Il pensiero economico inizia soltanto nel periodo dell’anima cosciente.

O.O. 186 – Esigenze sociali dei tempi nuovi – 13.12.1918


 

Sommario: Il pensiero economico inizia soltanto nel periodo dell’anima cosciente. Mercantilisti, fisiocratici, Adam Smith, Malthus, Ricardo, Saint Simon, Marx, Engels. La legge ferrea del salario, la vendita della forza-lavoro e il materialismo storico. Trasformazione di impulsi da istintivi in coscienti.

 

Dalle varie considerazioni che ultimamente abbiamo fatto sugli impulsi sociali dei tempi più recenti, del presente e del prossimo futuro, si sarà notato che nei vari fenomeni che si manifestano da tali impulsi si è rivelata una tendenza fondamentale che anzitutto ne caratterizza molto esteriormente lo svolgimento. Si può dire: si manifestano certamente le più varie tendenze, si avanzano le più varie pretese, sorgono concezioni sociali ed antisociali, si prendono svariate iniziative secondo tali concezioni sociali ed antisociali; ma se dal punto di vista da noi raggiunto si vuol riassumere qualcosa nella domanda: « Che cosa ne sta alla base, che cosa vuol venire alla superfìcie dell’evoluzione e del destino umani ? », naturalmente in modo esteriore, si potrà caratterizzare il fenomeno dicendo che l’uomo vuol avere un ordinamento sociale, vuol dare alla convivenza umana una struttura sociale nell’àmbito della quale, conformemente al nostro periodo dell’anima cosciente, potersi render conto di che cosa egli possa sapere come uomo in quanto a dignità umana, a valore umano ed a forza umana. Egli vuole orientarsi come uomo nell’ordinamento sociale. Gli impulsi, che prima erano istintivi, inducevano l’uomo a fare, a pensare, a sentire questa o quella cosa. Quegli impulsi istintivi vogliono trasformarsi in impulsi coscienti. Nel periodo dell’anima cosciente, che ha preso l’avvio nel secolo quindicesimo e che durerà fin al quarto millennio, l’uomo potrà introdurre giustamente nella vita degli impulsi coscienti se nel nostro periodo si renderà sempre più conto di che cosa egli sia come uomo, che cosa possa come uomo, anche nell’àmbito della struttura sociale, nella quale vive socialmente, stata mente o in altro modo.

 

Ho già accennato al fatto che quanto, nel senso del nostro periodo della coscienza, può essere giustamente e chiaramente compreso soltanto dalla scienza dello spirito, appare in modo più o meno tumultuoso qua e là, tanto nelle concezioni e ne idee, quanto negli eventi in mezzo ai quali l’uomo vive. Per esempio è ben caratteristico, direi sconvolgentemente caratteristico, ciò che si manifesta in un discorso di Trotzki *. Se si considera quanto ho detto ora circa la volontà di mettere l’uomo al centro della concezione del mondo, si troveranno sconvolgenti parole, come quelle pronunciate da Trotzki. Egli dice che la dottrina comunista, o la dottrina socialista, si è posta come uno dei suoi più importanti compiti il conseguimento, sulla nostra vecchia terra peccaminosa, di una situazione tale per cui la gente la smetta di spararsi a vicenda. Uno dei compiti del socialismo o del comunismo sarebbe di creare un ordine ti per cui, per la prima volta, l’uomo sia degno del suo nome. Noi siamo abituati a dire che la parola « uomo » suona superba. In Gorki troviamo l’espressione: «L’uomo, suona superbo». In realtà, considerando questi tre anni e nove mesi di sanguinose stragi, verrebbe fatto di gridare: «L’uomo, suona vergogna».

 

Ad ogni modo, all’inizio di un discorso programmatico al centro di una considerazione si vede sùbito confusamente anche la domanda: « Come può l’uomo rendersi conto del suo essere umano, del suo valore umano, della sua forza umana?». Osservando attentamente si incontrerà in molti uomini il medesimo fenomeno. Lo si comprenderà soltanto — e con questo intendo riferirmi al modo in cui ciò che si viene a capire più chiaramente attraverso la scienza dello spirito turbini in modo confuso nelle menti — si comprenderà questo turbinare, questo fenomeno, soltanto considerando alcuni fenomeni, che abbiamo esaminato ancor meno, relativi al pensiero sociale del quinto periodo postatlantico.

In realtà moltissime cose cambiano, quasi con un salto, di tempo in cui, nel secolo quindicesimo dopo Cristo, il quinto periodo postatlantico seguì al quarto che allora finiva; al quarto periodo che, come sapete, incominciò nel secolo ottavo avanti Cristo. Soltanto che la gente non nota come si sia in realtà mutata radicalmente la costituzione animica dell’umanità civile, per esempio al passaggio dai secoli tredicesimo e quattordicesimo, ai secoli quindicesimo e sedicesimo. Ho indicato vari fenomeni in campo artistico, in quello del pensiero e in vari altri, dai quali si può notare questo cambiamento. Oggi vogliamo considerare qualcos’altro che ha grandissima importanza, particolarmente per le forze che entrano in giuoco nel presente e nel prossimo futuro. In realtà si può dire che la vita economica pubblica, in quanto si inserisce nella vita sociale, viene osservata coscientemente soltanto dall’inizio del quinto periodo postatlantico. Ciò che oggi forma oggetto di pensiero degli uomini si era manifestato prima più o meno istintivamente. In fondo solo verso il secolo sedicesimo si cominciano a porre coscientemente le domande: che cos’è l’ordine in economia? quale è la migliore economia? quali leggi stanno a base dell’economia? E da queste considerazioni si sviluppano poi, fino ai nostri giorni, gli impulsi della concezione socialistica. Precedentemente le cose erano state ordinate in modo più o meno istintivo da uomo a uomo, da associazione ad associazione, da corporazione a corporazione o anche da stato a stato. Soltanto da quando è sorta la moderna forma statale, che data anch’essa dal secolo sedicesimo all’incirca, osserviamo che si riflette su problemi economici.

