La missione di Michele nell’epoca della libertà umana – Massime 118-120

Commento di Lucio Russo


 

Facciamoci coraggio, perché la lettera che affronteremo stasera, La missione di Michele nell’epoca della libertà umana (16 novembre 1924), è particolarmente difficile (dice Unger: “Ciò che segue nella lettera è formulato in modo molto difficile. Possiamo dire con Capesius: “Cento volte ho letto le parole che seguono…””) (1).

Cominciamo dunque a leggere, e che il Signore ci assista.

 

 

Quando ci accostiamo con l’esperienza spirituale all’azione che Michele svolge nel nostro tempo,

con la scienza dello spirito troviamo la possibilità di illuminarci intorno all’essenza cosmica della libertà.

Ciò non si riferisce alla mia Filosofia della libertà.

Questa procede da forze conoscitive puramente umane, quando esse siano in grado di portarsi nel campo dello spirito.

Per conoscere ciò che viene conosciuto attraverso il mio libro, non è ancora necessario accostarsi ad esseri di altri mondi.

Si può dire però che la Filosofia della libertà ci prepara a conoscere intorno alla libertà

quello che poi possiamo sperimentare accostandoci spiritualmente a Michele; e cioè quello che segue” (p. 95).

 

 

Abbiamo infatti detto, una sera (massima 111), che

• La filosofia della libertà è Il mistero di Michele dal punto di vista umano,

mentre Il mistero di Michele è La filosofia della libertà dal punto di vista cosmico.

 

 

Se veramente la libertà deve vivere nell’azione umana,

ciò che viene compiuto nella luce della libertà

non deve per nulla dipendere dall’organizzazione fisica ed eterica dell’uomo.

L’azione “libera” può compiersi soltanto partendo dall’”io”;

e il corpo astrale deve poter vibrare all’unisono col libero agire dell’io,

per poterlo trasmettere al corpo fisico e al corpo eterico” (p. 95).

 

 

Come Mida trasformava tutto ciò che toccava in oro, così l’ego trasforma tutto ciò che pensa in “oggetto”,

e perciò si domanda: “che cos’è la libertà?”, e non (come si dovrebbe) “chi è la libertà?”.

 

L’azione “libera” può compiersi soltanto partendo dall’”io””, poiché l’Io stesso è la libertà o lo “spirito libero”.

L’Io è dunque la libertà, mentre il corpo astrale è il regno delle idee quali “cause”.

 

Abbiamo appunto detto, a suo tempo (massima 20),

• che lo spirito (l’Io) è la libertà,    •  mentre il corpo astrale è il corpo causale,

•  che il primo sceglie e pone perciò le cause (residenti nel secondo),

•  e che dalle cause così poste discendono i relativi e necessari effetti.

 

• E’ per questo che “il corpo astrale deve poter vibrare all’unisono col libero agire dell’io”

(così come, ad esempio, le corde di una chitarra vibrano “all’unisono” col tocco del chitarrista),

“per poterlo trasmettere al corpo fisico e al corpo eterico” (è a questi livelli esistenziali

che si danno infatti i comportamenti o le azioni: vale a dire, i necessari effetti delle cause liberamente poste dall’Io).

 

 

Questo è però solo un lato del fenomeno.

L’altro lato diventa comprensibile appunto in relazione con la missione di Michele.

Ciò che l’uomo sperimenta nella libertà non deve nemmeno agire, in alcun modo, sul suo corpo eterico e sul suo corpo fisico.

Se questo accadesse, l’uomo dovrebbe interamente deviare da ciò che egli è divenuto, nelle tappe della sua evoluzione,

sotto l’influsso dell’ e n t i t à  divino-spirituale e della  m a n i f e s t a z i o n e  divino-spirituale” (pp. 95-96).

 

 

Una delle maggiori difficoltà che presenta questa lettera risiede proprio in questo passo. A prima vista, infatti,

• l’asserzione che “il corpo astrale deve poter vibrare all’unisono col libero agire dell’io,

per poterlo trasmettere al corpo fisico e al corpo eterico”

• e l’asserzione che “ciò che l’uomo sperimenta nella libertà non deve nemmeno agire, in alcun modo,

sul suo corpo eterico e sul suo corpo fisico” sembrano contraddirsi. Proverò a spiegare perché non è così.

 

Vedete,

• siamo un Io, e abbiamo un corpo astrale, un corpo eterico e un corpo fisico.

• L’Io (che siamo) non deve permettere che, in luogo del suo libero volere,

agisca il necessario volere della sua natura (karmica).

Quando questo accade, l’agire non è più “suo”, ma dell’animale, del vegetale o del minerale che sono in lui.

 

Dovremmo dunque prendere le distanze dalla nostra natura. Ma una volta prese queste distanze, e realizzata la libertà “da”, che cos’altro dovremmo fare? E’ presto detto: dovremmo realizzare la libertà “per” (o libertà “positiva”), trasformando così la nostra natura: ossia, il corpo astrale nel “Sé spirituale”, il corpo eterico nello “Spirito vitale” e il corpo fisico nell’”Uomo spirituale”.

E in qual modo? Servendoci della libertà (“da”), già conquistata, non per agire direttamente sulla nostra natura, ma per agirvi indirettamente, ri-allacciando un rapporto con le entità della terza, della seconda e della prima Gerarchia rispettivamente attive, come abbiamo visto, nel corpo astrale, nel corpo eterico e nel corpo fisico.

Possiamo infatti trasformare e redimere la nostra natura solo entrando in rapporto con tali entità (sviluppando superiori gradi di coscienza), così da poter raccogliere in alto (nello spirito) le forze che ci occorrono per modificare quanto è in basso (nella natura).

 

Vi ho già letto, una sera (massima 42), un passo di una conferenza di Steiner, pubblicata (insieme ad altre tre) in Parsifal e Amfortas. Ve lo rileggo, insieme ad altri passi:

“L’ascesi esteriore, l’allenamento esteriore appartengono più alla natura dell’Iniziazione antica, mentre l’Iniziazione moderna guarda molto di più all’evoluzione immediata dell’anima stessa: richiede che l’anima sviluppi forti energie appunto nella sua interiorità. Le circostanze esteriori sono tali che solo nel corso dei tempi i morti sedimenti della natura umana, causa oggi di profonda inquietudine per l’Iniziato, potranno essere superati; per questo bisogna riconoscere che nella nostra epoca ed ancora nell’avvenire, vi saranno indubbiamente molte nature – simili a quella di Goethe – che con una parte del loro essere ascenderanno molto in alto, mentre con l’altra rimarranno legate all’”umano troppo umano”. Nature che, nelle loro incarnazioni precedenti, non avevano affatto questo carattere singolare, al contrario manifestavano una certa armonia tra l’interiore e l’esteriore. Queste potranno essere proiettate nelle nuove incarnazioni dove si rivelerà una profonda disarmonia tra l’essere interiore e l’essere esteriore“.

 

“Nella nostra epoca ed ancora nell’avvenire”, vi saranno dunque molte nature che riveleranno “una profonda disarmonia tra l’essere interiore e l’essere esteriore”, giacché “con una parte del loro essere ascenderanno molto in alto, mentre con l’altra rimarranno legate all’”umano troppo umano””:

vi saranno cioè numerose nature “ambivalenti” o “contraddittorie”, che dovranno avere la forza e il coraggio di sopportare questo loro stato contingente (nonché il biasimo degli immancabili moralisti), resistendo alla tentazione di far agire, come dice Steiner, ciò che sperimentano nella libertà (“da”) sul loro corpo eterico e sul loro corpo fisico.

Se dovessero cedere a tale tentazione (ch’è quella, detta in soldoni, del “faso tuto mi”), non trasformerebbero infatti “l’umano troppo umano”, ma si limiterebbero a nasconderlo o reprimerlo, divenendo così, volenti o nolenti, dei “sepolcri imbiancati”.

