Il sensibile-soprasensibile e la sua realizzazione attraverso l’arte – I

O.O. 271 – Arte e conoscenza dell’arte –15.02.1918


 

Sommario: Due peccati nell’attività artistica: imitazione della natura e presentazione del soprasensibile. La sana posizione per una visione (espressionismo) e la riproduzione dei processi naturali (impressionismo). Il superamento della natura attraverso la sfera superiore nel gruppo scultoreo del Goetheanum. Il colore e il disegno nella pittura. La vera arte rappresenta il mondo sensibile nel soprasensibile, e il soprasensibile in quello sensibile.

 

Da una profonda comprensione del mondo e anzitutto da un profondo senso artistico sono scaturite le parole di Goethe: ▸ «Colui, cui la natura comincia a svelare il suo palese segreto, sente un’irresistibile nostalgia per la sua più degna interprete, l’arte».

Senza per questo diventare antigoethiani, si potrebbero in certo modo integrare così quelle parole: ▸ «Colui, cui l’arte comincia a svelare il suo segreto, sente un’avversione quasi invincibile per la sua più indegna interprete, per la speculazione scientifìco-estetica».

Non farò perciò oggi una trattazione estetico-scientifica dell’arte. Mi sembra invece che sia non solo conveniente, ma del tutto conforme all’idea goethiana di cui sopra, parlare delle esperienze che si possono fare e che magari spesso si sono fatte a proposito dell’arte, come si parla volentieri con un amico delle esperienze fatte nella vita, o che ancora si stanno facendo.

 

Parlando dell’evoluzione dell’umanità, si ricorda sempre un peccato originale. Non mi dilungherò qui a esaminare se, per quanto riguarda il lato negativo di tutta la ricca storia dell’umanità, della vita intesa in tutto il suo complesso, sia sufficiente parlare di un solo peccato originale.

In merito al sentimento artistico e alla creazione artistica, mi sembra comunque necessario parlare di due peccati originali.

Proprio nel campo della creazione artistica e del godimento artistico, mi sembra che

• uno dei peccati consista nella riproduzione, nell’imitazione del mero sensibile.

• L’altro peccato mi sembra essere il voler esprimere, rappresentare il soprasensibile attraverso l’arte. Ma allora, dovendo evitare tanto il sensibile quanto il soprasensibile, sarà ben difficile avvicinarsi creativamente o sentire l’arte. Mi sembra tuttavia che ciò corrisponda a un sano sentimento.

 

Chi nell’arte ammette soltanto il sensibile non andrà molto al di là di un raffinato elemento illustrativo, di un elemento che potrà magari sollevarsi fino all’arte, ma che non potrà darci un’arte reale. Solo una vita dell’anima un po’ inselvatichita potrà accontentarsi del solo elemento illustrativo dell’arte, dell’imitazione del sensibile, o comunque di quanto ci viene offerto solo dal mondo sensibile.

D’altra parte, pretendere che un’idea, un elemento puramente spirituale si possa incorporare attraverso l’arte, è segno di una specie di ossessione dell’intelletto e della ragione.

Rappresentazioni artistiche di concezioni filosofiche, i poemi filosofici, corrispondono a un gusto non certo sanamente sviluppato, corrispondono a un imbarbarimento del sentimento umano.

 

L’arte stessa è profondamente radicata nella vita; se non lo fosse non avrebbe certo un’esistenza giustificata nel modo in cui si presenta, perché in essa hanno parte una quantità di elementi che risultano irreali a una concezione del mondo solo realistica, le varie illusioni che in tal modo vengono inserite nella vita. L’arte vi deve infatti inserire qualcosa che a un certo modo di intendere le cose risulta irreale, essa deve in qualche altro modo mettere radici profonde nella vita.

Si può dire che, entro una certa zona del sentimento (compresa fra un limite inferiore e uno superiore, e che per altro in molti deve venir prima sviluppata) qualche senso artistico è sempre presente nella vita.

 

Anche se non ancora come arte, esso compare quando, nella vita corrente trasmessaci dal mondo sensibile, si annuncia un misterioso elemento soprasensibile; compare quando il soprasensibile, il solo pensato, il solo sentito, il solo sperimentato nello spirito, ci si presenta in forma sensibile, non espresso in vuoti simboli o in rigide allegorie, ma come aspira ad apparirci in figura sensibile. Che il normale elemento sensibile abbia già nella vita ordinaria, quasi incantato, qualcosa di soprasensibile in sé, lo sente ognuno il cui stato d’animo sia compreso fra i due limiti accennati.

 

Si può senz’altro dire: se qualcuno mi invita e mi fa entrare in una stanza che ha le pareti rosse, io ho una certa disposizione a pensare che quelle pareti abbiano a che fare con un sentimento artistico. Se sono introdotto fra quelle pareti rosse, troverò poi naturale, quando chi mi ha invitato si presenterà, che mi parli di molte cose che hanno per me un valore, che mi interessano. Se poi non sarà così, avrò il senso che quell’invito nella stanza rossa sia in fondo una menzogna della vita, e me ne andrò insoddisfatto. Se invece qualcuno mi riceve in una stanza blu e non mi lascia mai parlare, ma continua lui a chiacchierare, avrò il senso che tutta la situazione sia molto sgradevole, e mi dirò che quel tale, già nel colore stesso del suo ambiente, mi ha mentito. Nella vita se ne contano innumerevoli esempi. Se una signora vestita di rosso si presenta con un preciso atteggiamento modesto, la cosa apparirà molto contraddittoria. Così sentiremo vera una signora con i capelli ricci quando essa sia un po’ sfacciata; se non lo è, ne saremo delusi. Naturalmente nella vita reale le cose non saranno sempre così; la vita ha infatti il diritto di farci superare tali illusioni; esistono quindi margini di atteggiamento entro i quali si sente in questa maniera.

