Scienza naturale e scienza dello spirito: due parti di un tutto futuro: fisica, chimica, psicologia, pneumatologia.

O.O. 326 – Nascita e sviluppo storico della scienza – 06.01.1923


 

Sommario: Scienza naturale e scienza dello spirito: due parti di un tutto futuro: fisica, chimica, psicologia, pneumatologia. Moto e velocità. La conoscenza del non vivente, stato finale (cadavere) di qualcosa di sostanziale. Lo stato iniziale è ancora conservato nel fisico-eterico dell’uomo inferiore. Carattere apparente delle esperienze sensoriali qualitative; ricerca dall’essere reale corrispondente a ogni apparenza. Sforzi per risolvere l’enigma delle esperienze dei sensi. Necessità di comprendere le idee di Rudolf Steiner per porre fine a quel vano sforzo. Nuovi campi di ricerca per scienziati specializzati: elaborazione di una fisica e di una chimica antroposofiche. Necessità di elaborare i dati raccolti dalle scienze. La fisiologia è una scienza spuria: dovrebbe scomporsi in una chimica reale e in una psicologia reale. Patologia e terapia. Essenza dei processi di malattia e di guarigione. Germi di un’etica individualizzata. La tecnica. Il doloroso appello allo spirito e il suo compimento. Nicolò Cusano e Maestro Eckhart: dal «nulla» all’«io». Gli impulsi morali e la sfera dell’apparenza. La filosofia della libertà.

 

Gli argomenti di un ciclo di conferenze come questo sono per loro natura inesauribili e potrebbero venire trattati sempre più estesamente e più a fondo. Siccome però purtroppo bisogna pur concludere una volta, occorre accontentarsi di dare certe direttive e certi accenni; oggi perciò vorrei integrare le linee direttive e gli accenni che ho dati finora con alcuni pensieri che mi consentano di giungere almeno a una conclusione provvisoria.

 

Prendiamo ancora una volta le mosse dalla entità dell’uomo, quale risulta all’indagine scientifico-spirituale: esso consiste del corpo fisico, del corpo eterico (o corpo delle forze formatrici), del corpo astrale (che rappresenta essenzialmente la sua parte animica), e dell’organizzazione dell’io. Teniamo per fermo che il corpo fisico propriamente detto vive solo nella frazione solida, relativamente piccola, dell’organizzazione umana che possiede delimitazioni nette. Invece tutto ciò che è liquido, tutti i diversi succhi o umori dell’organismo è dominato, dal corpo eterico e si trova in continua mescolanza e separazione, è coinvolto in un ininterrotto alternarsi di composizione e scomposizione chimica, in un perpetuo fluire nel quale si esprimono appunto i processi di miscela e di separazione, di scissione e di sintesi. Teniamo presente anche il fatto che nell’organizzazione umana è presente anche una parte gassosa, aeriforme, quale si esprime ad esempio nell’attività dell’ossigeno e di altri gas: in questa attività opera l’organizzazione astrale dell’uomo. Infine l’organizzazione dell’io opera in tutto quanto nell’uomo è di natura affine al calore. Tutto questo insieme che ho ora ricordato non deve però essere concepito in modo schematico; bisogna al contrario rendersi conto che mentre tutti i liquidi dell’organismo, tutti i diversi succhi o umori sono compenetrati dal corpo eterico, essi trascinano con sé anche le parti solide: nell’organizzazione umana ogni cosa si trova in stretta, intima azione reciproca con tutto il resto. Questo va sempre tenuto presente. Va poi ricordato chiaramente che nel corso dell’evoluzione l’organizzazione umana è stata sperimentata dall’uomo stesso in modi diversi. Questo fatto importante è stato sottolineato come essenziale nel corso di queste conferenze.

 

Per esempio ciò che oggi forma l’oggetto della fisica o della meccanica fu in origine oggetto dell’esperienza interna del corpo fisico. Si può dunque affermare che la fisica odierna contiene formulazioni scaturite dal fatto che in passato vi fu una fisica sperimentata interiormente, nel corpo fisico, la quale fu poi espulsa dall’uomo (come ho detto più volte) e adesso figura solo come una fisica che studia la natura esterna. Analogamente si svolsero le cose per quanto riguarda il corpo eterico, in un passato che arriva fino ai tempi dell’alchimia medievale. Dove interviene l’attività del corpo eterico, si svolgono i processi dei liquidi dell’organismo: processi che un tempo venivano sperimentati interiormente e che traspaiono appena da certe indicazioni alchimistiche fantastiche che si trovano in vecchi libri, ma che in origine componevano una scienza mirabilmente elaborata, fondata sull’esperienza interiore dell’organizzazione eterica umana. Tutto quel complesso di processi è in procinto di venire esso pure espulso dall’uomo, in quanto non esiste in fondo ancora una chimica compiutamente sviluppata. Conosciamo molti processi chimici: la scienza cerca però di comprenderli secondo criteri fisico-meccanicistici.

