perché ci danno importanti indicazioni su come educare e istruire i bambini in modo adeguato.

 

Ciò che però oggi ci interessa soprattutto notare è che noi interiorizziamo quelle che un tempo erano le relazioni col mondo esterno, e le trasformiamo in ritmi interiori che hanno la stessa durata nel tempo, pur non coincidendo più con i limiti del tempo esterno. Possiamo dire che prima dell’era glaciale nell’uomo coincidevano temporalmente con i processi esterni sia la sua chiara partecipazione al cosmo, sia il suo ottuso rifugiarsi in se stesso. Le conseguenze di quell’essere in relazione con l’universo, chiarendo e riempiendo di immagini la propria coscienza, oppure ritirandosi a rimuginarle (che ha un’eco nel chiudersi più o meno in sé di un melanconico), tutto ciò che allora si sperimentava è oggi rientrato nella nostra organizzazione interiore; è subentrata così una nuova possibilità evolutiva della facoltà dei sensi, che esisteva già in precedenti periodi della Terra, ma naturalmente non era così evoluta come oggi.

 

Studiando ciò che è sorto nell’uomo come conseguenza delle sue relazioni con i fenomeni cosmici, noi guardiamo nel cosmo stesso. L’uomo ci deve apparire come una cartina di tornasole per lo studio dei fenomeni celesti. Se però vogliamo arrivare a uno studio più completo, dobbiamo aiutarci anche con altri esseri della natura.

 

Qui vorrei attirare l’attenzione su qualcosa che è evidente a tutti, ma a cui di solito nessuno dà la dovuta importanza. La pianta annuale ha un suo sviluppo, un suo decorso. Nella sua vita annuale mostra con evidenza ciò di cui ho parlato ieri: la differenza tra l’influsso diretto e quello indiretto del Sole. Influsso diretto è la fioritura, influsso indiretto, con la Terra che si interpone, è lo sviluppo delle radici. Anche per la pianta abbiamo dunque ciò che abbiamo esposto ieri per l’animale, e che in un certo senso abbiamo applicato anche all’uomo.

 

Valutiamo però questi fatti nel modo giusto se li mettiamo in relazione anche con un altro, quello che ci dà la pianta perenne. Qual è la differenza fra pianta annuale e pianta perenne, rispetto all’appartenenza comune dei vegetali alla Terra? La pianta perenne conserva il fusto, e si potrebbe dire che ogni anno su di esso, che cresce dalla terra, si formi un nuovo mondo di piante, naturalmente modificato, trasformato. In una prospettiva morfologica è quindi del tutto coerente dire che sulla superficie terrestre cresce la pianta, cosi come dal fusto della pianta perenne ogni anno spunta nuova vegetazione.

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“qualcosa”) continui dalla terra nel tronco dell’albero. Ciò da cui cresce la pianta (fig. 2, a sinistra) deve trovarsi anche nel tronco (fig. 2, a destra); qualcosa passa cioè dalla terra nel tronco. Non ho diritto di pensare che il fusto della pianta perenne sia qualcosa che non fa parte della terra; devo invece considerarlo come una sua parte modificata, solo così lo vedo nel modo giusto. Solo così comprendo veramente i nessi esistenti. Nella pianta c’è qualcosa che è anche nella terra e che fa sì che la pianta diventi perenne, che prenda in sé qualcosa della terra, che si liberi dalla dipendenza del corso annuale del Sole. Possiamo dunque dire che la pianta perenne è indipendente, si è emancipata dal corso annuale del Sole in quanto realizza la propria natura ed è se stessa, mentre prima non esisteva se non grazie all’influsso del cosmo.

 

Nella pianta non troviamo forse un’immagine di quel che abbiamo detto dell’uomo nell’era glaciale? Avevo detto che proprio il ritmo della vita di rappresentazione si era sviluppato grazie alle relazioni col mondo circostante. Ciò che prima avveniva tra l’uomo e il suo ambiente è ora qualcosa nella sua interiorità. Nel mondo vegetale lo abbiamo indicato nel passaggio da pianta annuale a pianta perenne. Nel cosmo abbiamo dunque un processo generale: gli esseri organici tendono a emanciparsi dalle relazioni col mondo circostante. Quando vediamo nascere una pianta perenne, dobbiamo dire che in certo senso (mi si scusi l’espressione) essa ha imparato qualcosa dal tempo in cui dipendeva dal cosmo, ed ora è in grado di fare da sé. Così ogni anno produce nuovi germogli di piante. Questo fatto è importantissimo per comprendere le connessioni cosmiche.

Non si comprendono i fenomeni cosmici osservando le cose una accanto all’altra, anche se le si guarda al microscopio. Li si comprende soltanto se da tutto l’insieme si è in grado di cogliere realmente le particolarità.

