Il passaggio da quanto precede a quanto segue attraverso Elia, Giovanni Battista, Raffaello, Novalis

O.O. 126 – Storia occulta – 01.01.1911


 

Sommario: Sulla festa pasquale

Passaggio dagli impulsi provenienti da entità superiori, in civiltà pre-storiche, a quelli sperimentati dall’io nell’io nella civiltà greca. Il problema della ricerca della verità assorbe quelli dell’utilità e del bene nelle fasi ascendenti delle civiltà, come ai tempi delle guerre persiane, ma viene in seguito accantonato da stoicismo, epicureismo e scetticismo. Nel 1250 si ha per l’umanità una nuova ispirazione che finisce col secolo sedicesimo e con Kant. Semidei e saggi greci, patriarchi e profeti ebrei. Il passaggio da quanto precede a quanto segue attraverso Elia, Giovanni Battista, Raffaello, Novalis.

 

Ieri ho fatto osservare come nel corso dell’evoluzione umana intervengano le più diverse potenze storiche. Per questo, e anche per l’incrociarsi di differenti correnti, in certe direzioni della civiltà si formano dei periodi di ascesa e dei periodi di decadenza; ciò si svolge in modo che, mentre ancora vecchie civiltà vanno declinando, vanno esteriorizzandosi, lentamente e gradatamente viene preparandosi l’elemento inauguratore di civiltà avvenire, l’elemento che vivificherà, genererà veramente le civiltà future. Di regola potremmo quindi rappresentare schematicamente il decorso della civiltà umana dicendo che da profondità indefinite vediamo sorgere e ascendere fino a certe vette una civiltà umana; poi la vediamo via via declinare, più lentamente che non fosse salita. I risultati di un dato periodo di civiltà sopravvivono a lungo, si insinuano nelle più svariate e successive correnti culturali dei popoli e poi vi si perdono come un fiume che non sbocchi nel mare, ma dilaghi nella pianura. Mentre ancora si disperde questa corrente, si vanno preparando le nuove civiltà che, durante il declinare della civiltà antica non sono ancora avvertibili, e che iniziano poi da parte loro il loro sviluppo, la loro ascesa, per contribuire nello stesso modo o in modo analogo al progresso dell’umanità. Se vogliamo pensare a un progresso di civiltà eminentemente caratteristico, possiamo ben supporre che fu quello in cui emerse maggiormente l’elemento generale umano, l’azione dell’io nell’io. Fu il caso della civiltà greca, come già abbiamo mostrato. Considerandola possiamo appunto qui chiaramente rilevare lo svolgimento di una civiltà nel senso più caratteristico, poiché quello che si compì nelle tre civiltà precedenti, e quello che seguì, venne modificato in modo del tutto diverso da ciò che stava al di fuori dell’uomo. Perciò nel periodo di civiltà che è nel mezzo, nel quarto, ci è dato l’elemento che è nell’uomo stesso, mediante il quale l’uomo agisce sul mondo, e che da potenze soprasensibili può esprimersi in lui nel modo più affine all’uomo.

 

Ora, rispetto alla civiltà greca, dobbiamo però dire che essa fu preceduta dal terzo periodo; questo fece il suo corso, e mentre declinava venne preparandosi la civiltà greca; durante il declinare della civiltà babilonese, che si riversò dall’oriente all’occidente nella piccola penisola meridionale d’Europa, nella penisola greca, si formò il germe della corrente di nuova vita che doveva riversarsi nell’umanità. Dobbiamo cioè dire che la vita greca portò alla sua massima espressione il puro elemento umano, quel che l’uomo può trovare completamente in se stesso, ma non si deve credere che queste cose non abbiano bisogno di una preparazione. Anche ciò che designiamo come il puro elemento umano dovette prima venire insegnato agli uomini da potenze soprasensibili attraverso i misteri, precisamente come oggi viene portata e insegnata nei mondi soprasensibili, dalle guide dell’evoluzione umana a ciò preposte, quella libertà ancora più alta che si deve preparare per il sesto periodo di civiltà.