 

“Coloro che conoscono i misteri dell’incarnazione umana – continua Steiner – non si sentiranno turbati da questa disarmonia, perché quando simili casi aumenteranno, si svilupperà anche il discernimento degli uomini, e con ciò verrà a cessare l’antico principio autoritario (…) Così, nell’epoca moderna, la natura umana può essere ancora una “doppia natura”. Nelle forze che riguardano in speciale modo l’anima cosciente, l’uomo deve accogliere saggezza, conoscenza spirituale. Deve superare i due ostacoli attraversati da Parsifal: deve vincere “l’ottusità e il dubbio” nella sua anima, perché, se dovesse portare con sé ottusità e dubbio nell’incarnazione successiva, non potrebbe orientarsi nel modo giusto. È necessario che l’uomo sappia che cosa sono i mondi spirituali. Solo quando l’anima umana si sarà compenetrata di quella vita che Wolfram von Eschenbach chiama Saelde – la gioia della conoscenza spirituale nell’anima cosciente – solo allora potrà passare in modo davvero fecondo dalla quinta epoca alla sesta”.

 

E’ di questo, dunque, che dovremmo preoccuparci. Il solo lamentare le proprie debolezze, i propri difetti, le proprie miserie o le proprie colpe, può infatti celare il massimo egoismo, giacché in tanto ci si lamenta in quanto si ambirebbe essere, per natura, di ben altra fatta.

“Non ha importanza – conclude Steiner – se nell’uomo moderno che aspiri a salire nei mondi spirituali, l’”umano troppo umano”, nella sua figura esteriore, conviva insieme a ciò che supera l’umano: se, come in Parsifal, la “giubba del folle” faccia ancora capolino dietro l’armatura dello spirito. Quel che importa è che nell’anima vi sia la spinta verso la conoscenza, verso la comprensione spirituale: quella sete inestinguibile che è in Parsifal e che lo porta, dopo tanto errare, al Castello del Santo Graal” (2).

 

• Dobbiamo dunque imparare a portare la croce della nostra natura,

• nella certezza che, muovendo nella giusta direzione, arriveremo un giorno a liberarla e redimerla.

Ne Le metamorfosi (Lasino d’oro) (3) di Apuleio, Lucio, il protagonista, viene trasformato in un asino:

nell’asino ch’è in ognuno di noi (e che il Cristo-Gesù cavalca entrando in Gerusalemme).

 

Siamo perciò, a un tempo, cavalieri (Io) e asini (ego);

e com’è bene evitare che l’asino disarcioni il cavaliere, così è bene evitare che il cavaliere si disfi dell’asino,

perché gli crea imbarazzo, gli dà fastidio o ne prova vergogna

(perché costituisce, direbbero gli psicoanalisti, una “ferita narcisistica”).

 

Fatto sta che per creare e ricreare incessantemente un sano equilibrio tra il cavaliere e l’asino

occorrono umiltà, pazienza, saggezza e benevolenza.

Una volta, rivolto alla mia immagine nello specchio, mi venne da dire: “Io non sono te, ma è grazie a te che so di me”.

 

Non dobbiamo dunque abbandonare l’ego (e la natura con cui è identificato),

giacché gli siamo debitori della nostra prima forma di autocoscienza.

E’ questo, del resto, che raccomanda il “Grande guardiano della soglia”:

cioè colui che ha a cuore non solo tutti gli ego, ma l’intera creazione.

 

Ricordate le parole con cui si rivolge alla nostra anima? “Fino ad ora hai liberato soltanto te stessa;

ora, da libera, puoi lavorare alla liberazione di tutti i tuoi compagni del mondo sensibile” (4).

 

Nessuno, spiega infatti Steiner, • “deve chiedere agli occultisti della via bianca che si prestino a fornirgli istruzioni per lo sviluppo del suo io egoistico. La beatitudine del singolo non li interessa affatto. Ognuno è libero di procurarsela a volontà (…) Questi si interessano unicamente dell’evoluzione e della liberazione di tutti gli esseri che siano uomini o compagni degli uomini. Perciò essi danno soltanto indicazioni atte a sviluppare forze per collaborare a tale opera”  (5).

 

Che cosa significa, dunque, per tornare alla nostra massima, che “ciò che l’uomo sperimenta nella libertà non deve nemmeno agire, in alcun modo, sul suo corpo eterico e sul suo corpo fisico”?

Significa che

un’azione diretta della libertà “da” (vuota, sia di natura, sia di spirito vivente) sul corpo eterico-fisico

potrebbe soltanto generare una sinistra imitazione dello “spirito libero”

(o, come amava dire Scaligero, una “recitazione” spirituale).

 

Sapete che cosa si diceva, un tempo, quando si aveva profonda dimestichezza con la realtà spirituale?

Che il diavolo ha “tutte le virtù”.

Un conto sono infatti le virtù (qualità), altro il soggetto (l’Io o lo spirito) che le ha

(basti pensare a Robespierre, il cosiddetto ”incorruttibile”).

 

 

Quello che l’uomo sperimenta attraverso ciò che è soltanto  o p e r a   c o m p i u t a  divino-spirituale attorno a lui,

deve esercitare un’influenza soltanto sul suo spirito (sul suo io).

Sulla sua organizzazione fisica ed eterica può esercitare un’influenza

solo ciò che, di quanto ha avuto il suo principio nell’”entità” e nella “manifestazione” del divino-spirituale,

non continua, nella corrente evolutiva, nel mondo che circonda l’uomo, ma entro la sua stessa entità.

Nell’entità umana ciò non deve affatto collaborare con quello che vive nell’elemento della libertà“. (p. 96)

 

 

Disegniamo una semicirconferenza, individuandovi sette punti equidistanti tra loro. Poniamo poi in corrispondenza del punto 1 l’Entità divino-spirituale, del punto 2 la manifestazione, del punto 3 l’effetto operante, del punto 4 l’opera compiuta, del punto 5 Michele (il novello e vivo “effetto operante”), del punto 6 la Vergine-Sophia (la novella “manifestazione”), del punto 7 il Cristo (la novella “Entità divino-spirituale”).

Il quarto di circonferenza che va dal punto 1 al punto 4 (dall’Entità divino-spirituale all’opera compiuta) rappresenterà così il processo discendente della creazione (e della caduta), mentre quello che va dal punto 4 al punto 7 (dall’opera compiuta al Cristo) rappresenterà il processo ascendente della ri-creazione e della redenzione (la “Buona Novella”).

Notiamo che il punto 1 (sulla sinistra) corrisponde al punto 7 (sulla destra), il punto 2 al punto 6 e il punto 3 al punto 5, e che nel centro, ossia nel punto 4 dell’opera compiuta (dell’ego e del presente), in virtù dell’incarnazione del Logos (chiave di volta dell’intera evoluzione terrena e umana), finisce il processo discendente del passato e comincia quello ascendente del futuro.

 

 

Spero che questa figura aiuti a comprendere, vuoi il passo che abbiamo or ora letto, vuoi l’intera lettera.

 

Abbiamo appena visto, infatti, che

• in ciascuno di noi il passato (che va dal punto 1 al punto 4) deve esercitare un’influenza solo sull’Io (sull’ego),

• mentre il futuro (che va dal punto 4 al punto 7) può esercitare un’influenza sulla nostra natura,

senza però “collaborare” con l’Io (con l’ego, soggetto della libertà “da”).

 

Per capire quest’ultima affermazione, riprendiamo la nostra figura e

• tracciamo una freccia (a) che risale dal punto 4 al punto 5,

• un’altra (b) che discende dal punto 6 al punto 5,

• e un’altra ancora (c) che discende dal punto 7 al punto 6.

 

Abbiamo detto che

• il primo quarto di circonferenza (1-4) rappresenta il movimento discendente della creazione,

• mentre il secondo (4-7) rappresenta quello ascendente della ri-creazione: per quale ragione  allora

abbiamo distinto, in quest’ultimo, una parte ascendente (freccia a) e due discendenti (frecce b e c)?

 

Perché

la parte ascendente rappresenta il movimento della “libera volontà pensante”

con il quale l’Io (l’ego) si porta incontro e si unisce a Michele (veicolo, come abbiamo detto,

dell’etere della vita e dell’etere del suono, ossia degli eteri più “alti” operanti sugli elementi più “bassi”: terra e acqua),

• mentre la prima delle due discendenti (b) rappresenta il movimento (animico) discendente

della grazia della Vergine-Sophia (“Ave Maria, piena di grazia …”),

• e la seconda (c) rappresenta il movimento (spirituale) discendente della grazia del Cristo

(“E il Verbo si è fatto carne, e abitò fra noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come d’Unigenito del Padre,

pieno di grazia e di verità” – Gv 1,14).

