Il sensibile-soprasensibile e la sua realizzazione attraverso l’arte – II

O.O. 271 – Arte e conoscenza dell’arte –17.02.1918


 

Sommario: Il rapporto dell’arte con la sfera sensibile e con quella soprasensibile. I processi animici nell’arte espressionista (dominio delle visioni) ed impressionista (superamento della natura grazie a una vita superiore). Sentire i colori. Curvare una superficie. La figura umana nel gruppo scultoreo del Goetheanum. Come l’arte realizza il sensibile-soprasensibile. La concezione goethiana sensibile-soprasensibile.

 

Uno studioso di valore, al di là di tutto il filosofare umano, fece una strana osservazione. In un libro da poco pubblicato e che parla a lungo della impossibilità e della inutilità di ogni filosofare umano, si sfoga così: «L’uomo non ha più filosofìa di un animale e se ne distingue soltanto perché fa frenetici tentativi per giungere a una filosofia, per ammettere poi alla fine di doversi rassegnare all’ignoranza». Il libro, che comunque vale la pena di leggere, raccoglie tutto quanto può esser detto contro la filosofìa. Per questa ragione l’autore divenne poi professore di filosofia in un’università. Vorrei citare un’altra sua osservazione che riguarda il modo umano di studiare la natura. L’osservazione è piuttosto radicale. Egli dice infatti che la natura è misteriosa in tutti i suoi aspetti e che l’uomo, se davvero sente il mistero della natura in tutti i suoi aspetti, altro non può che avvertire nell’anima l’infinita piccolezza del proprio essere. La natura si estende nella sua infinita eternità, e noi dovremmo in realtà sentire che di fronte ad essa possiamo solo guardare a bocca aperta con tutti i nostri pensieri e le nostre idee.

 

L’ho citato, e non si può dire che l’osservazione sia del tutto inesatta, perché in effetti, studiando la natura, non si avverte quanto poco quel che possiamo afferrare con i nostri pensieri corrisponda ai suoi grandi e infiniti segreti, anche se pratichiamo la scienza più intelligente. Se non si sentisse che il pensiero, al quale la natura nulla porta e che solo può formarsi nell’anima umana, si contrappone alla natura, se non si sapesse che il pensiero corrisponde a una necessità umana, se non si avvertisse che nell’attività del pensiero sulla natura vi è qualcosa di tutto il nostro destino umano e della nostra stessa evoluzione (e ne abbiamo bisogno, come la pianta ha bisogno del seme), di fronte a una matura e interiore autoconoscenza in effetti non sapremmo a che cosa riflettiamo sulla natura, ben sapendo che quando le siamo di fronte, con i nostri pensieri le siamo anche ben lontani.

 

Rispetto alla vita spirituale, soprasensibile, la situazione è diversa. Anche se quella che pi si presenta è insignificante, infantile, si sente un’interiore necessità di manifestare quello che lo spirito svela alla propria anima. Sebbene si debba avvertire la più intensa responsabilità di fronte a tutto quanto lo spirito manifesta, a ciò che si può dire movendo dalla sfera soprasensibile, a ciò che si può esprimere solo nell’anima, tuttavia si sente di doverlo seguire, di doverlo manifestare per interiore necessità, proprio come da bambini si cresceva o si imparava a parlare. Di fronte alla sfera sensibile e a quella soprasensibile ci si sente cioè in posizioni opposte.

 

Una terza cosa si potrebbe chiamare il riflettere sull’arte o parlarne. Quando ci si vuole esprimere sull’arte, non si sente né l’approssimazione che sempre si avverte quando si hanno pensieri in merito alla natura, né la necessità che ci sovrasta per le interiori manifestazioni del soprasensibile; cercando invece di esprimersi sull’arte, si ha piuttosto il sentimento di disturbare sempre con i pensieri che si sviluppano: di fronte al godimento artistico, il pensiero è in effetti davvero inopportuno. Per tutto quanto riguarda l’arte ci si vorrebbe sempre trattenere con i pensieri e con le parole, godendone in silenzio. Se tuttavia per una ragione qualsiasi si intende parlare dell’arte, non lo si faccia con l’atteggiamento di un professore di estetica o addirittura di un critico d’arte. Certo non quello di un critico d’arte, perché sembra superfluo, quando si sia mangiato un certo numero di vivande, venire edotti perché esse erano appetitose. Si vorrebbe solo dire delle esperienze che si sono fatte con l’arte, del piacere, dell’elevazione e così via; si sente cioè l’esigenza di parlare con un caro amico di quanto si è sperimentato. Movendo da una certa ricchezza di cuore, e non da un senso critico, si vorrebbe parlare dell’arte, anche senza pretendere di enunciare generalizzazioni o leggi con quel che si dice, per esporre soltanto una specie di confessione soggettiva. Che in effetti il pensiero disturbi mi sembra essere una sensazione costante in ogni discorso sull’arte, e appunto ciò mi sembra che indichi quel che in sostanza è il problema per l’arte.

