Conclusioni

O.O. 310 – Importanza della Conoscenza dell’Uomo per la Pedagogia e della Pedagogia per la Cultura – 24.07.1924


 

Poiché mi è concesso di dire queste parole conclusive per il corso pedagogico, voglio innanzi tutto esprimere la mia vera e profonda soddisfazione per il fatto che i nostri amici in Olanda, che si son posti il compito di seguire la concezione antroposofica del mondo, abbiano voluto organizzare appunto questo corso. L’organizzazione di un tale corso infatti, per gli organizzatori, significa sempre un notevole e pesante lavoro. Meglio di ogni altro lo sappiamo noi, che a Dornach organizziamo diverse cose, che cosa significhi in tali occasioni lavorare dietro le quinte, quanta fatica sia necessaria. Sarà quindi comprensibile se io, prima della mia partenza dall’Olanda, esprimo il mio cordiale ringraziamento a chi ha contribuito a render possibile questo convegno. Ne è nato un corso pedagogico, e in queste conclusioni mi sarà forse concesso dire qualcosa a proposito della posizione dell’arte pedagogica entro tutto il movimento antroposofico.

 

L’arte pedagogica è cresciuta entro il movimento antroposofico, vorrei dire, non come qualcosa che si sia inserito in esso a seguito di un astratto proponimento, ma che è risultato dal movimento stesso con una determinata necessità. In modo così naturale e spontaneo, come l’arte pedagogica, ben poche cose, in sostanza, sono sorte fino ad ora dal movimento antroposofico. In un modo così naturale sono sorti dal movimento antroposofico soltanto l’euritmia, per opera della signora Steiner, e il movimento medico, per opera della dottoressa Wegman, oltre appunto l’arte pedagogica stessa della quale io posso dire che essa è nata per destino dal movimento antroposofico, allo stesso modo come – si può dire – anche le altre due cose sono sorte karmicamente. Il movimento antroposofico, infatti, è naturalmente l’espressione di qualcosa che corrisponde ad un’aspirazione umana, dato che sulla terra esiste un’umanità.

 

Basta guardare indietro nell’evoluzione dell’umanità a quegli antichi tempi nei quali si trovavano qua e là delle sedi di misteri, dove religione, arte e scienza erano esercitate partendo dall’esperienza spirituale, per accorgersi come in quegli antichi e venerabili luoghi gli uomini avessero rapporti con gli esseri del mondo soprasensibile, per immettere vita spirituale nella vita fìsica esteriore. Se continuiamo a considerare la storia dell’evoluzione umana, vi ritroviamo sempre di nuovo l’aspirazione ad aggiungere il soprasensibile a quanto l’uomo può percepire con i suoi sensi. In generale, questa è la prospettiva che ci si presenta scorrendo la storia dell’evoluzione umana; vediamo allora che quanto oggi vive nell’antroposofia è una costante eterna nelle aspirazioni umane. Questa costante si manifesta proprio come antroposofia appunto nel desiderio e nelle aspirazioni dei cuori e delle anime degli uomini odierni. Si può anzi dire che, alla svolta fra i secoli XIX e XX, è divenuto possibile, soltanto che lo si voglia, avere delle rivelazioni dal mondo spirituale, tali da poter approfondire di nuovo tutta la concezione universale dell’umanità.

 

Le rivelazioni dal mondo spirituale, che oggi devono esser diverse dalle antiche verità dei misteri, che oggi devono esser in accordo con quanto gli uomini conoscono quale scienza, queste rivelazioni costituiscono il contenuto dell’antroposofia. Chi la conosce sa che, sulla base delle condizioni della nostra epoca attuale, molti più uomini giungerebbero all’antroposofia se parecchi di essi non si tagliassero la via all’antroposofia con enormi pregiudizi e anche con sentimenti preconcetti. Sono però cose che devono essere superate. Dal piccolo cerchio di antroposofi dovrà formarsene uno sempre più grande. E quando si pensa a tutto quello che in esso agisce e vive, ci si può forse fare un’immagine – senza per questo stimare che l’antroposofia, come tale, sia un movimento religioso – di un processo storico che incide profondamente nel cuore.

