Il linguaggio figurato

O.O. 279 – Euritmia linguaggio visibile – 04.07.1924


 

Sommario: Le tre fasi del passo: il sollevare, impulso volitivo – il portare, pensiero – il posare il piede, l’atto. Il linguaggio tra pensiero e sentimento. L’atteggiamento dell’uomo antico di fronte ai suoni e il pensiero astratto. L’euritmista deve appropriarsi di tutto ciò in modo essenziale. Il verso giambico, il trocaico e l’anapesto. Con le forme spaziali si entra nell’elemento poetico del linguaggio. La configurazione interiore del linguaggio forma immagini. Il suono come tale è sempre immagine. Metafore. Sineddochi. Camminare all’indietro, in avanti o di lato.

 

Vogliamo discutere oggi qualcosa che si correla con il linguaggio configurato, il linguaggio che passa gradualmente nell’elemento artistico. Quando eseguiamo l’euritmia, possiamo fare movimenti con il corpo restando fermi oppure camminando; e abbiamo già visto quale significato abbia in effetti il camminare.

 

Il camminare è in fondo l’emanazione di un impulso volitivo. In euritmia si tratta di conoscere secondo la loro essenza le cose che sono in relazione con il linguaggio, quindi anche con il linguaggio visibile. Nel camminare possiamo distinguere chiaramente tre fasi diverse tra loro: in primo luogo il sollevare il piede, in secondo luogo il portarlo e in terzo luogo l’appoggiarlo. Si deve essere consapevoli del fatto che un’intera configurazione può essere rappresentata in queste tre fasi. Abbiamo dapprima il sollevare. Poi il piede rimane privo di appoggio, viene portato; la seconda fase è quindi il portare. E la terza è l’appoggiare.

Quando si cammina nella vita abituale non occorre naturalmente preoccuparsi di queste cose nei dettagli, ma in euritmia tutto deve divenire cosciente.

 

1 — Sollevare

2 — Portare

3 — Appoggiare

 

Vi è quindi grande differenza tra i modi in cui possono essere eseguite queste tre fasi del camminare.

Sollevare il piede indica chiaramente l’impulso volitivo che risiede nell’azione del camminare; nel sollevare abbiamo quindi a che fare con l’impulso volitivo che risiede nell’azione del camminare. Se guardiamo invece il portare, abbiamo allora a che fare con il pensiero che sta alla base di ogni azione volitiva.

Abbiamo quindi a che fare in primo luogo con l’impulso volitivo in quanto tale. In secondo luogo, nel portare, con ciò che rappresenta il pensiero che si esprime in questo impulso volitivo. Nell’appoggiare, l’atto volitivo è compiuto, nell’appoggiare abbiamo a che fare con l’azione.

 

1 — Sollevare: impulso volitivo

2 — Portare: pensiero

3 — Appoggiare: azione

 

Già ora si arriva a una differenziazione per cui si può eseguire la fase mediana più lunga o più breve, allungando più o meno il passo. La fase mediana dovrà servire prevalentemente a rappresentare il pensiero che si esprime attraverso l’azione volitiva, a dare forma a questo pensiero.

Invece nell’appoggiare il piede, si può sempre esprimere se l’impulso volitivo raggiunga l’obiettivo oppure se si arresti prima. Se si appoggia il piede in modo incerto come se ci si trovasse su ghiaccio sottile, con tale modo di camminare si esprime l’insicurezza dell’obiettivo. Se si appoggia il piede con forza, sicuri di trovare terreno solido, si esprime in tal modo di avere dinanzi un obiettivo sicuro.

 

Quando si tratta della rappresentazione di una poesia, si dovrà nuovamente analizzarla e domandarsi se nella poesia vi sia questo o quell’aspetto. Queste cose diverranno chiare in particolar modo applicandole. Passiamo ora ad esaminare ulteriori peculiarità del camminare. E qui giungiamo al passo ritmico, con questo alla rappresentazione poetica in assoluto che deve fluire nell’euritmia, nei suoi movimenti, nelle sue forme.

Qui dobbiamo soprattutto considerare il fatto che il ritmo dev’essere portato nel linguaggio, sia grazie all’accentuazione, sia alla lunghezza e alla brevità delle sillabe. Il ritmo deve anche apparire in ciò che eseguiamo euritmicamente. Non si potrebbe affatto definire euritmia la nostra arte se non tenessimo realmente conto anche del ritmo.

