La natura del foraggio

O.O. 327 – Impulsi scientifico-spirituali per il progresso dell’agricoltura – 16.06.1924

 

Sommario: La biarticolazione nell’organismo animale. Sostanza terrestre e comica. Forze terrestri e cosmiche. L’azienda agricola quale organismo. La disposizione dell’io nel concime. La forza dell’io in divenire nella terra. L’azienda agricola quale individualità. La collaborazione di correnti materiali e dinamiche negli animali da latte, da lavoro e da ingrasso. Il nutrimento a base di radici. I semi di lino. Il fieno. I tipi di trifoglio. La cottura degli alimenti. Il sale. Pomodori e patate. L’intimo nesso dell’agricoltura con la vita sociale.

 

In quest’ultima conferenza, che a seconda delle necessità potrà essere completata nel corso del successivo dibattito, nel poco tempo che resta disponibile vorrei aggiungere qualcosa a completamento del già detto, e anche fare alcuni cenni di carattere pratico. Vedremo oggi che un tale genere di pratica è difficilissimo da fissare in formule generali e dipende in notevole misura da fattori individuali e personali. Per questo è necessario che proprio in questo campo si acquisiscano punti di vista scientifico-spirituali, affinché si possa ragionevolmente giungere appunto a provvedimenti individualizzati.

 

Riflettiamo innanzi tutto a quanta poca comprensione vi sia oggi riguardo proprio a uno dei fattori capitali dell’agricoltura: il foraggio per il bestiame delle nostre aziende. P un settore che non si arriva a correggere molto, per quante indicazioni vengano date in questa direzione. Come foraggiare? Sono convinto che si possano trovare notevolissimi miglioramenti in questo settore solo cercando sempre più di sviluppare, nelle discipline agrarie, elementi che spieghino veramente che cosa significhi foraggiare. A questo proposito vorrei oggi cominciare a dire qualcosa.

 

Ho già accennato in precedenza che il significato del nutrimento per l’uomo e per gli animali viene sempre considerato da un punto di vista del tutto falso. L’essenza del problema non è data dal fatto grossolano che sostanze materiali vengano assunte dall’esterno, o da come più o meno ci si figuri che esse subiscano diverse trasformazioni per venire infine a depositarsi nell’organismo.

 

Ci si immagina approssimativamente che fuori ci siano alimenti, che l’animale li prenda, metta in deposito nel proprio corpo la parte che ne può utilizzare, ed elimini il rimanente che non gli serve. Si dice anche che occorre badare a molte cose, per esempio che l’animale non venga sovraccaricato di nutrimento, che riceva un foraggio nutriente al massimo grado in modo da utilizzare una percentuale alta di quanto vi è contenuto. Quando i problemi in questo campo vengono trattati materialisticamente, si usa anche distinguere fra alimenti veri e propri e altre sostanze che favorirebbero i processi di combustione nell’organismo; si avanzano così ogni sorta di teorie che si applicano anche alla pratica, salvo poi constatare come a volte esse corrispondano e a volte no, oppure come la loro validità cessi dopo un certo tempo o subisca modificazioni per cause diverse. Ma che cosa ci si può aspettare d’altro?

 

Si parla dunque di processi di combustione entro l’organismo, ma nell’organismo non esistono processi di combustione, perché la combinazione di una sostanza qualsiasi con l’ossigeno nell’organismo significa tutt’altro che un processo di combustione. La combustione è un processo proprio della natura minerale, non vivente. Inoltre, come un organismo non è un cristallo di quarzo, anche quello che si interpreta quale processo di combustione nell’interno dell’organismo non è il morto processo che si svolge nel mondo, ma qualcosa di vivente, perfino di senziente. Ma proprio perché è uso esprimersi nella maniera suddetta, orientando di conseguenza i pensieri in una determinata direzione, si stabiliscono le più grandi assurdità. Chi parla semplicisticamente di combustione nell’organismo usa un linguaggio improprio; se avesse in mente il processo giusto non ci sarebbe nulla di male in tale linguaggio soprattutto quando, per tradizione o istinto, si comportasse in pratica giustamente, almeno fino a un certo punto. Ma quando al linguaggio improprio viene ad aggiungersi quella che ho spesso chiamata “psychopathia professoralis” essa trasforma quelle espressioni improprie in intelligentissime teorie, e lo dico nel suo pieno senso. Agendo poi in base a tali teorie, la realtà non corrisponde più; ciò di cui si parla è del tutto diverso da quel che realmente avviene nelle piante e negli animali. Il caratteristico fenomeno dei nostri tempi è che si prendono iniziative del tutto diverse da quelle che la natura richiede, da ciò che avviene in natura. Quindi è davvero il caso di guardare attentamente a che cosa succede in questo campo.

 

Riprendiamo l’osservazione che abbiamo fatto ieri secondo la quale la pianta ha un corpo fisico e un corpo eterico e, a livello della sua parte superiore, è più o meno circonfusa dall’elemento astrale. La pianta non arriva al vero astrale, ma è come circondata dall’astrale. Se essa assume con l’astrale un contatto assai particolare, come avviene nella formazione della frutta, allora si genera sostanza nutritiva capace di sostentare l’astralità nell’organismo animale e umano. Osservando bene questo processo sarà possibile giudicare se una determinata pianta sia in grado di sostentare o no qualcosa nell’organismo animale. Intendo dire che si deve osservare anche il polo contrario. Ho già accennato che esso contiene qualcosa di importantissimo; qui devo di nuovo metterlo in rilievo, poiché si tratta di gettare le basi per comprendere il processo del foraggiamento.