 

Con ciò abbiamo esaurito l’ambito di ciò che l’uomo in passato sperimentava interiormente nella sua organizzazione e che più tardi ha per così dire espulso fuori da sé. In questo processo di espulsione verso l’esterno si sono sviluppate le scienze moderne, a cominciare dall’astronomia fino ai modesti inizi delle conoscenze chimiche odierne. All’inverso, nei tempi antichi l’uomo sperimentava la sfera psichica non come interiore all’uomo, bensì sentendosi collegato col mondo esterno, per tutto quanto Forma oggi il contenuto della psicologia astratta: per esempio il pensare, il sentire, il volere che gli uomini d’oggi non considerano neppure più come realtà. Dunque nell’antichità si faceva l’esperienza interiore proprio di ciò che è corporeo, mentre per sperimentare la sfera psichica si usciva fuori di sé e ci si univa col mondo esterno. Sicché un tempo la psicologia era la scienza di ciò che dal mondo esterno agisce sull’uomo in modo che egli appaia a se stesso come un essere animico. Mentre dunque la fisica e la chimica vennero espulse dall’uomo, le esperienze Fatte col mondo esterno Furono proiettate all’interno; in tal modo la psicologia e la pneumatologia (di cui parlerò Fra poco) vennero cacciate nell’interiorità umana, perdendo la loro realtà, Facendo apparire come soggettive tutte le percezioni, sicché non si potè più districarsene. Oggetto della psicologia è dunque ora ciò che l’uomo sperimenta mediante il suo corpo astrale che del resto esce dalla sua corporeità durante il sonno. A maggior ragione l’uomo sperimentava un tempo lo spirito in piena connessione col mondo esterno, e l’insieme di queste esperienze costituiva il contenuto della pneumatologia. Ho già detto che oggi tutta questa sfera di esperienze si è ristretta alla mera rappresentazione, o anzi alla sola sensazione dell’io. Esiste dunque adesso da un lato una scienza della natura esterna che in passato era stata esperienza interiore, e dall’altro una scienza dell’interiorità umana che era stata esperienza esteriore. Ciò che oggi è scienza esteriore Fu dunque in passato esperienza interiore, sia pure legata al corpo e in esso sentita, per esempio nel proprio moto corporeo: oggi invece il movimento viene descritto solo come Fenomeno esterno. Al contrario veniva sperimentato Fuori, in connessione col mondo esterno, ciò. che oggi si considera qualcosa di esclusivamente interiore, come i sentimenti, i pensieri, le percezioni. Questa è la condizione attuale della psicologia e della pneumatologia.

 

Poiché l’uomo si trova oggi nell’epoca dello sviluppo dell’anima cosciente, occorre riconoscere con chiarezza di che cosa abbiano veramente bisogno, da un lato la fisica e la chimica, dall’altro la psicologia e la pneumatologia, se si vogliono far progredire in modo cosciente. Prendiamo ad esempio la fisica che nei tempi moderni è diventata in massima parte astrattamente meccanicistica. Ho già messo in rilievo che la concezione scientifica moderna si sentì spinta a mettere sempre più al centro delle sue considerazioni la pura meccanica osservata nello spazio. Si ricorderà quanto dissi nell’ultima conferenza: in passato il moto dei corpi esterni veniva sperimentato come movimento interiormente; osservando la caduta di un sasso se ne sperimentava l’impulso di movimento nella propria interiorità, e precisamente nel corpo fisico. Dall’espulsione della fisica dall’esperienza umana interiore è derivata la misura dello spazio di caduta durante l’unità di tempo. In tutte le rappresentazioni concernenti la natura si ritrova la pretesa di mettere in evidenza ciò che è reale, mediante il fenomeno che viene osservato.

 

Che cosa può venire osservato nel mondo esterno? Possiamo osservare il movimento, il cambiamento di luogo. La velocità viene di regola fatta scomparire in un quoziente differenziale nel quale essa può nascondersi facilmente! Il moto invece può essere osservato, mentre la velocità viene espressa mediante il moto compiuto nell’unità di tempo, cioè mediante espressioni spaziali. Procedendo in questo modo, la nostra esperienza è completamente uscita dall’oggetto che fa parte della natura; se osserviamo solamente il suo movimento, cioè il suo cambiamento di luogo, non partecipiamo in alcun modo ad esso.

 

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Possiamo tornare a parteciparvi, se troviamo il modo di afferrare di nuovo l’oggetto spaziale, portando avanti lo stesso metodo grazie al quale siamo usciti da esso. Invece di osservare solo il moto, cioè il cambiamento di luogo nello spazio, dobbiamo prendere in considerazione nei corpi la velocità: questa infatti è una proprietà dei corpi che ci permette di conoscerne la natura interna, in quanto possiamo ritrovarla anche in noi stessi, se ricominciamo a guardare di nuovo anche all’uomo.