 

Ovviamente le cose non vanno intese come una legge generale, e parecchi sentiranno in modo del tutto diverso. Pure la realtà è tale che ognuno ha nella vita un sentire del genere per cui quanto gli viene incontro nel mondo sensibile è senz’altro sentito come qualcosa di spirituale, come un’incantata atmosfera spirituale, un atteggiamento spirituale.

Potrà così sembrare che questa esigenza della nostra anima, per cui tanto spesso veniamo amaramente delusi dalla vita, determini in noi la necessità di creare nella nostra vita una sfera speciale, dedicata appunto ai bisogni che reclamano soddisfazione dalla vita umana. Tale appunto pare a me essere l’arte. Entro il complesso della vita essa crea una sfera che soddisfa il senso riposto in quei limiti del sentimento.

Potremmo forse avvicinarci all’esperienza artistica dell’anima solo cercando di guardare più a fondo i processi dell’anima che si acquisiscono sia nella creazione artistica, sia nel suo godimento. Basterà infatti aver vissuto veramente con l’arte, anche solo un poco, aver provato anche solo un poco a entrare con l’arte in un intimo rapporto, per trovare che i processi animici di cui parleremo si presentano in modo inverso nell’artista che crea, e in chi aspira ad avere un godimento artistico, ma che sono in fondo gli stessi.

 

L’artista sperimenta prima quel che intendo descrivere, vive cioè prima un determinato processo interiore che poi viene sostituito da un altro processo.

Chi invece gode dell’opera d’arte sperimenta prima nell’anima il secondo processo, e solo più tardi il primo da cui l’artista era partito.

Mi sembra che la grande difficoltà, che si incontra nell’avvicinarsi psicologicamente all’arte, esista perché non si osa immergersi nell’anima umana tanto a fondo quanto è necessario per comprendere che cosa in effetti susciti il bisogno dell’arte.

 

Forse il nostro tempo è adatto a dire qualcosa di più preciso sul bisogno dell’arte. Qualunque cosa si pensi infatti dell’impressionismo, dell’espressionismo e delle altre correnti artistiche di cui a volte si parla per un’esigenza piuttosto antiartistica, una cosa certo non si può negare: che cioè con la nascita di quelle correnti oggi il sentimento artistico e la vita dell’arte affiorano alla superfìcie della coscienza da sostrati dell’anima che giacciono molto a fondo nel subconscio e che prima non affioravano. Oggi per il fenomeno artistico e per il relativo godimento, anche a seguito di tutto il parlare che si è fatto a proposito dell’impressionismo e dell’espressionismo, si ha un interesse assai maggiore che in passato, quando cioè i concetti estetici degli eruditi erano ancora ben lontani dal cogliere quel che in effetti vive nell’arte. Negli ultimi tempi sono stati scoperti nel campo dell’estetica concetti e idee che in certo senso si avvicinano molto più che in passato alle attuali creazioni dell’arte.

 

La vita dell’anima è infinitamente più profonda di quanto in genere si creda, e ben pochi intuiscono che nelle sue profonde sfere subconsce e inconsce si abbia una somma di esperienze di cui nella vita corrente poco si parla. Occorre tuttavia scendere un po’ più a fondo per trovare la sfera in cui, fra i limiti accennati, risiede quell’atteggiamento.

La nostra vita animica oscilla per così dire fra i più diversi stati che però più o meno (intendendo le cose in modo non pedantesco) si possono distinguere sotto due aspetti. Nelle profondità dell’anima vi è qualcosa che tende ad emergere, a liberarsi, qualcosa che a volte, sia pure del tutto inconscio, tormenta l’anima e che, se essa è particolarmente organizzata nel senso di cui abbiamo parlato, vorrebbe di continuo scaricarsi nella coscienza in forma di visione, ma non deve farlo, soprattutto in un sano atteggiamento umano.

Quando se ne presenta la relativa disposizione, la vita dell’anima aspira in effetti, molto più di quanto non si pensi, a trasformarsi in visione. La sana vita dell’anima fa appunto sì che tale «volontà di visione» rimanga un’aspirazione, che la visione non affiori.

 

Questa aspirazione alla visione, a una visione morbosa che in sostanza è presente nell’anima di tutti e che in un’anima sana non deve sorgere, può venir soddisfatta contrapponendo all’anima un’impressione esterna, una forma esterna, una scultura o altro. Tale scultura o raffigurazione sostituirà allora in modo sano nei sostrati dell’anima ciò che in effetti tenderebbe a diventare visione. Per così dire offriamo all’anima da fuori il contenuto della visione; le offriremo qualcosa di realmente artistico, se siamo in grado di indovinare, ricavandola dalla nostra legittima aspirazione alla visione, quale sia la figura, l’impressione plastica da offrirsi all’anima affinché venga appagata la sua tendenza alla visione. Credo che molti degli studi moderni che derivano dalla corrente indicata come espressionismo si avvicinino a una tale verità e che taluni di essi siano in effetti sulla strada per trovare ciò di cui ho parlato; solo che non si procede a sufficienza, non si guarda abbastanza a fondo nell’anima, non si impara a conoscere l’irresistibile impulso alla visione davvero esistente in ogni anima umana.

 

Questo è però solo uno degli aspetti, ed esaminando a fondo sia la creazione artistica, sia il godimento artistico, si potrà vedere con evidenza che un tipo di opere d’arte scaturisce da questa esigenza dell’anima umana.

