Allocuzione

O.O. 327 – Impulsi scientifico-spirituali per il progresso dell’agricoltura – 11.06.1924


 

Mi sia concesso anzitutto esprimere la mia più profonda soddisfazione per la creazione del Circolo sperimentale degli agricoltori, proposto dal conte Keyserlingk, al quale si sono ora unite le persone interessate all’agricoltura che assistono per la prima volta a una riunione di questo genere. Il Circolo è nato al momento giusto, dopo che già in precedenza il sig. Stegemann, a seguito di sollecitazioni giuntegli da parecchie parti, si era dichiarato disposto a comunicare il contenuto dei suoi colloqui con me negli ultimi anni relativi alle linee direttive riguardanti l’agricoltura; sono direttive che egli ha applicato con lodevole iniziativa in diversi settori della sua azienda agricola. Ne seguì una discussione fra il nostro benemerito conte Keyserlingk e il sig. Stegemann, e da essa nacque il colloquio che condusse alla risoluzione di cui è stata data lettura e grazie alla quale oggi ci troviamo di nuovo riuniti qui.

 

È motivo di profonda soddisfazione che, quali esecutori degli esperimenti collegati a queste linee direttive (perché all’inizio non possono essere che linee direttive), un certo numero di persone si sia riunito per fare tali esperimenti, confermare le direttive in questione e mostrare come possano venir utilizzate nella pratica. Occorre però che in questo momento, che vede nascere un’iniziativa in modo tanto soddisfacente, ci si proponga chiaramente di valorizzare le esperienze che sono state condotte nell’ambito del movimento antroposofico in vari settori pratici, evitando gli errori che si sono resi manifesti quando l’attività centrale antroposofica si è estesa al campo delle attività periferiche, anche a proposito della presentazione al mondo di quello che l’antroposofia deve e può dare per i settori più vari della vita.

 

Per il lavoro di questo Circolo agricolo avrà ora certamente un interesse particolare tutto quanto è stato acquisito dall’esperienza attraverso l’introduzione dei principi antroposofici nel campo della scienza in generale.

A questo proposito è accaduto in certo modo che coloro che hanno amministrato a modo loro, con intima dedizione e fedeltà, l’elemento centrale dell’antroposofia non si sono sempre trovati in piena intesa con quelli che, stando alla periferia, volevano applicarla ed elaborarla nei singoli settori della vita. Lo abbiamo notato specialmente a proposito della collaborazione con i nostri istituti di ricerca scientifica. Da un lato vi sono dunque gli antroposofi in quanto tali che sono immedesimati nell’elemento centrale dell’antroposofia quale concezione del mondo, quale contenuto della vita, e che Io vivono intensamente in sé, magari in ogni minuto. Sono antroposofi che amano l’antroposofia, la praticano, la considerano il contenuto della loro vita e ritengono di regola, anche se non sempre, che sia stato fatto molto quando si siano guadagnate alla concezione antroposofica una o più persone. Quando operano nel mondo esterno vogliono soltanto guadagnare aderenti all’antroposofia, e credono veramente che la gente debba essere presa così come è, con armi e bagagli: per esempio un professore universitario di un ramo qualsiasi della scienza, come è inserito nel suo ramo scientifico. Questi antroposofi, con la loro magnanimità e il loro amore, credono naturalmente che si possa prendere tale e quale anche l’agricoltore con il suo terreno e i suoi annessi e connessi, con i prodotti che vanno al consumatore, e portarlo tale e quale da oggi a domani in seno all’antroposofia. Questa è l’opinione degli antroposofi che partono dal punto di vista “centrale” dell’antroposofia, ma si sbagliano. Se anche molti di loro si proclamano miei fedeli seguaci, avviene spesso che in effetti lo siano, ma soltanto con il loro sentimento, e che sorvolino invece su quel che devo dire in momenti decisivi. Per esempio non vogliono sentirmi dire che è un’ingenuità credere che un professore o uno scienziato di oggi possa essere di punto in bianco guadagnato all’antroposofia. Non è possibile perché uno dovrebbe rompere con due o tre decenni di vita passata, e per di più scavare un abisso alle sue spalle. Nella vita bisogna prendere le cose come sono.