 

Pensiamo un momento: il mistero del Golgota aveva avuto luogo. Ancora cento anni dopo di esso, il più brillante scrittore romano, Tacito, scrive del Cristo come di un semisconosciuto che trovò la morte laggiù, in Asia. Dove esiste la cultura romana, dove allora è determinante la vita culturale e spirituale di Roma, ivi si vive nelle tradizioni degli ultimi millenni, e nulla si conosce del Cristo. Quasi alla lettera ci si può figurare un fatto importante: alla superficie abbiamo la civiltà romana, nelle arene, nei grandiosi spettacoli, in tutto quanto avviene nella vita sociale romana, nella vita statale romana. Sotto, sotto la terra, vi sono le catacombe; in esse si riuniscono già molte persone, presso le tombe di coloro che, come esse stesse, sono legati al mistero del Golgota. E questo esse devono nascondere. Al massimo, affiora talvolta alla superficie quello che vive sotto la terra perché nell’arena un cristiano viene spalmato di pece e bruciato, come spettacolo per chi è istruito, educato. Abbiamo così due mondi: sopra, quello corrispondente alle antiche e più brillanti tradizioni della vita civile romana; sotto, quello che si evolve in segreto sotto la terra. Prendiamo ora il più brillante scrittore di quell’epoca: egli poteva scrivere soltanto una breve nota sulla nascita del cristianesimo, per averla annotata nelle sue carte, anche se aveva in Roma il suo scrittoio sopra ima catacomba — non era infatti necessario che egli sapesse nulla di quello che avveniva sotto di lui.

 

Consideriamo ora che cosa avviene alcuni secoli dopo. Quello che allora a Roma era così brillantemente diffuso è ora scomparso; alla superficie della terra è apparsa la civiltà cristiana dove prima esisteva la cultura romana. Il cristianesimo comincia a diffondersi in Europa. Se si tiene presente questo quadro, si vede come in realtà si svolgano le cose nell’evoluzione dell’umanità. Spesso, considerando l’epoca presente ci si può quasi dire: Se pur non si riuniscono sotto la terra, perché oggi più non si usa – altrimenti lo dovrebbero fare – gli antroposofi si radunano sì esteriormente in belle sale, come qui è il caso, ma chiediamoci se gli uomini che fuori di qui chiamano civiltà la loro civiltà, chiediamoci se sanno di più di quello che qui avviene di quanto non ne sapessero i Romani di quel che avveniva allora nella catacombe di Roma. Ora non si può più parlare così alla lettera; la situazione è oggi più trasposta verso lo spirito, ma pur sempre la medesima. Se poi col pensiero si va avanti di un paio di secoli, se non altro si può avere la coraggiosa speranza che il quadro potrebbe modificarsi. Certo, chi oggi sa tanto poco dell’antroposofia quanto i Romani sapevano del cristianesimo, troverà tutto questo molto fantastico; ma nessuno può agire nel mondo se non può guardare coraggiosamente alla via che si apre per lui. Gli antroposofi devono dunque guardare coraggiosamente alla via che si apre dinanzi a loro. Perciò vengono in mente tali immagini.

 

Peraltro a volte è pur necessario considerare tutti i giudizi espressi sull’antroposofia. A poco a poco è infatti avvenuto che quasi non passi settimana senza che appaia un qualsiasi libro avverso all’antroposofia. Gli avversari prendono l’antroposofia molto seriamente, e la contraddicono ogni otto giorni – non sempre da punti di vista diversi, perché non hanno molta inventiva – ma ugualmente la contraddicono. È certo interessante vedere come l’antroposofia viene trattata in base a queste tendenze. Si trovano persone molto dotte, oppure persone che dovrebbero avere senso di responsabilità e che scrivono libri nei più svariati campi: essi citano quello che hanno letto sull’antroposofia; spesso però non è citato un solo libro che provenga dall’antroposofia, ma essi si documentano sulla base di libri avversi.

 