 

Consideriamo ora queste cose osservandole semplicemente. Abbiamo la pianta annuale soggetta al rapporto di scambio nei confronti del cosmo nel corso di un anno; tale influsso del cosmo tende a sparire nella pianta perenne, nella quale in un certo senso si conserva ciò che altrimenti si perde nel corso di un anno. Nel tronco vediamo emergere dal terreno e conservarsi l’influsso dell’anno. In tutto lo svolgimento dei fenomeni naturali, in quanto di natura cosmica, possiamo notare il passaggio al modo d’azione interno di quel che altrimenti è in relazione col mondo esterno. Dobbiamo cercare i rapporti della nostra Terra col cosmo sempre in certi fenomeni, mentre per altri dobbiamo dire che gli influssi cosmici si nascondono. Si tratta dunque di individuare una reale cartina di tornasole che ci conduca alle influenze cosmiche. La pianta annuale ci dice qualcosa dei rapporti Terra-cosmo, la pianta perenne non può dircene più molto.

 

Anche il rapporto animale-uomo ci può dare indicazioni importanti. Osserviamo l’evoluzione dell’animale prescindendo dall’embrione, anche se potremmo tenerne conto. L’animale nasce, cresce fino a un certo limite, matura sessualmente. Osserviamo tutta la vita animale fino alla maturazione sessuale e anche oltre. Si possono rilevare i fatti senza preconcetti, e notare che nell’animale accade qualcosa di speciale quando raggiunge la maturità sessuale. In certo senso è ormai completo per la vita terrestre. Naturalmente in senso approssimativo, ma pur valido, non rileviamo più nell’animale progressi dopo la maturazione sessuale; essa è infatti il punto più importante della sua evoluzione. Quel che avviene direttamente dopo la maturazione sessuale e che si manifesta, esiste sì, ma non possiamo chiamarlo progresso.

 

Diverso è nell’uomo, il quale dopo la maturazione sessuale procede oltre nell’evoluzione, solo interiorizzandola. Sarebbe ben triste per la natura umana se, come gli animali, l’uomo concludesse la propria evoluzione con la maturazione sessuale. L’uomo progredisce, dunque ha in sé qualcosa che lo spinge oltre, che prende vie speciali e che non ha alcun rapporto con la maturità sessuale. Possiamo dire di avere qualcosa di analogo nell’interiorizzazione del processo annuale della pianta perenne rispetto a quella annuale. Ciò che è presente nell’animale con la maturazione sessuale si interiorizza nell’uomo dalla maturazione sessuale in poi. Nella vita umana dalla nascita a fino alla pubertà vi è dunque qualcosa di cosmico che nell’uomo si emancipa dopo lo sviluppo sessuale, così come avviene nella pianta perenne.

 

Questa è una via per poter valutare le manifestazioni degli esseri, per trovare a poco a poco l’indicazione dei rapporti tra gli esseri terrestri e il cosmo. Vediamo infatti che quando gli influssi del cosmo si interrompono, essi si trasferiscono nell’intima natura dei singoli esseri. Lasciamo ora da parte tutto ciò: lo osserveremo più avanti in modo coerente, riunito in una sintesi con qualcosa di completamente diverso.

Riprendiamo quel che abbiamo già detto diverse volte. Le rivoluzioni dei pianeti del sistema solare hanno tra loro rapporti incommensurabili. Se pensiamo a quel che accadrebbe se quei rapporti non fossero tali, dovremmo dire: nel sistema planetario vi sarebbero perturbazioni che, ripetendosi in continuazione, porterebbero all’arresto del sistema planetario stesso.

 

Un semplice calcolo, che ora però ci porterebbe troppo lontano, ci permette di vedere che solo l’incommensurabilità dei rapporti di rivoluzione dei pianeti mantiene in vita il sistema planetario. Vi deve dunque essere nel sistema solare una condizione che spinge sempre all’arresto. Ed è proprio la condizione che noi calcoliamo quando arriviamo alla fine di un calcolo. Quando però arriviamo all’incommensurabile, non arriviamo a una fine del calcolo, ma proprio alla vita del sistema planetario. Ci troviamo in una condizione singolare, quando calcoliamo il sistema planetario. Esso morirebbe, se potesse essere calcolato; sarebbe anzi morto da un pezzo, come ho già detto. Vive proprio perché non può essere calcolato. Nel sistema planetario è vita tutto ciò che non possiamo calcolare. Che cosa poniamo a base del calcolo, quando arriviamo fino al punto in cui il sistema stesso dovrebbe morire? La forza di gravitazione, la gravitazione universale! In realtà, se prendiamo come base la forza di gravitazione e continuiamo a pensare con coerenza fino ad avere un’immagine del cosmo influenzato dalla forza di gravitazione, arriviamo a rapporti commensurabili. Il sistema planetario però dovrebbe morire. Noi calcoliamo dunque fin dove nel sistema planetario vi è morte, servendoci per questo della forza di gravitazione. Nel sistema planetario deve esservi qualcosa di diverso dalla forza di gravitazione e che sia appunto alla base dell’incommensurabilità.