Vi è tuttavia anche un’altra origine del fenomeno artistico.

La prima origine di cui ho parlato ora consiste in una certa disposizione dell’anima, nella sua tendenza ad avere visioni che salgono liberamente dal basso.

L’altra origine è che entro la natura stessa si trovano incantati segreti che possono venir scoperti soltanto se si è in grado di presupporre non scientificamente qualcosa (che in tal caso non è necessario), ma di sentire, di intuire quali siano in effetti i profondi misteri della natura che ci circonda.

Tali più profondi segreti che ci si presentano sembreranno forse paradossali all’attuale coscienza dell’umanità, se vengono espressi, ma a partire dal nostro tempo saranno sempre più popolari.

 

Nella natura non vi sono soltanto i fenomeni del crescere, del germogliare, del germinare, di tutta la vita per cui un’anima sana non può di norma che rallegrarsi, ma nella natura vi è anche quella che di solito nella vita chiamiamo morte, distruzione. Nella natura vi è qualcosa che di continuo distrugge e sopraffà una vita per mezzo di un’altra. Chi lo sente è anche in grado di avvertire, avvicinandosi alla figura umana, alla figura umana naturale (per scegliere un esempio eccellente) che la figura umana contiene nelle sue forme qualcosa di misterioso, che la figura umana, quale ci si presenta nella vita corrente, viene ad ogni istante in realtà uccisa da una vita superiore. Il segreto di ogni vita è che dappertutto e sempre una vita inferiore viene repressa da una superiore.

La figura umana, compenetrata di anima e di vita, viene di continuo distrutta, soffocata, dall’anima umana, dalla vita umana.

• Si può così dire: la figura umana, in quanto tale, porta in sé qualcosa che la renderebbe del tutto diversa, se fosse lasciata a se stessa, se potesse sviluppare la propria vita; tuttavia non può svilupparla perché vi è in lei una vita superiore, una vita diversa che la uccide.

 

Lo scultore che si accosta alla figura umana, sebbene inconsciamente scopra col sentimento quel segreto, giunge a sentire che la figura umana vuole qualcosa che nell’uomo non giunge ad espressione e viene superato e ucciso da una vita più alta, dalla vita dell’anima. Egli disincanta dalla figura umana ciò che nell’uomo reale non esiste, ciò che gli manca, che la natura nasconde.

Goethe lo sentì in qualche modo quando parlò dei «palesi segreti» della natura.

Ma si può anche andare oltre e dire: nella vasta natura tale segreto è alla base di tutto. In sostanza non compare un colore, una sola linea nella natura, senza che una vita inferiore non sia sopraffatta da una superiore.

 

Talvolta può accadere anche l’inverso: il superiore può essere sopraffatto dall’inferiore. In ogni cosa si può tuttavia sciogliere l’incantesimo, si può ritrovare ciò che è stato sopraffatto e che poi si trasforma in elemento artisticamente creativo.

Ove si giunga all’elemento sopraffatto e disincantato nella natura e si sia in grado di sperimentarlo giustamente, esso si trasforma in un motivo artistico.

Sull’argomento cercherò di esprimermi in modo ancora più chiaro.

 

In alcuni scritti di Goethe si trovano verità umane davvero significative, non ancora messe abbastanza in rilievo. Ad esempio la sua teoria della metamorfosi, che mette in evidenza come nella pianta i petali siano solo foglie trasformate, è un principio poi esteso a tutte le forme esistenti in natura; quando da essa, grazie a una conoscenza della natura più estesa di quanto non fosse possibile ai tempi di Goethe a causa del grado di evoluzione di allora, se ne estrarrà tutto quanto contiene, quando con uno sguardo umano meno ristretto si sarà sollevato il velo che ricopre la natura, quella teoria è destinata a svilupparsi e a diventare molto più universale. Direi che in Goethe la teoria della metamorfosi è ancora un abbozzo intellettuale, ma potrà svilupparsi molto.

 

Per restare alla figura umana, possiamo fare il seguente esempio: osservando uno scheletro umano anche solo molto in superficie, si può già vedere che in effetti esso consiste di due parti (si potrebbe dire molto di più, ma oggi ci porterebbe troppo lontano): il capo, che in certo modo è solo posto sopra la restante parte dello scheletro, e appunto la restante parte. Chi abbia un senso per la trasformazione delle forme, chi sia in grado di vedere come, secondo l’idea goethiana, le forme trapassino una nell’altra, come ad esempio la foglia verde si trasformi in un petalo colorato, sviluppando ulteriormente quel modo di osservazione potrà rendersi conto che il capo umano è un tutto, che anche il rimanente dell’organismo è un tutto, e che uno è la metamorfosi dell’altro. Possiamo dire che tutto il rimanente corpo umano, osservato in modo adeguato, può misteriosamente trasformarsi in una testa. Essa è qualcosa che, solo arrotondata e diversamente formata, contiene tutto l’organismo umano.

 

Lo strano è però che quando si abbia la capacità di guardare le cose in questo modo, di trasformare così nella propria interiorità l’organismo umano in modo che diventi nel suo insieme testa, e la testa stessa si trasformi in modo da apparire come uomo, si giungerà in entrambi i casi a qualcosa del tutto diverso.

In un caso, quando la testa si trasforma nell’organismo complessivo, ne risulterà qualcosa che ci mostra l’uomo come ossificato, legato, rattrappito, ridotto per così dire in ogni sua parte fino alla sclerosi.