Ad esempio vi fu un tempo la « gnosi », della quale in realtà ben poco esiste, al di fuori dello scritto: Pistis Sophia, per altro difficile da capire e che contiene poco. Oggi quindi tutti coloro che scrivono della gnosi oppure, poiché questo argomento ha oggi una notevole importanza, dànno un giudizio sulla gnosi, la conoscono poco; stimano di dire qualcosa sulla gnosi quando affermano che essa deriva dal mondo greco. Devo spesso pensare che ne sarebbe se avvenisse la medesima cosa a proposito dell’antroposofia, vale a dire se essa rimanesse nota soltanto attraverso i suoi avversari e se accadesse, come a volte molti desiderano, che tutti gli scritti antroposofici venissero bruciati; allora l’antroposofia sarebbe conosciuta allo stesso modo di come oggi si conosce la gnosi. E’ però interessante che oggi molta gente dice dell’antroposofia che essa è una « gnosi riscaldata ». Non conoscono l’antroposofia perché non la vogliono conoscere, non conoscono la gnosi perché non possono, perché non esiste documento storico su di essa, ma dicono ugualmente così. È un fatto negativo, ma che può ugualmente indicare una determinata direzione. In altre parole può soltanto indicare che devono esistere il coraggio e la forza affinché all’antroposofia non debba mai succedere quello che accade alla gnosi, che deve anzi avvenire che l’antroposofia possa sviluppare la sua attività. Quando ci si rende conto di questo, si guarda sempre con una gran soddisfazione a tutte le singole iniziative che si realizzano, come è avvenuto per questo convegno; di queste cose, infatti, è costituito quanto può far sì che l’antroposofia continui ad agire con forza. Direi quasi che l’antroposofia ha fatto soltanto capolino da ima finestrella in questo corso pedagogico. Si è accennato a molte cose che potevano mostrare che l’antroposofia si basa sulla realtà, che essa bada veramente all’immediata vita pratica. Perché tutto quanto è reale è anche permeato di spirito, e si può riconoscere la realtà soltanto se ci si avvede della spiritualità. Non è però stato possibile parlare di antroposofia in senso proprio. D’altro cerato si è potuto invece parlare di un settore nel quale l’antroposofia può dare dei frutti: il settore pedagogico.

 

Per esempio, per l’euritmia, più o meno ha parlato veramente il destino. Oggi qualcuno potrebbe asserire che un bel giorno è sorto il pensiero che dovesse esserci un’euritmia. Ma così non fu. Esisteva invece una famiglia che aveva perduto il padre, e la madre era preoccupata di come provvedere ai numerosi figli. Questi dovevano scegliere ima professione. Allora il movimento antroposofico era ancora piccolo; mi fu chiesto che cosa le figlie avrebbero potuto fare, e in quell’occasione vennero mossi i primi passi per giungere all’euritmia. Lo si fece nel senso più stretto, e nacquero così le prime indicazioni euritmiche. Il destino aveva parlato: era nata l’euritmia perché esisteva l’antroposofia e perché qualcuno, in campo antroposofico, aveva cercato una professione per la vita. Non tardò molto, e le prime che allora avevano studiato l’euritmia divennero maestre, e la diffusero ulteriormente. La signora Steiner se ne è occupata, e l’euritmia è diventata quello che è oggi. Si può quindi arrivare al giudizio che non si è cercata l’euritmia, ma che l’euritmia ha cercato l’antroposofia.

 

Vediamo ora la medicina. La dottoressa Wegman è socia della Società Antroposofica in realtà da quando esiste la società stessa. Essa aveva la tendenza, dall’inizio della sua attività terapeutica, di agire come medico entro il movimento antroposofico. Si era dedicata alla medicina da vera antroposofa. Così, anche in questo caso, la medicina si è sviluppata dall’antroposofia, ed oggi vi si è inserita appunto perché quello sviluppo è avvenuto attraverso una personalità.

 

E ancora. Quando le agitazioni della guerra mondiale si furono esaurite, gli uomini pensarono ad ogni sorta di cose: Ora deve avvenire qualcosa di grandioso, dopo la molta miseria sopportata, ora gli uomini devono avere il coraggio di fare qualcosa di grandioso, di trasformarsi completamente. Furono concepiti ideali grandiosi. Tutti gli scrittori che di solito scrivono qualcosa d’altro si occuparono dell’avvenire dello Stato, dell’avvenire dell’ordine sociale, e così via. Tutto era teso al pensiero: che deve ora fare l’uomo? Anche in campo antroposofico sorsero molte di queste cose, e di nuovo scomparvero.

 

Soltanto nel settore della pedagogia, fino ad allora esisteva realmente poco. Il mio breve scritto L’educazione del bambino secondo la scienza dello spirito, nato piuttosto all’inizio del movimento antroposofico, esisteva, con diverse indicazioni, e conteneva in sostanza già un sistema completo di pedagogia, ma non fu considerato null’altro che un modo, per le madri, di allevare i loro figli nel senso di quel libretto. Mi veniva sempre chiesto: Questo bambino va vestito di blu? e quell’altro di rosso? a questo va messa ima coperta gialla sul letto? e a quell’altro una rossa? Mi veniva anche chiesto che cosa un fanciullo dovesse mangiare e così via. Erano belle aspirazioni nel settore pedagogico, ma non molto di più.