 

Arriviamo così a qualcosa che va preso in considerazione nell’euritmia della parola, qualcosa che deve veramente imprimersi molto in profondità in chi abbia a che fare artisticamente con il linguaggio. Nell’ambito dei nostri rapporti umani civilizzati abbiamo il linguaggio della prosa e quello poetico. Quanto più indietro andiamo nell’evoluzione dell’umanità, tanto più troviamo veramente che il linguaggio poetico è l’unico e che l’uomo, quando parla, ha sempre la nostalgia di penetrare nell’elemento poetico del linguaggio, nell’elemento artistico del linguaggio. Il linguaggio ha, proprio per sua natura, la caratteristica di stare al centro tra pensiero e sentimento. Da un lato vi è il pensiero, dall’altro il sentimento. Ambedue, pensiero e sentimento, li sperimentiamo interiormente in quanto uomini. Mentre ci esprimiamo, mentre ci manifestiamo, poniamo il linguaggio proprio tra pensiero e sentimento.

 

Pensiero

Linguaggio

Sentimento

 

L’uomo di una precedente evoluzione non aveva ancora quell’interiorizzazione che abbiamo oggi nella vita emotiva. Aveva veramente sempre la nostalgia, quando sentiva qualcosa, quando aveva un sentimento come esperienza della sua costituzione animica, di sentire nell’interiorità delle parole, parole non tanto chiaramente definite come le nostre, che significano tuttavia un risuonare interiore articolato. Udiva interiormente quando sentiva.

L’uomo più primitivo non pensava però come pensiamo oggi, ma pensava in parole. Solo che le parole nelle quali pensava erano più definite di quelle nelle quali sentiva. Aveva quindi un risuonare interiore in parole, non un pensiero astratto come abbiamo noi; aveva un risuonare interiore in parole, non un sentire interiorizzato che non ha bisogno di parole come oggi. Soltanto chi immagini come la vita animica primitiva fosse strettamente legata alla configurazione interiore della parola, del suono, vedrà che in base all’evoluzione del linguaggio, del pensiero e del sentimento, questo recitare interiore risiedesse un tempo nel pensare e sentire degli uomini, un recitare interiore che si differenziò poi da un lato nel linguaggio, che rimase artistico, dall’altro nel risuonare puramente musicale, privo di parole, di suoni che agiscono soltanto a seconda della loro altezza e così via. Lo abbiamo già considerato nel trattare l’euritmia musicale.

 

Ma, come terzo elemento, si distaccò poi il vero pensiero. Ci occuperemo soltanto della differenziazione fra il linguaggio configurato artisticamente e quello che diviene prosa, in cui il pensiero viene ancora espresso nel suo significato, nel suo contenuto mediante la parola, ma non esiste più la necessità di configurare il linguaggio come tale.

 

Nell’ultima epoca, divenuta sempre più materialistica, poiché l’elemento prosaico del pensiero astratto è associato al materialismo, si andò sempre più perdendo il sentimento corretto della configurazione artistica del linguaggio. Vi sono oggi moltissime persone che non hanno più il senso di una configurazione artistica del linguaggio, perché in esso vedono soltanto l’espressione di pensieri in cui la forma non ha più importanza.

 

Non tratterei queste cose in modo tanto dettagliato se non fossero importanti per la comprensione dell’elemento euritmico. Infatti già nel considerare i suoni in euritmia dovemmo partire da qualcosa che contiene un elemento artistico. Abbiamo espresso il contenuto animico interiore dell’elemento sonoro, per così dire regredendo sino a un’epoca in cui si sentiva dentro la parola ciò che l’anima sperimenta nel suono, in cui si aveva quindi ancora un vero e proprio linguaggio dei suoni. Oggi non si ha più un linguaggio dei suoni, oggi si ha un linguaggio del significato in cui viene colto soltanto il senso dei pensieri. Da qui deriva quell’errore nell’atteggiamento di chi recita o declama che consiste nel trascurare la configurazione artistica del linguaggio, il suo elemento musicale e plastico, limitandosi all’uso dell’accentuazione, come avviene anche nella prosa.