 

Se invece facciamo agire su di noi il restante organismo affinché esso si trasformi in testa, ne risulterà qualcosa che assomiglia pochissimo a un uomo normale, qualcosa che lo ricorda soltanto nelle sue forme della testa. Non ne risulterà la trasformazione di certi principi formativi nell’osso della scapola, ma qualcosa che tende a trasformarsi in ali, che vorrebbe crescere oltre le spalle e dalle ali svilupparsi più su della testa, qualcosa che appare come un abbozzo che aspira a comprendere la testa.

Così l’orecchio, quale esiste nella figura umana normale, si amplia e si unisce con le ali. In breve ne risulta qualcosa che è una specie di figura spirituale che risiede incantata nella figura umana. È qualcosa che, sviluppando e ampliando l’idea che Goethe aveva presagito con la sua teoria della metamorfosi, getta una chiara luce sui segreti della natura umana.

 

Da questo esempio si può credere che la natura umana sia tale da aspirare in ogni sua parte, non solo in astratto ma con evidente concretezza, a diventare qualcosa del tutto diverso da quel che è, da come si presenta ai sensi. Avendo per la natura una profonda comprensione, mai si avrà il senso che in essa una forma qualsiasi, e in genere una cosa qualsiasi, non abbiano anche la possibilità di diventare qualcosa di ben diverso. Nell’esempio si manifesta anche con particolare evidenza che nella natura una vita inferiore viene sempre sopraffatta o addirittura distrutta da una superiore.

 

Quel che così sentiamo come un uomo duplice, come una discrepanza della crescita umana, non la esprimiamo solo perché un elemento superiore, soprasensibile, porterà all’equilibrio, ricongiungendo quei due lati dell’essere umano e facendone derivare la figura umana normale. Ecco perché la natura ci affascina in modo magico e misterioso, e non intendo in modo esteriore, spaziale, ma interiore e intenso; è perché in effetti in ogni sua parte essa vorrebbe diventare sempre di più, infinitamente di più di quel che è, di quel che può offrire; è perché ciò che la compone e organizza è tale che una vita superiore ne limita una inferiore e le consente di svilupparsi solo fino a un certo livello.

 

Chi dunque si volga nella direzione qui indicata troverà dappertutto che questo palese segreto, questo incantesimo effuso su tutta la natura, stimola l’uomo da fuori a trascendere la natura stessa, come l’aspirazione alla visione lo stimola da dentro; lo stimola in qualche modo a ricavare un particolare da un tutto, e da lì a irraggiare ciò che la natura crea come un tutto che comunque nella natura stessa un tutto non è.

Mi sia lecito qui far presente che nel Goetheanum, costruito a Dornach presso Basilea come sede della Società Antroposofica, si è tentato di realizzare in una scultura ciò cui ora ho accennato.

 

Ho tentato di creare un grande gruppo scultoreo in legno che in un certo senso rappresenta un uomo tipico, però in modo che quanto altrimenti nell’uomo è solo latente e viene represso da una vita superiore, ora prenda forma fino a diventare gesto che a sua volta si ferma. In una scultura ho cioè cercato di risvegliare il gesto, che nell’usuale figura umana viene represso, per riportarlo di nuovo alla calma, e non intendo il gesto che si fa per un moto dell’anima, ma quello che nell’anima viene ucciso, represso dalla vita stessa dell’anima. Ho dunque cercato di mettere prima in movimento con un gesto la superfìcie ferma dell’organismo umano, e poi di nuovo di riportarla alla quiete.

 

Si giunge così in modo del tutto naturale a sentire ciò che in ognuno è disposto e ovviamente è represso dalla vita superiore, vale a dire a mettere fortemente in evidenza l’asimmetria esistente in ogni individuo; nessuno è uguale a sinistra e a destra. Quando tuttavia si sia messa bene in evidenza tale asimmetria, quando per così dire si sia sciolto ciò che è tenuto unito in una vita superiore, occorre con buon umore collegarsi a un altro gradino superiore, è allora necessario riconciliarsi con quanto ci viene incontro naturalisticamente da fuori; è necessario con l’arte riparare al delitto contro il naturalismo per aver messo in evidenza l’asimmetria e per aver mostrato qualcosa nei gesti poi riportati alla quiete. Dobbiamo di nuovo espiare quel delitto interiore, mostrando in altra parte il superamento che poi si forma quando la testa si metamorfosa in un’oscura figura opprimente che a sua volta viene superata dal rappresentante dell’umanità, figura che è ai suoi piedi e che può venir sentita come un elemento, una parte di ciò che costituisce l’uomo.

 

L’altra figura del gruppo che è stato necessario creare rappresenta quel che richiede il sentimento se tutta la figura umana, al di fuori della testa, divenisse tanto potente quanto appunto sarebbe nella vita ove non fosse trattenuta da una vita superiore, se proliferasse ciò che altrimenti rimane atrofico: ciò che ad esempio si aggiunge alle scapole e che è già nascosto inconsciamente nella figura umana e rappresenta un certo elemento luciferico, un elemento che tenderebbe a manifestarsi nell’uomo. Quando tutto quanto esiste nella figura umana si manifesta in essa, scaturendo dagli impulsi e dalle brame, mentre altrimenti rimane soffocato da una vita superiore, dalla vita della ragione e dell’intelletto che di norma si elaborano e si realizzano nella testa, si ha la possibilità di disincantare la natura, di strapparle il suo potere segreto. Quel che così la natura nasconde nei particolari per farne un tutto viene di nuovo posto nei particolari, in modo che l’osservatore sia obbligato a completare nella sua anima quel che la natura aveva fatto prima di lui.