 

In mezzo a tutti quegli ideali confusi, a Emil Molt, a Stoccarda, venne l’idea di fondare una scuola per i figli degli operai della fabbrica di sigarette Waldorf-Astoria. Emil Molt, che è oggi qui presente, ebbe pure l’idea di affidarmi la direzione di quella scuola, e così essa non potè diventare che antroposofica. Questi sono i fatti. Il destino aveva appunto disposto in questo modo. La scuola venne fondata con 150 bambini che provenivano dalla fabbrica Waldorf-Astoria. Essa ebbe dei maestri che vennero presi dal movimento antroposofico. Grazie alle leggi scolastiche del Württemberg fu possibile assumere, quali insegnanti, quelli che si stimavano adatti; non si pose infatti altra condizione se non quella che chi doveva diventare insegnante dovesse dimostrare in generale di esservi adatto. Tutto questo avveniva ancora prima della grande liberazione dell’umanità, fatta dall’Assemblea Nazionale di Weimar. Dopo di allora non sarebbe più stato possibile agire in quel modo libero. Così si potè almeno cominciare, e si spera sarà pure possibile, almeno per un paio d’anni, di avere anche le classi inferiori.

 

Così l’antroposofia giunse alla scuola; si potrebbe anche dire: la scuola giunse all’antroposofia. In pochi anni la Scuola Waldorf crebbe talmente che essa ha ora bambini provenienti da ogni ceto sociale e ragazzi di tutte le classi; la gente più svariata desidera mandare i suoi figli nella Scuola Waldorf, antroposofi e non antroposofi. La gente può sviluppare a volte delle stranissime idee. Naturalmente i figli sono per i genitori quanto di più caro esista, e questi ultimi vogliono pertanto inviarli in una scuola eccellente. Avvengono così dei fatti come questo: a Stoccarda vivono avversari dell’antroposofia, avversari decisi, avversari convinti perché sono avversari « scientifici » e quindi sanno che l’antroposofia è una sciocchezza non scientifica. Essi mandano però i loro figli alla Scuola Waldorf e trovano perfino che essa è eccellente per i loro figli. Poco tempo fa due di tali persone visitarono la Scuola e dissero che era veramente buona, che loro lo avvertivano attraverso i loro figli, ma che era soltanto un peccato che fosse stata fondata sulla base « della teosofia ». Ora è certo che la Scuola Waldorf non esisterebbe se non esistesse l’antroposofia. Si vede proprio che il giudizio di certa gente corrisponde al dire: Il tale è un eccellente ballerino, peccato soltanto che debba stare su due gambe. Questa è la logica degli avversari. In realtà non si può far altro che affermare che la Scuola Waldorf è una buona scuola, perché tutto quello che vi si trova non vi è messo per farne una scuola che imponga una determinata concezione del mondo. Ad esempio, per l’insegnamento della religione ci comportiamo in modo che i bambini cattolici vengano istruiti nella scuola da un sacerdote cattolico, e quelli evangelici da uno evangelico; e soltanto perché in Germania esiste un gran numero di dissidenti, che non appartengono cioè a nessuna comunità religiosa, affinché questi ragazzi non restassero senza insegnamento religioso, dovemmo organizzare per loro un libero insegnamento religioso. Ebbi molta difficoltà a trovare degli insegnanti adatti perché il nostro corso libero di religione è frequentatissimo; noi non sollecitiamo i ragazzi a frequentare il corso, ma vogliamo soltanto essere una scuola moderna. Vogliamo avere solamente dei principii pratici per l’insegnamento e l’educazione. Non vogliamo portare l’antroposofia nella scuola perché non siamo una setta, perché diamo valore all’uomo nel suo complesso. D’altra parte non abbiamo potuto farci nulla: i ragazzi si allontanano dall’insegnamento religioso evangelico o cattolico e frequentano il nostro corso libero. Non è colpa nostra se vengono. Bisogna quindi sempre provvedere che appunto questo corso libero di religione possa continuare.

 

Così cresce a poco a poco la Scuola Waldorf – essa conta oggi circa 800 allievi con 40-50 insegnanti – e non soltanto cresce al di là delle nostre forze, ma anche al di là delle nostre possibilità di cassa. Dal punto di vista finanziario essa è oggi veramente in grande difficoltà. Non più di un mese e mezzo fa, ancora non si poteva sapere se dopo il 15 giugno la Scuola Waldorf avrebbe avuto la possibilità finanziaria di continuare ad esistere. Con la scuola abbiamo appunto un esempio di come sia oggi difficile, con quello che si mostra così giustificato spiritualmente, riuscire nelle spaventose condizioni economiche esistenti in ispecie nell’Europa centrale. Sempre di nuovo, ogni mese, abbiamo appunto le più grandi preoccupazioni per l’esistenza economica della Scuola Waldorf. Il destino ci fa lavorare in modo che sempre ci incombono difficoltà finanziarie, come una spada di Damocle. Noi dobbiamo però lavorare partendo dal principio che la Scuola Waldorf sia stata fondata per durare eternamente. Da parte degli insegnanti, che non sanno se dopo tre mesi saranno per la strada, si richiede anzi una fortissima dedizione per lavorare con una tale intensità interiore.