 

Ora che cosa accadrebbe se il movimento della grazia,

• anziché attendere che si sia liberamente raggiunta (con l’aiuto di Michele) la soglia (Janua Coeli),

• la varcasse e discendesse fino al livello (dell’opera compiuta) in cui l’ego “vive nell’elemento della libertà” (“da”)?

E’ presto detto: che verrebbe annullata la nostra libertà.

 

• Avendo presente che “la via del cuore passa per la testa”, e quanto viene detto ne L’iniziazione, potremmo collocare,

nel punto 5, il cakra a due petali della fronte,

nel punto 6, il cakra a sedici petali della laringe e,

nel punto 7, il cakra a dodici petali del cuore.

 

Riguardo al moto che va dal punto 4 (del pensiero vincolato ai sensi) al punto 5 (del pensiero libero dai sensi),

Scaligero scrive: • “Il primo moto verso l’ètere del cuore nasce nell’ètere del pensiero liberato: questa è la chiave” (6).

Potrebbe anche valere, al riguardo, quanto scrive Steiner, nella Cronaca dell’Akasha, riferendosi agli Atlanti:

“Pel suo valore personale l’uomo a poco a poco si rende atto all’iniziazione;

egli deve, prima, sviluppare le proprie forze, da sotto in su,

perché poi gli possa venir conferita l’illuminazione dall’alto” [7].)

 

Pensate alla morale. Come la si concepisce normalmente? In modo vetero-testamentario, come legge: è Mosè ad aver dato infatti la Legge, ed è il Cristo ad aver dato invece la grazia.

E che cos’è la grazia? E’ la capacità (spiega Steiner) di fare il bene, non perché lo si “deve” (come vuole la Legge), ma perché si “è” buoni, in quanto si è trasformata e spiritualizzata la propria natura (“Nel significato cristiano, la grazia è la facoltà dell’anima di compiere il bene per virtù della propria interiorità”) (8).

 

Fatto si è che la Legge, proveniente dal passato e scolpita nella pietra, è opera compiuta, mentre la grazia, proveniente dal futuro e fluente attraverso il cuore, è ciò che ci viene incontro (al di là della soglia) in virtù del novello e vivo “effetto operante” di Michele (“Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento” – Mt 5,17).

Sappiamo, del resto (grazie a La filosofia della libertà), che lo “spirito libero” non è condizionato dalle leggi naturali né da quelle morali.

Si è infatti non-liberi, moralmente, quando si attua non la propria volontà (la volontà dell’Io), ma la volontà di un altro Io: quando si attua cioè un dovere, e non un volere (riguardo al rapporto tra la volontà dell’Io e la volontà di Dio, ricordiamo ancora una volta queste parole del Pater Noster formulato da Steiner: “La Tua volontà sia attuata quale Tu l’hai posta nella nostra intima essenza”: per l’appunto, nell’Io).

 

Domanda: Ma la natura umana, in sostanza, è buona o cattiva?

Risposta: Gli ottimisti la considerano buona, i pessimisti la considerano cattiva. La considerano così perché entrambi la pensano come uno stato (immutabile), e non come un essere in divenire che, da buono (quale era stata creato), è diventato cattivo (in conseguenza della caduta), ma che, da cattivo (e bisognoso perciò della Legge), può tornare (in virtù dell’incarnazione del Logos) a essere buono (e non più bisognoso perciò della Legge).

 

Mi pare di aver già detto (parlando del libro dei Bastaire), che

• i tipi luciferici tendono a spiritualizzare la natura,

• mentre i tipi arimanici tendono a naturalizzare l’uomo.

Ma che cosa vuol dire “naturalizzare” l’uomo? Vuol dire eliminare la moralità,

• giacché dire “moralità” vuol dire “libertà”,    •  mentre dire “natura” vuol dire “necessità”.

 

Sapete, quando porto a spasso il cane, ogni tanto incontro qualcuno che si ferma, gli fa qualche carezza, e poi dice (da romanaccio): “so’ mejo questi de li cristiani”; al che di solito rispondo: “Certo, perché questi fanno i cani, mentre i cristiani non fanno i cristiani”.

Il problema, a ben vedere, è tutto qui. Il cane fa il cane perché è un cane e non può diventare nient’altro, mentre l’uomo non fa l’uomo (il cristiano), perché può diventare, vuoi ciò che è, vale a dire un uomo (un cristiano), vuoi qualcos’altro (direbbe Schiller, un “barbaro” o un “selvaggio”).

 

 

Questo è possibile soltanto per il fatto che Michele, dai lontani primordi dell’evoluzione, trasporta nel presente un elemento

che collega l’uomo col divino-spirituale il quale, attualmente, non interviene più nella formazione fisica ed eterica.

Nell’ambito della missione di Michele, si sviluppa così il terreno per una relazione, fra l’uomo e il mondo spirituale,

che non tocca affatto il mondo naturale” (p. 96).

 

 

Qual è questo terreno? Quello del novello e vivo “effetto operante”,

compreso, nella figura descritta in precedenza, tra il punto 4 (dell’opera compiuta) e il punto 5.

 

Missione di Michele è infatti quella di fare da mediatore (sensibile-sovrasensibile o essoterico-esoterico)

“fra l’uomo e il mondo spirituale, che non tocca affatto il mondo naturale”: cioè a dire,

fra l’opera compiuta e la “novella manifestazione” (punto 6), nonché la “novella Entità divino-spirituale” (punto 7).

 

 

È edificante vedere come, per mezzo di Michele, l’entità umana venga innalzata nella sfera spirituale,

mentre l’incosciente, il subcosciente, che si sviluppano al di sotto della sfera della libertà,

vanno sempre più profondamente fondendosi con la materialità” (p. 96).

 

 

Vi rileggo questo passo de La soglia del mondo spirituale:

“Nei corpi eterico e fisico-sensibile operano forze che provengono dalle entità luciferiche e arimaniche. Poiché tali entità sono di origine spirituale, è naturale che nella sfera stessa del corpo fisico e di quello eterico si trovi una specie di entità astrale dell’uomo. A una veggenza spirituale che si limiti ad accogliere solo le immagini della coscienza soprasensibile, senza essere capace di comprenderne bene il significato, può facilmente accadere che l’involucro astrale del corpo fisico e di quello eterico vengano scambiati per il vero corpo astrale. Senonchè proprio questo “corpo astrale” è l’elemento della natura umana che nella sua attività contrasta l’ordinamento veramente assegnato all’uomo nella struttura dell’universo” (9).

 

Ebbene, domandiamoci: si può risanare l’anima, come vorrebbero fare la psicoanalisi freudiana e la psicologia analitica junghiana (delle altre forme di psicoterapia non vale la pena di parlare), ignorando l’esistenza di questo nostro “doppio” astrale o psichico? Si può risanarla fissando lo sguardo sul subcosciente e l’incosciente (finendo così, volenti o nolenti, col rimanervi intrappolati), anziché elevarlo alla “sfera spirituale”, lasciando che il subcosciente e l’incosciente (“che si sviluppano al di sotto della sfera della libertà”) sprofondino nella materialità (“Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va’ e annunzia il regno di Dio” – Lc 9,60)? Si può risanarla ignorando che nella nostra natura, in quanto opera compiuta, giacciono i “morti sedimenti” delle antiche attività dell’effetto operante, della manifestazione e dell’Entità divino spirituale?

Vi rimando, per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, a quella conferenza contenuta in Parsifal e Amfortas di cui vi ho letto prima alcuni passi.

 

 

La posizione dell’uomo di fronte all’universo diverrà in avvenire sempre più incomprensibile per lui, se egli non imparerà

a riconoscere, oltre ai suoi rapporti con gli esseri ed i processi naturali, anche quelli con la missione di Michele.