 

Gli antroposofi credono spesso che la vita consista nel pensare. Invece essa non consiste di solo pensare. Queste cose devono esser dette, affinché trovino anch’esse il buon terreno su cui cadere. Chi con bontà d’animo e fedeltà di cuore vuol collegare all’antroposofia un campo qualsiasi della vita, anche scientifico, non si è chiaramente reso conto di questa realtà quando si è assunto un lavoro nell’ambito dell’antroposofia stessa; egli parte dall’errata opinione che si debba lavorare come finora ha fatto la scienza, esattamente con gli stessi metodi invalsi fino ad oggi appunto nella scienza. Per esempio abbiamo fra noi un certo numero di persone che lavorano in campo medico, antroposofi veramente cari e buoni; essi credono di dover usare quanto deriva dalla medicina antroposofica secondo gli stessi principi medici invalsi fino ad oggi. A questo riguardo una completa eccezione è costituita dalla dottoressa Wegman. Essa ha visto con chiarezza ciò che è necessario nella nostra Società.

 

Che cosa si sperimenta in sostanza nel campo medico? Non si tratta tanto di diffondere la concezione centrale antroposofica, quanto di diffondere nel mondo quel che proviene dall’antroposofia. In proposito si osserva che la gente dice: abbiamo fatto anche noi fino ad ora queste cose, siamo specialisti del ramo, con i nostri metodi lo possiamo dominare, possiamo giudicarne senza dubbi. Quello che raccontano risulta però in contrasto con ciò che abbiamo riscontrato con i nostri metodi. Dicono anche che è sbagliato, ma abbiamo sperimentato che cosa avviene quando dicono di poter fare meglio quel che semplicemente vogliono imitare dagli scienziati. È infatti innegabile che essi possano far meglio, per il semplice motivo che negli ultimi anni il metodo d’indagine ha fagocitato la scienza stessa. Ora le scienze dispongono soltanto di metodi d’indagine, non sanno più affrontare direttamente i fenomeni nella loro realtà oggettiva, sono state divorate dalla metodologia; si possono così avere oggi indagini nelle quali non vi è più nulla di sostanziale. Abbiamo sperimentato che gli scienziati, con i loro metodi improntati a particolare esattezza, andavano su tutte le furie quando venivano gli antroposofi i quali non facevano che applicare i loro metodi. Che cosa comprova tutto ciò? Che le belle cose che noi possiamo fare, le eccellenti indagini compiute dal nostro istituto biologico mandavano su tutte le furie gli altri, quando i nostri scienziati parlavano nelle loro conferenze degli stessi metodi. Gli altri andavano su tutte le furie, perché sentivano ripetere le stesse cose che essi erano già abituati a trattare in determinati nessi di pensieri.

 

Abbiamo però potuto osservare anche qualcos’altro di importante: alcuni dei nostri studiosi hanno deciso di allontanarsi dal sistema di copiare gli altri, e lo hanno fatto soltanto a metà, in modo da essere completamente scientifici come gli altri, per esempio nella prima metà di una conferenza, usando di conseguenza scrupolosamente i metodi della scienza nelle loro argomentazioni. Ma questo rendeva furioso il pubblico: che imbroglio sta introducendo costui nelle nostre cose? che significato ha? è un prepotente, un temerario che si introduce di soppiatto con dilettantismo nella nostra scienza! Nella seconda parte i nostri oratori erano poi semplicemente passati a parlare della vita vera e propria, come non può essere fatto nel vecchio modo, ma attingendo antroposoficamente dal sovraterrestre. Allora gli stessi che prima si erano infuriati cominciarono a prestare una straordinaria attenzione, divennero curiosi di sentire e cominciarono a interessarsi ardentemente. La gente vuole di certo l’antroposofia, ma non sopporta (a buon diritto, come ho dovuto riconoscere) un nebuloso mixtum compositum che vuole incollare assieme antroposofia e scienza. Non si faranno progressi per questa via.

 

Per questo saluto con grande gioia che dall’iniziativa del conte Keyserlingk sia derivato che ora un gruppo di agricoltori di professione voglia collaborare con la Sezione per le scienze naturali che è stata fondata a Dornach. La Sezione per le scienze naturali, come altre iniziative, è derivata dal Convegno di Natale. Da Dornach arriverà dunque ciò che è necessario. Partendo direttamente dall’antroposofia, troveremo così metodi scientifici di grande precisione e anche le direttive necessarie. Non posso però trovarmi d’accordo con il conte Keyserlingk quando dice che il Circolo degli agricoltori di professione dovrà rimanere soltanto un organo esecutivo. Ci si potrà convincere che da Dornach verranno direttive, indicazioni che richiederanno però da ognuno una totale collaborazione, se vorrà davvero collaborare dal posto in cui si trova. Noi dovremo anzi cominciare a ricevere da voi le basi su cui impostare i nostri primi lavori da effettuare a Dornach; il come si chiarirà alla fine di queste conferenze, perché dovrò dare le prime direttive già alla fine della conferenza di oggi; dovremo fissare tali direttive in modo che soltanto dopo aver avuto le vostre risposte potremo fare qualcosa. Per questo motivo avremo bisogno fin dall’inizio di collaboratori attivi, attivissimi; non di semplici organi esecutivi.