 

Poiché noi uomini viviamo nel mondo sensibile, si può porre la domanda: in che relazione è l’arte con la sfera sensibile? Poiché possiamo sperimentare il mondo dei sensi in modo completo solo se abbiamo un rapporto con la sfera soprasensibile, si può anche chiedere: che rapporto ha l’arte con il soprasensibile? Mi sembra che un sentire elementare, che si sviluppa rispetto alla creazione artistica, debba portare molto presto alla convinzione che l’arte non è in grado né di rappresentare la sfera sensibile che direttamente ci circonda, né di dare espressione ai pensieri.

 

Di fronte al mondo sensibile, chi ha un senso per la natura dovrà sempre avere la sensazione che, quando la si ritragga e se ne voglia fare un’immagine, non si riesce a raggiungerla nella sua realtà, perché comunque la natura è sempre più bella e più perfetta di qualsiasi immagine. Rispetto all’elemento spirituale, e ciò risulta evidente nella letteratura poetica sulla concezione del mondo e in altre opere, si avrà invece l’impressione che, volendolo rappresentare, si descrive qualcosa di effimero e di superfluo. Oltre tutto poemi del genere hanno un carattere pedante e didascalico; allegorie e simbolismi respingono in effetti ogni vera sensazione artistica.

 

Così appunto il problema della relazione dell’arte con la sfera sensibile e soprasensibile può apparire come un problema vitale dell’arte. Di conseguenza ci si chiede: al di là della sfera sensibile e soprasensibile vi è ancora qualcosa che abbia a che fare con i compiti essenziali della creazione e del godimento artistici?

 

Sarà possibile dare una risposta soltanto occupandosi veramente del processo animico legato alla creazione e al godimento artistici, non però come lo descrive l’estetica ufficiale, ma solo come lo si sperimenta. Quando si è di fronte al mondo nella usuale vita oggettiva, per il momento non artistica, si ha a che fare da un lato con la percezione sensoria e dall’altro con ciò che a seguito delle percezioni elaboriamo nell’anima, con il pensiero. Pretendere dall’arte l’immagine di un essere umano quale ci viene offerta dalla natura con la percezione, per le ragioni esposte mi sembra essere qualcosa di impossibile e quindi di superfluo. Voler rappresentare artisticamente quel che ci porge la diretta percezione della natura deriva in effetti sempre da una certa deviazione dell’arte. D’altra parte sembra che si tenda a rimuovere per quanto possibile il pensiero dal reale processo della creazione e del godimento artistico e comunque a non farlo arrivare al pensiero; forse sembrerà strano, però lo si sperimenta, e ne ho già accennato a proposito del parlare dell’arte. Mi sembra che questo avvenga perché nell’anima umana si svolgono di continuo processi che possono giungere fino alla loro conclusione, oppure si interrompono in un punto qualsiasi. È possibile seguire questi processi soltanto se, con l’osservazione spirituale della vita dell’anima, ci si immerge davvero nelle sue profondità che per la coscienza usuale rimangono subconsce o inconsce.

 

Chi osservi la vita dell’anima umana, prescindendo dall’osservazione del mondo esterno, troverà che la vita dell’anima, in quanto si sviluppa libera nella riflessione, nella sensazione interiore, ha sempre una tendenza che non si può indicare se non dicendo: le sensazioni, gli impulsi volitivi repressi, i sentimenti e simili, in realtà anche in una sana vita dell’anima si sostanziano in quella che si può chiamare una specie di visione. In effetti si tende a che nelle profondità della propria anima la vita fluttuante e ondeggiante dell’anima si sostanzi in visione. In una sana vita dell’anima la visione non deve tuttavia manifestarsi, deve essere sostituita, al suo sorgere va trattenuta, altrimenti interviene una vita patologica dell’anima. In ogni anima vi è la tendenza a formare visioni, e in sostanza ci moviamo nella vita trattenendo di continuo le visioni nel subconscio, facendole impallidire nei pensieri. In questo ci aiuta l’osservazione, l’immagine esterna. Quando ci troviamo di fronte direttamente al mondo esterno con la nostra ribollente vita dell’anima, mentre su di noi agiscono le impressioni del mondo esterno, esso smussa ciò che vorrebbe diventare visione e la sbiadisce in un sano pensiero.