Si imparano a conoscere i rapporti con la natura come qualcosa che si guarda dal di fuori;

le relazioni col mondo spirituale partono invece da qualcosa che è una specie di dialogo interiore

con enti ai quali ci si è dischiuso l’adito con l’accedere ad una contemplazione spirituale del mondo” (p.96).

 

 

Vi sarà probabilmente capitato d’incontrare qualcuno che segue la via del pensiero non col pensare (col volere nel pensare), ma col sentire e, ancor più, col volere, nella convinzione che “l’antroposofia deve essere messa in pratica”.

C’è però pratica e pratica, ed è difficile che chi fa un’affermazione del genere, anziché darsi a “organizzare” o “praticare” una qualche concreta attività, s’impegni per riuscire a instaurare, mediante lo sviluppo di superiori livelli di coscienza, “una specie di dialogo interiore con enti ai quali ci si è dischiuso l’adito con l’accedere ad una contemplazione spirituale del mondo”.

 

Afferma, non a caso, Steiner:

“Capire nel profondo della propria anima la scienza dello spirito è per molti aspetti qualcosa del tutto diverso di quanto s’immaginano molti che fanno conto di appartenere al movimento antroposofico” (10);

e così esemplifica:

• “Non si seguirà la linea che si esprime dicendo: cominciamo a far conoscere in una città l’euritmia: se alla gente piacerà, allora s’interesserà anche dell’antroposofia! Oppure: bisogna prima mostrare alla gente come si usano in pratica i nostri rimedi medicinali, convincendoli che si tratta di medicamenti seri; più tardi poi scopriranno che dietro ai medicinali sta l’antroposofia, e finiranno per scoprire anche questa! Dobbiamo avere il coraggio di definire menzognero un tale comportamento. L’antroposofia troverà la sua via soltanto se avremo orrore di un tale atteggiamento menzognero” (11).

Consiglio sempre, al riguardo, di meditare le due “Appendici” (intitolate: La fonte di questo insegnamento e Perché un’associazione spirituale viva) che chiudono il Dell’amore immortale di Scaligero (12).

 

 

Per poter estrinsecare gli impulsi della libertà, l’uomo deve dunque essere in grado di tenere lontane dal suo essere

certe influenze naturali che dal cosmo vogliono agire sul suo essere. Questo allontanamento si svolge poi nel subcosciente,

quando nella coscienza dominano le forze che rappresentano appunto la vita dell’io in libertà.

Per la percezione interiore dell’uomo sorge la coscienza di agire in libertà;

per gli esseri spirituali che da altre sfere del mondo sono in relazione con l’uomo, la cosa è diversa.

L’essere appartenente alla gerarchia degli angeli, che ha l’incarico di condurre l’uomo dall’una all’altra delle sue vite terrene,

di fronte all’azione umana compientesi in libertà, ha sùbito l’impressione: l’uomo respinge da sé forze cosmiche

che vorrebbero continuare a conformarlo, che vorrebbero dare all’organizzazione del suo io

i sostegni fisici necessari, come glieli hanno dati prima dell’epoca di Michele.

Michele, quale essere della gerarchia degli arcangeli, riceve le sue impressioni con l’aiuto degli esseri della gerarchia degli angeli.

Egli si dedica al compito di addurre nel modo descritto all’uomo, dalla parte spirituale del cosmo,

le forze che possono sostituire quelle naturali soppresse”.

E vi riesce mettendo la sua azione in perfetta armonia col mistero del Golgota” (pp. 96-97).

 

 

L’”Angelo custode” (“l’essere appartenente alla gerarchia degli angeli, che ha l’incarico di condurre l’uomo dall’una all’altra delle sue vite terrene”) trasmette dunque a Michele l’impressione che l’uomo respinga “da sé forze cosmiche che vorrebbero continuare a conformarlo, che vorrebbero dare all’organizzazione del suo io i sostegni fisici necessari, come glieli hanno dati prima dell’epoca di Michele”.

 

Tale impressione è giusta, ma è proprio per questo che

Michele “si dedica al compito di addurre nel modo descritto all’uomo, dalla parte spirituale del cosmo,

le forze che possono sostituire quelle naturali soppresse”: è proprio per questo, cioè, che

Michele adduce, al posto dell’antico effetto operante, il novello e vivo “effetto operante”

(più propriamente, la forza dell’”immaginazione creatrice”),

• così che in virtù di questa possano subentrare, in luogo di quelle antiche (della Legge e del Padre),

la “novella manifestazione” (la Grazia) e la “novella Entità divino-spirituale” (il Figlio).

• Perché il Figlio possa fattivamente succedere al Padre,

è tuttavia necessario che la Sua successione sia preceduta da quella dello Spirito Santo.

 

E’ vero, infatti, che non potremmo fare appello alla Vergine-Sophia e allo Spirito Santo, se il Figlio non si fosse “fatto carne”, ma non meno è vero che la potenza della Sua incarnazione può essere attuata solo in virtù della mediazione (intercessione) dello Spirito Santo. “E’ meglio per voi che io me ne vada; – dice infatti il Cristo-Gesù – perché se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore: ma se me ne vado lo manderò a voi” – Gv 16,7).

Ciò vuol dire ch’è solo in virtù del vero “Spirito dello spirito” (dello Spirito Santo) e della sua unione con la Vergine-Sophia, che ci è dato conoscere e attuare la potenza redentrice del vero “Spirito dell’anima” (del Figlio), così da poter tornare, un giorno, al vero “Spirito del corpo” (al Padre).

(Vi ricordo ancora ch’è nella dodicesima e ultima conferenza del ciclo dedicato a Il Vangelo di Giovanni, che Steiner illustra i rapporti tra il Figlio, la Vergine-Sophia e lo Spirito Santo [13].)

 

Qual è dunque la missione di Michele?

Mediare nella sfera eterica del pensare l’impulso che parte dall’”Io sono” nel/del pensare

(dallo Spirito Santo – ch’è Uno, ovviamente – col Padre e col Figlio).

 

Ecco che cosa scoprirebbe la scienza, se oltre ad essere, com’è, scienza di questo e di quello, fosse anche scienza di se stessa: cioè autocoscienza (“La scienza – afferma Hegel – non cerca la verità ma è nella verità, ed è la verità stessa”: ovvero – possiamo aggiungere – lo “Spirito di Verità”) (14).

 

 

Nell’attività del Cristo entro l’evoluzione umana giacciono le forze di cui l’uomo, nel suo agire in libertà,

ha bisogno come compenso agli impulsi naturali soppressi.

Soltanto che l’uomo deve portare veramente l’anima sua all’intima unione col Cristo

della quale abbiamo già parlato qui in relazione con la missione di Michele.

L’uomo sa di essere nella realtà quando sta davanti al sole fisico e ne riceve calore e luce.

Così deve vivere di fronte al sole spirituale, al Cristo, che ha congiunto la propria esistenza con l’esistenza terrestre;

e da Lui deve ricevere vivente nell’anima ciò che nel mondo spirituale corrisponde al calore e alla luce.

L’uomo si sentirà compenetrato dal “calore spirituale” quando sperimenterà il “Cristo in sé”.

Sentendosi così compenetrato, dirà a se stesso:

“Questo calore svincola il tuo essere umano da legami cosmici nei quali esso non deve più rimanere.

Affinché tu conquistassi la libertà, l’essere divino-spirituale dei primordi dovette condurti in regioni nelle quali

esso non poteva più restare con te, ma nelle quali ti ha dato il Cristo perché le sue forze conferissero a te,

fatto uomo libero, ciò che l’essere divino-spirituale dei primordi ti diede una volta per vie naturali,

che allora erano in pari tempo vie spirituali. Questo calore ti riconduce al divino dal quale provieni”.

In questo sentire, l’uomo sperimenterà e si congiungerà con intimo calore d’anima nel Cristo e col Cristo,

e insieme sperimenterà la vera e reale umanità.

“Cristo mi dà la mia essenza umana”; questo sarà il sentimento fondamentale che compenetrerà l’anima” (pp. 97- 98).