 

Dato che parliamo di foraggio, ci conviene partire dall’animale: in quest’ultimo non abbiamo un’accentuata tripartizione dell’organismo come nell’uomo. Anche nell’animale abbiamo particolarmente sviluppati il sistema neuro-sensoriale e il sistema delle membra e del ricambio; essi sono nettamente distinti l’uno dall’altro, ma l’organizzazione intermedia, quella ritmica, presso molte specie animali è scarsamente determinata; vi si inseriscono processi che sono ancora di carattere sensoriale, e in parte vi si inseriscono anche processi propri del sistema del ricambio. Si potrebbe quindi parlare dell’animale in altro modo che non dell’uomo. Per l’uomo è ssolutamente esatto parlare della tripartizione dell’organismo, ma per l’animale si dovrebbe parlare dell’organizzazione neurosensoriale localizzata prevalentemente nella testa, e dell’organizzazione del ricambio e delle membra attiva nella parte posteriore del corpo e nelle membra, sia pure compenetrante l’intero organismo. Nella zona centrale abbiamo per l’animale un sistema del ricambio che è più ritmico che non nell’uomo, così come più ritmica diventa anche l’organizzazione neuro-sensoriale; i due poli sfumano così l’uno nell’altro, e il sistema ritmico non acquista nell’animale molta indipendenza: si ha un indistinto intrecciarsi dei poli estremi (si veda la figura che segue). Nei riguardi dell’animale sarebbe quindi più corretto parlare di una bi-partizione nella quale i due poli si confondono assieme nella zona centrale; ne nasce di conseguenza la cosiddetta organizzazione animale.

 

 

Tutte le sostanze che si trovano nell’organizzazione della testa sono costituite da materia terrestre. Questo avviene anche per l’uomo, ma restiamo per ora al caso dell’animale. La materia che si trova nella testa è materia terrestre. Già nell’embrione la materia terrestre viene spinta verso l’organizzazione della testa; l’organizzazione dell’embrione deve essere diretta in modo che la testa riceva le sue sostanze dalla terra. Qui abbiamo dunque sostanze materiali terrestri. Invece tutta la sostanzialità che abbiamo nell’organizzazione delle membra e del ricambio, tutto quanto compenetra i nostri intestini, le nostre membra, i nostri muscoli, le nostre ossa e così via non trae origine dalla terra, ma da quel che viene accolto al di sopra della terra dall’aria e dal calore. Questa è sostanzialità cosmica. È importante non guardare imo zoccolo di animale come costituito dalla materia fisica che l’animale abbia ingerito e che vi sia stata poi depositata, perché questo non avviene; è vero invece che la materia cosmica viene accolta attraverso i sensi e la respirazione.

 

Ciò che l’animale ingerisce serve invece soltanto a sviluppare le sue forze del movimento, in modo che l’elemento cosmico venga diretto verso l’organizzazione delle membra e del ricambio, verso lo zoccolo, affinché qui si trovi esclusivamente materia cosmica. Avviene invece il contrario per quanto riguarda le forze. A questo riguardo nella testa, proprio perché in essa sono concentrati particolarmente i sensi che percepiscono quel che proviene dal cosmo, abbiamo a che fare con forze cosmiche. Nel sistema del ricambio e delle membra abbiamo invece un sistema di forze terrestri; basta pensare a come ci si inserisce di continuo nella gravità terrestre ogni volta che si cammina e a come sia legato alla terra tutto quanto si fa con le membra; qui si ha dunque a che fare con forze terrestri.

 

In verità non è indifferente se la mucca o il bue, per diventare animali da lavoro con le proprie membra, vengono nutriti in modo da mandare alle proprie membra un foraggio il più possibile ricco di materia cosmica, e in modo che il cibo che attraversa lo stomaco sviluppi molte forze capaci di dirigere tale materia cosmica fino in fondo alle membra, ai muscoli e alle ossa. Analogamente si deve tener presente che le sostanze materiali di cui si ha bisogno per la testa devono essere ricavate proprio dagli alimenti, da ciò che viene condotto allo stomaco ed elaborato per questa via. Proprio la testa dipende dallo stomaco per questo aspetto e non invece l’alluce; si deve avere ben chiaro in mente che la testa è in grado di elaborare il cibo che riceve dal corpo soltanto se può ricevere adeguatamente le relative forze dal cosmo. Se ne deduce quindi che è controindicato tenere semplicemente rinchiusi gli animali in stalle buie nelle quali non possano fluire loro le forze cosmiche; si deve provvedere a farli pascolare per dar loro occasione di entrare in un contatto percettivo e sensorio con il mondo circostante. Osserviamo per esempio questo caso.

 

Immaginiamo un animale in una stalla oscura davanti alla sua mangiatoia con la razione che la sapienza umana gli propina. Se questo animale non ha altra alternativa, cosa che sarebbe possibile solo in aperta campagna, è ben diverso da un suo consimile che possa servirsi all’aperto dei suoi sensi, per esempio del suo olfatto, per cercarsi il cibo seguendo le indicazioni di quell’organo di senso e orientandosi verso le forze cosmiche secondo le indicazioni che esso gli dà, cercandosi da sé il cibo, prendendoselo da sé e sviluppando così la sua intera attività per l’assunzione del cibo.

 

Un animale aggiogato alla mangiatoia non mostrerà subito in sé i segni di questa carenza di forze cosmiche, ma le cose passano per via ereditaria, ed esso genererà una discendenza nella quale sempre meno saranno congenite tali forze cosmiche, oppure una discendenza che non le avrà affatto. L’animale diventa allora debole a partire dalla testa e non può più nutrire il corpo, non essendo in grado di ricevere le sostanze cosmiche che devono invece penetrare nel corpo. Queste cose provano già che a nulla servono semplici affermazioni generiche: in simile caso date da mangiare questo, in un altro date quello; da esse si dovrebbe però imparare a valutare che cosa significhino certi metodi di foraggiamento per l’intero essere dell’organizzazione animale.