Per ricordare qualcosa che abbiamo trattato in questi giorni con il conte Keyserlingk, un podere è un’individualità a sé, nel senso che non è mai simile a un altro. Clima e tipo di terreno danno già le primissime basi per l’individualità di un podere. Un’azienda agricola in Slesia non è simile a un’altra situata in Turingia o nella Germania meridionale. Ognuna è veramente un’individualità a sé. Proprio secondo una visione antroposofica, le astrazioni, le genericità, sono prive di valore, e più ancora lo sono volendo entrare nella pratica. Che valore può avere il discorrere soltanto in via generale di problemi pratici, di aziende agricole?

 

In generale si deve tener presente che cosa è concreto, e allora si giunge alla giusta applicazione. Come con le lettere dell’alfabeto si possono comporre le più svariate parole, così si dovrà procedere anche per tutto quanto è stato esposto qui, perché da esso si dovrà comporre ciò che si desidera. Quando si vuol parlare di cose pratiche, sulla base dei sessanta collaboratori presenti, si tratterà veramente di trovare le premesse e gli spunti pratici per tali sessanta veri agricoltori. Si tratterà anzitutto di cercare che cosa sappiamo in questa direzione. Ne risulterà quale potrà essere la prima serie di sperimentazioni da fare, e poi si tratterà di lavorare praticamente. A questo scopo abbiamo bisogno di soci attivissimi; ci occorre gente davvero pratica in seno alla Società antroposofica, gente che sappia anche che proprio la pratica si giova a volte di cose che non possono diventare realtà dall’oggi al domani. Si sbagliano gli antroposofi, quelli che ho designato come tendenti a partire dal centro della dottrina antroposofica, se credono che un professore, un agricoltore o un medico, vissuti per decenni in un certo ambiente, possano dall’oggi al domani acquisire una convinzione antroposofica. La cosa apparirà chiara con l’agricoltura. L’agricoltore che sia già antroposofo e anche abbastanza idealista potrebbe senz’altro, passando dal ventinovesimo al trentesimo anno di età, imboccare la via dell’antroposofia anche con la sua azienda agricola, ma il terreno e le attrezzature agricole, con tutto quanto si frappone fra lui e il consumatore, potranno seguirlo? Queste cose non possono diventare antroposofiche fra i ventinove e i trent’anni, e quando uno se ne accorge perde facilmente il coraggio.

 

Si tratta proprio di non perdere sempre il coraggio, perché quel che conta non è il successo momentaneo, ma il lavoro indefesso. Si dovrà fare quanto è possibile. Uno potrà di più, un altro di meno. Anche se sembra un paradosso, avverrà perfino che si farà di più cercando di limitare inizialmente l’estensione di terreno da coltivare alla nostra maniera. In una modesta superficie di terreno vi è molto meno da rovinare che non su di un’area estesa. In questo modo i miglioramenti dovuti alle direttive antroposofiche risulteranno più presto, appunto perché non si dovrà cambiare troppo. Anche il risultato pratico sarà più evidente che non applicando subito il metodo in un’azienda di grandi dimensioni. Le cose dovranno venirci realmente incontro in modo positivo proprio in un campo tanto pratico quanto quello dell’agricoltura, se il nostro gruppo riuscirà ad affermarsi. È assai curioso che durante la prima riunione si sia parlato, con molta benevolenza e senza punta di ironia visto che la gente se ne è rallegrata, dei diversi punti di vista del conte Keyserlingk e del signor Stegemann. La discussione aveva preso un andamento tale che quella sera quasi credetti necessario di fare appello alla direzione del Goetheanum o a qualcun altro per sedare gli spiriti bollenti. Gradatamente però mi sono convinto di qualcosa d’altro, e cioè che quel che prevale è un fattore di intima tolleranza esistente fra gli agricoltori, un intimo valorizzarsi a vicenda fra colleghi, mentre la ruvidità dei modi è soltanto esteriore.