 

Dissi che in sostanza ci moviamo nel mondo sempre tendendo a formare visioni, solo che non sempre si portano a coscienza le corrispondenti percezioni in modo adeguato. Chi tuttavia cerchi di chiarire che cosa risuoni leggero fra le righe della vita in quel che si sperimenta ogni giorno, chi giunga a osservare tutto ciò, vedrà che davvero affiorano molte cose. Devo dire: se ad esempio entro per combinazione nella stanza da pranzo di qualcuno e vi trovo commensali che usano piatti e scodelle dipinte di rosso crederò senza volerlo e per una sensazione elementare che attorno a quella tavola sieda una compagnia di buongustai che intendono godere dei cibi e delle diverse portate. Se invece vedessi sulla tavola piatti e scodelle dipinte di blu, crederei che i commensali non sono buongustai, ma che mangiano perché hanno fame. Naturalmente si potrebbe sentire in modo diverso, non è questo il punto. Quel che importa è che in effetti sempre si cerca, attraverso quel che ci si presenta nella vita, di avere una sensazione estetica e in certo modo di portarla a una visione sbiadita. Certo è senz’altro possibile che in questo campo ci si abbandoni a grandi illusioni. Non è un danno. Se anche non fosse vero che i commensali che mangiano su stoviglie rosse sono buongustai, la cosa rimane del pari vera esteticamente. Si potrebbe anche dire: se qualcuno mi riceve in una stanza rossa e continua a farmi parlare, dico che è un gran noioso anche insincero, perché in una stanza rossa mi attendo qualcuno che abbia qualcosa da dirmi; sento quindi come una forma di menzogna che faccia parlare sempre me.

 

Nel corso di tutta la vita, in effetti tendiamo sempre a far sorgere in noi, a trattenere una visione che poi sbiadisce fra le altre impressioni della vita. Il godimento artistico e la creazione fanno sempre un passo avanti. L’attività e il godimento artistici non possono elevare a soli pensieri quel che nel subconscio brontola e ribolle nella vita dell’anima. Sarebbe qualcosa che ci compenetrerebbe di pensieri e che appunto non ci porterebbe a qualcosa di artistico. Se però come artisti, o perché l’artista ci viene incontro, siamo in grado di presentare, al posto di quel che ci sorge nell’anima, qualcosa di esterno, anche solo una sequenza di colori, se cioè sentiamo che quella sequenza colorata ci dà qualcosa di cui ci serviamo affinché la visione che sale dall’anima (e che non deve diventare tale) abbia una realizzazione esteriore, davanti a noi avremo di certo qualcosa di artistico. Posso pensare che qualcuno si limiti soltanto a manifestare con semplici mezzi artistici, atteggiamenti dell’anima o sentimenti, a riunire colori che magari non corrispondono ad alcun oggetto esterno (forse è anzi meglio se non corrispondono ad alcun oggetto), ma che comunque sono la controimmagine della visione che vuole formarsi nella sua vita animica.

 

In occasione delle ampie discussioni degli ultimi tempi sui più diversi temi artistici, sono anche stati rilevati fenomeni del genere; si parla allora di arte espressionistica quando qualcuno produce qualcosa che nulla ha a che fare con la realtà esterna, ma ha soltanto il compito che io ho appena indicato. Oggi è ancora proibito presumere che la nostalgia che si accumula nell’uomo e che tende a uno scopo corrisponda appunto a un carattere basilare dell’umanità: arrivare cioè a rendere sensibile ciò che nell’anima può manifestarsi solo spiritualmente. Volendo comunque manifestare un pensiero, qualcosa che dallo stadio della visione sia già giunto a quello di uno sbiadito pensiero, con qualsiasi mezzo sensibile, si sarebbe non artistici. Se si evitano però i pensieri e ci si pone direttamente di fronte la forma sensibile, si è stabilita la relazione fra l’uomo e ciò che è nato artisticamente, avendo escluso il pensiero. Si può così dire: essenziale è appunto che l’arte non rappresenta né la sfera sensibile, né quella soprasensibile, ma qualcosa di sensibile soprasensibile, qualcosa in cui il sensibile è il diretto contrario di un’esperienza soprasensibile. Attraverso l’arte non può realizzarsi né il sensibile, né il soprasensibile, ma soltanto il sensibile-soprasensibile.