 

Dobbiamo quindi dire che là dove all’osservazione esteriore la civiltà greca appare come se in essa tutto scaturisse soltanto da puro elemento umano, in realtà essa aveva già dietro a sé un tempo in cui aveva subito l’influsso dell’insegnamento di entità spirituali superiori. Esse le diedero la possibilità di spiccare il volo verso le sue cime puramente umane. Per questo la civiltà greca si perde al suo inizio negli abissi di tempi preistorici, in tempi in cui come fondamento della civiltà greca veniva coltivato nei misteri quel che poi, come eredità della antica saggezza dei templi, in modi grandiosi fu rivestito di forma poetica da Omero e da Eschilo. Così dobbiamo considerare ciò che con tanta maestà ci si presenta in quelle inarrivabili figure come qualcosa che quegli uomini elaboravano sì nelle loro anime, che era un contenuto delle loro anime, un tessere dell’io nell’io, ma che prima era stato immesso nelle loro anime da entità superiori nella sacra sede dei templi. Questa è la ragione per cui ci appare così incomprensibilmente profondo e grande ciò che vive nella poesia di Omero e di Eschilo; bisogna però leggere le tragedie di Eschilo non in una traduzione moderna, ma rendersi conto che tutta la grandiosità di ciò che viveva in Eschilo non è ancora stato estratto del tutto in una lingua moderna, e che i traduttori moderni hanno proprio scelto la via peggiore per comprendere Eschilo.

 

Per poter sentire l’essere della civiltà greca, occorre quindi considerarla tenendo presente la profondità dei sacri misteri. Ed essendo stati trasmessi umanamente agli artisti greci i segreti della vita del mondo soprasensibile, poterono plasmarsi anche nella plastica greca, nel marmo o nel bronzo, i segreti che originariamente erano stati dei templi. Persino quello che ci si presenta nella filosofia greca ci mostra con giusta chiarezza come il meglio di quanto essa potè dare fosse in realtà antica sapienza dei misteri, solo tradotta in intelligenza, in comprensione razionale. Questo appunto ci viene simboleggiato nel detto tramandatoci secondo cui il grande Eraclito offerse nel tempio di Diana in Efeso la sua opera sulla natura; il che equivale a dire che Eraclito volle offrire in sacrificio alle potenze spirituali dei tempi anteriori, con le quali si sapeva in relazione, ciò che gli era possibile esprimere per la propria azione dell’io nell’io. Dallo stesso punto di vista comprendiamo anche il profondo significato del detto di Platone che potè dare ai greci una filosofia così profonda, eppure si vide costretto ad ammettere che tutta la filosofia dei suoi tempi non era nulla in confronto alla saggezza antica che gli avi avevano ricevuto dagli stessi mondi spirituali. In Aristotele poi, tutto già ci appare come un antico patrimonio di sapienza reso astrattamente in forme logiche, come mondi viventi ridotti a concetti. Ma poiché Aristotele è come alla fine della corrente antica, spira tuttavia in lui come un soffio dell’antica sapienza. Nei suoi concetti e nelle sue idee, per quanto astratti, si sente ancora un’eco delle perfette armonie che risonavano nei templi e che diedero la vera e propria ispirazione non solo alla sapienza greca, ma anche all’arte e a tutto il carattere del popolo greco. È infatti caratteristico di ogni civiltà che al suo inizio essa non afferri soltanto il sapere e l’arte, ma l’uomo nella sua totalità; l’uomo tutto è così l’impronta della saggezza e della spiritualità che vivono in lui. Se poi pensiamo come già verso la fine della civiltà babilonese, da profondità sconosciute sorga la civiltà greca, potremo riconoscere le ultime conseguenze dell’azione che nell’età delle guerre persiane venne esercitata dai templi antichi sul carattere greco. In quelle guerre vediamo infatti gli eroi greci, infiammati di ardente entusiasmo per l’eredità trasmessa loro dagli avi, slanciarsi contro la decadente fiumana orientale che minaccia di travolgerli. Potremo misurare l’importanza di quello slancio entusiastico, quando la sapienza dei templi e i maestri degli antichi misteri greci combattevano nelle anime degli eroi greci durante le guerre persiane contro gli ultimi residui della civiltà orientale, della civiltà babilonese accolta dagli ultimi persiani, potremo misurarne l’importanza, se porremo davanti all’anima nostra il quesito: che ne sarebbe stato dell’Europa meridionale, e in seguito di tutta l’Europa avvenire, se l’urto delle grandi masse fisiche dell’oriente non fosse stato respinto dal piccolo popolo greco? Le gesta compiute allora dai greci furono il germe di tutto quello che da allora in poi si è venuto svolgendo nelle civiltà europee fino ai nostri giorni.