 

Ora, considerando questi fenomeni, non si deve dimenticare quanto segue. Bisogna rendersi conto che, fino a quando qualcosa avviene istintivamente, avviene con una certa sicurezza. Si chiamino « ordinamento divino », si chiamino « ordine naturale », o come si vuole, gli istinti sono qualcosa che agisce con una certa sicurezza attraverso l’evoluzione dell’umanità, qualcosa che non può essere modificato da pensieri, che col pensiero non si tocca. L’insicurezza incomincia solo quando gli oggetti, sui quali agiva prima la sicurezza degli istinti, vengono ora compenetrati dalla riflessione umana, dall’intelletto umano. Si può dire che soltanto mano mano, dopo aver fatto i più vari errori, l’uomo acquista in modo cosciente la sicurezza che prima aveva avuto per altre situazioni attraverso l’istinto.

 

Naturalmente contro questo non si può obiettare che allora sarebbe meglio tornare all’istinto. Le condizioni si sono mutate e in condizioni mutate l’istinto non sarebbe più giusto. Inoltre l’umanità si trova in evoluzione e, per cose di questo genere, passa appunto dall’istinto alla vita cosciente. La richiesta di tornare agli istinti di una volta sarebbe altrettanto saggia quanto la decisione di chi a cinquant’anni stabilisse di avere di nuovo vent’anni. Si vede dunque che verso il secolo sedicesimo e nel secolo sedicesimo incomincia il pensare sull’economia. Si dirige lo sguardo cosciente su fenomeni che prima si erano sperimenta istintivamente nei rapporti umani.

 

È interessante considerare almeno alcune delle idee, delle rappresentazioni, che gli uomini si sono fatte in merito all’ordine sociale. Per esempio, ci furono prima i cosiddetti mercantilisti, con certe rappresentazioni della vita sociale economie In realtà le loro rappresentazioni derivano in tutto e per tutto dalle rappresentazioni giuridiche, quelle che prima si avevano nel campo del diritto o in genere nella vita pubblica; con tali rappresentazioni essi cercavano di capire l’andamento del commercio e dell’industria che era sul nascere. Le idee dei mercantilisti dipendono anzitutto dallo studio del commercio e dell’industria. Ma sono influenzate anche da altro, sono influenza dal fatto che la monarchia moderna ad indirizzo piuttosto ai soluto, con tutto quanto vi si connette, con lo stato burocrati ebbe allora la sua particolare impronta. Le idee erano condizionate dal fatto che, a seguito della scoperta dell’America, si è importato molto metallo nobile, dal fatto che alla vecchia economia era subentrata l’economia monetaria. Da fenomeni come questi erano influenzate le idee dei primi maestri di economia, i mercantilisti. Per costoro si trattava di immaginare l’economia pubblica, la convivenza sociale pubblica, in base alle idee che si erano fatte secondo il modello dell’antica economia privata. E per la vecchia economia privata si avevano le antiche idee giuridiche romane. Come ho detto, si continuavano quelle, secondo quelle si cercava semplicemente di estendere le leggi dell’economia privata alla vita pubblica.

 

Quelle idee maturarono uno strano risultato, e non è poco interessante seguire ciò che nei pensieri dei mercantilisti divenne a poco a poco oggetto della principale attenzione. Il risultato ne fu che i mercantilisti si dissero: « L’essenziale in una politica economica nazionale è di possedere, nell’àmbito di un territorio economico, molto equivalente per le merci da far circolare sul mercato e da prodursi da parte dell’industria ». In altre parole, a costoro interessava escogitare una struttura sociale tale da far entrare molto denaro nel paese che formava appunto l’oggetto del loro studio. Vedevano il benessere del paese nel denaro disponibile. E come rendere grande il benessere del paese in cui, secondo il loro punto di vista, anche il benessere del singolo sarebbe stato il più grande che si potesse immaginare? Col creare possibilmente una struttura interna del paese, tale da far circolare molto denaro e da far defluire poco denaro verso altri paesi, in modo che possibilmente molto denaro fosse concentrato nel paese.

 

Contro questa concezione ne sorse poi un’altra chiamata fisiocratica. Essa partiva dall’idea che, per quanto riguarda il benessere di un paese, non interessa veramente la quantità di denaro ivi raccolta, ma piuttosto quanto si ricava dalla terra per mezzo del lavoro, quanti beni si ricavano con lo sfruttamento delle forze naturali. Infatti con la circolazione delle merci nel commercio e accumulando denaro si raggiunge solo qualcosa di apparente. Non si aumenta veramente il benessere.

 

Vediamo qui manifestarsi due successive concezioni economiche, due punti di vista del tutto diversi. A questo prego di porre attenzione. Sarebbe infatti molto facile credere che sia semplicissimo, purché lo si sia imparato, dire da che cosa dipenda il benessere, quale sia il miglior tipo di economia. Ma vedendo che persone che riflettono su questi argomenti, che del pensare su questi argomenti fanno addirittura una professione, pervengono nel corso del tempo a concezioni contrarie, si concluderà che non è tanto facile pensare su queste cose.

 

Per il fatto di dare massima importanza alla produzione di beni per mezzo della lavorazione della terra e della natura in genere, i fisiocratici giunsero poi alla conclusione che in effetti si dovesse lasciare la gente libera per indurla, attraverso la libera concorrenza, ad ottenere di più dal fondamento naturale dell’esistenza.

 

Mentre i mercantilisti si preoccupavano soprattutto di elevare dazi e di chiudere i paesi verso l’esterno, perché il deflusso di denaro non fosse troppo grande, i fisiocratici pervennero alla concezione contraria: che cioè, proprio quando si esporta e importa liberamente da un paese all’altro, la capacità di sfruttamento del terreno su tutta la terra viene aumentata, e con ciò anche il benessere di ogni singolo paese. Si vede che all’alba del pensiero cosciente, nell’economia sorgono pensieri contrastanti nelle più varie direzioni.