 

È dunque necessario proseguire lo sviluppo della scienza per il mondo esterno fisico, indirizzandolo dall’osservazione del moto (cambiamento spaziale) a quella della velocità posseduta dal singolo corpo. Dal movimento bisogna dunque per così dire risalire alla velocità: in tal modo si penetra in ciò che è reale. Quando vediamo un corpo mutare di luogo nello spazio, non penetriamo nel reale; se invece sappiamo che un corpo possiede un impulso interno di velocità, si tratta di qualcosa di inerente alla natura del corpo o della parte del corpo in questione. Non si enuncia nulla di essenziale su un corpo, indicando un cambiamento della sua collocazione spaziale, mentre indichiamo un suo carattere quando diciamo che esso è fornito di una velocità propria. Questa è allora una sua qualità, è qualcosa che appartiene al suo essere. Possiamo fornirne un esempio chiarificatore banale. Io non so nulla di un uomo se lo vedo in movimento; so invece qualcosa di lui, se mi è noto che egli ha in sé l’impulso a muoversi rapidamente o lentamente. Devo dunque avere la possibilità di accogliere nelle mie rappresentazioni qualcosa che abbia un significato all’interno del corpo. Non è essenziale per esempio che la fisica moderna parli di atomi o no: quello che conta è che, se ne parla, li consideri come spunti di velocità.

 

A questo punto però sorge la domanda: in che modo si perviene a un’impostazione come questa? Per rispondere a questa domanda è meglio prendere le mosse dalla fisica, perché la chimica non lo consente ancora. Bisogna ormai aver capito chiaramente il senso del pensiero che la meccanica e la fisica già sperimentata interiormente è stata proiettata fuori dell’uomo, nello spazio esterno. È come se si dicesse: mi è indifferente l’essenza di ciò che si trova nello spazio e non me ne occupo affatto; io mi limito a osservare solo ciò che è misurabile e che può essere tradotto in formule meccaniche, prescindendo cioè da tutto il resto che appunto non è meccanico. A che cosa si giunge in tal modo? Si giunge a compiere nella conoscenza il medesimo processo che l’uomo fisico compie morendo. Quando l’uomo muore, la vita esce da lui e rimane l’organismo morto. Quando comincio a pensare secondo criteri meccanici, la vita esce dalla mia conoscenza: ne risulta una scienza di ciò che è morto. Occorre rendersi conto in modo nettissimo che ponendo come unico oggetto dell’osservazione del mondo, o della natura, ciò che è fisico-meccanico, si costruisce solo una scienza di ciò che è morto. Bisogna essere ben coscienti che così si affronta solamente il morto. Anzi, bisogna perfino saper riconoscere che la grandezza della scienza moderna sta nel fatto di essersi inconsapevolmente decisa a non scorgere più nemmeno un resto di vita nella natura esterna (come facevano per esempio gli antichi alchimisti), ma di avere assunto un atteggiamento che si può esprimere al modo seguente: qualunque cosa possa essere presente nei minerali, nelle piante o negli animali, noi prendiamo in considerazione soltanto la parte morta, in quanto applichiamo concetti adatti soltanto a comprendere ciò che non è vivente. Perciò la natura di cui si occupa la nostra fisica è ciò che è morto.

 

Bisogna rendersi conto ben chiaramente che le scienze della natura verranno a trovarsi sopra una base sicura solo quando avranno conseguito la piena consapevolezza che con questo modo di pensare si afferra ciò che è morto. Lo stesso vale anche per la chimica, ma oggi mi manca il tempo di svilupparlo. Studiando in questo modo il movimento, cioè in un primo momento perdendo di vista la velocità, e costruendo una fisica su questo fondamento, si osserva ciò che è morto, cioè lo stadio finale dell’essenza del fenomeno osservato: infatti la morte giunge alla fine. Occorre dunque assolutamente rendersi conto che considerando la natura mediante la meccanica e la fisica odierne, si osserva uh cadavere.

 

La natura non è sempre stata qual è oggi; un tempo era diversa. È stolto credere che il cadavere che stiamo osservando sia sempre stato quale è ora. Il fatto stesso che io lo riconosca come un cadavere mi dimostra che prima era un organismo vivente. Quanto meglio ci si renderà contò che con la meccanica e la fisica odierne si percepisce la natura quale è, tanto più si comprenderà che la natura attuale è un cadavere, in quanto è rinchiusa nei concetti e nelle idee della fisica contemporanea. Dunque si studia un cadavere.

 

Dove si trova allora la possibilità di risalire allo stadio iniziale di ciò che è l’essenza? Il cadavere ne rappresenta lo stadio finale: come si trova la possibilità di giungere al suo stadio iniziale? Non esiste alcuna possibilità di riscoprire la velocità osservando il movimento, per quanto si concentri l’attenzione sul quoziente differenziale. Bisogna ritornare all’uomo: mentre esso in passato sperimentava se stesso interiormente, adesso occorre osservarlo secondo il suo organismo fisico, e scoprire che nell’uomo (e soprattutto nell’uomo inferiore) si trova lo stadio iniziale di ciò che è sostanziale nella natura. Vale a dire che lo stadio iniziale della natura va ricercato nel corpo fisico e nell’organizzazione eterica dell’uomo.