 

La natura ha fatto tutto ciò, ha realmente creato l’uomo in modo da comporne un tutto armonico dai suoi diversi elementi. Liberando di nuovo ciò che la natura ha incantato, la si libera nelle sue forze soprasensibili. Non vi si arriva però con insulse allegorie o con antiartistiche idee razionali a cercare dentro le cose della natura qualcosa di escogitato, di astrattamente soprasensibile, ma chiedendo alla natura: come cresceresti nelle tue singole parti, se la tua crescita non fosse interrotta da una vita superiore? Si arriva così a liberare dalla sfera sensibile qualcosa di soprasensibile che vi è insito, incantato, e che altrimenti rimarrebbe tale. In effetti si arriva così ad essere naturalistici in modo soprannaturale.

 

Credo che in tutte le tendenze e in tutte le correnti che si sono iniziate, che sono però rimaste al loro inizio e che si rifanno all’impressionismo, si possa avvertire la nostalgia del nostro tempo di scoprire davvero quei segreti della natura, di dar forma a quei segreti sensibili-soprasensibili. Si ha la sensazione che quanto avviene nel campo dell’arte, e in particolare nella creazione artistica e nel suo godimento, debba oggi essere ulteriormente elevato a coscienza più di quanto non lo si facesse in precedenti epoche artistiche. Nell’arte si è sempre teso o a soddisfare una visione repressa della natura oppure a contrapporre qualcosa che riproduca i suoi processi. Sono infatti queste le due origini di ogni arte.

Torniamo ad esempio ai tempi di Raffaello. Naturalmente allora si tendeva a queste cose in modo del tutto diverso dai tempi di Cézanne e di Hodler.

 

Più o meno inconsciamente si tese comunque sempre a ciò che nell’arte viene indicato in quelle due correnti, solo che in passato la cosa era sentita in modo molto elementare, e l’artista stesso non era cosciente che nella sua anima vi fosse qualcosa di spiritualmente inconscio che si avvicinava alla natura per disincantare quel che vi era incantato, quando lo cercava nella sfera sensibile-soprasensibile. Quando si è davanti a un’opera di Raffaello si ha sempre la sensazione di avere direttamente a che fare con Raffaello stesso, se in genere si vuole interpretare ciò che altrimenti rimane oscuro nel subconscio e che non occorre esprimere. Di quel che avviene si può tuttavia avere la sensazione (che come ho detto non è necessario che sia espressa neppure davanti alla propria anima) di essere stati con Raffaello in una vita precedente e di aver appreso da lui parecchie cose che sono penetrate a fondo nell’anima. Quel che secoli addietro si era fatto con l’anima di Raffaello è ora del tutto inconscio, ma rivive quando si è di fronte a una sua opera. Si crede di essere di fronte a qualcosa che si è fatto tempo fa tra la propria anima e quella di Raffaello.

 

Di fronte a un artista moderno non si ha la stessa sensazione. Egli ci porta per così dire spiritualmente nel suo studio, e quel che si conclude è vicino alla coscienza umana; lo si conclude con lui nell’immediato presente. Dato che sorge in noi quella nostalgia, quell’esigenza dovuta al nostro tempo, avviene che oggi anche il processo della rappresentazione che sale, in sostanza una visione repressa, tenda a essere soddisfatto dall’arte. Anche se oggi ancora in forma elementare, dall’altra parte ci si presenta la liberazione di ciò che altrimenti in natura è legato, proprio la liberazione e poi di nuovo la riunione, il riprodursi del processo naturale.

 

Quale infinito significato acquista così tutto quanto cercano i pittori moderni, studiando i diversi colori e la luce delle loro diverse tonalità, per vedere che in sostanza ogni effetto di luce, ogni tonalità di colore vuole essere più di quanto arriva ad essere, quando siano costretti in un tutto in cui vengono soffocati da una vita superiore! Che cosa non è stato tentato, partendo da questa sensazione, per risvegliare la luce alla sua vita, trattandola in modo da disincantare in essa quel che altrimenti vi è incantato, quando la luce deve servire a far nascere gli usuali processi ed eventi naturali! Per molti aspetti questi tentativi sono all’inizio.

 

Partendo tuttavia oggi da essi, che corrispondono a una giusta aspirazione, si arriverà probabilmente proprio nell’arte che il mistero diverrà mistero svelato. Dette così, queste cose appaiono banali, suonano banali pur nascondendo segreti; bisognerà comunque avvicinarsi giustamente ad essi, o meglio al loro significato. Quel che intendo è la risposta alla domanda: perché in realtà non si può dipingere il fuoco o disegnare l’aria? È certo evidente che in realtà non si arriva a dipingere il fuoco; bisognerebbe avere un senso non pittorico per dipingere la sua lucente e scintillante vita che si può fissare solo attraverso la luce. A nessuno verrebbe in mente di voler dipingere il lampo, e ancor meno si potrebbe pensare di voler disegnare l’aria.

 

D’altra parte bisogna ammettere che tutto quanto è contenuto nella luce nasconde in sé qualcosa che tende a diventare fuoco, a dire direttamente qualcosa, a fare un’impressione che scaturisce dalla luce o anche da ogni singola sfumatura di colore, come il linguaggio umano scaturisce dall’organismo umano. Ogni effetto di luce ci vuol dire qualcosa, e vuol dire qualcosa anche all’altro effetto di luce che ha accanto. In ogni effetto di luce è radicata una vita che viene uccisa, sopraffatta da situazioni più grandi. Volgendo la nostra sensibilità in questa direzione, si scopre così l’essenza del colore, quel che dice il colore; si è già cercato di farlo con la moderna pittura paesaggistica.