 

Effettivamente l’agricoltore, più di chiunque altro, sente il bisogno di difendersi, in quanto spesso ci si immischia dall’esterno in faccende che lo concernono e sulle quali lui soltanto è il vero competente. È però senz’altro vero che nel suo fondo si scopre una certa dose di tolleranza, e questo dovrebbe venir giustamente sentito nel nostro gruppo; ne faccio menzione perché ritengo proprio necessario che si inizi con una buona partenza. Ancora una volta esprimo la mia profonda soddisfazione per quanto si è svolto qui; credo che siano state prese in debita considerazione le esperienze della Società antroposofica, che ciò che è stato qui avviato costituisca un grande beneficio, e che da Dornach non si mancherà di essere attivi e si collaborerà con chi vorrà impegnarsi attivamente nell’iniziativa. Non abbiamo che da rallegrarci, vedendo realizzare quel che è stato avviato qui a Koberwitz. Quando poi il conte Keyserlingk dice che io mi sono preso un bel fastidio a venire qui, mi viene da chiedergli, non certo per avviare ora una discussione, di che cosa io possa lamentarmi: sono venuto qui per trovarmi nelle più belle e gradevoli condizioni, tutti i lavori scomodi sono fatti da altri, e a me è restato solo l’incarico di parlare ogni giorno; è vero, davanti a persone che mi incutevano un certo rispetto perché rappresentano un campo nuovo. Davvero la mia fatica non è così grande. Se penso invece alla fatica che si sono assunta sia il conte Keyserlingk sia le persone della sua casa, a tutto ciò che hanno dovuto preparare minuziosamente, devo riconoscere che tutti i particolari curati da coloro che si sono occupati di realizzare l’iniziativa sono qualcosa che supera di molto la mia fatica, in fondo consistita nell’occupare il mio posto in un’opera già preparata. È un punto sul quale non posso essere d’accordo col conte Keyserlingk, e prego tutti di ringraziare lui per quel che abbiamo trovato di meritevole nella realizzazione di questo corso sull’agricoltura, tenendo ben presente che senza la ferrea costanza con la quale mandò il suo personale rappresentante a Dornach senza la sua insistenza, fra le tante e tante cose che devono avvenire partendo da Dornach forse non si sarebbe realizzato il corso in quest’angolo lontano della Germania orientale. Non sono affatto d’accordo che i sensi di gratitudine siano rivolti a me; spettano in sommo grado al conte Keyserlingk e alla sua casa. Questo volevo ancora aggiungere sul nostro incontro.

 

Al momento non c’è più molto da dire, se non che a Dornach avremo bisogno che ognuno dei partecipanti al Circolo invii una relazione sulla natura del suo suolo, sulle condizioni esistenti su di esso, e sulla loro reciproca azione. Per una documentazione di base si deve naturalmente sapere con precisione come stiano le cose che si riferiscono a quelle relazioni. Si tratta in sostanza delle cose pratiche che ognuno conosce meglio di noi a Dornach: costituzione del terreno di ogni singola azienda, patrimonio boschivo, colture operate negli ultimi anni, entità dei raccolti; cioè tutte le notizie che dobbiamo sapere e che ogni agricoltore deve conoscere se vuole amministrare la sua terra con ragionevolezza, anzi con agricola saggezza. Si tratta dei primi dati che ci sono necessari: ciò che vi è nell’azienda e le esperienze che ogni singolo vi ha fatto. Sono informazioni dette alla svelta e riassuntivamente. Il modo di mettere insieme questi dati risulterà nel corso di questo convegno; verranno esposti orientamenti per l’agricoltura in merito ai nessi esistenti fra i frutti dati dal terreno, la sua consistenza e l’ambiente circostante.