 

Il compimento della fisica e della chimica non potrà essere raggiunto senza una vera conoscenza dell’uomo. Va però detto molto esplicitamente che una vera conoscenza dell’uomo non potrà essere conseguita applicando ad esso i metodi fisici e chimici attuali. Così facendo, si riporta entro l’uomo ciò che è morto e si priva nuovamente della vita il corpo fisico umano, cioè la sua organizzazione in certo senso meno elevata: ci si limita a osservare appunto solo ciò che nell’uomo è morto. Bisogna riconoscere la necessità di prendere in considerazione ciò che nell’uomo è vivente, e quindi di non applicare nuovamente, per così dire a ritroso, i metodi fisici e chimici alla natura umana. Alla conoscenza dell’uomo sono invece necessari i metodi che possono venire scoperti sulle vie dell’indagine scientifico-spirituale. L’indagine scientifico-spirituale porta a compimento la funzione storica della scienza naturale.

 

L’esigenza storica della scienza si può formulare dicendo che essa è sorta per indagare ciò che nella natura ha carattere di cadavere. A questo la scienza dello spirito antroposofica deve aggiungere la conoscenza degli stadi iniziali che sono conservati solamente nell’uomo, mentre in epoche passate dell’evoluzione terrestre erano anche esteriormente reali. Un tempo i processi della natura erano completamente diversi: contenevano ancora in sé il loro inizio. Oggi noi ci muoviamo sopra i cadaveri di ciò che esisteva in principio. Nell’uomo inferiore sono però Conservati alcuni stadi iniziali; in esso si possono ritrovare dei residui di ciò che fu, risalendo fino allo stadio dell’antico Saturno. Il fatto di usare dei criteri storici, evolutivi, permette di andare al di là dello stato attuale della scienza, e il perché è senz’altro evidente. Noi ci troviamo naturalmente inseriti in un periodo dell’evoluzione. Molti sono convinti che il modo odierno di osservare e di pensare sia il più progredito possibile; essi ignorano che il reale decorso degli eventi richiede un atteggiamento diverso e che giudicando in questo modo si falsa anche la prospettiva storica. Sarebbe come voler pretendere di conoscere completamente un uomo che abbia compiuto venticinque anni, senza tener conto di tutte le altre possibilità che egli potrà ancora sviluppare nel seguito della sua vita. Questo è un aspetto del problema.

 

Movimento:    Velocità:    Cosa morta (stadio finale di ciò che è sostanziale)

Fenomeno:     Essenza:    Apparenza (stadio iniziale di ciò che è sostanziale)

 

L’altro fatto è che la nostra psicologia è diventata qualcosa di ben evanescente, e là pneumatologia è quasi inesistente: anche per esse si dà la necessità di accertare a che cosa si siano ridotte nel nostro tempo. Oggi chi parla delle diverse sensazioni (come l’azzurro o il rosso, il do diesis o il sol, le qualità del calore, e così via) le dichiara sensazioni soggettive. Questa posizione è ormai penetrata nella coscienza popolare. Ma che cos’è una sensazione puramente soggettiva? E fenomeno, in un certo senso è apparenza: diciamo pure fenomeno. Proprio come nella natura esterna noi osserviamo solo il movimento, così nella psicologia e nella pneumatologia osserviamo solo il fenomeno. E come nell’osservazione esteriore del movimento ci manca la velocità, così all’odierna osservazione della vita interiore dell’anima manca l’essenziale, l’essenza. Limitandosi così a osservare il fenomeno, senza più sperimentare l’essenza, l’esperienza dell’interiorità umana fornisce ormai solo apparenza, non più «essere». Nel modo in cui vengono sperimentati oggi, il pensare, il sentire e il volere sono apparenza, e intorno a tale apparenza si arrovellano gli odierni teorici della conoscenza. Fanno davvero la figura del celebre personaggio che voleva sollevarsi in aria tirandosi su per i propri capelli, o quella di chi si illude di poter smuovere una vettura spingendola dall’interno. Questa è la figura che fanno gli odierni teorici della conoscenza: parlano, ma i loro discorsi sono privi di forza, perché si muovono solo entro la parvenza.

 

A questo modo di parlare io ho cercato due volte di porre un termine: la prima volta con la mia Filosofia della libertà con la quale mostrai che la parvenza ìnsita nel puro pensare è proprio l’impulso alla libertà, una volta che la parvenza venga interiormente afferrata dal pensiero umano. Se infatti in ciò che si sperimenta soggettivamente fosse presente qualcosa di diverso dalla parvenza, non si potrebbe mai essere liberi. Se però la parvenza diventa pensare puro, la libertà diviene possibile, in quanto ciò che non è un «essere» non può nemmeno determinarci, mentre qualsiasi «essere» non potrebbe che determinarci. Quella fu dunque la prima volta. La seconda volta fu quando analizzai il problema nella visuale psicologica, al Congresso filosofico internazionale di Bologna, nel 1911. In quell’occasione cercai di mostrare che in effetti i sentimenti e i pensieri non vengono sperimentati interiormente, ma in modo esteriore, cosa che risulta anche da una modalità di osservazione consona allo spirito del presente.