 

Proseguiamo: che cosa contiene dunque la testa? Contiene sostanzialità terrestre. Togliendo quindi l’organo più nobile di un animale, il cervello, vi si trova sostanzialità terrestre. Anche nell’uomo il cervello contiene sostanza terrestre; solo le forze sono cosmiche, ma la materia è terrestre. A che cosa serve il cervello?

Serve di base per l’io. L’animale non ha però ancora un io. Teniamo comunque fermi questi punti: il cervello serve quale base per l’io, ma l’animale non ha ancora un io; il suo cervello è appena sulla via che conduce alla formazione dell’io. Nell’uomo il processo va sempre più in direzione della formazione dell’io. L’animale ha peraltro un cervello, ma come è venuto a formarsi?

 

Prendiamo in esame l’intero processo organico: tutto quanto vi avviene, tutta la materialità terrestre che si presenta nel cervello è semplicemente sostanza di escrezione, sostanza esclusa dal processo organico. Materia terrestre viene quindi eliminata per servire di base all’io. Ora, alla base del processo che si forma nel sistema del ricambio e delle membra, dall’assimilazione del nutrimento attraverso la distribuzione digestiva, vi è una determinata quantità di materia terrestre capace di guidare da lì verso la testa e il cervello i cibi terrestri; vi è una determinata quantità di sostanze terrestri che segue questa via e che poi viene veramente depositata nel cervello come un’escrezione. Questa materia nutritiva non viene però eliminata soltanto nel cervello, ma anche già lungo la via intestinale; la parte che non può ulteriormente venir elaborata viene eliminata nell’intestino stesso. Qui si presenta un’affinità che si troverà molto paradossale e che non si deve perdere di vista volendo comprendere l’organizzazione dell’animale e anche dell’uomo. Che cos’è la massa cerebrale? È semplicemente una massa intestinale giunta al termine delle sue possibilità. Attraverso il tratto intestinale passa una sostanza che è eliminazione cerebrale prematura. Il contenuto intestinale è senz’altro, secondo il suo processo, assolutamente affine al contenuto del cervello.

 

Se volessi esprimermi in modo grottesco potrei dire: ciò che si estende in direzione del cervello è un cumulo di composto in avanzata maturazione; in effetti è proprio così. È proprio il letame che, seguendo il proprio processo organico, si trasforma nella nobile massa cerebrale per ivi servire da base allo sviluppo dell’io.

 

Nell’uomo la trasformazione da letame intestinale a letame cerebrale avviene nella misura più vasta possibile, perché egli porta sulla terra il proprio io; nell’animale se ne trasforma meno, e quindi rimane nel letame intestinale un di più che viene adoperato quale comune letame agricolo. Vi resta cioè più “io” in divenire. Appunto perché l’animale non giunge fino all’io, nel suo letame rimane più io in divenire. Di conseguenza il letame animale e quello umano sono due cose molto diverse, perché il letame animale contiene ancora la disposizione all’io. Quando concimiamo, quando dall’esterno apportiamo alla radice e alla pianta del concime, dell’io, ci accorgiamo che volendo disegnare tutta la pianta (vedi disegno), in basso abbiamo la radice e in alto le foglie e i fiori; in alto si sviluppa l’astrale a contatto dell’aria e in basso, a contatto con il letame, si sviluppa la disposizione all’io da parte della pianta.

 

La coltivazione così concepita è veramente un organismo. In alto si sviluppa l’astralità; la presenza di frutteti e di boschi sviluppa l’elemento astrale. Se gli animali si alimentano convenientemente di quel che cresce sopra la terra, nel letame essi sviluppano le giuste forze dell’io che a loro volta fanno crescere giustamente la pianta, partendo dalla radice in direzione della forza di gravità. È una meravigliosa catena di azioni reciproche che però si deve gradualmente comprendere.

 

 

Poiché questa è la situazione, un’azienda agricola è una specie di individualità. Questo permette di comprendere perché sia gli animali sia le piante debbano essere più o meno inseriti in questo ciclo di reciprocità. In un certo senso è già quindi un impedimento di fronte alla natura il non usare il letame proveniente da animali appartenenti all’azienda stessa, e l’eliminazione del bestiame per doversi poi procurare il concime dal Cile. Si trascura in tal modo che l’azienda è un ciclo conchiuso in sé che deve mantenersi con le proprie forze. Naturalmente occorre organizzare le cose in modo che la fattoria possa mantenersi da sé: si devono tenere le bestie del genere e del tipo che le diano il letame giusto in quantità sufficiente. Si devono pure seminare i foraggi che diano alle bestie che si vogliono tenere quel che esse per istinto vogliono mangiare, quel che cercano.

 

Qui gli esperimenti diventano naturalmente complicati perché diventano individuali, e proprio qui si tratta di dare le direttive lungo le quali svolgere gli esperimenti. Si dovranno fare parecchie prove, e ne deriveranno regole pratiche, ma tutte dovrebbero orientarsi sull’idea generale che la fattoria è conchiusa in sé e deve diventare autosufficiente. Certo non lo diventerà del tutto. Perché? L’obiettiva osservazione in senso scientifico-spirituale non rende mai fanatici. La completa indipendenza non si può interamente realizzare nell’ambito dell’attuale ordinamento economico del mondo esterno; si deve però raggiungere il massimo possibile su questa via.

 

Avendo queste basi è possibile scoprire il rapporto concreto fra l’organismo animale e quello vegetale, vale a dire arrivare al problema del foraggio. Guardiamolo un momento per sommi capi.

Osserviamo una radice: essa si sviluppa di regola nella terra che, grazie al letame, è compenetrata di forza dell’io in divenire.