Scoprendo il segreto dei colori, si allarga la nostra sensibilità e si trova che in sostanza è giusto quel ho appena detto. La cosa non vale per tutti i colori, perché essi parlano infatti nei modi più diversi. Mentre i colori chiari, i rossi e i gialli, ci aggrediscono, ci dicono molto, i blu sono qualcosa che costituisce il passaggio verso la forma. Con il blu entriamo già nella forma e soprattutto nell’anima che crea le forme.

 

Si è già sulla via per fare queste scoperte, ma spesso si rimane a metà strada. Molte delle opere di Signac ci appaiono per questo tanto poco soddisfacenti, anche se per un altro aspetto siano gradevoli; è perché il blu è trattato come ad esempio il giallo o il rosso, senza che vi sia la coscienza che una superficie blu, posta accanto a una gialla, ha un tutt’altro valore di una rossa messa accanto a una gialla. Quel primo accostamento apparirà un poco banale a chi ha sensibilità per i colori. In un senso più profondo si comincia ad essere sulla via per scoprire questi segreti. Il blu e il viola sono colori che portano proprio il quadro da un’intensa espressività a un’interiore prospettiva, ed è senz’altro pensabile che in un quadro, soltanto con l’impiego del blu accanto agli altri colori, risulti una magnifica e intensa prospettiva, anche senza fare disegni. In questo modo si progredisce e si arriva a riconoscere che il disegno può essere davvero ciò che si potrebbe chiamare l’opera del colore. Riuscendo a portare il colore in movimento, in modo da avere del tutto misteriosamente il disegno nello stendere il colore, si noterà che ciò avviene soprattutto con il blu e meno col giallo e col rosso, perché questi ultimi non sono adatti ad essere stesi in modo da contenere un movimento interiore che porti da un punto a un altro.

 

Volendo ottenere una figura che sia interiormente in movimento, che ad esempio voli, che a causa della sua interiore mobilità sia a volte piccola, a volte grande, che sia comunque in sé mossa, senza muovere da principi razionalistici o da qualche dotta estetica (mai giustificata), ma movendo appunto dalla più elementare sensazione, si sarà costretti a usare sfumature di blu per portarle al movimento. Si noterà allora che in realtà così nascerà una linea, tutto un disegno, che potranno sorgere figure; continuando quel che si è iniziato, si vedrà che le variazioni del blu si mettono ih movimento. Ogni volta infatti che si passa dall’elemento pittorico e coloristico a quello figurativo, alla forma, ciò che è sensibile trapassa nel tono fondamentale del soprasensibile. Nel passaggio dai colori chiari al blu e poi da questo interiormente al disegno, abbiamo nei colori chiari il passaggio a un elemento sensibile-soprasensibile che, vorrei dire, contiene il soprasensibile in un tono minore, perché il colore vuol sempre dire qualcosa, ha sempre un’anima che è soprasensibile. Si troverà anche che quanto più si entra nel disegno tanto più si arriva a un elemento soprasensibile-astratto che però, poiché si presenta nella sfera sensibile, deve strutturarsi in forma sensibile.

 

Oggi posso solo accennare a queste cose. È tuttavia chiaro che in questo modo si vede come in un singolo campo il colore e il disegno possano venir trattati dalla creazione artistica in modo che nell’impiego già sia insito ciò di cui mi ero permesso di dire: la natura porta incantato in sé l’elemento soprasensibile ucciso da una vita superiore, e noi lo disincantiamo nella sfera sensibile.

Passando ora alla scultura si troverà che in essa sia per le superfici, sia per le linee vi sono sempre due interpretazioni. Parlerò soltanto di una di esse.

 

Anzitutto una sana sensibilità non sopporta che la superficie scultorea rimanga come è ad esempio in natura nella figura umana; ivi essa è infatti smorzata dall’anima umana, vale a dire da qualcosa di superiore. Dobbiamo cercare la vita propria della superficie, se anzitutto dobbiamo estrarre spiritualmente la vita o l’anima esistenti nella figura umana, dobbiamo cercare l’anima della forma stessa, e ci accorgiamo come possiamo trovarla se curviamo la superfìcie non solo una volta, ma la curviamo una seconda volta, in modo da avere una duplice curvatura. Come possiamo portare la forma a parlare, notiamo che nel profondo del nostro subconscio esiste un senso sintetico, contrapposto a quello che prima avevo esaminato come senso che analizza. La natura sensibile spezzetta infatti in tanti elementi sensibili-soprasensibili ciò che viene solo superato a un gradino superiore di vita. Entro i limiti animici accennati vi è un impulso elementare a disincantare in tal modo la natura per vedere come in essa siano nascosti e variati gli elementi sensibili-soprasensibili (come lo sono i cristalli in una drusa) e come siano bloccate le loro superfici, dato che appunto sono come in una drusa. L’uomo ha tuttavia in sé spesso una spiccata capacità che potrei chiamare sinestesia, un senso sinestetico, quando il separare, l’analizzare, il dissolvere della natura in elementi sensibili-soprasensibili è intensamente presente nel subconscio.

 

È peculiare che chi è in grado di osservare bene l’uomo possa scoprire che di norma i sensi sono da noi sempre usati solo in modo unilaterale.