Questi spunti dovranno un giorno venire compresi: allora si apprenderà che si tratta di ritrovare l’essere entro la parvenza, così come la velocità nel movimento. Si scoprirà allora che cosa sia questa parvenza sperimentata interiormente: essa si rivelerà come lo studio iniziale di ciò che diverrà sostanziale. L’uomo infatti sperimenta la parvenza, vive se stesso come parvenza entro la parvenza, trasformandola così nel germe di mondi futuri. Ho detto spesso che dalla nostra morale scaturita dal mondo della parvenza fisica nasceranno mondi fisici futuri, come oggi la pianta si forma dal suo germe. Quell’esperienza rappresenta lo stadio iniziale di ciò che diverrà sostanza. Si dovrà capire che, perché si sviluppi una scienza naturale adeguata, la psicologia e la pneumatologia devono tendere a considerare i frutti delle loro osservazioni come lo stadio iniziale di qualcosa: solo così esse potranno illuminare (per così dire dalla parte opposta) la scienza naturale. Ma che cosa è poi questo stadio iniziale?

 

Da tutta la mia impostazione risulta che quello stadio iniziale si trova fuori dell’uomo, non all’interno: si trova dove sono gli oggetti che suscitano in noi le impressioni, il manto vegetale della terra, il mondo dei colori, i suoni. Che cosa sono in realtà quelle formazioni fugaci che oggi la fisica, la fisiologia, la psicologia considerano solo come qualcosa di soggettivo? Essi sono ciò da cui si formano i mondi dell’avvenire. Il rosso ad esempio non è formato dalla materia nell’occhio o nel cervello, ma è il primissimo germe, ancora avvolto nella parvenza, di mondi futuri.

 

Imparando a conoscere queste cose, si vorrà cominciare anche a conoscere che cosa corrisponderà come «cadavere» a quei mondi futuri. Non sarà più quel «cadavere» che in passato abbiamo scoperto mediante la nostra fisica e la chimica, ma sarà un cadavere dell’avvenire. Si riconoscerà quel «cadavere» del futuro se lo si scopre già oggi nella parte superiore dell’uomo, là dove sono preminentemente attivi il corpo astrale e l’io. Se si sperimenta lo stadio finale corrispondente allo stadio iniziale al quale ho accennato, si finirà per comprendere finalmente nel giusto modo il sistema nervoso e il cervello, in quanto sono morti, non in quanto viventi. Essi possono essere perfino più morti di un cadavere, in certo senso, poiché proprio nel caso del sistema nervoso può venire superato il punto zero della morte: esso può essere più morto del morto. Però proprio in quanto in esso vige la morte, il cervello può diventare il portatore della cosiddetta attività spirituale: proprio perché in esso domina lo stadio finale che neppure la natura esterna ha raggiunto.

 

Per poter scoprire la psicologia e la pneumatologia nel mondo esterno si dovrà dunque scoprire in che modo sia presente la morte nell’organismo umano, e precisamente nell’organizzazione del capo e in una parte (quella respiratoria) dell’organizzazione ritmica. Dobbiamo imparare a scorgere nel nostro capo la continua presenza in esso di un processò di morte. Se infatti in esso dominasse la vita, la materia rigogliosamente vivente non potrebbe pensare. Siccome invece il sistema nervoso centrale cessa continuamente di vivere, muore di continuo, i pensieri (che sono dotati di sostanzialità animico-spirituale) trovano in esso la possibilità di espandersi come nuova parvenza vivente al di sopra di ciò che è morto.

 

Qui, in questi problemi, si trovano i grandi compiti che scaturiscono semplicemente dalla scienza, se la si affronta con criterio storico. Se non affrontiamo quei problemi, ci muoviamo nella fase attuale delle scienze come degli spettri, e non con la coscienza di chi sa che ogni epoca che ha avuto inizio deve trovare anche il suo sviluppo ulteriore. È evidente che molto di incosciente vive nell’insieme di quanto la scienza moderna ha trovato: se ne trova traccia eloquente nella letteratura contemporanea. La gente però non è ancora capace di distinguere; molti perciò oggi preferiscono quello che è più caotico e indeterminato. Il procedere con decisione, distinguendo la fisica e la chimica da un lato, la psicologia e la pneumatologia dall’altro, non è tanto gradito al gusto odierno, perché questo modo di procedere esigerebbe di prendere nuovamente sul serio le realtà e i concetti di ciò che è interno e di ciò che è esterno all’uomo. Questo non va a genio alla gente; perciò si preferisce continuare a pasticciare nel confuso, dalla psicologia alla chimica. Ne deriva una scienza spuria: la fisiologia, diventata oggi la figlia prediletta non solo degli scienziati, ma anche dei filosofi. Appena si sarà pervenuti alla realtà, la fisiologia si scomporrà da un lato nella psicologia (ma in una psicologia che sia al tempo stesso conoscenza del mondo), e dall’altro nella chimica, in una chimica che sia anche conoscenza dell’uomo.