La radice assorbe tale forza dell’io in divenire grazie a tutto il modo in cui essa si trova nella terra; la forza dell’io viene aiutata nella sua azione di assorbimento, se trova nel suolo la giusta presenza di sali.

 

Supponiamo di avere una radice quale ci può risultare dalle nostre considerazioni. Dobbiamo osservarla come un alimento che con massima facilità, una volta nell’organismo, trova la strada verso la testa dopo aver attraversato la digestione. Useremo una dieta a base di radici nel caso in cui avessimo la necessità di fornire sostanza materiale alla testa, affinché le forze cosmiche che agiscono partendo dalla testa trovino la giusta sostanza per la loro attività plastica. Se qualcuno stima di dover nutrire di radici un animale che ha bisogno di condurre sostanze verso la testa affinché si instauri in lui un vivace rapporto sensoriale, vale a dire un rapporto cosmico con l’ambiente cosmico che lo circonda, ciò deve richiamare alla mente il vitello e le carote. Se il vitello mangia carote, si vedrà compiersi bene l’intero processo. Nello stesso istante in cui esprimiamo qualcosa del genere, sapendo come vivano e si manifestino queste cose, abbiamo già rivolto il nostro sguardo verso ciò che si deve fare. Basta sapere come si svolge questo processo di reciprocità.

 

Spingiamoci oltre. Dopo che la sostanza è stata condotta verso la testa nutrendo il vitello con le carote, deve potersi iniziare il processo inverso, cioè la testa, impregnata di volontà, deve essere in grado di lavorare, deve poter generare anche nell’organismo le forze capaci a loro volta di inserire ed elaborare tale volontà in seno all’organismo stesso. Non basta che nella testa vada a depositarsi il letame di carote; da ciò che viene a depositarsi, che è sulla via di decomporsi, devono pervenire all’organismo le forze che da lì irradiano. In una parola si deve poter disporre di un secondo nutrimento che, dopo aver provveduto a un organo, alla testa, sia in grado di far lavorare tale organo nel giusto modo a favore del resto dell’organismo.

 

Si faccia bene attenzione! Dopo aver somministrato le carote, voglio ora che il corpo si compenetri in modo giusto con le forze che possono svilupparsi partendo dalla testa. Allo scopo avrò bisogno di qualcosa che in natura abbia una forma radiante, a stella, qualcosa che trattenga in modo adeguato tale forma radiante, che per così dire la raccolga in una formazione concentrata. Che cosa ci occorre allo scopo? Quale cibo ulteriore da aggiungere alle carote, avremo bisogno di qualcosa che nella pianta assuma una forma radiante e nello stesso tempo ricongiunga queste forze. Lo sguardo si volge verso i semi di lino o altri simili prodotti. Foraggiando i vitelli con questi prodotti, con carote e semi di lino, oppure con altri prodotti che analogamente si completino, come per esempio fieno fresco con carote, otterremo un’alimentazione che realmente agisca in modo sovrano su tutto l’animale e lo porti direttamente sulla via alla quale è predisposto. Al vitello dovremo dunque cercare di dare sempre un nutrimento che da un lato sia capace di favorire le forze dell’io, e dall’altro di favorire le forze che vanno dall’alto verso il basso per compenetrarsi di elementi astrali. Particolarmente adatte a questo scopo sono le erbe a stelo lungo, semplicemente lasciate alla loro natura di erbe a stelo lungo, al loro sviluppo, e trasformate poi in fieno. Cosi si guarda ai fatti, così si dovrebbe guardare all’intera agricoltura: sapere che cosa avviene in ogni cosa, sia che prenda la via che conduce dall’animale verso la terra, sia l’altra che va dalla pianta verso l’animale.

 

Facciamo ancora un passo avanti sullo stesso argomento. Supponiamo di volere che un animale si rafforzi nella regione mediana, nella regione in cui l’organizzazione della testa, cioè il sistema neuro-sensoriale, si prolunga verso il sistema respiratorio, e in cui a sua volta l’organizzazione del ricambio si prolunga nel sistema ritmico; nella regione cioè in cui avviene questo incrocio. Quali sono gli animali che hanno bisogno di venir irrobustiti in questa regione? Sono proprio le bestie da latte che hanno bisogno di essere forti in questa regione. La produzione del latte richiede semplicemente che gli animali si irrobustiscano in questa regione. A che cosa dobbiamo badare in questo caso? Dobbiamo badare che si formi una giusta confluenza tra la corrente che dalla testa rifluisce verso dietro, ed è in prevalenza una corrente di forze, e quella che da dietro procede in avanti, ed è una corrente in prevalenza di sostanze. Se questa collabo- razione si svolge in modo giusto, se ciò che fluisce da dietro verso il davanti viene elaborato nel miglior modo possibile dalle forze che dal davanti fluiscono verso dietro, si ottiene un latte buono e abbondante; nel buon latte è infatti contenuto quel che si forma in modo speciale nell’organismo del ricambio, è contenuto un preparato di sostanze che non è ancora passato attraverso il sistema sessuale, ma che nell’ambito del processo digestivo ha assunto la massima somiglianza possibile col processo digestivo legato agli organi sessuali. Il latte non è che una secrezione sessuale trasformata, ma trasformata ad opera delle forze della testa che vi agiscono afferrando le sostanze nella loro via verso la secrezione sessuale. È senz’altro possibile guardare chiaramente a questo processo e al modo in cui esso si svolge.