 

L’euritmista deve in sostanza far propria questa differenza tra prosa e linguaggio poetico o artistico. In effetti per la comprensione è indifferente se una cosa viene espressa in modo bello o brutto, sublime o meno sublime. Il configurare artistico del linguaggio dipende però proprio dalla qualità del sentimento. Dobbiamo quindi lavorare a fondo per una comprensione di questa configurazione artistica.

 

Si deve sviluppare dapprima un sentimento per l’elemento giambico e per quello trocaico. Considerando l’elemento giambico, per ora non ha importanza se faremo precedere una sillaba meno accentuata a cui ne seguirà una fortemente accentuata oppure se faremo precedere una sillaba corta e poi una sillaba lunga. Vogliamo ancora parlare di queste particolarità che determinano poi la differenza fra recitare e declamare. Si deve soltanto sentire che cosa significhi veramente quando faccio precedere una sillaba non accentuata, a cui ne segue una accentuata, e continuo a muovermi in avanti con questo ritmo: Auf Bergen flammen Feuer (Sulle montagne fiammeggiano fuochi). Abbiamo una sillaba non accentuata, una accentuata, una non accentuata, una accentuata, una non accentuata, una accentuata, una non accentuata (l’ultima sillaba viene a cadere). Partiamo da qualcosa di più calmo, da qualcosa che ha meno slancio, arrivando poi a qualcosa di più forte; passiamo dal più debole al più forte. Questo dà al camminare il carattere particolare dell’andare verso una meta, del voler raggiungere una meta. Sentiremo, camminando in questo modo, che seguiamo il ritmo che si forma soltanto dalla prima e seconda sillaba insieme — sentiremo di aver a che fare qui con l’elemento intimo del volere. La natura giambica dà al linguaggio un carattere volitivo.

 

Prendiamo l’opposto. Partiamo da qualcosa di accentuato, passando al non accentuato: Trag mir Wasser herab (Portami giù dell’acqua). Abbiamo proprio l’opposto: la partenza da qualcosa di forte, di importante, poi il passaggio a qualcosa di più debole, di meno importante. Si sentirà allora che continuando a muoversi con tale ritmo, si parte immediatamente da qualcosa di definito. Questo elemento definito può essere presente soltanto quando si abbia una chiara rappresentazione, un chiaro pensiero. Non si aspira a qualcosa, ma si detta il proprio chiaro pensiero. Si ha a che fare qui con il pensare che si esprime naturalmente nel fare; ma predomina il pensare.

Il volere, l’aspirare domina nella misura del giambo.

Il pensare, il completare, il realizzare del pensiero domina nel metro del verso trocheo.

 

In tutte queste cose non si possono comprimere i significati. Naturalmente qualcuno può sentire questo elemento energico, immaginandosi di scendere da una montagna, e potrebbe venirgli in mente di chiamare anche questo volere, mentre l’altro elemento nella metrica del verso potrebbe essere definito vedere. Approfondendo queste cose, si troverà tuttavia che questo significato (quello eseguito) è quello corretto.

 

Si tratta ora di inserire veramente nel camminare il giambo e il trocheo. Anche questo è già stato esercitato. (Viene eseguito un movimento giambico).

(Agli euritmisti: «Adesso potete fare Trag mir Wasser herab, perché l’altro carattere si evidenf con forerà collegandovi anche un forte incedere. Dovrete camminare durante il suono profondo, appoggiare il piede con forpz al suono alto eseguendolo. Come dovrete incedere? Appoggiando le punte dei piedi e poi tutto il piede.)

 

Questo va capito in modo preciso dagli euritmisti. Si tratta di camminare in modo normale appoggiando la punta dei piedi e poi il piede; non si deve quindi saltellare sulle dita dei piedi, ma appoggiare la punta e poi tutto il piede.

Vediamone degli esempi:

 

⌋  o | o | o |

Auf Bergen flammen Feuer

(Sulle montagne fiammeggiano fuochi)

 

o | o | o |

Trag mir Wasser herab

(Portami giù dell’acqua)

 

Ci diverrà tutto più chiaro inserendo una configurazione più forte nella struttura del verso. Invece di dare forma ad aspirazioni, volontà, desideri che per così dire giungano subito ad esaudimento, possiamo anche esprimere la nostalgia trattenuta dietro il volere con due toni bassi, seguiti da un tono alto, due toni bassi, un tono alto, due toni bassi, un tono alto. Allora abbiamo un camminare anapestico.