 

Una volta formate queste due branche, scomparirà la formazione spuria che è la fisiologia. Siccome oggi c’è un vero pantano, vi si può trovare ogni sorta di cose; e poiché ognuno ha la possibilità di fare i suoi giochetti in una direzione o nell’altra, se la caverà sempre, sostenendo ora qualcosa di psichico, ora qualcosa di corporeo! Ecco il principale reliquato delle antiche concezioni divenute confuse, ecco il residuo che dovrà scomparire: la fisiologia quale è intesa oggi. I suoi concetti sono così confusi, perché contengono sempre qualcosa di psichico e qualcosa di corporeo, mescolati e non distinguibili. C’è chi si compiace proprio di non essere costretto a distinguere, di poter millantare a parole e anche a fatti. In verità, per chi sa vedere le cose con chiarezza e chiaramente pensa, la fisiologia va a finire in un millantare a parole e a fatti: se non si ha il coraggio di riconoscerlo, non si prende sul serio la storia della scienza. Questa infatti non solo si estende da un passato indeterminato fino al presente, ma continua dal presente in avanti: d’altronde si comprende la storia solo comprendendo anche l’evoluzione ulteriore, e non certo in un senso profetico superstizioso, ma nel senso di saper assumere d’ora innanzi un atteggiamento giusto. Proprio nel campo della scienza una quantità di «cose giuste» possono essere realizzate. La scienza è veramente cresciuta: la si potrebbe paragonare a un bravo ragazzo che sta passando gli anni difficili dell’adolescenza, e che ha bisogno che ci si occupi un poco di lui perché divenga proprio adulto e maturo! La scienza crescerà come si deve, se scomparirà una scienza spuria come la fisiologia, se rinasceranno una fisica e una pneumatologia con le caratteristiche sopra descritte. Esse sorgeranno di certo, purché si applichi a quelle scienze il modo di pensare antroposofico. La scienza diventerà adulta, se gli uomini si convinceranno di avere qualcosa da imparare quando si parla loro di una vera fisica, di una vera chimica, di una vera psicologia e pneumatologia; se sapranno rinunciare all’abitudine di cercare di comprendere l’uomo e il mondo mediante scienze spurie e caotiche, come per esempio la fisiologia. Allora ci si ritroverà sopra un terreno solido e sano per lo sviluppo della conoscenza umana.

 

Naturalmente è soprattutto la terapia a soffrire per le attuali condizioni della fisiologia, in quanto essa lavora con concetti e metodi che se confrontati con un pensare chiaro vengono meno. Certo, per affrontare i grandi compiti del nostro tempo non sono sufficienti pochi luoghi comuni antroposofici. Né basta a tale scopo un confuso arrancare fisiologico, al confine tra la psicologia e la chimica: è proprio necessario applicare con piena serietà anche alla fisica e alla chimica i metodi che scaturiscono dalla scienza dello spirito antroposofica. Con una certa pigrizia qualcuno potrebbe obiettare che di queste cose può giudicare rettamente solo chi sia chiaroveggente; e che finché non lo si è, è bene astenersi dal criticare la fisica e la chimica, per non parlare poi della fisiologia!

 

Mi permetto però di far osservare che non occorrono conoscenze trascendenti per riconoscere che un cadavere è morto e che deve provenire dalla vita. Altrettanto poco è necessario essere chiaroveggenti per analizzare adeguatamente i veri dati di fatto della fisica e della chimica e per ricondurli al vivente che sta al loro fondamento. Basta prestare attenzione a chi indica che per trovare il vivente è sufficiente osservare l’uomo inferiore (cioè fisico ed eterico); è sufficiente osservare in modo obiettivo l’uomo d’oggi per poter scorgere il necessario completamento della fisica e della chimica. Si provi a studiare veramente il meccanismo del movimento nell’uomo, invece di continuare a disegnare delle coordinate sulle quali costruire i moti, prescindendo dall’uomo. Invece di procedere a sempre nuovi quozienti differenziali e a nuove integrazioni, si provi a studiare sull’uomo dal di fuori la meccanica del movimento, come un tempo la si sperimentava dal di dentro: si troverà in tal modo quel che occorre per l’osservazione esterna della natura, nella fisica e nella chimica.

 

Nella natura esterna i sostenitori dell’atomismo avranno pur sempre il diritto di azzardare l’affermazione altamente «spirituale» che per il fisico odierno la materia non è certo qualcosa di materiale, dato il modo in cui la si considera. Questa affermazione è stata già enunciata da certi fisici, cioè dai nostri oppositori. In questo caso si tratta di un’affermazione giusta. Se a questa giusta affermazione ci si limita però a replicare che si rimane pur sempre nella zona delle mezze verità, cioè degli stadi finali di ciò che è divenuto sostanza, non saremo mai all’altezza di quanto affermano gli oppositori: questo invece è proprio ciò di cui il tempo presente ha bisogno.