 

Per tutti i processi che vogliono formarsi in modo simile, dobbiamo cercare un tipo di nutrimento che agisca meno in direzione della testa di quanto non faccia una radice che ha accolto le forze dell’io. Dato che si deve mantenere l’affinità con la forza sessuale, dovremo però anche evitare che esso contenga troppa astralità; non dovremo quindi prendere troppo di ciò che sta o tende verso il fiore o verso il frutto. Questo significa che volendo favorire la produzione del latte, dovremo prendere elementi che sono a metà fra il fiore e la radice, vale a dire le parti verdi delle piante, le foglie e le erbe che si sviluppano. Specialmente in questo caso, quando vogliamo aumentare la produzione di latte di un animale, quando sia ancora aumentabile, raggiungeremo con sicurezza il risultato desiderato comportandoci nella maniera che ora descrivo.

 

Supponiamo che inizialmente io foraggi una mucca da latte con foglie ed erbe perché le circostanze me lo impongono. Voglio poi aumentare la produzione del latte, e penso che sia aumentabile. Che cosa posso fare? In tal caso adoprerò piante che trattengano il processo di formazione del frutto, cioè quel che si svolge nei fiori con la fecondazione e lo fermano sul processo di formazione della foglia e delle erbe. Sono le leguminose, e specialmente i trifogli. Nella sostanzialità del trifoglio è contenuta molta parte del processo proprio del frutto, ed è contenuta sotto forma di parte verde. Trattando la mucca in tal modo non si vedrà nel soggetto stesso ancor nulla di speciale, ma all’arrivo della prossima vitella questa diverrà una buona mucca da latte, perché il miglioramento si svolge in genere nel giro di una generazione, quando si tratta di riformare i principi del foraggiamento. Si dovrà comunque badare molto ad una di queste cose.

 

Nonostante la scomparsa delle antiche tradizioni provenienti da una saggezza istintiva, qualcosa è stato di solito conservato, come hanno fatto anche i medici per talune medicine, anche senza saperne il perché. Le hanno conservate per la ragione che esse avevano sempre giovato. Si sanno in tal modo certe cose per antiche tradizioni, ma non si sa perché vengano applicate; per il resto si procede sulla base di esperimenti, si prescrivono dosaggi sperimentati da somministrare al bestiame da allevamento, a quello da latte e così via. Con questo procedere avviene spesso proprio quel che capita quando si fanno esperimenti, specialmente se vengono affidati del tutto al caso. Immaginiamo che cosa avviene di solito quando si è in compagnia di tanta gente e si ha mal di gola: ognuno cercherà di dare qualche rimedio. In capo a mezz’ora si finirà per mettere insieme un’intera farmacia. Se poi si prendessero tutte quelle medicine, ognuna impedirebbe l’effetto dell’altra, col risultato certo di rovinare lo stomaco e di lasciare il mal di gola come era. Quel che avrebbe dovuto essere una cosa semplice si tramuta così in qualcosa di molto complicato.

 

Qualcosa di simile avviene quando ci si mette a fare esperimenti a tentoni sul foraggio, perché si impiega qualcosa che si dimostra valido in una certa direzione e non in un’altra. Allora si aggiunge al primo un secondo ingrediente, ottenendo così un certo numero di foraggi ognuno dei quali ha un certo significato per il vitello o per il bestiame da ingrasso; il problema finisce però per complicarsi talmente che non se ne viene più a capo, avendo perduto il reale nesso fra le forze, oppure perché un ingrediente annulla l’altro nella sua azione. Questo accade in realtà assai spesso, specialmente a chi pratica l’agricoltura come una mezza scienza. Egli consulta libri o si ricorda di ciò che ha imparato: i vitelli vanno foraggiati in un modo, il bestiame da ingrasso in un altro. Si consultino pure libri, ma per questa via non si raggiungerà molto, anche perché a volte quel che si trova nei libri può contraddire ingiustamente quanto già si fa senza di essi. Si procederà bene solo sapendo adottare un modo di pensare come quello che ho indicato, un modo di pensare che per molti riguardi semplifica il problema dell’alimentazione del bestiame e lo rende chiaramente comprensibile.

 

È per esempio comprensibile che carote e semi di lino agiscano in un dato modo. Il perché è chiaro; non si fa confusione e si ha con chiarezza davanti agli occhi l’azione di quel che si somministra. Pensiamo solo in che relazione si trova uno con l’agricoltura quando fa qualcosa con chiarezza e con coscienza. Così si acquistano conoscenze che semplificano invece di complicare la tecnica del foraggiamento. Anche se molto di ciò che è stato trovato attraverso la sperimentazione è giusto, esso rimane tuttavia frammentario e vago. Proprio il genere di esattezza a cui oggi si crede è in realtà inesatto, perché fa tutto un minestrone nel quale non si vede più niente di chiaro; ciò che ho indicato può invece essere agevolmente seguito nella sua semplicità e nel suo lineare modo di agire fino all’interno dell’organismo animale. Prendiamo un altro caso.

 

Proviamo a considerare la cosa in modo di guardare verso ciò che tende all’elemento fiore, verso ciò che fruttificando agisce nel fiore. Dobbiamo guardare anche verso tutto ciò che è legato alla fruttificazione nel resto della pianta. La pianta ha qualcosa di particolare che rallegrava molto Goethe: in tutto il suo organismo essa ha disposizioni per ciò che altrimenti si presenta in modo specializzato. Diversamente da quel che facciamo per la patata, per le altre piante noi seminiamo di norma nella terra la parte che si presenta nel fiore quale disposizione al frutto, allo scopo di ottenerne un’altra pianta. Per la patata non facciamo la stessa cosa, ma adoperiamo allo scopo gli occhi del tubero stesso. Per molte piante non facciamo però a quel modo, perché in esse vi è la parte che fruttifica. Possiamo potenziare nel suo effetto la parte che fruttifica, che ancora non è spinta fino all’estremo delle sue possibilità (perché in natura nulla viene portato all’estremo), ricorrendo a processi che esteriormente siano in qualche modo affini alla combustione.