 

D’altra parte ci si può chiedere: se non è accettabile copiare semplicemente nell’arte le percezioni che nella vita ordinaria ci vengono incontro dalla natura, come sarà possibile comportarsi artisticamente verso la natura stessa? Se la natura racchiudesse in sé soltanto quel che ci offre nella percezione sensibile e che sollecita la formazione dei pensieri, l’arte non avrebbe alcuna necessità di nascere. Si può parlare di una necessità della creazione artistica soltanto se nella natura vi è comunque qualcosa di più di quanto ci si presenta nei prodotti naturali, nel pensiero che nell’arte non deve venir meno un ponte fra noi e la natura stessa. Va detto in ogni caso che la natura ha in sé l’immensità, ha in sé anche l’intenso infinito che con i pensieri certo non arriviamo direttamente ad afferrare. Nelle sue forme sensibili la natura ha anche in sé il soprasensibile. Si giunge a vedere in che cosa consista il sensibile-soprasensibile della natura osservandola in modo da cercare di acquisire quel che in essa esiste al di là delle impressioni sensibili.

 

Vorrei farne un esempio: quando si è di fronte a qualcuno si può indirizzare la propria attenzione alla forma umana e al modo in cui attraverso di essa si manifesti l’incarnato, e anche l’anima nella fisionomia e nella mimica; si può seguire come in genere la vita impregni la forma esteriore. Lo si può certo fare. Volendo però copiare tutto quanto vi è in un essere umano, come ho detto non si raggiungerebbe la natura, perché rimane qualcosa di non artistico quando si copia semplicemente un oggetto naturale. Chi di fronte a un’opera d’arte cerca la somiglianza con l’oggetto naturale testimonia dal bel principio che non desidera vedere un’opera d’arte, ma un’illustrazione; queste cose van dette in modo radicale. Vi è anche dell’altro.

 

Si può dire che seguendo ciò che si manifesta nella forma umana, quel che appunto appare come forma viene ucciso da tutto quanto vive in essa: dal tono che proviene direttamente dalla vita, dal contenuto dell’anima. Questo è il segreto della natura: è tanto infinita nei suoi particolari da sopportare che ogni singolo particolare venga ucciso da un elemento che lo sovrasta. Avendo comprensione per queste cose, è possibile risvegliare dalla sua essenza a nuova vita ciò che è stato ucciso da una vita superiore, ucciso per esser stato compenetrato dall’anima, e tuttavia tanto ravvivato nella forma che questa è diventata un essere vivente, senza per altro avere in sé vita e contenuto animico. Occorre dare una forma ad esempio a quel che uno scultore deve usare, perché appunto lavora la materia; si scopre così che la natura è davvero infinita e che in ogni suo particolare essa nasconde molto più di quanto non mostri. Quando ci pone dinanzi una forma essa ne uccide la vita interiore, la vita vi è come incantata, e occorre disincantarla. Quando nella natura ci viene incontro qualcosa di colorato, il colore stesso è ucciso nell’oggetto stesso da qualcos’altro. Se prendo il solo colore, sono in grado di risvegliare nel colore stesso qualcosa che nulla ha a che fare col colore che è nell’oggetto. Dal colore creo una vita che è solo incantata nel colore quando esso appare alla superficie di un oggetto. È così possibile disincantare la vita incantata da tutto quanto ci viene incontro nella natura. E così possibile sciogliere dalla natura ciò che vi è in essa e nel suo intenso infinito, senza farne una copia, ma disincantando ciò che nella natura vi era stato ucciso da un elemento superiore.

 

Dicendo queste cose si è tentati di usare paradossi; non credo che questo disturbi, perché dai casi estremi e radicali si può vedere come poi la cosa si comporti in casi meno radicali. Come da un lato posso pensare che quando l’elemento artistico viene tratto dalla visione trattenuta, e io ne creo la controimmagine in forme, linee e colori, tali linee e colori possano venir riuniti in modo che null’altro rispecchino se non la visione trattenuta, così dall’altro lato posso dire: mi sembra possibile che da un essere naturale, diciamo un uomo in cui la vita stessa è uccisa, un uomo diventato cadavere, io crei con l’arte qualcosa di vivente, prendendo dal generale universo qualcosa che possa ancora ravvivare artisticamente il cadavere. Non occorre che esistano casi tanto estremi, ma come caso limite esiste la possibilità che, quando la natura abbia già ucciso un essere, avvenga una creazione a nuovo del cadavere perché viene preso qualcosa che è del tutto diverso, da quel che l’uomo stesso è nella sua anima, e ne animi la forma. Posso pensare che possa nascere un’affascinante opera d’arte che insuffli in un cadavere una nuova vita che rifletta i segreti esistenti nell’uomo, segreti che rimangono coperti soltanto perché fino alla sua morte egli ha in sé il proprio essere animico. Non occorre scandalizzarsi per un caso limite del genere. E appunto un caso limite, e da esso può risultare chiaro che, rispetto alla natura esteriore, l’attività artistica può essere attiva in questo modo; e in effetti sempre si svolge così la creazione artistica e il suo godimento, anche se non sempre portati fino al caso limite. L’arte è una continua liberazione di una vita misteriosa che non può esistere nella natura stessa e che deve esserne estratta. Nella forma umana sono di fronte a un prodotto della natura che è stata uccisa, ma cerco di risvegliare la vita propria di quella forma, di risvegliare tutto l’uomo dalla forma, sebbene essa sia soltanto forma morta.