Vedendo con l’occhio colori, forme ed effetti luminosi noi lo perfezioniamo in modo unilaterale. Nell’occhio vi è sempre qualcosa come un misterioso senso del tatto; guardando, l’occhio sente anche sempre. Nella vita corrente la cosa viene tuttavia soffocata. Dato però che l’occhio si sviluppa in modo unilaterale, si ha sempre l’impulso, potendolo sentire, a sperimentare ciò che vi è nell’occhio, quale sentimento, senso di sé e senso del movimento che si sviluppa quando ci moviamo nello spazio e sentiamo come si muovono le nostre membra; tutto questo viene appunto soffocato. Sentiamo agitarsi in noi ciò che degli altri sensi viene così soffocato nell’occhio, sebbene rimanga tranquillo nell’altro uomo quando guardiamo. Lo scultore trasforma di nuovo ciò che si agita nelle cose che vede, sebbene venga soffocato a causa dell’unilateralità dell’occhio.

 

In effetti lo scultore plasma forme che l’occhio vede, sia pure tanto debolmente da rimanere nel subconscio. Allo scultore serve il diretto trasferimento del senso del tatto in quello della vista. Egli deve perciò risolvere in un gesto (o almeno cercare di farlo) la forma immota che è il solo oggetto dell’occhio unilaterale, in un gesto che sempre tende appunto ad essere ridato in un gesto che, disincantato, a sua volta va riportato al riposo. In sostanza ciò che infatti viene sollecitato in una direzione e ritorna poi alla quiete nell’altra, cioè il processo animico attivo in noi quando creiamo nell’arte o la godiamo, è in un certo senso simile al processo dell’inspirazione e dell’espirazione umana. Tale processo, preso dall’anima umana, fa a volte un’impressione grottesca, sebbene d’altro canto susciti il sentimento delle infinite profondità incantate nella natura. L’evoluzione dell’arte (lo mostrano proprio certi inizi che si videro negli ultimi decenni e si vedono soprattutto oggi) si muove senz’altro nella direzione di scoprire quei segreti per dar forma più o meno inconsciamente a queste cose. Non occorre parlarne molto; prenderanno sempre più forma attraverso l’arte.

 

Lo si sentirà ad esempio in certi artisti, e si potrà dire di loro che sperimentano qualcosa del genere in modo più o meno conscio o inconscio. Si comprende ad esempio molto bene Gustav Klimt, scomparso di recente, ammettendo queste premesse nel suo sentire e nel suo pensiero. Si arriverà un giorno a sentire che, immaginando di voler dipingere una bella donna, ci si dovrà formare nell’anima una sua immagine. Chi tuttavia abbia un fine sentire, quando ne avrà fatto un ritratto, nello stesso istante la ha anche spinta interiormente, spiritualmente e soprasensibilmente dalla vita alla morte.

 

Nell’istante in cui decidiamo di dipingere una bella donna, la abbiamo anche uccisa spiritualmente, le abbiamo tolto qualcosa; altrimenti la possiamo incontrare nella vita, rinunciando a configurarla artisticamente. Dobbiamo invece ucciderla artisticamente ed essere poi in grado di avere abbastanza spirito per farla rivivere interiormente. Questo non può farlo l’artista naturalista. L’arte naturalistica soffre perché le manca l’umorismo.

Essa ci offre molti cadaveri, qualcosa che in natura uccide ogni vita superiore; le manca comunque l’umorismo per ridare vita a ciò che aveva dovuto prima uccidere. È come presentarsi a una donna leggiadra non solo per ucciderla segretamente, ma prima per maltrattarla e poi ucciderla. Tale processo di uccisione si muove sempre in una direzione ed è legato al riprodurre ciò che in una vita superiore è vittorioso su quel che in natura vuole entrare nell’esistenza.

 

E’ sempre un uccidere e un far rinascere grazie all’umorismo ciò che si svolge nell’anima, sia di chi crea artisticamente, sia di chi ne gode. Chi voglia quindi dipingere un baldo contadinotto al pascolo non ha necessità di riprodurre quel che vede, ma gli deve essere soprattutto chiaro che nella sua concezione artistica egli uccide il baldo contadinotto al pascolo, o che almeno lo ha irrigidito; deve ora risvegliare alla vita quella rigida figura facendole fare un gesto che riunisca col rimanente complesso naturale ciò che nel particolare era stato ucciso, dandogli così una nuova vita. Hodler tentò cose del genere che d’altra parte corrispondono senz’altro alle aspirazioni degli artisti.

 

Si può dire che entrambe le due sorgenti dell’arte corrispondono alle più profonde e subconsce necessità dell’anima umana. Creare soddisfacimento per ciò che vorrebbe diventare visione e che in una sana natura umana non deve diventare visione, diventa più o meno forma artistica espressionistica, anche senza attribuire troppo valore alla parola. Condurrà invece a una forma artistica impressionistica ciò che si crea per ricomporre quel che in una qualsiasi forma sia stato scomposto nelle sue parti sensibile-soprasensibili, oppure che si è ucciso nella diretta vita sensibile per infondergli una vita soprasensibile. Le due necessità dell’anima umana furono sempre le sorgenti dell’arte, e solo a seguito della generale evoluzione dell’umanità del recente passato direi che divennero espressionismo e impressionismo.

 

Con ogni probabilità si svilupperanno in avvenire in misura notevole. Ampliando sempre più non la coscienza intellettuale, ma quella del sentire, in avvenire ci si avvierà artisticamente e in modo intenso nelle due direzioni indicate. Di fronte a determinati malintesi va sempre sottolineato che esse non corrispondono affatto a qualcosa di morboso. Un elemento morboso entrerebbe nell’umanità se la naturale spinta elementare alla visione, da tenere entro determinati limiti, non venisse soddisfatta da espressioni artistiche, oppure se lo spezzettare la natura in elementi sensibili-soprasensibili, come sempre facciamo nel subconscio, non venisse compenetrato sempre di nuovo con una vita più alta e con vero umorismo artistico, affinché si sia in condizione di riprodurre nell’opera d’arte quel che la natura produce.