 

Le orbite dei pianeti possono benissimo essere associate alla forza di gravitazione, anche secondo la loro genesi, ma allora i tempi di rivoluzione dovrebbero essere commensurabili. Ciò che però non si può associare alla forza di gravitazione, ciò che non si accorda col nostro sistema planetario sono le comete. Esse, che hanno una funzione speciale nel nostro sistema solare, hanno costretto la scienza a cose veramente notevoli. Voglio prescindere dal fatto che nella scienza si utilizza volentieri ogni nuova scoperta come spiegazione. Ad esempio, per un certo periodo, nell’ambito fisiologico si usava dire che i cosiddetti nervi sensori si estendono dalla periferia verso l’interno come fili telegrafici che trasmettono poi con una specie di inversione le azioni della volontà, gli impulsi volitivi. Che qualcosa passi nei nervi centripeti e poi si trasferisca a quelli centrifughi, lo si è sempre paragonato a linee telegrafiche. Quando si sarà scoperto qualcosa d’altro che si presenta in modo diverso dal filo telegrafico, ci si servirà di un’altra immagine per la spiegazione. Via via che cambiano le mode, tutte le cose inventate in ciascuna epoca servono a spiegare determinati fenomeni.

 

Succede quasi come in certi campi della terapia: appena si trova qualcosa, lo si “scopre” anche subito come rimedio, senza riflettere su come vi si relazioni. Ora abbiamo i raggi X, e sono un mezzo terapeutico; se non li avessimo non potremmo usarli. In tutto ciò, ci si abbandona caoticamente all’arbitrio dell’andazzo. Così è pure accaduto che grazie ad analisi spettroscopiche, avendole confrontate con i risultati delle spettroscopie dei pianeti, si siano trovati fenomeni elettro-magnetici nelle comete. Con tutto ciò si arriva però al massimo ad analogie che a volte corrispondono a realtà, ma che non possono certo soddisfare chi la vuol conoscere più a fondo.

 

Però nell’osservazione delle comete si è presentata una necessità. Chiamiamo pure le cose come vogliamo, secondo la moda, ma come si parla di forze di gravitazione nell’intero sistema solare, si è costretti con le comete a parlare di forze di repulsione o di reazione nei confronti del Sole, a causa della forma particolare della loro coda. Si è costretti a cercare nei confronti della gravitazione qualcosa che le si opponga.

 

Con le comete si manifesta di continuo nel nostro sistema planetario qualcosa che si oppone alla struttura interna del sistema stesso, qualcosa che rende comprensibile la superstizione che ha accompagnato per tanto tempo l’enigma delle comete. Ne deriva la sensazione che mentre nel moto dei pianeti si esprimono le leggi della natura, si esprime qualcosa che corrisponde al nostro sistema planetario, nelle comete si esprima invece qualcosa di opposto, entri nel nostro sistema planetario qualcosa che si esprime in modo contrario ai fenomeni planetari. Da un lato si giunse così a vedere incorporate, espresse le leggi naturali nelle manifestazioni planetarie, e dall’altro a considerare il fenomeno delle comete come l’opposto delle leggi naturali.

 

In tempi passati, ma non antichissimi, si sono messe in relazione le comete con certe forze morali che avrebbero dovuto castigare i peccatori. Oggi la consideriamo giustamente una superstizione. Ma ancora Hegel* non riesce del tutto ad evitarla, anche se la lega a eventi naturali. Naturalmente nel secolo XIX non si credeva più che le comete si presentassero come giudici morali, ma le si collegava statisticamente a buone o cattive annate per i vini (le quali in effetti presentano molte irregolarità che non sembrano corrispondere al susseguirsi delle leggi naturali). Hegel non poteva liberarsi di ciò; gli pareva plausibile che la comparsa o l’assenza di comete potesse influire sulle annate più o meno buone dei vini.

 