 

La Genesi dice che l’uomo si formò dall’alito di Dio, che gli venne così insufflata l’anima. Questo potrebbe portare a vedere nell’aria qualcos’altro, al di là di una combinazione fra ossigeno e azoto. Potrebbe indurre a vedere nell’aria qualcosa che risvegli l’anima umana, qualcosa di animico; potrebbe indurre a credere che in sostanza l’aria aneli ad essere inspirata dall’uomo e a diventare un’anima. Si potrebbe vedere nell’aria la controimmagine dell’anima umana, qualcosa cioè di più di un elemento non vitale, un’aspirazione verso l’uomo. La realtà è comunque che con l’aria è difficilissimo arrivare a una sensazione del genere, perché aria e fuoco sollecitano poco una raffigurazione artistica. In effetti nessuno vorrà dipingere il fuoco o il fulmine, né vorrà disegnare l’aria. Tramite l’aria non sarà facile arrivare direttamente a tali sensazioni, ma un vero senso artistico mi sembra possa arrivarvi nel mondo della luce e del colore. Di fronte a questo mondo si può davvero avere la sensazione che tutti i colori, o almeno i rapporti fra i colori, abbiano l’aspirazione a divenire un essere umano intero, o quanto meno una parte di esso. In lui si trovano o come interiore espressione del suo essere, o perché la luce lo illumina e ne viene respinta. Tuttavia si può dire: vivendo nella luce, si vive l’aspirazione dell’aria a dar forma ad esempio al volto umano.

 

Si può avere la sensazione che il rosso e il giallo vogliano nell’uomo dar forma a qualcosa, che abbiano in sé un proprio linguaggio. Non si cercherà allora di copiare l’uomo in modo prosaico. Liberarsi dal modello diviene soprattutto un ideale della creazione artistica. Chi non supera il modello nel momento in cui inizia a creare, chi non lo considera come qualcosa che lo sollecita a carpire i segreti della natura, rimarrà dipendente dal modello stesso e creerà soltanto illustrazioni. Chi invece ha sentire artistico cercherà dal colore di dar forma a un uomo, a un altro essere o ad altro oggetto della natura. Per lui il mondo dei colori potrà acquistare una differenziata vita interiore. Troverà che il rosso e il giallo sono tali che tendono ad essere impiegati quando si intenda manifestare qualcosa che parli da se stesso. Quel che ci viene incontro nel rosso e nel giallo manifesta se stesso, per propria forza produce l’ideale dell’arte, escludendo i pensieri.

 

Diverso è quando ci si trovi di fronte al blu o al viola. Si avrà allora piuttosto la sensazione che con questi colori si seguono i pensieri, almeno in una direzione. Si avrà la sensazione che con il blu e il viola non si possa rappresentare qualcosa che manifesti se stesso, ma che piuttosto manifesti qualcosa d’altro. Si è tentati di rappresentare l’interiorità del blu, mostrandolo in movimento. Si farà anche l’esperienza che è difficile riprodurre un intimo movimento dell’oggetto e condurre col rosso linee precise. Direi che col rosso sorge piuttosto una fisionomia con sfumature. Il rosso parla per se stesso. Il blu, steso in linee, rivela la sua intima natura, ci porta sotto la superficie del colore piuttosto che fuori. Quando ci si esprime col colore si ha il sentimento che il colore ci respinga. Il blu ci porta sotto la superficie del colore e si crede che quel che si manifesta attraverso di esso sia possibile movimento, sviluppo di forza. Potrà così essere proficuo stendere il blu e il suo intimo movimento con le sue sfumature, volendo tradurre nel mondo sensibile un essere puramente sensibile-soprasensibile, o meglio un essere soprasensibile.

 

È così possibile disincantare quel che nella natura sempre ci si presenta come un particolare e che viene ucciso da una vita superiore. Nella natura stessa si trova l’elemento sensibile-soprasensibile e si arriva a ravvivare la semplice forma. Si troverà che mai sarà possibile dare davvero una soddisfacente impressione ridando semplicemente la forma umana, quale è nell’uomo, in una scultura. Molti anni fa ebbi una straordinaria esperienza con un amico scultore. Eravamo entrambi molto giovani, e una volta mi disse: «Certo si otterrebbe in effetti una giusta opera scultorea copiando con precisione ogni singola piega della superficie». Devo ammettere che quell’espressione mi face addirittura andare in bestia, perché mi sembrava che in quel modo potevano soltanto risultare le cose più orrende da un’attività artistica. Ogni volta infatti che nella forma umana viene uccisa la vita da qualcosa di superiore, ogni volta che la si vuol rendere nella pietra o nel legno senza quella vita interiore, occorre ravvivarla, occorre risvegliare la superficie per dire ciò che mai potrà esprimere l’uomo al naturale.