 

Le parti della pianta che tendono a seccare possono cioè venir potenziate nella loro attività lasciandole evaporare esposte alla luce del sole; si spinge così ulteriormente in direzione della fruttificazione il processo che già esiste in modo latente. In tutto questo vi è un istinto meraviglioso. Osservando il mondo con comprensione ci si può veramente domandare perché gli uomini siano giunti all’uso di cuocere le loro vivande. È già un problema. Di solito non facciamo domande su ciò che viviamo giornalmente, ma perché gli uomini sono giunti a cuocere i loro cibi? Vi sono giunti proprio perché si sono a poco a poco accorti che in tutto ciò che porta alla fruttificazione operano processi uguali a quelli che si hanno cuocendo, processi simili alla combustione, al riscaldamento, all’essiccazione e all’evaporazione, perché tutti questi processi rendono l’elemento fiore e l’elemento seme (anche gli altri elementi, e soprattutto quelli situati nelle parti superiori) capace di sviluppare particolarmente le forze che devono venir sviluppate nel sistema del ricambio e delle membra dell’animale. Già se pensiamo a un fiore o a un seme possiamo dire che essi agiscono sul sistema del ricambio dell’animale, sul suo sistema digestivo, che operano in prevalenza grazie al loro sviluppo di forze; vale a dire non per la loro sostanza materiale, ma proprio perché il sistema del ricambio necessita di forze terrestri e le deve ricevere nella misura in cui ne ha bisogno.

 

Consideriamo gli animali che pascolano in montagna: sono diversi da quelli che si vedono in pianura; devono muoversi facendo considerevoli sforzi, se non altro perché il terreno non è piano. Non è la stessa cosa se si muovono su un terreno orizzontale o comunque facile. Quegli animali devono ricevere nel loro organismo qualcosa che sviluppi nelle loro membra le forze che si attivano grazie alla volontà; altrimenti diverrebbero animali dal basso rendimento, sia che si tratti di animali da tiro, sia da latte o da ingrasso. Bisogna perciò curare che essi ricevano sufficiente nutrimento proveniente da erbe aromatiche alpine nelle quali il processo di cottura solare, che ha luogo nei fiori e nella parte che fruttifica, venga portato avanti proprio col concorso della natura stessa. Anche con un ulteriore trattamento artificiale è possibile portare forza alle membra, soprattutto se tale trattamento è basato sulla cottura, sulla bollitura. Meglio è avere parti di piante che provengano dal fiore e dal frutto, e soprattutto di piante che già di per sé tendono fortemente alla fioritura e alla fruttificazione, che sviluppano poche foglie e poca parte erbacea, passando presto a fiorire e a fruttificare. Dobbiamo poi cuocere tutto ciò che dà poco valore allo sviluppo erbaceo e che è rigoglioso nella fioritura e nella fruttificazione.

 

Gli uomini farebbero bene a osservare queste cose anche per loro stessi; se lo facessero non si avrebbero le condizioni che portano alla stanchezza e anche alla pigrizia. È possibile scivolare per questa china e finire magari per dirsi che lavorando tutto il santo giorno non si riesce a diventare un vero mistico. Potrò diventare un vero mistico solo se potrò stare del tutto tranquillo, se non avrò motivo di farmi eccitare né da una causa in me, né da una causa proveniente dal mio ambiente, se sarò tale da poter dire a chi mi circonda di non avere forze da disperdere in giro; allora diventerò un vero mistico. Comincerò anche a conformare la mia alimentazione in modo da divenire un vero mistico. Si diventa allora crudisti, non si cuoce più nulla, si diventa autentici crudisti; si badi però che la verità si nasconde, non viene ordinatamente a galla; la verità è che diventando crudisti quando si è già sulla china scivolosa che conduce alla mistica per questa via, quando si ha già fin da prima un fisico debole, si arriverà magari a procedere, a fare dei grandi progressi in questa direzione, ma si diventerà sempre più inerti, ossia sempre più mistici. Questo fenomeno avviene nell’uomo, ma si applica anche agli animali; dovremo perciò sapere come poter rendere vivaci i nostri animali.

 

Nell’uomo può anche esservi il caso opposto. Egli può essere in partenza di fisico forte, e cadere più tardi nella balordaggine di voler diventare un mistico. Può essere dotato di forze fisiche eccellenti. In questo caso vengono semplicemente a svilupparsi in lui gli stessi processi: le forze elaborate dall’alimentazione cruda da lui seguita continuano a lavorare in lui, ma gli sono di scarso danno. Se un simile crudista arriva a richiamare in attività le forze che di solito rimangono nascoste e possono altrimenti generare gotta e reumatismi, allora finisce per rinforzarsi parecchio.

 

Ogni cosa ha due aspetti, come una bilancia ha due piatti. È perciò necessario sapere come le cose si individualizzano. Non è possibile dare principi generali. La superiorità del regime vegetariano è che la maggior robustezza che esso conferisce proviene dall’attivazione delle forze che altrimenti rimarrebbero inerti nell’organismo; sono le stesse forze che generano gotta, reumatismi, diabete e così via. Se usiamo dunque cibi vegetali, tali forze fan maturare piante a vantaggio dell’uomo. Se invece si mangia carne, avviene che quelle forze rimangano inerti nell’organismo, non vengano utilizzate, e finiscano per fare da sé, depositando qua e là i prodotti del ricambio o scacciando dagli organi elementi utili; vale a dire che li usano per sé invece di lasciarli all’uomo, come avviene nel diabete e in altre simili malattie.