 

Si può vedere poi come si affermi in campo economico u concezione molto influente, una concezione che effettivamente agì in modo molto intenso non solo sulla legislazione, ma anche sulle idee che gli economisti si fecero su questi problemi. Si tratta della concezione di Adam Smith; in particolare egli si pose questo problema: come si realizza una struttura sociale idonea a creare nel modo migliore il benessere del singolo e il benessere della collettività? In realtà Adam Smith pervenne alla concezione — volendo accennare ad un punto caratteristico — che la configurazione del tutto individuale dell’economia sia la cosa migliore. Egli partì dal concetto che i beni, le merci, formanti in ultima analisi il contenuto dell’economia, sono in realtà il risultato del lavoro umano. Si può dire che la sua concezione fosse la seguente. Se si compera qualcosa, ciò avviene per il fatto che del lavoro umano è stato compiuto. Il bene, la merce, in certo qual modo è cioè lavoro umano cristallizzato. Lo Smith pensava che il fondamento dell’economia, il benessere, venisse appunto realizzato nel modo migliore se non si tratteneva la gente, per mezzo di qualche impedimento legislativo, dal produrre liberamente. Il singolo rende appunto il massimo per la collettività se rende il massimo per sé. Adam Smith pensa approssimativamente che si renda al massimo per l’umanità, quando si rende al massimo per sé. Si possono vendere allora le cose nel modo migliore, e si rende al massimo per l’umanità quando si rende al massimo per sé. Il meglio per il singolo e per l’umanità è l’organizzazione individualistica dell’economia, il non creare particolari impedimenti con la legislazione o con altri interventi.

 

In queste dottrine economiche tutto l’indirizzo del pensiero ha la mèta di come realizzare nel modo migliore la struttura sociale. A questo riguardo, può forse sorgere un problema che potrebbe sembrare il più importante, ma che in realtà non è stato considerato nella sua caratteristica in modo del tutto chiaro nemmeno dai fisiocratici. Nei sistemi economici di cui ho parlato si medita sul modo migliore di realizzare la struttura economica. Ma il seguire le idee che qui si manifestano, richiama continuamente all’altro problema esistente, al problema cioè di quale sia in realtà lo scopo dell’economia. Essa non può voler soltanto distribuire ciò che è disponibile, ma deve anche provvedere che i beni materiali vengano prodotti effettivamente. Si tratta infatti anche di ricavare i beni dalla terra. In che relazione si trova l’uomo con i beni che si ricavano dalla terra? Su questi problemi soltanto Malthus impostò dei pensieri coscienti; precisamente i suoi pensieri presero un corso che in fondo può rendere perplessi fino ad un certo grado. Non è affatto senza fondamento il problema centrale che Malthus sollevò, e soprattutto il punto di vista relativo a quel problema centrale. Egli disse che se si considera l’aumento della popolazione della — come molti studiosi moderni egli era del parere che la popolazione della terra aumentasse continuamente — e se si considera l’aumento degli alimenti prodotti, si ha un certo rapporto. Malthus lo esprime in forma matematica dicendo che l’aumento degli alimenti avviene in progressione aritmetica, mentre l’aumento della popolazione avviene in progressione geometrica. Posso chiarirlo con qualche cifra. Supponendo che la produzione degli alimenti sia 1, 2, 3, 4, 5, per la popolazione avremmo; rapporto geometrico 1, 2, 4, 8, 16. In altre parole, egli pensa che la popolazione aumenti molto più rapidamente degli alimenti. È dunque del parere che l’evoluzione dell’umanità non possa sfuggire al pericolo che subentri la lotta per la vita, e che alla fine ci siano troppi uomini in confronto all’aumento degli alimenti. Egli dunque considera l’evoluzione economica umana un punto di vista del tutto diverso, dal punto di vista del rapporto dell’uomo con le condizioni della terra, e arriva al punto quanto meno i suoi seguaci arrivano al punto di considerare realmente contrario all’evoluzione l’occuparsi molto dei poveri e dei problemi connessi, perché in tal modo si coltiva soltanto il sovrappopolamento, il che è dannoso all’evoluzione dell’unità. Malthus arriva proprio a dire: « Si lasci senza assistenza chi è debole nella vita, perché si tratta di eliminare gli inadeguati alla vita ». Egli propone ancora altri mezzi di cui non voglio trattare qui; posso solo accennarvi. Precisamente raccomanda il sistema dei due figli per arginare la naturale tendenza al sovra-popolamento. Considera le guerre come manifestazione necessaria dell’evoluzione dell’umanità, dato che esiste la naturale tendenza dell’aumento più rapido della popolazione in confronto agli alimenti.

 

Come si vede prende posto nella storia una concezione pessimistica, per quanto riguarda l’evoluzione economica d l’umanità. Non si può dire che il rapporto dell’uomo con la naturale dell’economia sia stato molto seguito nei tempi recenti. La gente nei tempi moderni non ha neppure la chiara coscienza che si dovrebbe indagare in questa direzione. In un certo senso si è tornati a riferirsi alla struttura sociale stessa alla maniera in cui gli uomini debbano distribuire quanto disponibile, perché possano conseguire il massimo benessere; il problema non è tanto il modo di ricavare possibilmente molto dalla terra, ma piuttosto la distribuzione.