Ora chiunque segua l’andamento anapestico di un discorso e lo confronti per esempio con un andamento giambico, noterà la differenza; vi è effettivamente una differenza enorme. Immaginiamo di esprimere come anapesto:

 

⌋ | o | | o | | o |

Von mir bist du zum Menschen gebildet

(Da me fosti fatto uomo)

 

Giungiamo qui con maggiore difficoltà alla sillaba pesante. Questo giungervi con più difficoltà significa una configurazione più intima della parola che la spiritualizza cosicché, parlando in anapesti, abbiamo una spiritualizzazione del linguaggio, una sua interiorizzazione.

 

Von mir bist du zum Menschen gebildet

(Da me fosti fatto uomo)

 

Ora nell’elemento euritmico è naturalmente importante che lo si veda, che venga udito importa meno, perché deve essere un linguaggio visibile, e per questo è necessario che ci si abitui già a mostrare un appoggio forte; allora l’appoggio più debole diverrà visibile da sé. Se sarà evidenziato sollevando o abbassando il corpo, soltanto allora diverrà veramente euritmico.

Se ora si configura ulteriormente l’altro, l’elemento trocaico, ne deriva il metro dattilico: accentuato, non accentuato, non accentuato, accentuato, non accentuato, non accentuato, accentuato, non accentuato, non accentuato.

Vogliamo prendere questo come esempio. Si potrebbero naturalmente invertire i segni, è indifferente:

 

o ⌋ | o | | o | | o | | o | | o |

Sing mir, unsterbliche Seele, der sùndigen Menschen Erlòsung

(Cantami, anima immortale, la redenzione dei peccatori)

 

Cerchiamo di esprimere il dattilo nel passo per mostrare come sia piuttosto un dettare, un dire, un affermare. Se si vuole arrivare al carattere puro, non bisogna seguire con il corpo, ma anzi restare un po’ indietro ed eretti.

Trova espressione in questo modo ciò che in euritmia può venir rappresentato come fluire del tempo. E tale fluire che viene rappresentato qui mediante l’euritmia. Per questo l’euritmia è tanto espressiva, ha possibilità d’espressione tanto grandi poiché si può esprimere contemporaneamente nel tempo e nello spazio. Ha meno possibilità espressive se si tratta di una persona, maggiori se si tratta di un gruppo; in determinate relazioni, anche quando vi è una persona sola che con il braccio destro e la gamba destra può eseguire forme simmetriche, variate con il braccio sinistro e la gamba sinistra. Una possibilità espressiva si ha anche nello spazio quando la persona mostra soltanto forme di movimento in quanto tali. Ma quando si ha a che fare con gruppi, si dà più forza alla forma, alla configurazione. Proprio in tali forme nello spazio, nell’elemento spaziale, vi sarà la possibilità di entrare nell’elemento poetico del linguaggio, di penetrarvi persino più facilmente ed agilmente di quanto non si possa nel recitare e nel declamare.

 

In una compiuta recitazione si deve afferrare l’elemento artistico interiore espresso dal linguaggio, ed è più difficile che con l’euritmia. Nella prosa, si tratta di compendiare in modo chiaro quello che si vuole esprimere dicendo una parola o una frase. Si deve almeno credere di afferrarlo. Nella prosa si ha addirittura la cosiddetta definizione per arrivare ad una maggiore chiarezza. La definizione è certo una cosa spaventosa poiché suscita l’idea che si possa in tal modo esprimere chiaramente qualcosa, mentre lo si esprime in modo soltanto pedante. Finché non vi è chiarezza circa il significato delle parole, le definizioni non servono a nulla. Inoltre anche per un oggetto relativamente semplice, una definizione esauriente dovrebbe muoversi in infiniti contorcimenti; altrimenti ne nasce quel che ho spesso raccontato come esempio, e cioè come una volta qualcuno definì l’uomo “una cosa che ha due gambe e niente penne”. Il giorno dopo un altro portò un’oca e disse che, secondo la definizione, era un uomo poiché aveva due gambe e niente penne (l’oca era spennata!). Non sempre un’oca è un uomo, quindi la definizione in questo caso non colpiva veramente nel segno!