 

Per sapere come ingrassare il bestiame ci si dovrà quindi dire che occorre agire in modo che, come in un sacco, arrivi la massima quantità possibile di sostanza cosmica. Per esempio i maiali, col loro grasso, sono davvero animali celesti! A parte il sistema neurosensoriale, hanno nel loro grasso corpo sostanza interamente cosmica, sostanza non terrestre, e adoperano quel che mangiano soltanto per distribuire nel loro corpo la sovrabbondanza di sostanza cosmica che assorbono da tutte le parti. Il maiale deve mangiare per distribuire tutta la sostanza tratta dal cosmo; deve avere in sé le forze per farlo, come le devono avere gli altri animali da ingrasso. Vediamo così che gli animali da ingrasso, appunto ingrassano se somministriamo loro le parti fruttificanti della pianta, meglio dopo un trattamento ulteriore attraverso la cottura o il vapore, o anche somministrando loro parti di pianta che portano già in sé il processo di fruttificazione, meglio se ancora intensificato: per esempio barbabietole che si sono già ingrossate in seguito al processo di intensificazione che, grazie alla coltivazione che le rende più grosse di quanto non sarebbero allo stato selvatico, le ha condotte al di là di quel che sarebbero state in origine.

 

Ci si può ora domandare quale sia il nutrimento da dare per esempio a un animale da ingrassare. Gli si deve dare qualcosa che contribuisca il meglio possibile alla ripartizione nel corpo della sostanza cosmica, qualcosa che sia anzitutto nella parte fruttifera della pianta e che sia stato inoltre trattato nel giusto modo. Tale condizione è in sostanza soddisfatta da certe sanse o da altri simili prodotti. Dobbiamo però anche provvedere affinché la testa del nostro animale non rimanga del tutto sfornita, affinché durante il trattamento per l’ingrasso gli giungano fino alla testa ancora almeno alcuni elementi propriamente terrestri. A quel che abbiamo detto dobbiamo quindi contrapporre qualcosa da dare ora in quantità modesta, perché la testa non ha bisogno di molto; dobbiamo dare dosi modeste. Agli animali da ingrasso dobbiamo quindi somministrare modeste quantità di radici mescolate al foraggio.

 

Esiste un genere di sostanza, sostanza pura, che non ha alcun compito specializzato. In generale si può dire che le radici hanno una funzione rispetto alla testa, che i fiori l’hanno per il sistema del ricambio e delle membra, le foglie e le parti verdi per il sistema ritmico con la sua sostanzialità nell’ambito dell’organismo umano. Quel che invece deve servire da complemento, perché è in relazione con tutti i sistemi organici animali, è l’elemento salino; dato poi che ogni nutrimento, sia umano sia animale, contiene una quantità modestissima di sali, ci si rende conto che volendo aggiungere del sale, non conta la quantità, ma la giusta qualità, e che una quantità anche piccola sarà in grado di rispondere egregiamente allo scopo.

 

È il caso ancora di accennare a qualcos’altro di importante per cui pregherei di intraprendere precisi esperimenti, estensibili anche all’uomo per il caso che dimostri una particolare inclinazione verso l’alimento di cui si tratta: è noto che recentemente, si può dire appena da poco, il pomodoro è stato introdotto nell’alimentazione e che esso è assai gradito a parecchie persone. Il pomodoro è anche oggetto di studi particolarmente importanti. Si può imparare moltissimo seguendo la produzione dei pomodori e il loro consumo. Le persone, e oggi ve ne sono, che riflettono su queste cose trovano giustamente che il nutrimento a base di pomodori ha un grande significato per l’uomo (e l’osservazione sarebbe estensibile anche agli animali, se fosse possibile abituarli a questo alimento); ha un grande significato per tutto quanto si separa nell’organismo assumendo una propria organizzazione in seno all’organismo stesso. Ne derivano due ordini di conseguenze. Si ha anzitutto la conferma di un’indicazione fornita da un americano secondo il quale il pomodoro, quale mezzo dietetico, può agire favorevolmente contro tendenze patologiche del fegato umano, dato che nell’organismo umano il fegato è l’organo che agisce col massimo di indipendenza rispetto all’organismo; così le malattie del fegato, specie nel caso di fegato animale, potrebbero in generale venir combattute proprio col pomodoro.

 

Si comincia così a penetrare nel nesso fra pianta e animale. Aggiungo fra parentesi che a una persona che soffra di cancro si dovrebbe assolutamente proibire di nutrirsi di pomodoro, perché il cancro è ima malattia che comporta nell’organismo umano e in quello animale qualcosa che si sviluppa autonomamente. Domandiamoci però da che cosa dipende questa proprietà del pomodoro di stimolare particolarmente ciò che nell’organismo è indipendente, ciò che in esso si specializza separandosene.

 

Tale proprietà è in relazione con ciò che il pomodoro esige e vuole per assicurare la propria esistenza. Esso trova le condizioni migliori per svilupparsi, quando riceve nella massima misura possibile un letame ancora fornito della sua configurazione originaria, quale è stato appena eliminato dall’organismo animale, oppure quale deriva da ogni altra origine. Quando il letame non ha avuto modo di venir elaborato a lungo dalla natura, quando esso è ancora grezzo, quando si ha un mucchio di rifiuti gettati alla rinfusa che formi un composto in cui vi è di tutto senza ulteriore elaborazione, così come è nato senza alcuna elaborazione o preparazione, e vi si piantano pomodori, si vedrà che essi spunteranno bellissimi. Usando un cumulo di composto i cui componenti siano residui di piante di pomodoro, facendo cioè crescere i pomodori sul concime fatto con la loro stessa sostanza, essi si svilupperanno a meraviglia. Il pomodoro non vuole andare oltre se stesso, non vuole uscire dal suo elemento fortemente vitale; vuole rimanerci inserito. Tra le piante è la meno socievole, non vuole accogliere nulla di estraneo a sé, e soprattutto respinge ciò che abbia attraversato un processo per diventare concime; ecco quel che non vuole. Questo è il motivo per cui il pomodoro può agire su quanto assume un’organizzazione autonoma nell’organismo umano o animale.