 

Neppure sarebbe potuto fiorire per l’oriente ciò che Alessandro riportò dall’occidente all’oriente (sebbene in un modo che in un certo senso non è del tutto giustificabile), se prima il magnifico entusiasmo, vivente nelle anime greche per i tesori di saggezza dei templi, non avesse respinto quelli che erano destinati a scomparire, anche rispetto alle loro forze fisiche. Se afferriamo tutto ciò, riconosceremo non solo gli effetti della saggezza del fuoco di Eraclito, delle grandi idee di Anassagora e di Talete, ma anche delle reali dottrine dei custodi della saggezza sacra dei templi nella Grecia preistorica; vi sentiremo l’azione di potenze spirituali che donarono alla Grecia quello che doveva esserle dato; ne sentiremo la ripercussione nelle anime degli eroi greci combattenti contro i persiani nelle diverse battaglie. Così dobbiamo imparare a sentire la storia, poiché quella che di solito ci viene presentata come storia in fondo non è altro che una vuota astrazione d’idee, quando va bene. Ciò che in un tempo successivo è l’azione di un tempo precedente si può osservare soltanto risalendo a quello che era stato dato alle anime umane magari per millenni, e che in un certo momento assume poi forme concrete. Da che cosa dipese che ai greci, in questa ascesa, potesse venir dato tanto da parte dell’antica saggezza dei misteri? Dipese dal loro carattere di universalità, di ampiezza, di noncuranza di fronte a tutto il resto. Vi era una forza primordiale e spontanea, capace di saturare di sé tutto l’uomo e di imprimergli una direttiva immediata.

 

Giungiamo così a ravvisare la peculiare caratteristica delle civiltà in ascesa fino al loro culmine. In quelle fasi delle civiltà tutto ciò che è vivo e attivo nell’uomo: la bellezza e la virtù, l’utile e l’acconcio, le intenzioni e i propositi dell’uomo, tutto viene visto come qualcosa che scaturisce direttamente dalla saggezza, dalla spiritualità. La saggezza è quella che contiene in sé la virtù, la bellezza, e tutto il rimanente. Quando l’uomo è compenetrato, ispirato dai tesori della sapienza dei templi, tutto il resto viene da sé. Così viene sentito nelle fasi di ascesa. Ma dal momento in cui i problemi e i sentimenti si disgiungono, in cui per esempio la questione del bello e del buono diventa indipendente di fronte alla questione dell’origine divina, da quel momento inizia il tempo della decadenza. Possiamo quindi essere sempre sicuri di vivere in una fase di decadenza, quando sentiamo insistere sul fatto che accanto alla spiritualità originaria debba venir specialmente coltivato qualcosa d’altro, che qualcosa d’altro debba essere l’essenziale. Quando non si ha la piena fiducia nello spirito, e nel fatto che esso sia capace di generare ciò che occorre alla vita umana, la corrente della civiltà, unitaria nella sua ascesa, si scinde in correnti singole. Lo vediamo là dove nella vita greca si mischiano interessi estranei alla saggezza, allo slancio spirituale; lo vediamo nella vita dello Stato, e lo vediamo anche in quella parte della vita greca che ci interessa principalmente: nella vita spirituale immediatamente dietro ad Aristotele. Allora si comincia a chiedere non solo che cosa è il vero, domanda che già include l’altra: che cosa è il buono e l’utile? ma a formulare la seconda domanda indipendentemente dalla prima. Si chiede: di quale natura deve essere il sapere, perché l’uomo divenga tale da raggiungere un fine pratico nella vita? Ecco in quella fase di decadenza fiorire lo stoicismo. Per Platone e per Aristotele nella saggezza era contenuto al tempo stesso il bene; tutto lo slancio al bene poteva derivare unicamente dalla saggezza. Invece gli stoici chiedono che cosa deve fare l’uomo per diventare saggio nella pratica della vita, per vivere bene in senso utilitario. Finalità pratiche si mischiano in quello che prima era slancio universale verso la verità.