 

Io credo senz’altro che il processo artistico sia qualcosa che è posto molto profondamente nel subconscio, che tuttavia in determinate condizioni possa essere assai importante per la vita, suscitando idee tanto forti e intense da produrre nell’anima qualcosa che mai potrebbe essere prodotto da idee deboli, tali comunque da riuscire davvero a passare nei sentimenti. Ove si affermino nel sentire dell’anima umana entrambe le sorgenti dell’arte, si vedrà veramente come fosse sano quel che disse Goethe in un certo momento della sua vita in merito alla genuina e pura arte musicale: «La musica rappresenta un vertice nell’arte perché non è certo in grado di imitare la natura, avendo in sé contenuto a forma».

 

Affermazioni del genere sono sempre unilaterali, perché ogni arte può pervenire a quell’altezza, mentre la caratterizzazione tende sempre ad essere unilaterale. Tuttavia ogni arte diviene contenuto e forma nel proprio elemento originario quando strappa alla natura i suoi segreti nel modo in cui si è detto, non escogitando o elucubrando qualcosa, ma scoprendone la struttura sensibile-soprasensibile.

Credo comunque che spesso nell’anima stessa si svolga un misterioso processo se si presta appunto attenzione all’elemento sensibile-soprasensibile nella natura. Goethe stesso coniò l’espressione «sensibile-soprasensibile», e sebbene lo chiamasse un segreto palese, esso può venir scoperto solo se le forze subconsce dell’anima riescano a immergersi appieno nella natura.

 

La tendenza alla visione sorge in certo modo nell’anima perché l’esperienza soprasensibile vuole scaricarsi: essa sale allora dall’anima. Quel che può venir sperimentato esteriormente come qualcosa di spirituale, di soprasensibile, è appunto sperimentato da chi è in grado di avere esperienze spirituali, non attraverso una visione che, purificata, diventi immaginazione nella scienza dello spirito; lo sperimenta grazie all’intuizione chi sia in grado di avere esperienze spirituali. Con la visione l’interiorità viene fino a un certo grado esteriorizzata, in modo che l’interiorità diventi in noi esteriore; con l’intuizione si esce da se stessi, si discende nel mondo. La discesa rimane però irreale se non si è in condizione di disincantare quel che la natura tiene incantato, quel che sempre si vorrebbe superare grazie a una vita superiore.

 

Se dunque ci inseriamo nella natura disincantata, viviamo nelle intuizioni. Per quel tanto che si affermano nell’arte, esse sono comunque legate con intime esperienze che l’anima può avere se diventa una con le cose, uscendo da se stessa. Per questo Goethe potè dire a un suo amico in merito alla sua arte, in effetti impressionistica in alto grado: «Voglio dirle qualcosa che può illuminarla sulla relazione fra gli uomini e quel che io ho creato. Le mie cose non possono diventare popolari. Potranno comprenderle in realtà solo coloro che abbiano sperimentato qualcosa di analogo, che abbiano attraversato un caso simile al mio».

 

Goethe aveva una tale sensibilità artistica che appare in modo speciale nella seconda parte del Faust, ancora poco compresa. Egli aveva la sensibilità artistica tesa a ricercare il sensibile-soprasensibile in modo che sia riconosciuta la parte della natura che al di là di se stessa voglia diventare un tutto, che metamorfosandosi aspiri a diventare qualcosa d’altro, per poi riassumersi in un prodotto naturale che sia comunque ucciso da una vita superiore. Se penetriamo in questo modo nella natura perveniamo in un senso ben superiore in una realtà più vera di quanto non creda la coscienza ordinaria. La sfera in cui penetriamo ci offre la massima prova che l’arte non ha la necessità di riprodurre solo il mondo sensibile o quello soprasensibile, di portare cioè ad espressione solo la realtà spirituale, deviando così in due direzioni, ma che essa può dar forma ed esprimere ciò che è sensibile nel soprasensibile e quel che è soprasensibile nel sensibile.

 

Conoscendo la sfera sensibile-soprasensibile, si diventa forse seguaci dell’estetica naturalistica nel vero senso della parola, magari rispetto appunto alla sfera sensibile-soprasensibile, perché si arriva ad afferrarla solo se in pari tempo si è al massimo grado seguaci dell’estetica naturalistica.

Credo che così nell’anima potranno davvero sorgere autentiche esperienze artistiche che sollecitino anche la comprensione e il godimento dell’arte, in un certo senso sviluppando persino il vivere artisticamente nell’arte. In ogni caso un intenso e profondo studio della sfera sensibile-soprasensibile e la sua realizzazione attraverso l’arte renderà comprensibile la frase di Goethe, sentita nell’intimo e derivata da una profonda comprensione del mondo, dalla quale sono partito e con la quale vorrei anche chiudere; la frase che porterà in modo completo la nostra comprensione di uomini per l’arte, purché siamo in grado di valutarla bene a fondo nella sua relazione anche con la realtà soprasensibile. L’umanità mai potrà infatti vivere senza la sfera soprasensibile, poiché neppure la sfera sensibile potrà esistere senza vivere nell’altra; l’umanità stessa, per le sue esigenze, realizzerà sempre più quel che dice Goethe: «Colui, cui la natura comincia a svelare il suo palese segreto, sente un’irresistibile nostalgia per la sua più degna interprete, l’arte».