 

Qui starino i compiti degli specialisti, i compiti di coloro che possiedono la necessaria preparazione nei diversi rami delle scienze. Allora però non si avrà un’antroposofia fisicizzata o chimicizzata, bensì la vera fondazione di una chimica e di una fisica antroposofica. Non si avrà allora una medicina un poco trasformata, conformemente ai princìpi della vecchia medicina, ma si fonderà una medicina antroposofica. Proprio qui si trovano i compiti e io li ho abbozzati in molte occasioni. Proprio come il semplice sentimento dell’anima umana può accogliere tutte le osservazioni sparse nei miei cicli di conferenze, tutti gli accenni atti a dare sostegno all’uomo, così quello che importa è che si afferrino anche tutte le indicazioni da me fatte e capaci di portare verso il necessario progresso delle singole scienze.

 

In avvenire si dovrà però giungere a una riunione dell’uomo e della natura; si dovrà completare, integrare ciò che la fisica e la chimica studiano nella natura, come stadi finali di ciò che è sostanziale, con qualcosa di sostanziale che spetta alla fisica e alla chimica e che si trova nell’uomo «inferiore», cioè in quanto è corpo fisico e corpo eterico. Importante è che si proceda alla ricerca di tale integrazione o riunione; meno importante è che nella chimica si mettano in evidenza sistemi di valenze, o certe formule di struttura

 

o anche il sistema periodico degli elementi, perché anche tutto questo è soltanto schema. Tutte queste cose hanno un loro certo valore, quasi direi come moneta di scambio, ma non sono le più importanti. Quello che ora importa è di riconoscere che le leggi chimiche non si scoprono studiando i processi chimici esteriormente: esse infatti stanno là dove i processi chimici hanno inizio. Potrò scoprire le leggi chimiche soltanto se mi decido a studiare seriamente i processi che si svolgono nell’uomo, nella circolazione e nell’attività dei suoi liquidi dominati dall’azione del corpo eterico. La spiegazione dei processi chimici della natura si trova nei processi del corpo eterico, e questi a loro volta si rispecchiano nel gioco dei succhi, degli «umori» dell’organismo limano senz’altro accessibili a uno studio esatto.

 

In questa direzione l’antroposofia ha un serio compito: ecco perché abbiamo fondato degli istituti di ricerca nei quali si dovrà cominciare a lavorare intensamente, per coltivare davvero i metodi scaturiti dall’antroposofia. Anche nell’ambito della terapia da noi applicata, l’essenziale è di eliminare l’antica confusa fisiologia, sostituendola con una chimica reale e con una reale psicologia. Senza una chimica e una psicologia reali (nelle quali dovrà scindersi la fisiologia) non si potrà mai formulare una vera conoscenza dei processi patologici e dei processi di guarigione nell’organismo umano, perché ogni processo patologico è proprio un processo psicologico abnorme e ogni processo di guarigione è un abnorme processo chimico. Un’adeguata patologia e una terapia vera potranno scaturire solo da una conoscenza del modo in cui si può influenzare il processo chimico della guarigione e del modo in cui una giusta psicologia può comprendere il processo chimico dell’ammalarsi. Ciò risulta dallo spirito della conoscenza antroposofica.

 

Se non si è disposti a scorgere tutta la complessità di questi rapporti, vuol dire che ci si accontenta di piccolissimi cambiamenti o novità, ma che non si vuole affrontare un lavoro serio. Tutti gli accenni che ho qui dati non fanno che descrivere come si dovrebbe lavorare, perché solo lavorando si realizzeranno una vera psicologia e una vera chimica, nel senso che si è detto. Le premesse per un tale lavoro esistono già, perché la letteratura scientifica registra molti fatti che sono stati scoperti, ma non compresi. Gli scienziati che lavorano nella direzione indicata dall’antroposofia dovrebbero portare i loro contributi alla comprensione di molti dati di fatto scoperti dalla scienza. Un esempio: ho fatto rilevare anche ieri, in una cerchia più ristretta, che la milza è essenzialmente un organo di eliminazione, è essa stessa, in certo senso, una eliminazione dalle funzioni che si svolgono nel corpo eterico. Similmente nella letteratura medica si possono trovare innumerevoli fatti che richiedono solo di essere elaborati (ma veramente elaborati!): le connessioni reali e le conoscenze giuste scaturirebbero senz’altro da una elaborazione adeguata dei dati esistenti.

 

Un uomo singolo potrebbe forse svolgere quel lavoro, nel corso di una singola vita, se questa durasse seicento anni! In tal caso però sarebbero nel frattempo sorti altri compiti e i risultati della propria ricerca ed elaborazione sarebbero invecchiati e superati. Ma quello che si vuole e si deve realizzare per l’umanità va realizzato mediante la collaborazione umana. Ecco qui il secondo compito che si impone: la necessità della collaborazione. Io ritengo che questi compiti della Società Antroposofica risultino nel modo più chiaro e più evidente dall’osservazione reale della storia delle scienze nei tempi più recenti.