 

Con queste parole credo di avere caratterizzato a sufficienza ciò che il conte Keyserlingk si attende dai partecipanti al Circolo in merito alla documentazione. Egli ha rivolto a noi tutti calde parole, ma non dovrà e non potrà rimanere la fine distinzione che egli ha fatto tra agricoltori e uomini di scienza, con gli agricoltori legati a questo Circolo da un lato, e gli uomini di scienza a Dornach dall’altro. Dobbiamo per così dire crescere assieme. A Dornach si dovranno fare quanto più possibile esperimenti agricoli, nonostante gli altri compiti scientifici, ma la scienza che verrà da Dornach dovrà avere un carattere tale da poter dare la sua luce anche alla più conservatrice testa di contadino. Spero che siano state soltanto parole di cortesia quelle del conte Keyserlingk quando diceva di non capirmi, di una cortesia sui generis, e penso senz’altro che Dornach e il Circolo cresceranno insieme come due gemelli. Tanto è vero che il conte Keyserlingk mi ha dato da ultimo il titolo di grande agricoltore, il che conferma in lui il sentimento che il crescere assieme è realizzabile; d’altra parte io non posso venir insignito di un simile titolo semplicemente perché ho mescolato il preparato di letame prima di venire qui, per poi doverlo di necessità far continuare da altri, dato che io non lo avevo mescolato quanto basta; bisogna infatti mescolarlo a lungo. Io ho potuto soltanto cominciare a farlo, e altri hanno dovuto continuare.

 

Sono piccolezze, ma in realtà io non me ne sono staccato perché sono radicato proprio nel mondo agricolo, in esso sono sempre rimasto col mio atteggiamento. Ne ho accennato nella mia autobiografia: ho seminato patate, sia pure in piccola misura, non in un’azienda grande come questa, e se non ho allevato cavalli come allevatore di professione, ho invece allevato maiali, se non altro come collaboratore, e ho partecipato anche all’allevamento delle mucche nelle immediate vicinanze. Tutte queste cose mi sono state vicine per un lungo periodo della mia vita; ho collaborato nell’agricoltura e vi sono quindi portato con amore perché sono cresciuto nell’agricoltura. Quelle esperienze determinano di più il mio essere che non il mescolare ora per un poco il preparato di letame. Da questo punto di vista devo anche dichiarare di non essere del tutto consenziente con l’affermazione che in agricoltura conti più la grande azienda, il grande agricoltore; guardando retrospettivamente alla mia vita, posso anzi affermare che in senso agricolo è del massimo valore non il grande agricoltore, ma il piccolo contadino che proprio come giovane apprendista lavora in un’azienda. Se poi le dimensioni del lavoro si faranno grandi e assumeranno forma scientifica, tutto dovrà ugualmente tener conto dell’autentica zucca dura del contadino, tanto per usare un termine popolaresco. Questa origine mi è servita più di tutto il resto che ho intrapreso più tardi. Vi prego perciò di considerarmi piuttosto un piccolo contadino innamorato dell’agricoltura, un contadino che si ricorda del tempo in cui fu tale, e che proprio per questo può comprendere quel che vive nel cosiddetto spirito agricolo. Potete star certi che questo a Dornach sarà compreso.

Sono sempre stato dell’opinione, e non vi era alcuna ironia come forse poteva sembrare, che una certa ottusità, la chiamo addirittura stupidità, è saggezza davanti a Dio, davanti allo spirito, ho proprio sempre trovato che il giudizio dato dal contadino è molto più intelligente di quel che pensano gli scienziati. L’ho spesso constatato, ed è così ancor oggi. Porgo più volentieri ascolto alle esperienze che ha occasione di riferirmi chi lavora direttamente il suo campo, che non a tutte le statistiche arimaniche che vengono dalla scienza; ho sempre provato gioia a udire quelle esperienze perché le ho sempre trovate molto sagge. Proprio quando si trattava di lavorare in pratica, trovavo particolarmente ottusa la scienza. Invece quel che può aprire gli occhi alla scienza e la può rendere intelligente è l’ottusità dell’agricoltore; un po’ di questa ottusità deve potervi penetrare, ed è questo il nostro sforzo a Dornach. Tale ottusità diventerà così saggezza davanti a Dio. Se instaureremo su queste basi la nostra collaborazione, avremo un inizio schiettamente conservatore che sarà al tempo stesso un progresso molto radicale. Questi giorni saranno per me un bellissimo ricordo, soprattutto se questo corso diventerà il punto di partenza di un autentico e saggio atteggiamento agricolo che compenetri il metodo scientifico divenuto non ottuso, perché lo offenderei, ma morto. Il dottor Wachsmuth ha già respinto quel metodo di una scienza morta in favore di una scienza viva che venga fecondata anzitutto dalla saggezza degli agricoltori. Crescano così insieme come fratelli siamesi Dornach e il Circolo! Dei gemelli si dice che pensino e sentano allo stesso modo. Facciamo altrettanto, e nel migliore dei modi progrediremo insieme lungo il nostro cammino.