Oggi chi è al passo con la scienza attuale dice: il nostro sistema planetario nulla ha da temere dalle comete, le quali producono nel nostro sistema planetario fenomeni che non hanno con esso alcun rapporto interno. Come eccezioni del nostro universo, esse arrivano da contrade lontane nei pressi del nostro Sole, producono determinati fenomeni a causa delle sue forze respingenti, fenomeni che si intensificano, diminuiscono e poi scompaiono. Una personalità che aveva ancora in sé la capacità di afferrare il mondo non solo con l’intelletto, ma con tutto l’essere, e che aveva un certo intuito per i fenomeni celesti, Keplero, si espresse sulle comete in un modo particolare, che darebbe molto da pensare a chi lasciasse agire in sé il suo atteggiamento animico. Abbiamo parlato delle tre leggi di Keplero, che sono davvero geniali se confrontate alle opinioni del suo tempo sui pianeti. Le sue leggi presuppongono che egli avesse un profondo sentimento di un’armonia interiore del sistema planetario, piuttosto che per ciò che se ne può calcolare freddamente. Le sue tre leggi del sistema planetario sono l’ultima espressione di questa armonia interiore, l’ultima espressione quantitativa di qualcosa di qualitativo. Sulla base di quel sentimento egli disse qualcosa di molto significativo sulle comete che, se ci si occupa di queste cose, può essere sentito profondamente. Disse: «Nel cosmo che possiamo vedere vi sono tante comete quanti sono i pesci nel mare, ma ne vediamo solo una piccola parte. Le altre rimangono invisibili per la loro piccolezza o per altri motivi».

 

In fondo, anche la ricerca ufficiale ha confermato Keplero; la scoperta del telescopio ci ha infatti rivelato molte più comete di quelle segnalate un tempo, da quando si è iniziato a registrarle in modo da poter fare confronti. Altri metodi di studio hanno mostrato che se si osserva la volta celeste in condizioni diverse di illuminazione, ad esempio nella forte oscurità, si possono registrare più comete. Così anche l’indagine empirica si avvicina a ciò che disse Keplero con profonda intuizione della natura.

 

Se però si parla di un rapporto tra ciò che avviene sulla Terra e il cosmo, non sembra doveroso parlare di relazioni della Terra con altri corpi del sistema planetario, e tacere invece delle comete che entrano ed escono a loro modo, specialmente se dobbiamo ammettere che esse producono fenomeni che indicano appunto l’esistenza di forze opposte a quelle che reggono il nostro sistema planetario. In effetti con le comete entra nel nostro sistema qualcosa che gli è opposto.

Se si osserva ulteriormente il fatto che le comete entrano nel sistema planetario con forze opposte a quelle che lo tengono insieme, si deve ammettere che esso è di rilevante importanza.

 

Devo ricordare ciò che dissi in un corso precedente. Chi era presente al “Corso sul calore” ricorderà forse che, osservando i fenomeni del calore in relazione con quelli cosmici, siamo costretti a considerare l’etere, di cui in genere si parla per ipotesi, come qualcosa di concreto. Così, se nelle formule per la materia ponderabile abbiamo la pressione, quando si tratta dell’etere dobbiamo aggiungere la forza di suzione. In altre parole, se indichiamo con un più l’intensità della forza nella materia ponderabile, dobbiamo mettere un meno per l’intensità dell’etere. Avevo incoraggiato a rivedere in questo senso le formule usuali per riconoscere come esse corrispondano in modo notevole ai fenomeni naturali. E anche importante chiarire a fondo la teoria del calore di Clausius, questa sorta di gioco in cui le molecole urtano l’una contro l’altra e anche contro la parete, questo gioco crudele di urti, rimbalzi e ulteriori rimbalzi che vuole rappresentare lo stato di calore di un gas, se noi teniamo conto di due condizioni all’interno del calore, l’una che consideriamo affine a quelle della materia ponderabile, e l’altra affine all’etere. Nel calore allora abbiamo qualcosa di diverso dall’aria o dalla luce. Volendo fare calcoli esatti, per la luce, per rappresentarne gli effetti, dobbiamo sempre premettere il segno negativo; per l’aria e il gas sempre il segno positivo. Nel calore dobbiamo alternare positivo e negativo; così ci si chiarisce ciò che di solito osserviamo come calore di conduzione, calore radiante e così via.

 

Queste cose ci mostrano la necessità per la materia stessa di passare dal positivo al negativo nel caratterizzare le forze. Ora vediamo che nello stesso sistema planetario dobbiamo passare dal positivo, dalla gravitazione, al negativo, alla forza di repulsione.

 

Ora, ponendolo solo come formulazione di un problema e nulla più (ci addentreremo in tutte queste cose nelle prossime conferenze), dopo quello che oggi abbiamo scoperto delle comete desidero paragonare il rapporto fra il nostro sistema planetario e le comete, con quello fra l’uovo femminile e la cellula maschile fecondante. Cerchiamo di immaginare bene il sistema planetario che accoglie in sé l’effetto delle comete e la cellula-uovo che riceve l’effetto della fecondazione maschile. Confrontiamo questi due fenomeni senza pregiudizi, come faremmo per altri due fenomeni qualsiasi da studiare. Osserviamoli e domandiamoci se, applicando una certa attenzione, non si troveranno sufficienti analogie. Oggi non voglio sostenere teorie o formulare ipotesi, ma solo presentare queste cose nella giusta connessione.

Domani partiremo da qui per tentare di arrivare a fenomeni più concreti.