 

Nel linguaggio della prosa, si tende a un’espressione dai contorni netti che significhi, definisca una cosa. Con questo modo di parlare, non occorre arrivare al configurare artistico del linguaggio nel quale ci si rivolge alla fantasia; nasce però quasi subito il desiderio ardente di tornare alla fantasia, di darle qualcosa da fare. Per questo però non basta definire a grandi tratti ciò che si ha davanti, bisogna produrre una rappresentazione che dia alla fantasia la possibilità di giungere alla cosa, alla configurazione interiore.

 

Se qualcuno, indicando una ninfea, dice: Hier ist eine Wasserrose (Qui vi è una ninfea bianca), sta parlando in prosa. Se però dice: O bluhender Schivati (Oh cigno in fiore), parla in modo immaginifico, poetico. Ci si può infatti rappresentare senz’altro la ninfea,— che è bianca e si solleva al di sopra dell’acqua, come “cigno in fiore”. O al contrario ci si può immaginare il cigno come una ninfea bianca sull’onda:

 

O Wasserrose, du bluhender Schwan       O Schwan, du schwimmende Rose

(Oh ninfea bianca, tu cigno in fiore, oh cigno, tu rosa sull’onda.)

 

In tal modo non si ottiene affatto l’espressione precisa, ma una che vi si avvicina, che conduce verso ciò che si vuole definire.

Su che cosa si basa infatti l’immagine “tu cigno in fiore”?

L’immagine del cigno in fiore ha come carattere di non essere qualcosa di immediatamente reale. Così deve essere l’immagine che non ha una diretta relazione con la realtà. D’altro canto dobbiamo però anche percepire lo stimolo ad andare oltre l’immagine. Il fatto che un cigno non sia qualcosa di fiorente lo rende proprio un’immagine quando diciamo “cigno in fiore”. Ma proprio quando percepiamo che così viene indicato qualcosa che ci guida, veniamo portati a quello che dovrebbe essere effettivamente espresso.

 

La configurazione interiore del linguaggio si basa sulla possibilità di trovare immagini. La possibilità di trovare immagini nasce solo dalla consapevolezza che il suono come tale è sempre un’immagine: in effetti non vi è fra il suono e ciò che esso definisce un rapporto più diretto di quando dico “tu cigno in fiore” alla ninfea; infatti il nesso del suono con ciò che il suono definisce non si basa su un’astrazione, ma sulla vita immediata.

E quindi ogni uso dei suoni è in effetti basato sul fatto che il suono è un’immagine di quello che esso vuole propriamente definire. Se ci si abitua quindi a vedere immagini nei suoni, ci si abituerà a poco a poco ad avere sensazioni per l’uso di immagini e si apprenderà che il linguaggio poetico, il linguaggio artistico deve avere immagini in quanto linguaggio configurato.

Quando dico “tu cigno in fiore” per la ninfea bianca oppure quando mi rivolgo al cigno e dico “tu rosa sull’onda” ho veramente solo una caratteristica che lega i due: il bianco abbagliante; tutto il resto è diverso. Se vogliamo accennare spazialmente a questo rapporto, possiamo solo dire che essi hanno in comune il bianco abbagliante, mentre il resto è del tutto diverso.

Si possono formare tali immagini. Sono sempre metafore. La metafora è dunque un’immagine che utilizza una o più caratteristiche per percepire l’affinità tra due cose e poi presenta l’una, che nomina, mediante l’altra che non è nominata, assumendo qualcosa dell’altra. In tal modo otteniamo la metafora. La caratterizzo intenzionalmente non come viene fatto di solito, perché non sarebbe artistico, non la caratterizzo quindi logicamente, ma cerco di trarla dai suoi elementi.