 

 

Dice Steiner:

“Nell’attività del Cristo entro l’evoluzione umana giacciono le forze di cui l’uomo, nel suo agire in libertà, ha bisogno come compenso agli impulsi naturali soppressi”: quello del Cristo è dunque l’impulso della novella, direbbe Spinoza, natura naturans, venuto a compensare i soppressi impulsi dell’antica, per poter così redimere la natura naturata (l’opera compiuta).

Dice ancora: • “l’essere divino-spirituale dei primordi dovette condurti in regioni nelle quali esso non poteva più restare con te, ma nelle quali ti ha dato il Cristo perché le sue forze conferissero a te, fatto uomo libero, ciò che l’essere divino-spirituale dei primordi ti diede una volta per vie naturali, che allora erano in pari tempo vie spirituali”: dunque, quanto il Padre, partendo dal corpo fisico (dall’antico Saturno) e arrivando all’Io (alla Terra), ci diede una volta “per vie naturali, che allora erano in pari tempo vie spirituali”, deve adesso darcelo il Figlio, partendo dall’Io (dalla Terra) e arrivando all’”Uomo spirituale” (al futuro Vulcano).

 

(Un tempo, tanto per dirne una, la vecchiaia era sinonimo di saggezza, dal momento che la crescita naturale coincideva con quella spirituale; ora non vi coincide più, e dovremmo perciò essere noi a farci carico, quali Io, di quanto non ci dà più la natura.)

Si potrebbe anche dire, tuttavia, che le “vie naturali”, negli animali, nelle piante e nei minerali, sono ancora “vie spirituali” regolari, mentre nell’uomo sono diventate “vie spirituali” irregolari.

“Ascoltatemi tutti – dice appunto il Cristo-Gesù – e intendete bene: non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo (…) Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: prostituzioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l’uomo” (Mc 7,15 e 21).

 

Scaligero, al riguardo, dà la seguente meditazione: • “La Natura tende a continuare a conformare l’uomo secondo impulsi cosmici che nel passato legittimamente ebbero il còmpito di congiungere la sua vita interiore con la corporeità, sino all’esperienza della coscienza libera. Questa coscienza può realizzare la propria natura sovrasensibile, soltanto ove spiritualizzi l’elemento individuale legato al sensibile: a tal fine non può non opporsi agli impulsi cosmici che insistono nella sua formazione psicofisica secondo la direzione passata: la quale, continuando nel modo antico a sospingere l’anima verso la fisicità corporea, ora non può non operare alla animalizzazione dell’uomo. E’ ciò che già sta avvenendo” (15).

 

Che cosa significa, dunque, che

il sentimento fondamentale che compenetrerà l’anima sarà: “Cristo mi dà la mia essenza umana”?

Significa sentire che la nostra essenza umana

• non ci viene data dal corpo astrale (animale), dal corpo eterico (vegetale) o dal corpo fisico (minerale), bensì dall’Io,

giacché è nell’Io che vive il Cristo, ed è partendo dall’Io che dobbiamo perciò umanizzare e redimere (cristificare)

il corpo astrale, il corpo eterico e il corpo fisico.

 

Il senso dell’umano è dunque il senso del Cristo, e il senso del Cristo è il senso dell’umano.

Se disponessimo della Sophia del Cristo, ossia di una coscienza cristiana del Cristo (e non vetero-testamentaria, greca o romana) sapremmo infatti che il Cristo è il Dio dell’uomo in quanto uomo, e quindi il Dio di ogni singolo essere umano.

 

Ho più volte ricordato, a questo proposito, la figura di Pilato. Il Cristo-Gesù gli dice: “Per questo io sono nato, e per questo sono venuto al mondo, a rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce” (Gv 18, 37); e Pilato allora gli domanda: “Che cos’è la verità?”.

Vedete, Pilato, pensando che la verità sia oggetto, non può immaginare di averla di fronte a sé come soggetto (risponde il Cristo-Gesù, a Tommaso: “Io sono la via, la verità e la vita” – Gv 14, 6).

• La verità è dunque “Soggetto” (essere o spirito),

• così come “soggetto” (Io) è la libertà        •  e “soggetto” è l’umanità (il Cristo).

 

Per questo, Steiner parla del Cristo, l’ho già ricordato, come del “Rappresentante dell’umanità” (del “genere umano”).

Non è umano, insomma, quello che non è cristico, e non è cristico quello che non è umano, così come non è il Sole quello che non è il Cristo (lo dico pensando in specie agli evoliani), e non è il Cristo quello che non è il Sole (lo dico pensando in specie a quei “gesuologi” il cui sentire privilegia, di fatto, il Venerdì Santo).

 

Domanda: Vorrei capire meglio, se possibile, in che senso Arimane anticipa il futuro.

Risposta: Non devi intendere tale futuro in termini di settimane, mesi o anni, ma in senso evolutivo.

Proprio in questi giorni, ad esempio, mi sono imbattuto in questo articolo nel quale Antonino Zichichi, prendendo spunto dal fatto che l’arbitro ha annullato alla nostra nazionale di calcio un gol regolare, propone ciò che andrebbe fatto per evitare errori del genere. Te ne leggo qualche passo: “Bisogna introdurre le moderne tecnologie negli stadi (…) Introdurre le moderne tecnologie vuol dire controllare in tempo reale gli errori. Telecamere opportunamente disposte con una regia centrale controllata da tre esperti permette, in caso di errori, un intervento immediato per rendere giustizia al grande pubblico in tempo reale (…) Dotando i giocatori di monitor appositamente progettati e usando macchine fotografiche ad alta velocità è possibile studiare tutti i dettagli, evitando errori (…) L’arbitro in campo è da età della pietra, l’arbitro dovrebbe stare in regia televisiva per seguire nei minimi dettagli tutto ciò che avviene in campo (…) I giocatori dovrebbero essere dotati di sensori elettronici in grado di stabilire dove e come e chi, per primo, tocca l’avversario. Dove si trova il calciatore rispetto ai difensori saranno gli strumenti a dirlo senza alcuna possibilità di errore”.

 

Sappiamo però, grazie a Steiner, che gli Angeli potrebbero dirci: “Noi fummo (sull’antica Luna) quel che voi siete (sulla Terra); voi sarete (sul futuro Giove), quel che noi siamo”: sappiamo, cioè, che destino dell’uomo è l’Angelo; non solo, ma sappiamo pure che gli Angeli, in quanto “fatti di verità”, sono immuni da quegli errori che ci sono a tal punto familiari da farci dire, ad esempio: “Errare è umano; perseverare è diabolico” (o da far dire a Goethe: ”Sono proprio gli errori dell’uomo a renderlo amabile”) (16).

Un conto, tuttavia, è cercare di evitare gli errori (non nelle partite di calcio, ma nella partita della nostra vita) sviluppando sempre maggiore saggezza e moralità (“Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” – Inf. XXVI 118-120), altro è cercare di evitarli artificialmente, ricorrendo alle protesi delle moderne tecnologie.

Come vedi, Arimane non vuole che l’uomo evolva gradualmente verso il suo futuro stato angelico, bensì vuole che l’ego eviti gli errori acquisendo il più rapidamente possibile una sorta di artificiale (meccanica) “perfezione”.

 

Riprendiamo comunque questo passo: • “Affinché tu conquistassi la libertà, l’essere divino-spirituale dei primordi dovette condurti in regioni nelle quali esso non poteva più restare con te, ma nelle quali ti ha dato il Cristo perché le sue forze conferissero a te, fatto uomo libero, ciò che l’essere divino-spirituale dei primordi ti diede una volta per vie naturali, che allora erano in pari tempo vie spirituali”.

Chi non realizzi, dunque, che il divino-spirituale non opera più mediante la natura sull’uomo, bensì mediante l’uomo sulla natura, e che l’uomo, in virtù dell’impulso del Cristo, dovrebbe redimere se stesso e, redimendo se stesso, redimere la natura, corre il rischio (tra gli altri) di andare a ingrossare la schiera di quanti vorrebbero (come gran parte degli odierni ecologisti, naturisti o animalisti) che si “tornasse alla natura”, rinnegando la modernità. Costoro polemizzano infatti con il riduzionismo di stampo meccanicistico (cartesiano), ma non sanno far altro, in genere, che opporgli un riduzionismo di stampo vitalistico o biologistico (inquinante l’atmosfera astrale più di quanto il monossido di carbonio inquini quella terrestre).