Si troverà ad esempio che quando si curva una superficie, e poi la si curva una seconda volta in modo da piegare la prima curvatura, si ha il più semplice fenomeno originario della vita interiore.

 

Una superficie curvata piegata in quel modo, tale che la curvatura sia di nuovo piegata, può essere usata nei modi più diversi e, naturalmente il discorso va ancora sviluppato, dalla superficie stessa risulterà la sua vita interiore. Queste cose ci dimostrano che vi è una relazione fra la natura esterna e l’interiorità umana la quale in verità ha un carattere sensibile-soprasensibile. Di fronte alla natura esterna arriviamo così alla formazione dei pensieri, perché essa tiene incantate le singole parti della natura e una vita spirituale superiore che viene uccisa da un elemento superiore. Di conseguenza noi dobbiamo afferrare quella vita uccisa con un pensiero spassionato. Se lasciamo da parte quel pallido pensiero e giungiamo a vedere ciò che è incantato nei particolari della natura e di fronte ad esso svolgiamo noi stessi il processo di dargli una vita superiore, effettuiamo il processo della creazione artistica e anche del godimento artistico.

 

Entrambi sono in relazione fra loro, solo che il secondo svolge dopo quel che nell’altro si era svolto prima: uno sviluppa prima quel che l’altro fa dopo. Seguendo questo modo di pensare, che tende all’intenso infinito della natura, alla possibilità di disincantare i segreti della natura, pensando a che cosa essi rappresentano nella vita dell’anima umana, si potrà dire che così non si suscita il pallido mondo dei pensieri. Quel che così si disincanta è più luminoso di quanto possa afferrare il solo pensiero. Tra l’oggetto esterno e l’anima umana si stabilisce comunque un legame nel quale il pensiero è escluso e in cui tuttavia si tende a una relazione spirituale tra l’uomo e l’oggetto.

 

Naturalmente si può continuare e si arriva allora a ciò che a molti oggi può apparire proprio assurdo e orribile. Lo si può comprendere, ma in un primo tempo alla gente è sempre apparso orrendo ciò che dopo un po’ si era abituata a vedere come ovvio. Osservando un uomo, e ora soltanto il suo scheletro, già da una superficiale osservazione si vede che lo scheletro consiste di due parti ben differenziate, tralasciando oggi tutto il resto: lo scheletro della testa, che in certo modo è come sovrapposto, e il resto dello scheletro. Per chi abbia un senso per le forme, non da uno studio anatomico ma da un’impressione generale dello scheletro della testa e del corpo, risulta che uno è la metamorfosi dell’altro, che in base alla forma è possibile pensare che le ossa principali della testa, quando vi è una sporgenza, essa può anche svilupparsi, mentre un’escrescenza può anche rientrare. Con una semplice trasformazione delle forme è in effetti possibile far derivare lo scheletro della testa da quello del corpo, e fino a un certo grado lo scheletro del corpo da quello della testa. Si può quindi dire che nella testa è incantato tutto l’uomo. Anche di fronte a uno scheletro privo di testa si sarà tentati di aggiungere in modo sensibile-soprasensibile la testa al resto dello scheletro, sempre che non si preferisca limitarsi alla sfera sensibile; si sarà tentati di far derivare dallo scheletro la visione della testa. Vi sono persone che non possono immaginarlo. È comunque impossibile che in natura si formi uno scheletro del corpo senza quello della testa.

 

Chi però col suo pensare non si ponga solo astrattamente di fronte alla natura, ma col suo sentire porti in sé l’essere della natura e arrivi a sentire l’oggetto della natura solo come esso deve essere, è naturale che gli appaia come in una visione anche lo scheletro della testa derivato da quello del corpo. A chi vede queste cose succede che se ha solo la testa e gli si completa in una visione tutto l’uomo, questo sarà diverso rispetto al fenomeno inverso. Sarà simile e tuttavia diverso. È quindi possibile anche dire: in natura l’uomo è creato nella sua completezza che consiste nella scissione in testa e rimanente organismo; tuttavia ognuna delle parti tende ad essere l’uomo intero.