 

Con l’epicureismo si mescola poi qualcosa per cui gli uomini cominciano a domandare come ci si possa meglio regolare intellettualmente affinché la vita scorra nel modo più beatificante, più interiormente armonico. Talete, Platone, ancora Aristotele, avrebbero risposto: “Ricerca la verità e da essa avrai la beatitudine suprema, il germe dell’amore”. Ma ora si scinde questo problema da quello della verità, e ciò produce una corrente di decadimento. Stoicismo ed epicureismo sono infatti correnti di decadimento. Ne deriva sempre che la verità diventa dubbia per gli uomini e perde ogni sua forza. Contemporaneo allo stoicismo e all’epicureismo nasce perciò nella fase decadente lo scetticismo, la mania del dubbio di fronte alla verità. Quando poi scetticismo o mania del dubbio, stoicismo, epicureismo, hanno tenuto il campo per qualche tempo, l’uomo, che pure aspira alla verità, si sente come straniato dall’anima universale e limitato alla sua anima. Allora egli si guarda attorno e si dice: “Ora non è più il tempo in cui gli impulsi fluiscono nell’umanità attraverso la corrente perenne delle potenze spirituali”. Si sente quindi rimandato alla sua vita interiore, al suo proprio soggetto. Questo compare nell’ulteriore svolgimento della vita greca, nel neoplatonismo, in quella filosofia che non ha più relazione con la vita esteriore, che guarda dentro se stessa e vuol tendere alla verità con l’ascesa mistica del singolo. Abbiamo così una fase che sale e un’altra che discende gradino per gradino. Quello che si è venuto formando nell’ascesa va poi man mano perdendosi quasi in un lento stillicidio finché, con l’avvicinarsi dell’anno 1250, comincia per l’umanità una ispirazione non facilmente osservabile, ma per questo non meno grande; un’ispirazione che ho già tratteggiato ieri e che dal secolo sedicesimo in poi va nuovamente languendo, perché da allora, accanto ai problemi relativi alla verità, vanno in sostanza nuovamente sorgendo tutti i problemi particolari: si ritorna al punto di vista che vuol scindere il problema del bene, il problema dell’utilità esteriore, dall’unico grande problema della verità. Così, mentre le personalità spirituali dirigenti che stavano sotto l’impulso dell’anno 1250, considerarono la verità in tutte le correnti umane, vediamo più tardi prevalere assolutamente il principio di separare i problemi della vita pratica da quelli della verità vera e propria. All’ingresso della nuova fase di decadenza, che significa il precipitare di tutta la vita spirituale, all’ingresso di questa fase sta Kant. Nella prefazione alla seconda edizione della Critica della ragion pura egli dice esplicitamente: «Io dovetti respingere entro i suoi limiti l’aspirazione alla verità, per ottenere il campo libero per ciò che vuole la religione pratica». Da qui la separazione netta fra ragione pratica e ragione teorica: nella ragione pratica i postulati di Dio, libertà, immortalità, puramente ordinati al bene, nella ragione teorica la distruzione di ogni possibilità di conoscenza per penetrare in un qualsivoglia mondo spirituale. Tale è la situazione storica e certo, sulle orme di Kant, camminerà ancora per molto l’aspirazione alla saggezza del nostro tempo. Quando poi la nostra corrente veramente spirituale accenna a quell’ampliamento della facoltà conoscitiva, a quell’elevazione di tale facoltà al di sopra di se stessa grazie alla quale può penetrare nei mondi soprasensibili, per molto tempo ancora ci sentiremo rispondere da ogni parte: “Sì certo, però Kant dice. . .”. In tali antitesi si svolge realmente il cammino storico dell’uomo, e in ciò che si presenta istintivamente come un presentimento, sotto a ciò che è semplice maya e che viene preso per la verità, vediamo nondimeno negli istinti umani scorrere in gran parte la corrente del giusto e del vero. È infatti straordinariamente interessante notare come in certi presentimenti, che dall’istinto popolare affiorano nella vita pratica, traspaia la parabola discendente dell’evoluzione umana fino al periodo greco-latino, e poi quella ripresa ascendente da noi auspicata.