 

Ebbene, nell’evoluzione del corso delle idee, si manifestano varie cose che è importante osservare perché esse preparano il pensiero sociale e socialistico del tempo attuale; quello che ha condotto e sempre più condurrà gli uomini in una specie di caos sociale da cui necessariamente bisognerà cercare la via d’uscita. Ad un punto ho già accennato: che cioè Adam Smith manifesta chiaramente il pensiero secondo cui i beni acquistati, le merci, sono lavoro immagazzinato. In certo qual modo, come una necessità naturale, si forma l’idea che si può considerare la merce soltanto come lavoro accumulato. Questa idea domina tanto gli uomini che in realtà essa è uno dei motori fondamentali del pensare proletario del presente. Essa lo è in quanto, dalle premesse economiche da me caratterizzate, nelle menti del proletariato si è formata la precisa idea che in effetti, allo stato attuale dell’ordine e della struttura sociale, la forza-lavoro del lavoratore, che è nullatenente e che può portare sul mercato solo il lavoro delle sue mani, è una merce. Come si comperano altre cose, così si compera la forza-lavoro del lavoratore proletario.

 

A fronte della domanda: « In realtà, che cosa sono, in quanto uomo ? », il proletario moderno ha una sensazione opprimente al massimo grado, e da ciò derivano le sue esigenze. Egli non vuole che qualche sua parte sia venduta; ha l’impressione, si può dire, come se si potessero allo stesso modo comperare le sue braccia, le sue mani. Questa appare all’uomo una cosa scomoda, in qualunque forma essa si manifesti, sia che si tratti del pensiero marxistico, sia di quello revisionistico, o come chiamar si voglia; vi sta alla base il sentimento che altra gente compera e vende merce, ma che lui deve vendere la sua forza di lavoro.

 

Sarebbe un errore sostenere che anche altra gente vende il proprio lavoro. In effetti non è vero. Nella nostra odierna struttura sociale solo il proletario vende veramente il suo lavoro poiché si cessa di vendere la propria forza-lavoro dal momento che in qualche modo si è legati alla proprietà. Il borghese non vende la sua forza-lavoro. Egli compera e vende merce; vende forse i prodotti del proprio lavoro, ma in questo caso si tratta di qual cosa di diverso dal vendere il proprio lavoro. In merito a queste cose il proletario moderno ha dei concetti molto precisi, e chi conosce il pensiero del proletariato moderno sa che il principio: « Lavorare da proletario significa vendere la propria forza di lavoro », è veramente l’elemento motore del pensiero proletario attuale, dalle forme più moderate fino a quelle più radicali. Chi non è in grado di rilevare questo dai fenomeni non capisce appunto il tempo attuale, ed è cosa triste che tanta gente non capisca i tempi attuali. Appunto per questo sprofondiamo sempre più nella confusione, perché la gente non cerca di capire il suo tempo. Questo è un aspetto.

 

L’altro è che, in relazione a quello che abbiamo caratterizzato (sebbene modificato da punti successivi e in certo modo istintivi), è sorta un’idea come quella della legge dei salari Questa idea in sostanza non esiste più nel moderno proletariato nella forma in cui esisteva prima; bisogna tuttavia conoscere forma in cui tale idea esistette ancora, per esempio in Lassalle per potersi orientare in merito a quanto continua ad esistere nel proletariato attuale, quale residuo di quell’idea. Essa è chiara mente fissata dalla cosiddetta legge ferrea del salario dell’economista Ricardo. Ma Lassalle la sosteneva con ogni energia ancora alla metà del secolo scorso. Essa si formulerebbe all’incirca così: « Dato lo stato attuale della struttura sociale e la forma del capitale, chi deve lavorare da proletario non può essere remunerato per il suo lavoro al di là di un certo massimo. Il salario deve muoversi sempre entro certi limiti. Non può superare tali limiti, né scendere al di sotto di essi. Le circostanze obiettive stesse rendono necessario si raggiunga una certa quota di salario. Il salario del lavoratore non può salire al di sopra né scendere sotto un certo livello massimo o minimo; per lo meno non in misura essenziale ». Così pensa Ricardo, e precisamente per il seguente motivo. Egli dice: « Supponiamo che per certe circostanze, ad esempio per congiuntura favorevole o per altre cause, in un certo tempo si verifichi un particolare aumento del salario. Che cosa avverrebbe? I proletari riceverebbero cioè improvvisamente dei salari più alti, il loro tenore di vita si eleverebbe, ed essi raggiungerebbero un certo benessere. Cercare lavoro sarebbe più attraente di quanto non lo fosse al salario precedente. Si verificherebbe una maggiore offerta di lavoro ed inoltre, a seguito del benessere, un notevole aumento dei lavoratori e così via; in breve, si avrebbe una maggiore offerta. La conseguenza ne sarebbe che si troverebbero più facilmente operai, e che quindi si tornerebbe a pagare meno. Il salario scenderebbe di nuovo al livello precedente. Proprio per il fatto della sua ascesa, verrebbero provocati dei fenomeni che lo farebbero diminuire. Pensiamo invece che per qualche motivo il salario diminuisca; allora si verificherebbe un immiserimento, e di conseguenza una minore offerta. Gli operai morirebbero prima e si ammalerebbero, avrebbero meno figli; si avrebbe pertanto una minore offerta di forze lavorative, e di conseguenza un aumento di salario. Ma si arriverebbe al massimo al livello ferreo ».

 

Naturalmente sia Ricardo sia Lassalle, nell’impostare la legge ferrea del salario, pensavano alla determinazione del salario in un processo puramente economico. Oggi, ed anche già due o tre decenni fa, se facendo la storia dell’economia si citava ai proletari la legge ferrea del salario, essi dicevano che essa non era giusta, che Ricardo e Lassalle avevano sbagliato. Ma in effetti tale obiezione non è giusta perché quegli economisti potevano soltanto pensare che la ferrea legge del salario entrasse in funzione se la struttura sociale veniva lasciata in balìa di se stessa. Ma appunto perché essa non avesse efficacia vennero fondate le associazioni dei lavoratori e si ricorse all’aiuto e all’influenza dello Stato. La conseguenza ne è che si aumenta artificialmente il ferreo limite della legge del salario. La parte che eccede il ferreo limite della legge del salario viene dunque creata dalla legislazione o per mezzo di associazioni. Per questo motivo è errata l’obiezione. Si tratta del come il pensiero vie indirizzato.