 

In un tutto superiore è uccisa la vita che è incantata nel suo complesso in ognuna delle due parti. Se si esclude il pensiero che sorge quando ci si presenta un uomo, si è posti nella necessità di ricreare dalla propria interiorità ciò che così si prende dall’uomo, analizzandolo. In questo modo, seguendo la natura, si agisce creativamente come la natura. Si crea l’infinito, intenso e importante processo dell’unificazione di quel che era stato prima ucciso nelle sue parti, per riapparire a un gradino superiore. E ovviamente risulta diverso, ricreandolo nello spirito.

 

Credo che già nel pensare ciò susciti un certo orrore. Nel nostro edificio di Dornach abbiamo fatto il tentativo di scolpire un gruppo ligneo (ed è importante che sia di legno, perché in pietra non sarebbe stato possibile) riunendo in una figura centrale e a un livello superiore ciò che nell’uomo è anche riunito, però tramite la natura là dove i particolari sono stati uccisi da un elemento superiore. Certo si possono fare tentativi in ogni campo, ma qui il punto era di non voler restringere l’arte in qualche dogma. Tutti siamo asimmetrici. Si può comunque sentire che la parte sinistra vuole qualcosa in modo del tutto diverso dalla destra: abbiamo cioè in noi due individui, uno della sinistra e l’altro della destra. Quel che è suddiviso in due parti, in natura è riunito in una superiore unità, perché la singola volontà delle parti è stata uccisa. Alla sensibilità artistica, che si contrappone alla volontà della natura, direi che si presenta la figura completa delle due parti, sinistra e destra. In sostanza entrambe vogliono qualcosa di diverso, e l’artista, anche se per lui rimane nel subconscio, deve sperimentare il processo che la natura svolge su un altro gradino, uccidendo le due parti e pareggiandole nell’uomo intero.

 

Creando davvero artisticamente una figura la cui forma mette in luce che l’uomo è un essere asimmetrico, occorre però aggiungere qualcosa d’altro. L’elemento sensibile-soprasensibile, percepito, rende necessario aggiungere realmente le altre parti necessarie. Di conseguenza fu necessario creare altre figure, fu necessario pareggiare il separarsi e il riunirsi delle due parti, sinistra e destra, creando i due contrasti. Quale visione vive nell’uomo quando si pensi di completare il tronco umano a uomo intero?

 

Nell’altra figura si avrebbero viventi gli impulsi e gli istinti che dal torso salgono alla testa, quelli che potremmo chiamare luciferici. In modo diverso da come proposto dalla natura, si presenterà allora l’elemento luciferico: si modificheranno ad esempio le scapole in ali, e inoltre si cercherà di presentare, nella forma di orecchie e di testa, le ali che la natura aveva ristretto nelle scapole. Le membra umane, viste in modo sensibile-soprasensibile risulteranno diverse da quelle dell’essere umano che abbiamo in natura, ma si presenterà un certo aspetto umano che non si potrebbe raffigurare in modo unitario. Sarebbe orrendo presentare una figura del genere, ma riunendo il tutto con l’uomo in una giusta composizione la si può fare in modo che imiti la forza compositiva della natura.

 

Si deve di contro creare in modo analogo dalla testa umana ciò che vuol diventare uomo intero. Quel che nella testa vuol divenire uomo completo risulta ossificato, indurito, se raffigurato nell’uomo intero. È quello che sempre dobbiamo superare e che in effetti superiamo in quanto, agli impulsi che portiamo in noi provenienti dalla testa, si aggiungono gli altri che conservano vivo ciò che altrimenti si indurirebbe nell’organismo. Dobbiamo superare la testa con quel che proviene dal sangue del cuore. La disposizione sensibile-soprasensibile dell’uomo ha qui la possibilità di creare in figure separate ciò che nella singola figura umana è composto in maniera occulta e su un altro gradino dalla natura stessa.

 

Quello che si potrebbe chiamare processo creativo diviene in realtà un processo nella vita dell’anima umana, qualcosa che non solo copia in astratto la natura, ma che continua il divenire della natura nell’uomo stesso. Questo presuppone che in effetti l’artista e chi gode dell’arte siano in un rapporto molto complicato con la natura e con se stessi; tutto ciò avviene nel subconscio, ed è ben comprensibile perché il pensiero venga escluso. Certo va detto: l’anima è in un processo complicato per ciò che artisticamente deve divenire. Se qualcuno volesse soltanto fare il ritratto di una bella donna, se cioè riproduce soltanto quel che presenta la natura, dovrebbe interiormente ucciderla; la riprodurrebbe morta. Essa non vivrebbe nell’artista, se questi la riproducesse molto fedelmente. Occorre essere in grado di trasformarla prima in un cadavere, per poi ricreare la sua bellezza movendo da un tutt’altro elemento grazie a un vero e schietto umorismo. Parlando in modo simbolico, senza ucciderla in senso figurato, non si può riprodurre fedelmente una bella donna, occorre in un certo senso picchiarla e trasformarla in qualche cosa di morto. La sua bellezza esiste in natura grazie a qualcosa del tutto diverso da quel che deve essere presente nell’opera d’arte finita. Con l’umorismo occorre prima scoprire che cosa ricrea ciò che prima si era ucciso. Quando si è di fronte a un serio studioso, farne un ritratto risulta in effetti una commedia; si cercherà magari prima di ridere della sua seria espressione. Si dovrai magari aver prima assimilato artisticamente la sua seria espressione per poterla poi ravvivare altrimenti in modo spiritoso. La si dovrà rendere di nuovo amabile per poterla comprendere in modo del tutto diverso.