 

Proseguendo, possiamo fare quanto segue. Possiamo usare una rappresentazione di qualcosa di ristretto ed intendere qualcosa di più ampio. Si possono intendere per esempio gli animali feroci, e volendo essere più precisi, non gli animali feroci in genere, ma i leoni, il carattere del leone. Se però definiamo tutti gli animali feroci con il carattere del leone, parliamo in immagini. Soltanto dal contesto deve risultare chiaro che si usa l’elemento più limitato per quello più ampio e allora avremo gli animali feroci; si intende l’elemento più ampio, ma vi arriviamo attraverso quello più limitato. Anche nella vita quotidiana usiamo spesso questo tipo di immagine; ad esempio quando diciamo: “Il tale è una vera mente musicale”, non intendiamo che egli sia solo una mente. Usiamo una parte per esprimere l’intero. Tuttavia in questo modo l’espressione è più pregnante, più immaginifica, è in grado di parlare alla fantasia, molto di più che se dicessimo: “Il tale è un eccellente uomo di musica”, se cioè ci esprimessimo in prosa. Può accadere di incontrare qualcuno molto pedante che parla proprio in questo modo.

 

Può avvenire anche il contrario. Quando si vuole esprimere una cosa qualsiasi in modo particolarmente forte, si può usare un elemento più ampio per uno più limitato. In questo caso si ha allora a che fare con la sineddoche. Vi è per esempio la bella immagine di Byron che egli usa per descrivere una signora, che ha qualche affinità con Santippe, e della quale dice che ha lo sguardo tipo “ramanzina da moglie”. Qui vi è realmente qualcosa di ampio che si può esprimere solo con l’immagine “ramanzina da moglie”. Si è usato l’elemento più limitato, la ramanzina, per qualcosa di ampio, lo sguardo. E una sineddoche che agisce in modo mirabile quando si esprime quello che può esservi solo nello sguardo della santippe più cattiva, inserendovi tutta una serie di scenate in cui si strilla, si inveisce, si strepita. Si è dunque introdotto un elemento più ampio per uno più limitato.

 

Si tratta ora di esprimerlo in euritmia, rappresentandolo dapprima nel modo più semplice. Quando si debba esprimere una metafora, si può renderla visibile con il passo laterale (verso destra o verso sinistra). Questo fluirà nella forma laddove vi sia un elemento metaforico.

In euritmia per esprimere la sineddoche, ciò che è più ampio per ciò che è limitato, ci si muoverà a ritroso. Al contrario usando ciò che è limitato per ciò che è più ampio, si procederà in avanti. Tutto questo risiede nella forma. Con una frase come: ha lo sguardo tipo “ramanzina da moglie”, ci si muoverà a ritroso; se si usa il termine leone per gli animali feroci, lo si esprimerà procedendo in avanti.

 

 

 

Nello spazio in cui si esegue l’euritmia, ogni movimento a ritroso significa sempre salire verso ciò che è più ampio, ogni movimento verso l’avanti significa penetrare in qualcosa di meno ampio.

 

Proviamo ad interpretare in questo modo: Zu Himmelsmächten streb’ ich (Aspiro alle potenze celesti), camminando a ritroso. E per cogliere immediatamente la differenza: In mein Kdmmerchen verschliess’ ich mich (mi chiudo nella mia cameretta). Esprimiamo il fatto che nel primo si va verso qualcosa di ampio solo con i passi, tutto deve stare dentro la forma: a ritroso. In mein Kdmmerchen verschliess’ ich mich: in avanti. Abbiamo così la possibilità di esprimere, nell’avanzare e nel retrocedere, l’intero significato interiore che risiede in ciò cui si è accennato.

 

Qualcosa di simile è di particolare importanza soprattutto per l’arte scenica. Infatti, si impara a camminare sul palcoscenico solo conoscendo il significato dell’avanzare, del retrocedere e del muoversi lateralmente. Altrimenti, se si deve recitare una preghiera sul palcoscenico, si riuscirà in talune circostanze, avanzando, a recitare qualcosa che vi somiglia, ma sarebbe spaventoso perché nella preghiera è naturale retrocedere. Per esprimere che si intende insegnare qualcosa, portarlo in pensieri, non si retrocederà ma si procederà in avanti.

 

Nella conversazione non si retrocederà, non si avanzerà, ma si camminerà lateralmente, poiché un corretto tono di conversazione è formato in senso metaforico.

Ciò cui ho accennato oggi darà in seguito nell’esecuzione, nell’euritmia, qualcosa che farà dell’euritmia della parola una vera arte.