 

Ho voluto citare queste cose, che si moltiplicano smisuratamente, solo per far vedere come nell’epoca dell’anima cosciente si siano andate formando le idee sull’economia. Le opinioni erano sempre sbilanciate da un lato o dall’altro. Gli uni pensavano sempre che il benessere del popolo fiorisse nel migliore modo, se l’economia veniva organizzata individualisticamente, se si lasciava il più possibile libero il singolo. Gli altri erano dell’opinione che in tal modo i più deboli venissero danneggiati, che si dovessero quindi favorire i più deboli facendo intervenire l’aiuto statale o dell’associazione.

 

Dovrei parlare a lungo se volessi caratterizzare tutto quanto si è manifestato nel corso del tempo. Nelle più varie zone del terra, del mondo civile, si formarono dunque pensieri economie Quelli che ho caratterizzato, e molti altri, si proponevano in fon non solo di pensare come si presentava la struttura sociale n mondo che si era sviluppato fino ad allora, ma si ponevano questione di come si potesse organizzare la struttura socia perché la gente non vivesse in miseria, perché si raggiungesse benessere e così via. In molti che se ne sono occupati la dottrina economica induceva sempre a migliorare la vita economica. Nature utopistiche come quelle dei socialisti Saint-Simon, Auguste Comte, Louis Blanc ed altri, avevano come mèta questa tendenza. Il loro modo di pensare è all’incirca il seguente: da che fino ad ora la società è stata più o meno abbandonata a stessa, essa si è sviluppata in modo da manifestare un gran divario fra poveri e ricchi, fra benestanti e indigenti; e questa situazione deve essere modificata. A questo scopo essi studiarono le leggi economiche ed esposero le più varie idee per modificare la situazione e realizzare dei miglioramenti. Così facendo alcuni partivano addirittura dall’idea che si potesse creare, come recentemente accennato, una specie di paradiso sulla terra.

 

Questo pensare sulla struttura sociale ha assunto appunto nel proletariato moderno una forma particolare. Ho già detto perché proprio il proletariato fosse predestinato a formare tali concezioni. Ma vorrei aggiungere delle osservazioni integrative in merito ad un particolare punto di vista. Certamente ciò che Marx ha esposto nei suoi libri, e in quelli scritti in collaborazione con Friedrich Engels, è stato molto cambiato. Ma le modifiche sono molto minori degli impulsi fondamentali che in realtà vi sono in queste cose. Si può dire in generale, anche se ciò può avere soltanto valore con opportune modificazioni, che in tutti i paesi civili della terra, dall’estremo occidente fino alla Russia, i proletari sono dominati dagli impulsi marxistici (anche se, al giorno d’oggi, non più decisamente secondo i limiti marxistici). Le idee sulla struttura sociale si manifestano in un modo del tutto particolare nel pensiero marxistico moderno.

 

Le idee che ora ho sviluppato, che si incontrano anche negli economisti borghesi dall’inizio del periodo dell’anima cosciente in qua, vengono accolte dal pensiero socialistico. Esse vengono però modificate dal pensiero socialistico così come deve di necessità pensarle il proletario, secondo il suo parere e nell’àmbito della sua classe. Avviene così il fatto caratteristico che l’idea: « Nell’ambito della moderna struttura sociale capitalistica l’uomo, in quanto proletario, deve vendere la sua forza lavoro », ulteriormente elaborata in modo teorico, diventa il motore spingente del pensiero proletario, facendo sorgere la domanda: « Come evitare che la forza-lavoro possa essere inserita nel mercato e venduta come merce? » Naturalmente in questo impulso agisce il punto di vista che viene chiaramente espresso da Adam Smith e che si ritrova in altri; cioè che la merce acquistata è forza di lavoro accumulata. È un’idea validissima, un’idea da cui si deve trarre la conclusione di che cosa fare in proposito. Se compero un soprabito, il lavoro svolto dal sarto, o da chi ha contribuito perché il soprabito fosse confezionato, è nel soprabito; è lavoro immagazzinato. Pertanto il problema se si possa distinguere il lavoro dalla merce, non viene preso molto in considerazione; si considera piuttosto come assiomatico, ovvio, il fatto che il lavoro sia indissolubilmente legato alla merce. Si cerca dunque una struttura sociale che renda innocuo per il lavoratore il fatto incontrovertibile che il lavoro resta collegato col prodotto del lavoro. In effetti da questi influssi si è sviluppato il marxismo: cioè l’idea che semplicemente trasferendo i mezzi di produzione alla collettività, divenendo in certo qual modo la collettività proprietaria di tutto il macchinario, del terreno e dei mezzi di trasporto, sia possibile realizzare un compenso giusto. Non sorse affatto il problema se fosse possibile rendere la merce indipendente dal compenso, ma l’altro, di come si potesse realizzare un compenso giusto dovendo presumere in modo assiomatico, ovvio, che il lavoro fluisce nella merce. Questo è il problema, ed a questo è connesso il resto. Con esso è collegata a che la concezione materialistica della dottrina economica, l’estrema concezione materialistica della storia. Come ho già spiegato essa consiste nel seguente pensiero del proletariato. Tutto quanto si attua nella civiltà umana, tutta la produzione spirituale, tutto il pensiero, la politica, in genere tutto ciò che non dipende da processi economici, è una sovrastruttura, un’ideologia, che vie impostata sul fondamento di quanto viene prodotto economicamente. L’economia è il fatto reale. La realtà nella vita umana il modo in cui l’uomo è inserito nella vita economica. Le i che poi ha, risultano dalla sua posizione economica. Decisi marxisti, come per esempio Franz Mehring, scrivendo su Lessing — e si tratta solo di un esempio — indagano sulla vita economica, sulla produzione e sul commercio, sulla relazione dell’industria con il resto dell’umanità nella seconda metà del secolo diciottesimo, sui pensieri relativi, e si chiedono come si sia formato Lessing. Questa particolare personalità e le sue opere vengono spiegate in base alla vita economica della seconda metà del secolo diciottesimo. Kautsky ed altri cercarono di spiegare, movendo da questo punto di vista, perfino il sorgere del cristianesimo. Essi esaminarono le condizioni economiche all’inizio della nostra èra, stabilirono che esistevano determinate condizioni produttive. Ne derivarono la conseguenza che allora si sviluppasse una specie di pensiero comunistico che prese nome dal Cristo Gesù. All’inizio della nostra era la realtà sarebbe quindi veramente l’ordine economico. Il cristianesimo è un’ideologia, una sovrastruttura, quasi un’immagine riflessa del nostro ordine economico. Non esiste altro che l’ordine economico. Tutto il resto si libra su di esso, è una fata morgana, un’immagine riflessa, nulla di reale; al massimo qualcosa che, come ho già caratterizzato in conferenze precedenti, ritorna ad agire sulle condizioni economiche, ma in scarsa misura e per vie indirette, a mezzo di eventi umani di altro tipo.