 

Da un certo punto di vista la patata è affine al pomodoro. Anch’essa agisce con indipendenza, con tanta indipendenza da attraversare molto facilmente tutto l’apparato digerente e giungere fino al cervello per dargli indipendenza, persino nei riguardi dell’azione proveniente da altri organi umani. Tra i vari fattori che hanno reso più materiali sia l’uomo sia gli animali dopo l’introduzione della patata in Europa, va annoverato proprio l’esagerato consumo di patate. Il cibarsi di patate dovrebbe giungere soltanto fino al punto di stimolare in noi l’elemento cerebrale, la testa; non si dovrebbe andare più in là. Queste sono conoscenze grazie alle quali l’agricoltura è intimamente e oggettivamente connessa anche con la vita sociale. Ed è importantissimo che l’agricoltura sia legata a tutta la vita sociale.

 

Mi è stato possibile dare soltanto alcune direttive che per lungo tempo potranno servire in questo settore per le esperienze più varie. Ne deriveranno cose bellissime facendo seri esperimenti. Quel che ho detto deve costituire una linea direttiva lungo la quale realizzare ciò che è stato esposto in questo corso. Sono del tutto d’accordo con la decisione, una seria decisione presa dagli agricoltori che lo hanno seguito, di conservare in un primo tempo nella loro stretta cerchia quel che ho esposto, di applicarlo sperimentalmente fino al momento in cui la comunità degli agricoltori, vale a dire il Circolo che si è costituito, non ritenga di essere giunto con l’esperienza al punto di poterlo rendere pubblico.

 

Per il lodevole senso di tolleranza usato in questa circostanza è stato concesso a un certo numero di persone che vi avevano interesse, pur non essendo agricoltori, di seguire il corso stesso, t bene che queste persone si ricordino della famosa opera lirica in cui un personaggio si applica un lucchetto sulla bocca, e non cadano nel difetto generale degli antroposofi di propagare subito tutto in più vaste cerchie, perché ci ha spesso recato molto danno che le cose si siano diffuse attraverso persone che non parlavano di qualcosa per uno stimolo che si possa chiamare oggettivo, ma soltanto ne riferivano in qualche modo.

 

Corre una gran differenza se a parlare di queste cose è un agricoltore, oppure uno che dall’agricoltura è molto lontano. Il risultato è diverso e lo si nota subito. Pensiamo a che cosa succederebbe se tutto questo venisse portato in giro da gente estranea all’agricoltura, quale interessante capitolo degli insegnamenti antroposofici. Succederebbe quel che è accaduto per diversi cicli di conferenze, e cioè che la gente, e con essa anche parecchi agricoltori, verrebbero a saperne il contenuto da fonte estranea. Agricoltori che sentono raccontare qualcosa da un altro agricoltore possono dire: peccato che costui pensi simili stramberie! Lo diranno la prima volta, forse anche la seconda, ma quando un agricoltore vede poi i risultati con i propri occhi non si trova poi tanto a suo agio nel negarli. Se però gli giunge da una fonte incompetente che ha per l’argomento soltanto un semplice interessamento, allora è proprio una rovina, e il tutto non può più continuare ad agire per il discredito che lo colpisce, t quindi necessario che gli amici che sono stati presenti solo per interessamento all’argomento e che non fanno parte del Circolo degli agricoltori, si tengano molto riservati, tengano tutto per sé, non lo diffondano ovunque come volentieri si fa per l’antroposofia. È una decisione che è stata presa dal Circolo degli agricoltori ed è stata comunicata oggi dal nostro stimatissimo amico conte Keyserlingk. Con essa mi dichiaro pienamente solidale.

 

Poiché siamo alla fine di questo ciclo di conferenze, a cui seguirà soltanto una riunione per il dibattito, desidero esprimere a tutti la mia soddisfazione per la presenza di tante persone che hanno voluto prender parte a quanto è stato possibile dire e che parteciperanno a quel che ne deve seguire, che deve ulteriormente svilupparsi. D’altro canto devo anche dire che mi trovo d’accordo con tutti nel ritenere che quel che si è svolto qui costituisca un lavoro utile, e come tale abbia anche un intenso valore interiore. Pensiamo però anche a quanta energia hanno dovuto impiegare il conte e la contessa Keyserlingk, con tutti gli appartenenti alla loro casa, per giungere all’attuale realizzazione del corso che si è svolto qui. È stato necessario impiegare energia, determinatezza, senso antroposofico per la realtà, puro impegno per l’antroposofia, senso di sacrificio e altro ancora. Ne è derivato che quel che probabilmente per tutti è stato un gran lavoro, un lavoro che potrebbe però portare a grandi e fruttuose mete per l’umanità intera, si è inserito durante il nostro soggiorno qui in una cornice di vera festa, grazie a come le cose sono state organizzate, e fra cinque minuti ne avremo un ulteriore piccolo esempio. Quel che si è aggiunto, compresa la straordinaria cordialità e affabilità di tutti i componenti di questa casa, ha inoltre ulteriormente avvolto questo nostro lavoro in un’atmosfera di autentica solennità, sicché il nostro convegno agricolo si è trasformato in una vera festa dell’agricoltura. Tutto questo ci porta ad esprimere con profonda sincerità al conte e alla contessa Keyserlingk, e a tutti i componenti di questa casa, il nostro ringraziamento per il servizio che essi hanno reso al nostro movimento in questi dieci giorni di ospitalità amichevole e cordiale verso tutti noi.