 

Ascoltate, ad esempio, quanto scrive in questo libro, Filosofie della natura, Mario Alcaro (docente universitario di filosofia): • “La Riforma sopprime i rituali, le feste stagionali e i pellegrinaggi, abolisce il culto della Santa Vergine (in cui sopravvive il mito della grande Terra madre), dei santi e degli angeli. Elimina, infine, la sacralità dei luoghi. Inizia, così, la desacralizzazione della natura e il “disincanto” nei confronti del mondo, e si prepara quella “rivoluzione scientifica meccanicistica” che si afferma nel secolo successivo e che si struttura sulla separazione fra un mondo materiale esteso e inerte e uno spirito relegato “ad una piccola regione del cervello umano””(alla ghiandola pineale di Cartesio) (17).

Non si avvede, dunque, che l’incanto nei confronti della natura (dell’Anima mundi), rotto allora dalla Riforma, viene oggi rotto da quanti “desacralizzano” l’uomo, sostenendo ad esempio (come fa lui) che i processi mentali dell’”animale uomo” altro non sono che processi fisico-chimici (18).

 

Una volta che sia esistente questo sentimento, si aggiungerà anche l’altro per il quale l’uomo, grazie al Cristo,

si sentirà sollevato al di sopra della mera esistenza terrena, sentendosi uno col mondo stellare circostante la terra,

e con tutto il divino-spirituale che può venir riconosciuto in quel mondo stellare.

Così è per la luce spirituale. L’uomo, prendendo coscienza di se stesso come individualità libera,

può pienamente sentirsi nella propria entità umana. Nondimeno, un oscuramento vi si collega.

Il divino-spirituale dei primordi non risplende più.

Nella luce che il Cristo porta all’io umano, ricompare la luce primordiale” (p. 98).

 

 

Torniamo per un attimo al libro di Alcaro. Scrive: • “Nella natura, dunque, ci sono le cause efficienti, ma anche i fini. Accanto agli oggetti regolati dal meccanicismo si collocano gli organismi viventi con le loro cause finali. D’altronde, l’evoluzione biologica e la ricchezza delle specie viventi mostrano la straordinaria capacità inventiva della vita. La vita è creativa, anzi è creazione continua. E poiché la vita fa parte della natura, quest’ultima, almeno in uno dei suoi lati, è creativa, produttiva, inventiva. Non è dunque solo ripetizione, essa è anche invenzione e creazione del nuovo” (19).

 

Ci sono qui due equivoci.

• Il primo dovreste scoprirlo subito, rammentando quanto dice Steiner, ne La filosofia della libertà, riguardo ai “fini” della natura. Che cos’è un fine? E’ un’idea che s’intende realizzare, e che, una volta realizzata, cessa per ciò stesso di essere un fine (il fine – scrive Hegel – è “il concetto in relazione alla sua realizzazione, ossia alla sua oggettivazione”) (20).

Ebbene, la natura, in quanto opera compiuta, è per l’appunto un’idea realizzata (oggettivata), e quindi il regno non dei fini, ma della necessità.

Quanti si mostrano convinti, come Alcaro, che nella natura “ci sono le cause efficienti, ma anche i fini” altro dunque non fanno che scambiare per fine quell’essenza o entelechia che rende l’oggetto un’unità organica: ossia quell’idea che è nell’oggetto (in re), e non fuori di esso.

 

• Il secondo equivoco è questo: la natura, in quanto sfera della necessità (ripensiamo, ancora una volta, al Principio di conservazione dell’energia), può essere ripetitiva, ma non “creativa, produttiva, inventiva”. Se fosse tale, non sarebbe possibile infatti scoprire, lo abbiamo detto, nemmeno una delle leggi (delle “costanti” o “invarianti”) che la governano (il WWF, ad esempio, dovrebbe cessare la sua attività, dal momento che le specie in via di estinzione verrebbero subito sostituite da quelle in via di creazione).

Ma torniamo a noi.

Dice Steiner: • “L’uomo, prendendo coscienza di se stesso come individualità libera, può pienamente sentirsi nella propria entità umana. Nondimeno, un oscuramento vi si collega”.

 

Immaginiamo quattro individui che, per scavalcare un muro molto alto, montino l’uno sulle spalle dell’altro, così che l’ultimo riesca a farcela.

Questo, una volta passato dall’altra parte, non dovrebbe sentirsi in debito nei confronti degli altri tre, e quindi in dovere di fare qualcosa per aiutarli?

Il quarto, ovviamente, rappresenta l’essere umano, mentre gli altri tre rappresentano (nell’ordine) il regno animale, il regno vegetale e quello minerale.

Questi regni si sono infatti sacrificati, perché l’uomo potesse raggiungere la propria meta (scavalcando il muro della necessità e dell’incoscienza) e aiutarli così a emanciparsi dal loro stato.

 

L’uomo può però tradire questo compito, e lo sta purtroppo facendo. Credetemi, di fronte agli animali, ai vegetali e ai minerali, ci sarebbe da vergognarsi. Ricordate Cronin: E le stelle stanno a guardare (21)? Ma l’intera natura, e non solo le stelle, ci sta a guardare, nell’attesa di vederci finalmente fare quel che dovremmo fare: cioè gli “uomini”.

Dice Steiner: • “Il divino-spirituale dei primordi non risplende più”; quale Sole è infatti sorto nell’uomo?

Appunto quello ch’è tramontato nella natura.

 

 

In quell’intima comunanza col Cristo, l’anima tutta può venir illuminata, come da un sole,

dall’idea beatificante che la primordiale splendida luce divina è ricomparsa, e nuovamente risplende,

malgrado il suo splendore non provenga dalla natura.

E l’uomo, nel presente, si unisce con le forze spirituali cosmiche illuminanti del passato,

quando egli non era ancora una libera individualità.

E in questa luce egli può trovare le vie che nel giusto modo guidano la sua entità umana,

purché con comprensione egli si colleghi nell’anima sua con la missione di Michele” (p.98).

 

 

Non si tratta, come qualcuno sembra credere, di “autoesaltazione” o di “egomania”, ma di senso di responsabilità: di un senso di responsabilità che non esalta, ma semmai mortifica. Non ho detto, poco fa, che di fronte agli animali, alle piante e ai minerali dovremmo vergognarci?

Fatto sta che la megalomania o l’egomania sono fenomeni psichici che riguardano l’ego, e non l’Io. Dobbiamo stare attenti, però, a non liberarci dell’ego liberandoci dell’Io (come vorrebbero gli avversari della modernità), giacché

è nostro compito liberarci dell’ego per trovare l’Io.

 

Possiamo insomma ritrovare, quali libere individualità, le forze che ci guidavano quando non eravamo ancora delle libere individualità: ecco come il passato può diventare il futuro (“In un certo senso tutto l’avvenire è anche una ripetizione del passato. Non che le cose del passato si verifichino ancora una volta nella stessa maniera, ma in tempi futuri gli avvenimenti passati si ripetono in un altro senso) (22).

Dice ancora Steiner: • “E in questa luce egli può trovare le vie che nel giusto modo guidano la sua entità umana, purché con comprensione egli si colleghi nell’anima sua con la missione di Michele”.

Come ci si collega con comprensione con la missione di Michele? L’ho detto e ridetto: collegandosi “con comprensione” con il cuore pulsante de La filosofia della libertà, ch’è l’opera michaelita per eccellenza.