 

Queste due cose agiscono insieme. L’indignazione perché l’uomo deve lasciar trattare come merce una parte di sé, la sua forza-lavoro, agisce insieme all’idea materialistica, portata agli estremi limiti, secondo cui l’unica realtà è la vita economica.

 

Naturalmente non tutti hanno fatto propria questa concezione, sebbene milioni di persone, i proletari appunto, ne siano più o meno dominati. Ma a questo proposito presso gli altri uomini si afferma un’altra cosa. Presso i non proletari non è infatti invalso ciò che è abituale nei proletari. Dopo che i proletari hanno lavorato le loro otto, dieci o più ore, essi si incontrano la sera e discutono di questo problema, se lo fanno spiegare; hanno luogo anche riunioni di donne. Essi si interessano, ogni singolo si interessa di come è costituita la struttura sociale; a modo loro ci pensano, si fanno comunicare a quale risultato sono giunti coloro che pensano su queste cose, e così via. Sono esperti dell’argomento, a modo loro naturalmente, ma sono esperti. Nello strato superiore, che viene chiamato borghesia, bì ammetterà che ciò non avviene. « A lavoro finito », lo diciamo fra virgolette, ci si occupa d’altro. Ci si occupa al massimo dei proletari — e poi si crede di aver già fatto tanto — facendoli agire sulle scene attraverso l’opera di qualche autore borghese. Ma si fanno fare ai professori universitari le riflessioni sull’ordine economico. È loro mestiere, e pertanto le fanno loro. Si dice che non esiste il culto dell’autorità, ma si giura su quanto i professori universitari hanno escogitato su questi argomenti; deve essere ovviamente giusto in quanto essi sono pagati dallo Stato, sono lì per questo. Ma fra questi professori si è andata formando una strana dottrina economica. Scrivono dei libri, nell’àmbito di una « scuola storica ». Trattano il mercantilismo, i fisiocratici, Adam Smith, il socialismo, l’anarchismo, e poi il proprio punto di vista; questa è la « scuola storica ». Si pongono il problema di come farsi un’idea sul modo di trattare questi problemi. Ma in proposito costoro sono proprio privi di risorse. Non si decidono a sviluppare un’attività di pensiero che chiede con insistenza idee sul modo di creare una struttura sociale. A borghesucci come per esempio Lujo Brentano o Schmoller Roscher non viene in mente di mettere in attività il pensar, ma giudicano che si debbano studiare i fenomeni, come fa che il naturalista. Uno studioso naturalista lascia quindi che i fenomeni si svolgano e li studia. Studia semplicemente lo sviluppo storico dell’umanità, forse anche lo sviluppo storico dei pensieri degli uomini sull’economia, e descrive quello che c’è. Al massimo fa come Lujo Brentano. Se proprio non si vogliono fare osservazioni nel proprio paese, si fa un viaggio in un paese dall’economia rappresentativa, in Inghilterra, si fanno indagini, e poi si descrivono le condizioni di quei prestatori d’opera e di quei datori di lavoro. Si nota come là ci sia gente ricca, come si acquisti il credito, come lavori il capitale, si vede che vi è miseria, che vi sono nullatenenti, che qualcuno non ha di che sfamarsi, che non si possono sfamare più o meno per queste o quelle circostanze. E poi questi signori dicono che il compito della scienza non è di dire come le cose debbano evolversi, solo di indicare come si evolvono. Ma in definitiva che ne sarà di una tale scienza, che pure esercita un’azione sulla vita pratica, se in realtà essa osserva soltanto come le cose si sviluppino? È come se, volendo formare un pittore, gli dicessi di andare anzitutto da tutti i possibili pittori, di osservare come uno dipinga bene e l’altro male, ma di non far nulla lui stesso.

 

Certo in questo campo tutto diventa sùbito paradossale, ma effettivamente è paragonabile con l’atteggiamento descritto. C’è infatti da scoppiar di rabbia, scusate il termine, se ci si mette veramente ad osservare ciò che al giorno d’oggi non si può dire: si fa, ma si fa male, se si vuol abbordare l’economia, o settori simili, con il metodo scientifico. Non ne risulta proprio nulla, perché in fondo già le premesse sono le più assurde. Da questa schiera si formano al massimo i cosiddetti socialisti di cattedra i quali, dall’osservazione di ciò che esiste, arrivano alla conclusione che qualcosa deve avvenire. E poi si fanno delle leggi che dovrebbero rimediare a questa o quella situazione.