 

Ogni pagina della storia della scienza moderna ci mostra davvero la sua grandezza: mai prima infatti era stato possibile osservare ciò che è realmente morto, e quindi neppure si poteva servirsene in qualche modo. Prima non si poteva in realtà osservare la parvenza interiore: perciò non si poteva neppure ravvivarla grazie a una forza umana, cioè non si poteva pervenire alla libertà. Oggi ci troviamo di fronte a un mondo grandioso, reso possibile solo dal fatto che la scienza ha per suo contenuto ciò che è morto: si tratta del mondo della tecnica. Questa tradisce la sua origine nel fatto che la parola tecnica deriva dal greco «technè», che allora significava «arte», il nome rivela dunque che in origine la tecnica conteneva ancora dello spirito. Oggi essa è un’elaborazione dello spirito, ma solo nel senso del pensiero astratto, privo di spiritualità; di fronte alla tecnica noi dobbiamo riconoscere di averla potuta conquistare solo mediante un’esatta conoscenza di ciò che è morto. Questa presa di visione della sfera di ciò che è morto, da parte dell’umanità, era necessaria: grazie ad essa è divenuto possibile penetrare nel regno della tecnica. Ora però l’uomo si trova nel regno della tecnica che lo circonda da ogni lato, e osservandolo egli può riconoscere che si tratta di una sfera in cui finalmente lo spirito in senso reale è proprio assente. Quello che importa è che, di fronte all’aspetto spirituale di ogni ramo della tecnica, si abbia una sensazione interiore quasi corrispondente a quella che si prova per la morte di una persona. Se infatti nella conoscenza si è capaci di sviluppare anche una sensazione, un sentimento, ci si accorgerà di provare un sentimento simile (anche se diverso) a quello che si prova di fronte alla morte di qualcuno, quando un organismo vivente diventa un cadavere: il sentimento che si prova di fronte a un cadavere. Oltre alla conoscenza astratta, fredda, indifferente, si avrà il sentimento che la tecnica è l’elaborazione di qualcosa di morto. Da questo sentimento scaturirà il più forte impulso alla ricerca dello spirito per vie nuove.

 

Possiamo veramente formarci un’immagine del futuro: librato al di sopra di tutte le ciminiere, di tutti i telefoni, di tutte le macchine create così mirabilmente dalla tecnica moderna, al di sopra di questa grande Terra esclusivamente meccanica, simile alla tomba di tutto ciò che è spirituale, l’uomo lancia un appello nostalgico all’universo, e il suo appello sarà esaudito. Perché proprio come da un sasso, che certamente è cosa inanimata, può scaturire grazie a un intervento adeguato la scintilla viva del fuoco, così dalla morta tecnica scaturirà lo spiritò vivente, se vi saranno uomini capaci di sentire la tecnica nel modo giusto.

 

D’altro lato occorre rendersi chiaramente conto di che cosa sia il pensare puro, cioè quella «parvenza» dalla quale possono essere tratti i più forti impulsi morali individuali, come li ho descritti nella mia Filosofia della libertà. Ci si troverà allora in modo nuovo di fronte alla sensazione che un tempo provarono Niccolò Cusano e il Maestro Eckhart. Essi riconobbero che elevandosi al di sopra di tutte le osservazioni comuni si perviene (insieme a tutto ciò che si è imparato) al «niente»: in questo «niente» però sorge l’«io». Purché si avanzi al giusto modo fino al pensare puro, vi si trova il «niente» che diventa «io» dal quale scaturisce poi tutta la pienezza delle azioni morali che sono a loro volta creatrici di mondi nuovi. Io potrei raffigurarmi una persona che prima si apra all’intera conoscenza contemporanea, inaugurata dalla scienza moderna; e poi rivolga il proprio sguardo alla propria interiorità oggi, secoli dopo il Cusano e dopo il Maestro Eckhart; dotata così del modo di pensare odierno, pervenga a quel «nulla» interiore, di fronte al quale potrà poi scoprire che solo a questo punto lo spirito può parlargli. Mi sembra anche che queste due esperienze potrebbero unirsi: da un lato il trovarsi in mezzo alla tecnica che desolatamente abbandona lo spirito; e dall’altro il raccogliersi in se stessi, riuscendo così a percepire la risposta divina all’appello rivolto verso l’universo. Se impariamo, grazie a una rinnovata scienza antroposofica della natura, a destare in noi silenziosamente gli appelli di un’infinita nostalgia per lo spirito, questo sarà il giusto punto di partenza per poter anche trovare, mediante una conoscenza interiore trasformata dall’antroposofia, la risposta a quell’appello per lo spirito, rivolto con infinita nostalgia verso tutti i mondi.

 

È stato mio desiderio esporre lo sviluppo della scienza moderna non solo in modo documentario; volevo invece mostrare come si presenti un uomo che comprende l’evoluzione scientifica moderna e che sia in grado di esprimere le cose giuste, in un momento dell’evoluzione difficile per il progresso dell’umanità.