 

Il problema è appunto far risorgere, disincantare, liberare con la propria vita soggettiva quel che in natura è stato ucciso. Se osservo un vivace pastorello al pascolo e semplicemente lo ritraggo, con ogni probabilità creerò qualcosa di ben morto; se invece mi do per così dire la pena di ucciderlo prima e poi di stabilire con qualche linea un’armonia fra lui e la natura che lo circonda, avrò fatto qualcosa di artistico. Hodler lo tentò, e possiamo vedere che nell’inconscio si tende ovunque a qualcosa di simile; ciò portò a discussioni in merito a ciò che si potrebbe chiamare, da un lato il creare la controimmagine di una visione incompleta, e dall’altro il creare la controimmagine soggettiva di quel che è incantato nella natura e che di continuo viene ucciso da una vita superiore. Da due lati ci si avvicina cioè l’elemento sensibile-soprasensibile, e così è possibile cercare di portarlo nell’arte a una nuova esistenza superiore.

 

Nella mia precedente conferenza sullo stesso argomento cercai di collegare i pensieri che ora ho sviluppato qui a certi pensieri di Goethe per esporre che cosa l’elemento sensibile-soprasensibile riesce a realizzare con l’arte. Sono stato frainteso, e noto appunto ora che il tema è stato svolto anche senza collegarsi a Goethe. Proprio se ci si rifà a Goethe si viene rimproverati perché chi crede di essere specialmente vicino a Goethe e riferisce qualcosa di lui, che non comprende, crede di poter giudicare altri che si danno la pena di approfondire l’argomento. È comprensibile, è un processo naturale nella vita umana, e a volte ci si deve anzi rallegrare se viene giudicato quel che si è detto. Si può persino essere dell’opinione che, se si sperimenta un giudizio di approvazione, si sarà magari detto qualcosa di superfluo o di sciocco. Almeno alla fine vorrei esporre quel che ho evitato di provocare.

 

Credo davvero che chi si avvicina a Goethe con comprensione trovi già disposto nella sua generosa e intelligente concezione artistica, anche se esposta altrimenti, quello che oggi ho presentato come l’elemento sensibile-soprasensibile nell’arte.

L’espressione stessa è presa da Goethe. Sebbene io sia senz’altro dell’opinione che in un certo senso sia giusto che quando l’arte svela i suoi segreti si debba avere un’antipatia piuttosto spiccata per una critica intellettuale dell’arte e per uno studio estetico-scientifico, pure credo che sia solo possibile parlare dell’arte nella prospettiva della vita, che in effetti sull’arte si parli nel modo più giusto ascoltando gli stessi artisti. Tuttavia si giunge a volte a strane esperienze. Di solito gli artisti parlano malissimo di quel che fanno gli altri artisti, e se si ha piacere da un’opera di un artista, spesso non lo si ha da quel che l’artista dice della sua opera, perché a volte vive di illusioni sull’opera stessa. D’altra parte l’artista deve creare partendo da illusioni, e appunto potrebbe essere bene ciò che dà il giusto impulso alla sua attività artistica. Anche se ammetto senz’altro tutto questo e da un certo punto di vista comprendo che certo l’artista è sempre molto fragile di fronte a tutto quanto gli viene incontro da parte dell’estetica scientifica o di altri studi, pure non credo che sia del tutto inutile esporre idee sull’arte sulla base di sensazioni. Credo che l’arte debba sempre progredire con il generale progresso della vita dell’anima. Credo che appunto grazie allo studio della sfera sensibile-soprasensibile che si propone a seguito della visione trattenuta, come ci viene incontro dalla natura esterna, quando disincantiamo ciò che vi è incantato, l’arte possa sciogliere gli enigmi della natura in modo sensibile-soprasensibile. Alla fine desidero quindi citare ancora la bella e universale frase di Goethe, come un riassunto della conferenza di oggi: «Colui cui la natura svela il suo palese segreto sente un’irresistibile nostalgia per la sua più degna interprete, l’arte».