 

Ma appunto la mancanza di idee ha contribuito alla creazione di questa situazione. Oggi sarebbe una viltà non far presente che il caos, nel quale siamo venuti a trovarci, è cagionato da ciò che l’umanità odierna, la quale realmente non ha il culto dell’autorità, permette che le si racconti. Queste cose sono così gravi che bisogna veramente considerarle nel loro vero aspetto. Allora sorgono delle domande. In tutto questo che cosa agisce ancora più profondamente? Perché tutto è avvenuto così? Perché idee così indecise agiscono in uno dei settori più importanti per l’umanità, come ho esposto?

 

Osserviamo un’idea del genere, sia pure illusoria ma straordinariamente efficiente; osserviamo per esempio l’idea marxistica modificata, la stessa che in sostanza è quella degli odierni professori: reale è solo l’economia, reale è solo la struttura economica; il resto è ideologia, sovrastruttura, fata morgana che le si sviluppa intorno. In fondo, qualcosa di singolare al massimo grado: l’assoluta miscredenza in tutto ciò che di spirituale l’uomo può produrre movendo da tutte le idee che si evolvono da quando si è venuta formando l’anima cosciente. In questo campo si impone il fatto che gli uomini vengono spinti sempre più a ciò che è noto esteriormente, a ciò che esteriormente è afferrabile in modo concreto dai sensi. Il resto lo fuggono, lo evitano. Sotto l’influsso di questa fuga, di questo evitare, si sono formate non solo le idee sociali, ma anche i sentimenti sociali, ed infine gli eventi sociali del nostro tempo; ed essi continueranno a formarsi se non si sentirà l’appello per una compenetrazione realmente scientifico-spirituale di questi fatti.

 

Che cosa sta alla base di tutto ciò? Vi è alla base il fatto chi siamo entrati appunto nel periodo dell’anima cosciente, che troviamo in essa dal secolo quindicesimo, e che l’evoluzione ne periodo dell’anima cosciente, la spinta a svegliare l’anima co sciente, rende necessario che l’uomo si avvicini sempre più un punto della sua evoluzione da cui in realtà, « per istinti contrastanti », vuole fuggire. Sarà essenziale che l’uomo modera»! superi questo istinto di fuga; egli vuol fuggire da qualcosa cui in realtà deve penetrare. Quando ultimamente ho parlati qui, ho detto che nelle diverse nazioni, in occidente, nei paesi centrali, in oriente, si differenzia anche il modo in cui l’uomo si approssima al guardiano della soglia, entrando nel mondo spirituale. Un avvicinamento alla prova di esperienze, come posi sono essere fatte coscientemente davanti al guardiano della soglia (esperienze che però nel periodo dell’anima cosciente devono essere fatte man mano dagli uomini), una spinta verso esperienze dinanzi il guardiano della soglia in una determinati forma, anche se esteriore, è quel che agisce come impulso, come istinto, come stimolo negli uomini moderni; ed essi la fuggono. Temono di pervenire al punto che in realtà devono raggiungere.

 

Nell’evoluzione moderna dell’uomo ciò è regolare. Si consideri quello che ho esposto prima quale caratteristica esteriori degli sforzi moderni. L’uomo si sforza di riconoscere che eoa egli sia in quanto uomo, che cosa valga come uomo, che cosi sia la sua dignità d’uomo. Si sforza di considerare se stesso come uomo, di avere finalmente un’immagine di se stesso. Non può giungere all’immagine dell’uomo volendosi fermare al mondo sensibile, perché l’uomo non esaurisce se stesso nel mondo sensi, non è soltanto un essere sensibile. Nei periodi dell’evoluzione istintiva, in cui l’uomo non si interessava di avere un’immagine di se stesso, della dignità umana, della forza urna si poteva trascurare il fatto che, volendo conoscere l’uomo, doveva abbandonare il mondo sensibile e guardare nel mondo spirituale. Nel nostro periodo dell’anima cosciente bisogna far la conoscenza del mondo soprasensibile in qualche forma, almeno con l’intelletto. Agisce così in modo inconscio ciò che l’iniziando deve superare coscientemente. Nei nostri contemporanei, e nelle persone di cui ho descritto le idee sociali, agisce ancora, anzitutto in modo non cosciente, la paura dell’ignoto che si deve osservare. Timore, pusillanimità, vigliaccheria dominano l’umanità. E se l’umanità moderna dice che l’economia è la sostanza concreta da cui tutto deriva, questa concezione è sorta perché si teme ciò che è invisibile, non concreto. Non ci si vuol avvicinare a quel che si vuol evitare, e mentendo lo si chiama ideologia, fata morgana. Si fa così perché lo si teme. La concezione sociale moderna rappresenta una posizione di paura, di sgomento, rispetto ai punti che ho caratterizzato. Per quanto animosi alcuni si dimostrino esteriormente nelle aspirazioni della moderna concezione sociale, per quanto coraggiosi si dimostrino da un lato, di fronte allo spirituale, che si deve far loro incontro nella forma in cui vogliono conoscere l’uomo, di fronte allo spirituale hanno paura, di fronte ad esso si ritirano vilmente. Ciò che si rivela nelle concezioni socialistiche moderne è un prodotto della paura, dello sgomento.