 

Ricordiamoci di queste parole di Steiner: “La via che conduce al pensiero libero dai sensi, per mezzo delle comunicazioni della scienza dello spirito, è completamente sicura. Ve ne è un’altra anche più sicura, e specialmente più esatta, sebbene sia per molti uomini più difficile. Essa è descritta nei miei libri Linee fondamentali di una teoria della conoscenza della concezione goethiana del mondo e La filosofia della libertà. Questi libri espongono i risultati a cui il pensiero umano può arrivare, quando invece di abbandonarsi alle impressioni del mondo esteriore fisico-sensibile, esso si concentra soltanto in se stesso. Soltanto il pensiero puro, come entità di per sé vivente, e non il pensiero rivolto solo ai ricordi di oggetti sensibili, esplica allora la sua attività nell’uomo. Nei libri sopra citati non vi è niente delle comunicazioni della scienza dello spirito; nondimeno in essi viene mostrato che il pensiero puro, concentrato in se stesso, può arrivare a spiegazioni della vita, del mondo e dell’uomo. Quei due libri rappresentano un gradino intermedio molto importante fra la conoscenza del mondo sensibile e quella del mondo spirituale [quello michaelita che va, nel nostro schema, dal punto 4 dell’opera compiuta al punto 5 del novello e vivo effetto operante], e offrono ciò che il pensiero può conseguire quando si eleva al di sopra dell’osservazione sensibile, sebbene ancora eviti l’accesso all’indagine spirituale. Chi fa agire questi libri su tutta la sua anima è già nel mondo spirituale; soltanto che questo gli si palesa come mondo del pensiero. Chi si sente capace di attraversare questo gradino intermedio, segue una via sicura, e può acquistarsi in tal modo un sentimento, riguardo al mondo superiore, che gli arrecherà i più bei frutti per l’intiero avvenire” (23).

 

Giorni fa, mi è capitato di leggere questo aforisma: “Abbiamo già la libertà del pensiero, adesso dovremmo avere il pensiero”.

Quello che ordinariamente abbiamo non è infatti il pensiero “reale” (del cuore), ma quello “apparente” della testa o della pancia.

Non sarebbe male leggere, a questo riguardo, un libricino di Clive Staples Lewis, intitolato: L’abolizione dell’uomo (24), il cui primo capitolo è dedicato appunto agli “Uomini senza petto”.

 

Domanda: Sarebbe giusto dire, ripensando allo schema, che, una volta raggiunta con Michele la soglia, cioè il punto 5, dobbiamo mutarci, da “attivi”, in “ricettivi”?

Risposta: Sarebbe giustissimo! Steiner dà infatti questo contenuto di meditazione:

“Sentendo il bisogno della Tua grazia, / aprendo con tutte le mie forze / le porte dell’anima, /

attendo, / Cristo luce del mondo, / la Tua illuminazione”,

e spiega:

“Alla domanda: come si può entrare nel mondo spirituale? Si può rispondere: ci si prepari rendendo il pensare e il sentire abili e malleabili, addestrando pensieri, sentimenti e sensazioni pieni di abnegazione. E poi attendere, attendere, attendere! Questa è la parola aurea: poter attendere nella calma dell’anima. Il mondo spirituale non si lascia conquistare se non rendendosene degni potendo sviluppare nella calma dell’anima un atteggiamento di attesa. Tutto dipende da questo” (25).

 

 

(…) Persistere nell’essere originario, voler conservare l’originaria e ingenua bontà divina attiva nell’uomo,

volersi arrestare tremando davanti al pieno uso della libertà,

in un mondo come l’attuale in cui tutto è predisposto per lo sviluppo della libertà umana,

finisce per condurre l’uomo a Lucifero, il quale vorrebbe veder rinnegato il mondo attuale.

Abbandonarsi all’essere attuale, volere che domini soltanto la naturalezza del mondo

raggiungibile dall’intelletto che si mantiene neutrale di fronte al bene,

voler sperimentare l’uso della libertà soltanto nell’intelletto, in questo mondo attuale nel quale l’evoluzione

deve venir continuata in regioni più profonde dell’anima, perché in quelle superiori domina la libertà,

finisce per condurre l’uomo ad Arimane, il quale vorrebbe vedere il mondo attuale

interamente trasformato in un cosmo di essenza intellettuale” (p. 99).

 

 

Che cosa vuol dire “persistere nell’essere originario”?

Vuol dire tremare “davanti al pieno uso della libertà”, e restare quindi legati al passato e alla tradizione, illudendosi così di “conservare l’originaria e ingenua bontà divina attiva nell’uomo”.

Pensate a Faust: cioè a dire, al rappresentante dell’anima cosciente. Non solo non evita il male, ma stringe perfino un patto col diavolo.

In Marlowe viene dannato, quale peccatore (26), in Pessoa viene sconfitto, quale “Intelligenza”, dalla “Vita” (27), in Goethe viene invece redento, quale uomo che mai ha smesso di cercare e lottare.

(Cantano gli Angeli [“volando in più alta atmosfera e portando la parte immortale di Faust”]: “Salvo è dal Malvagio questo nobile membro del mondo dei beati: “Noi possiamo redimere chi, sempre tendendo, si affatica”! E se poi anche l’Amore partecipa, dall’alto, al suo destino, la schiera beata gli va incontro con un affettuoso benvenuto” [28].)

 

Sarà il caso di rileggere questo passo di Parsifal e Amfortas:

“Non ha importanza se nell’uomo moderno che aspiri a salire nei mondi spirituali, l’”umano troppo umano”, nella sua figura esteriore, conviva insieme a ciò che supera l’umano: se, come in Parsifal, la “giubba del folle” faccia ancora capolino dietro l’armatura dello spirito.

Quel che importa è che nell’anima vi sia la spinta verso la conoscenza, verso la comprensione spirituale: quella sete inestinguibile che è in Parsifal e che lo porta, dopo tanto errare, al Castello del Santo Graal”.

 

Abbiamo già visto che il “volersi arrestare tremando davanti al pieno uso della libertà”, vuol dire arrestarsi di fronte al rischio del male, e abbiamo già detto che si tratta di un rischio ch’è necessario, al pari di quello dell’errore, correre (dice Parsifal, in Wagner: “L’errore ed il dolor mi furon via”).

 

• Come l’errore, infatti, deve prima essere riconosciuto quale “errore”, e poi trasformato in verità,

• così il male deve essere prima riconosciuto quale “male”, e poi trasformato in bene.

• In altre parole, dobbiamo imparare a “inalare” il male e, trasformandolo, a “esalare il bene”.

 

Ci vuole di certo coraggio, ma lo troveremo se non staremo solo a preoccuparci, egoisticamente, di assicurarci il paradiso (esistono le assicurazioni sulla vita o sull’al di qua, ma esistono anche le assicurazioni sulla morte o sull’al di là).

 

Ascoltate queste parole di Scaligero: • “La bontà diviene un potere magico: comincia a essere veicolo del miracolo, perché scaturisce dall’idea pura. Questa bontà è in sostanza il risultato della più lucida intelligenza dell’uomo e del più elevato dominio di sé, perché ad essa conduce il pensiero che conquisti la propria trascendenza, cioè il proprio essere predialettico (…) La bontà esclude la paura, interviene nella vita come corrente trasformatrice della realtà. Il discepolo deve acquisire il coraggio di giungere a una simile bontà” (29).

Dice Steiner: • “Abbandonarsi all’essere attuale, volere che domini soltanto la naturalezza del mondo raggiungibile dall’intelletto che si mantiene neutrale di fronte al bene, voler sperimentare l’uso della libertà soltanto nell’intelletto, in questo mondo attuale nel quale l’evoluzione deve venir continuata in regioni più profonde dell’anima, perché in quelle superiori domina la libertà, finisce per condurre l’uomo ad Arimane, il quale vorrebbe vedere il mondo attuale interamente trasformato in un cosmo di essenza intellettuale”.

 

Abbiamo già accennato alla filosofia del “disincanto” di Flores D’Arcais e a quella dell’”incanto” di Alcaro, osservando che la prima nasce da un incanto nei confronti di quanto è arimanico e da un disincanto nei confronti di quanto è luciferico, mentre la seconda nasce da un incanto nei confronti di quanto è luciferico e da un disincanto nei confronti di quanto è arimanico.

Né l’una, né l’altra nascono dunque da un incanto nei confronti del Cristo, e quindi di ciò ch’è realmente umano.

E sapete perché? Perché Arimane e Lucifero incantano (possiedono) inconsciamente, mentre il Cristo si unisce soltanto a chi gli schiuda, deliberatamente, le porte della propria anima (dice Paolo: “Dunque non son più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” – Gal 2,20).