 

Nel considerare retrospettivamente le grandi figure dirigenti della storia umana che nei tempi precristiani, o meglio nei tempi pregreci, furono strumenti di entità delle gerarchie superiori, quali pensieri potevano affacciarsi alle anime che avevano un senso per queste cose? Ancora i greci dovevano dirsi che quegli impulsi erano venuti attraverso uomini in cui erano fluite forze divine, super-umane. Questo vediamo vivere nella coscienza di tutte le antiche epoche. Le personalità dirigenti, dalle figure degli eroi fino a Platone, venivano considerate come figli degli dèi; vale a dire, dietro alle personalità che appaiono nella storia, gli uomini scorgevano il divino quando riguardavano indietro ai tempi preistorici, a tempi sempre più lontani; in Platone e negli eroi ravvisavano esseri discesi, anzi persino generati da entità divine. Così vedevano unirsi i figli degli dèi con le figlie degli uomini al fine di far scendere l’elemento spirituale sul piano fisico. Così erano visti in quegli antichi tempi i figli degli dèi, i semidèi, cioè gli uomini il cui essere era connesso col divino. Dal momento invece in cui sentirono di poter parlare dell’azione dell’io nell’io, di quello che vi è nella personalità umana, i greci designano le loro somme guide col nome dei sette saggi, e indicano così ciò che era divenuto puro elemento umano, discendendo dai figli degli dèi.

 

Che cosa doveva poi dire l’istinto dei popoli nei tempi successivi alla Grecia? Si trattava ora di presentare ciò che l’uomo elabora sul piano fisico, e come lo innalza con tutto il suo frutto al mondo spirituale. Se cioè nei tempi più antichi si sentiva di dover vedere la spiritualità prima dell’uomo, e l’uomo fisico come un’ombra, se durante il periodo greco si vedevano dei saggi che per così dire vivevano come io nell’io, nei tempi successivi alla Grecia si dovettero vedere delle personalità che vivevano sul piano fisico e si innalzavano poi allo spirito mediante ciò che vive nel fisico. Questo concetto è nato dall’istinto di un sapere. Come l’epoca pregreca ebbe figli di dèi, come i greci ebbero dei saggi, così i popoli che seguirono hanno dei santi che si elevano alla vita spirituale attraverso quello che si conquistano sul piano fisico con le loro azioni. Qui vi è qualcosa che vive nell’istinto dei popoli, e noi possiamo vedere come dietro alla maya vi sia davvero qualcosa che storicamente spinge avanti l’umanità.

 

Se riconosciamo tutto questo, allora ciò che vive in questi tempi si illuminerà nella singola anima umana, e comprenderemo come il karma di gruppo debba modificarsi per il fatto che gli uomini sono in pari tempo strumenti del divenire storico. Comprenderemo così le indicazioni della cronaca dell’akasha: come per esempio dobbiamo vedere in Novalis un’individualità che risale fino all’antico Elia. È questa una successione di incarnazioni oltremodo interessante. In Elia vediamo emergere l’elemento profetico, poiché era missione degli ebrei preparare gli eventi avvenire. E li prepararono col passaggio dai loro patriarchi ai profeti, attraverso la figura di Mosè. Mentre in Abramo vediamo ancora come l’ebreo senta in se stesso, nel suo sangue, l’influsso dell’azione di Dio, osserviamo in Elia il trapasso al rapimento nei mondi dello spirito. Tutto si prepara a poco a poco. In Elia vive un’individualità che già in tempi antichi si compenetra con ciò che deve venire in futuro. Poi vediamo come questa individualità deve essere strumento per preparare la comprensione dell’impulso del Cristo; vediamo rinascere l’individualità di Elia in Giovanni Battista, strumento per eventi più elevati. In Giovanni Battista vive un’individualità che fa di lui uno strumento, ma per servire come tale era necessaria l’alta individualità di Elia.

 

Vediamo poi come questa individualità sia atta a versare ciò che dovrà operare nel futuro in forme che erano possibili soltanto sotto l’influsso del quarto periodo postatlantico. Per quanto singolare possa apparire, la stessa individualità ricompare in Raffaello che ricollega nella pittura l’impulso cristiano, che deve agire attraverso tutti i tempi, con le forme meravigliose dell’età greca. Qui possiamo riconoscere come il karma individuale di questa entelechia si comporti rispetto all’incarnazione esteriore. Per l’incarnazione esteriore era necessario che in Raffaello si potesse esprimere una potenza del tempo, e per tale potenza era adatta l’individualità di Elia-Giovanni. Ma i tempi potevano fornire soltanto un corpo il quale, sotto l’impulso di una simile potenza, era necessariamente fragile; per questo Raffaello muore così presto.