 

Bisogna considerare i problemi da questo punto di vista. L’uomo moderno deve infatti imparare a conoscere tre tipi di fenomeni, perché viene condotto ad essi in modo differenziato in occidente, nel centro e in oriente, come ho caratterizzato la volta scorsa. In qualche forma egli viene condotto naturalmente a questi tre tipi di fenomeni. Anche se soltanto l’iniziato vede questi tre punti, ogni uomo moderno che voglia compenetrare la struttura economica deve comprenderli, sentirli, accoglierli man mano nell’intelletto, se non in quanto veggente. In primo luogo l’uomo moderno deve acquistare un chiaro sentire o almeno una chiara rappresentazione intellettuale delle forze che nel mondo sono forze del declino, forze distruttrici. Fra le forze che si considerano volentieri — e ci si inganna perché le si considera solamente con la simpatia della benevolenza — ci sono le forze edificataci. Si vuol sempre costruire, costruire, costruire. Ma nel mondo non vi è soltanto evoluzione o costruzione, vi è anche involuzione, logorio. Il nostro sistema nervoso, il sistema cerebrale, è continuamente in stato di logorio. Nel mondo il logorio. L’uomo deve conoscere le forze logoranti. Se preconcetti e imparzialmente deve dirsi che proprio sulla che deve svilupparsi in questo periodo, in cui l’anima cosciente deve svegliarsi completamente, le forze logoranti sono attive massimo. Talvolta le forze logoranti si concentrano, si consolidano e sviluppano qualcosa come in questi ultimi quattro anni e mezzo. Qui diventa manifesto all’umanità qualcosa che c sempre. Ma questo non deve rimanere incosciente ed istintivo; in questo periodo deve diventare del tutto cosciente. L’uomo distoglie volentieri l’occhio dalle forze logoranti, dalle forze morte, dalle forze paralizzanti, ma fuggendo le forze logoranti si rende cieco e non impara a collaborare con l’evoluzione.

 

Il secondo fenomeno che l’uomo deve imparare a conoscere e che ugualmente fugge, è che in questo periodo dello sviluppo intellettuale, vale a dire nel periodo dell’anima cosciente, deve assolutamente arrivare a cercare, per così dire, un nuovo centro di gravità del suo essere. L’evoluzione istintiva gli ha dato, anche nei pensieri, un centro di gravità. Egli crede di stare saldo nelle sue concezioni, nei suoi pensieri, che appunto gli pervengono per via di sangue o di discendenza o in qualsiasi altro modo. Da ora in avanti non può più essere così. L’uomo deve distaccarsi dalla sua base sicura, da quanto si è formato istintivamente. In certo qual modo l’uomo deve mettersi sull’orlo dell’abisso, deve sentire sotto di sé il vuoto, l’abisso, perché deve trovare se stesso nel centro del suo essere. Dinanzi a questo dietreggia spaventato, ne ha paura.

 

Il terzo fenomeno è che l’uomo, evolvendosi verso l’avvenire, deve imparare a conoscere in tutta la sua potenza l’impulso dell’egoismo. L’epoca nostra è fatta per rendere chiaro all’uomo di essere una creatura egoista, quando si abbandona alla natura. Per superare l’egoismo occorre esaminarne le fonti nell’uomo. L’amore si contrappone all’egoismo. Va superato l’abisso dell’egoismo per arrivare al calore della struttura sociale presente e futura, per conoscerla anche, nella pratica. L’avvicinarsi a questo sentimento, che si manifesta all’iniziando dinanzi al guardiano della soglia all’ingresso del mondo spirituale, riempie l’uomo di paura perché gli diventa anche chiaro che non si può realmente entrare nel nostro periodo, che necessariamente deve produrre una struttura sociale, se non con l’amore, che non è amore per se stessi, ma amore per il prossimo, interesse per il prossimo. Gli uomini sentono ciò come qualcosa che brucia, qualcosa che li consuma, qualcosa che toglie loro il proprio essere privandoli dell’amore per se stessi, del diritto all’amore per se stessi. E come fuggono il soprasensibile, che temono perché per loro è qualcosa di sconosciuto, così fuggono l’amore, perché esso è per loro un fuoco bruciante. Come nel periodo in cui devono essere preparati gli impulsi spirituali, gli uomini si bendano gli occhi e si tappano le orecchie dinanzi alla verità del soprasensibile (dicendo per esempio nel marxismo e nel traviato pensiero proletario, appunto per deviare dal soprasensibile, che ci si deve basare sul concreto), come gli uomini perseguono proprio il contrario di quanto in questo campo è la vera tendenza dell’evoluzione umana, così fanno per quanto riguarda l’amore. Ciò si manifesta perfino nelle parole che esprimono questa tendenza. Si creano ideali che sono il contrario di quel che è conforme all’evoluzione dell’umanità e che deve essere raggiunto.

 

Quando nel I848 apparve la prima e la più importante dichiarazione per la moderna concezione di vita proletaria: « Il manifesto comunista » di Karl Marx, esso era già corredato delle parole, del motto, che si trova ora in ogni libro ed in ogni opuscolo socialista : « Proletari di tutto il mondo unitevi! ».

 

A proposito di queste parole, avendo solo un po’ di senso per la comprensione della realtà, si deve giungere ad un preciso ma strano paradosso. Che cosa significa « Proletari di tutto il mondo unitevi! »? Significa: agite insieme gli uni con gli altri, siate fratelli, siate compagni! — Questo è amore! — Fate che l’amore sia attivo fra di voi! — Sorge questa tendenza tumultuosamente, ma in che modo? Proletari, diventate coscienti di essere esclusi dall’umanità, odiate quelli che non sono proletari, sia l’odio l’impulso delle vostre riunioni! — In modo strano sono accoppiati amore e odio, si cerca l’unione per odio, l’opposto dell’amore! Non lo si osserva solo per il fatto che al giorno d’oggi si è molto lontani dal collegare i propri pensieri con la realtà Ma è l’idea della paura dell’amore che però, pur accennandovi, contemporaneamente si evita, perché dinanzi ad essa ci si ritira tremando spaventati, come davanti ad un fuoco che consuma, quando appunto nel movimento sociale si mettono in evidenza e si elevano a motto parole come queste.

 

Soltanto quando si è compenetrati spiritualmente da quanto è reale può riuscire chiaro ciò che agisce nel presente, ciò che bisogna conoscere per potersi inserire coscientemente nel presente. Non è tanto semplice seguire quello che pulsa al giorno d’oggi nell’umanità. A questo scopo occorre la scienza dello spirito. Non bisogna lasciare inosservato questo fatto. Soltanto chi sia in grado di considerare abbastanza seriamente queste cose è giustamente inserito nel movimento scientifico-spirituale.