 

Vi voglio fare un esempio di quanto si sia restii a far questo. Nel libro di cui vi ho parlato, Israel, riferendosi ai risultati raggiunti da una ricerca americana sull’effetto placebo, dice: • “Un accanito spiritualista si fregherebbe le mani, osservando che si è finalmente dimostrato in modo positivo che una “sensazione psicologica”, ovvero un processo puramente psichico, mentale, è capace di determinare dei processi materiali concreti. Noi non ci addentriamo in queste dispute ontologiche, ma osserviamo che la cupidigia ideologica fa brutti scherzi, conducendo a discorsi che si fanno beffe non soltanto della logica ma persino del buon senso. Tanto è grande la spinta a strumentalizzare la ricerca alla dimostrazione di un’ontologia materialista” (30).

 

Ma per quale ragione, vista la spinta a strumentalizzare la ricerca per dimostrare “un’ontologia materialista”, solo “un accanito spiritualista” dovrebbe addentrarsi in queste dispute ontologiche, e non chiunque abbia semplicemente a cuore la realtà? C’è forse bisogno di essere un “accanito matematico” per sostenere che due più due fa quattro, e non cinque?

E’ vero che “l’intelletto si mantiene neutrale di fronte al bene”, ma altrettanto è vero che questa reticenza ad addentrarsi in dispute ontologiche è un autentico (ci perdoni Israel) “peccato di omissione”. Non è infatti “pilatesco” sostenere che non possiamo dire che quanto avviene nella mente dipende dal cervello, né che quanto avviene nel cervello dipende dalla mente?

Fatto sta che il “voler sperimentare l’uso della libertà soltanto nell’intelletto” dà la stura alle idee più bizzarre e cervellotiche (per non dire “sinistre”).

 

Arimane, conclude Steiner, • “vorrebbe vedere il mondo attuale interamente trasformato in un cosmo di essenza intellettuale”: ad esempio, in uno spazio nel quale un cyborg o un androide (frutto della “robotica umanoide”) porta a spasso (si fa per dire) un cane robotico (di “razza” magari nipponica, tipo Aibo, Idog, Poo-chi o Dream DX).

 

 

Nelle regioni in cui l’uomo, rivolto al mondo esterno, guarda spiritualmente a Michele,

e rivolto all’interiorità dell’anima, guarda spiritualmente al Cristo, prospera quella sicurezza dell’anima e dello spirito

attraverso la quale l’uomo diverrà capace di percorrere la via cosmica

che gli farà trovare, senza la perdita della sua origine, il suo vero e pieno compimento avvenire” (p. 99).

 

 

Lo abbiamo detto: l’uomo,

• guardando dentro di sé, deve vedere il Cristo, e non Lucifero;

• guardando fuori di sé, deve vedere Michele, e non Arimane.

 

Leggiamo adesso le massime.

Massime 118/119/120 (16 novembre 1924)

 

 

118 – “Può essere libera soltanto un’azione alla quale non cooperi, dentro o fuori dell’uomo,

alcun processo naturale”.

 

 

 

119 – “Di fronte a ciò sta polarmente opposto il fatto che, nel libero agire dell’individualità umana,

venga represso in questa un processo naturale che nell’azione non libera avrebbe luogo

e darebbe all’essere umano la configurazione che gli sarebbe cosmicamente predestinata“.

 

 

Sul fatto che il nostro libero agire comporti la repressione di un processo naturale, e che siamo perciò liberi non in virtù della natura, ma nonostante la natura (tanto che, per poter esercitare la libertà, dobbiamo annullarne l’attività), ci siamo soffermati quando ci siamo occupati, sia de La filosofia della libertà, sia di Antropologia. Vi rimando perciò a questi testi (31), e vado avanti.

 

 

120 – “Questa configurazione,

che non viene per via naturale all’uomo che vive nel suo essere

all’unisono col presente e futuro stadio dell’evoluzione universale,

gli viene invece per via spirituale attraverso il suo collegamento con Michele,

grazie al quale l’uomo trova anche la via al Cristo“.

 

 

Nella fase evolutiva dell’antico Saturno, abbiamo ricevuto il corpo fisico, in quella dell’antico Sole, il corpo eterico, in quella dell’antica Luna, il corpo astrale e in quella terrena (nel corso della quale si è verificata la “caduta”), l’Io (Ex Deo nascimur).

E’ questa, potremmo dire, la configurazione del “vecchio Adamo”: cioè dell’Adamo che muore nel Cristo (In Christo morimur).

E quale sarà, allora, la “configurazione” del “nuovo Adamo”: ossia quella che ci è “cosmicamente predestinata” (Per Spiritum Sanctum reviviscimus)? Quella che sarà ri-creata dall’Io, in grazia del Cristo che lo inabita, trasformando, umanizzando o santificando, nell’ordine inverso, il corpo astrale, il corpo eterico e il corpo fisico.

 

Note:

  1. C.Unger: Il linguaggio dell’anima cosciente – Antroposofica, Milano 1970, p. 264;
  2. R.Steiner: Parsifal e Amfortas. I misteri dell’Oriente e del Cristianesimo – Tilopa, Roma 1983, p. 62, 64, 65;
  3. cfr. L.Apuleio: Le metamorfosi (L’asino d’oro) e Sulla magia e in sua difesa (Apologia) – De Agostini, Novara 1964;
  4. R.Steiner: L’iniziazione – Antroposofica, Milano 1971, p. 171;
  5. ibid., p. 173;
  6. M.Scaligero: Kundalini d’Occidente – Mediterranee, Roma 1988, p. 80;
  7. R.Steiner: Cronaca dell’Akasha – Bocca, Milano-Roma 1953, p. 26;
  8. R.Steiner: Il Vangelo di Giovanni – Antroposofica, Milano 1995, p. 71;
  9. R.Steiner: La soglia del mondo spirituale in Sulla via dell’iniziazione – Antroposofica, Milano 1977, pp. 154-155;
  10. R.Steiner: Esigenze sociali dei tempi nuovi – Antroposofica, Milano 1971, p. 243;
  11. R.Steiner: La storia alla luce dell’antroposofia – Antroposofica, Milano 1982, pp. 140-141;
  12. cfr. M.Scaligero: Dell’amore immortale – Tilopa, Roma 1982;
  13. cfr. R.Steiner: Il Vangelo di Giovanni;
  14. G.W.F.Hegel: Propedeutica filosofica – La Nuova Italia, Firenze 1977, p. 87;
  15. M.Scaligero: Tecniche della concentrazione interiore – Mediterranee, Roma 1985, p. 130;
  16. J.W.Goethe: Massime e riflessioni – TEA, Roma 1988, p.83;
  17. M.Alcaro: Filosofie della natura – Manifestolibri, Roma 2006, p. 27;
  18. cfr. Dai nemici mi guardo io, dagli amici mi guardi Dio, 17 settembre 2008;
  19. M.Alcaro: op. cit., pp. 213-214;
  20. G.W.F. Hegel: op. cit., p. 115;
  21. cfr. A.J.Cronin: E le stelle stanno a guardare – Bompiani, Milano 2001;
  22. R.Steiner: L’Apocalisse – Antroposofica, Milano 1963, p. 135;
  23. R.Steiner: La scienza occulta nelle sue linee generali – Antroposofica, Milano 1969, pp. 278-279;
  24. cfr. C.S.Lewis: L’abolizione dell’uomo – Jaca Book, Milano 1979;
  25. R.Steiner: Leggere occulto e ascoltare occulto – Antroposofica, Milano 2004, p. 14;
  26. cfr. C.Marlowe: La tragica storia del dottor Fausto in Teatro – UTET, Torino 1969;
  27. cfr. F.Pessoa: Faust – Einaudi, Torino 1991;
  28. J.W.F.Goethe: Faust-Urfaust – UTET, Torino 1975, pp. 504-505;
  29. M.Scaligero: Iside-Sophia. La Dea ignota – Mediterranee, Roma 1980, p. 18;
  30. G.Israel: Chi sono i nemici della scienza? – Lindau, Torino 2008, p. 320 – cfr. anche La “malascienza”, 19 luglio 2008;
  31. i corsi di studio su La filosofia della libertà e su Antropologia sono consultabili nel nostro “Osservatorio”.