 

Poi la stessa individualità deve estrinsecare l’altro lato del suo essere in un tempo in cui già le singole correnti si separano, e rinasce in Novalis. In Novalis vediamo veramente vivere in una forma peculiare quello che ci vien dato oggi attraverso la scienza dello spirito; al di fuori della scienza dello spirito nessuno seppe infatti dare così giusta espressione alle relazioni fra corpo astrale, corpo eterico e corpo fisico, o fra gli stati di veglia e di sonno, come li espresse Novalis, il risorto Raffaello. Questi sono i fatti che ci mostrano le individualità quali strumenti della corrente continua dell’evoluzione dell’umanità; se osserviamo l’umano divenire, l’enigmatico alternarsi delle vicende storiche, possiamo avere un sentore delle profonde potenze spirituali viventi in esso. Il “prima” trapassa nel “poi” in modo singolare.

 

Ho già accennato altre volte* alla peculiare prospettiva storica che ci offre il passaggio da Michelangelo a Galilei. Un uomo intelligente (si noti bene che qui non si tratta di reincarnazione, ma di una continuità storica) rilevò la stranezza del fatto che la meravigliosa architettura della basilica di S. Pietro ci rivela come lo spirito umano abbia intessuto in essa quella che viene chiamata scienza meccanica. Nelle forme grandiose della basilica di S. Pietro, per di più tradotte in bellezza e in grandiosità, scorgiamo i pensieri meccanici di cui l’intelletto umano era capace, scorgiamo il pensiero di Michelangelo. L’effetto della vista della chiesa di S. Pietro può manifestarsi in molti modi, e forse qualcuno potrà aver avuto la medesima esperienza dello scultore viennese Natter. In compagnia di un amico, egli si avviava un giorno in vettura verso la chiesa di S. Pietro; fino ad allora non l’aveva ancora vista; improvvisamente l’amico che era con lui lo sentì gridare dallo spavento mentre balzava dal sedile della vettura. In quel momento gli era apparsa la chiesa di S. Pietro. Più tardi Natter non voleva più ricordarsene. Ma chiunque vede qualcosa di così grandioso e magnifico, può veramente subire una simile impressione. Il prof, uomo molto intelligente, notò in una sua conferenza che il grande pensatore di concetti meccanici, Galileo, insegnò intellettualmente all’umanità quello che Michelangelo aveva costruito in forme spaziali nella chiesa di S. Pietro. Nei pensieri di Galileo ci si ripresenta così intellettualmente ciò che in S. Pietro ci sta davanti come cristallizzato quale meccanica umana. È anche singolare che lo stesso Mùllner facesse osservare nella medesima conferenza che il giorno della morte di Michelangelo coincide con quello della nascita di Galileo. Vale a dire che l’elemento intellettuale, i pensieri che da Galileo furono meccanicamente estrinsecati in intellettualità, riaffiorarono proprio in una personalità nata nel giorno in cui moriva chi li aveva esteriorizzati nello spazio. Qui dovrebbe sorgere la domanda: chi, attraverso Michelangelo, ha inserito nella costruzione di S. Pietro la meccanica che soltanto più tardi l’umanità ricevette per mezzo di Galileo?

 

Quasi in un abbozzo, ho così esposto singoli pensieri attinenti all’evoluzione storica dell’umanità; vorrei avessero suscitato nei vostri cuori il sentimento di come le potenze spirituali vere ed effettive operano nella storia attraverso i loro strumenti. È questo il sentimento giusto che deve risultare da uno studio della storia occulta che voglia dare ai nostri cuori il giusto sentimento per il divenire nel tempo, per il progredire nel tempo. E oggi, in questo passaggio da un anno all’altro, potrà essere opportuno meditare al fine di risvegliare il sentimento per il divenire umano e divino nel tempo. Se i nostri cuori e le nostre anime potessero accogliere come vivente sentimento quello della trasformazione della scienza da progressi occulti nel corso del tempo, potessero accogliere il sentimento per l’intessere e il lavorare attivo nel progresso dell’umanità, nel quale siamo inseriti, allora forse in quel sentimento potrebbe anche vivere nella nostra anima un augurio per l’anno nuovo. Alla fine di queste conferenze desidero qui far scendere tale augurio nelle anime degli ascoltatori, affinché quello che è stato detto sia considerato l’inizio per la formazione di un sentimento del tempo. In un certo senso può essere simbolico il fatto che abbiamo usato il passaggio da un anno all’altro per far agire nella nostra anima idee relative a momenti di transizione fra periodi storici.