 

Certo che anche la pedagogia antroposofica si è sviluppata dal movimento antroposofico secondo il destino. Nel movimento antroposofico proprio quello che noi abbiamo cercato di meno prospera nel modo migliore. Vorrei dire che prospera meglio quello che gli esseri divini ci hanno dato che non quello che è stato fatto dagli uomini. È anche comprensibile che appunto l’arte pedagogica debba stare specialmente a cuore all’antroposofo. Infatti, qual è la cosa intrinsecamente più bella al mondo? È appunto l’uomo in via di sviluppo. Vi è qualcosa di profondamente religioso nel veder discendere l’uomo, attraverso la nascita, dal mondo spirituale in quello fisico, nel vedere come egli abbia portato giù indistintamente quanto vive in lui, nel vedere come diventi sempre più determinato quello che si trova nei tratti, nei movimenti; ha qualcosa di religioso l’osservare in modo giusto l’azione delle forze divine, le manifestazioni divine nel mondo fisico attraverso la figura umana. Non ci deve perciò meravigliare che dove si tende all’umanità più pura, più vera, intima, come nell’antroposofia, si consideri proprio col più santo e religioso fervore il mistero dell’uomo che cresce, e che gli si vada incontro con tutto il lavoro che appunto si compie.

 

È questo che, entro il movimento antroposofico, dà l’entusiasmo per l’arte pedagogica, movendo dalla più profonda commozione dell’anima. Si può quindi dire che l’arte pedagogica si trova nel movimento antroposofico come una creazione che, nell’ambito del movimento, può soltanto esser curata con amore e con dedizione. Così infatti avviene! Essa vien curata con amore e con dedizione. Si può quindi anche dire che la Scuola Waldorf sta molto a cuore a tutti coloro che la conoscono; tutto quello che ivi si sviluppa avviene in modo da mostrare la sua intima necessità. Desidero mostrarlo con due fatti. Non molto tempo fa si tenne a Stoccarda un convegno della Società Antroposofica. In quell’occasione, dalle più diverse parti, vennero avanzati i più svariati desideri per quello che si sarebbe dovuto fare in questo o in quel settore; e come oggi gli uomini del mondo sono così intelligenti, lo sono naturalmente anche gli antroposofi; anch’essi prendono parte a volte all’intelligenza del mondo. Furono così presentate alcune interpellanze. Una era particolarmente interessante: proveniva da chi stava frequentando l’ultima classe della Scuola Waldorf, ed era una vera interpellanza diretta alla Società Antroposofica; era sottoscritta da tutti gli allievi della dodicesima classe e aveva press’a poco il seguente contenuto : Noi siamo stati educati nella Scuola Waldorf proprio secondo la vera educazione umana, ed ora ci fa orrore entrare in una comune università ; non potrebbe la Società Antroposofica organizzare anche una scuola superiore antroposofica? Noi vorremmo infatti entrare in una facoltà dove si potesse continuare ad esser educati come lo siamo stati nella Scuola Waldorf. L’interpellanza agì allora, in quella riunione, in modo idealistico, e i convenuti decisero perfino di istituire una scuola superiore antroposofica. Fu anche raccolto del denaro che poi, nel periodo dell’inflazione, da milioni di marchi, fu ridotto a dei centesimi. Esisteva però della gente che pensava si potesse fare qualcosa di simile, e prima che la Società Antroposofica fosse diventata tanto forte da poter rilasciare delle abilitazioni. Noi potremmo senz’altro istruire dei medici o dei teologi, ma che potrebbero poi essi fare? Nessuno li riconoscerebbe come tedi. Il fatto è però una testimonianza interessante e mostra un’intima necessità che è ben sentita dai cuori dei giovani. Non era per nulla innaturale ciò che affiorava in quell’interpellanza.

 

Vediamo l’altro fatto. Quando per la prima volta i nostri allievi frequentarono l’ultima classe, noi dovemmo affrontare il seguente problema. Affinché essi potessero trovare un rapporto con la cultura arida – noi avevamo dato loro infatti soltanto una cultura viva, ed essi ora dovevano trovare un rapporto con quella morta, vale a dire dovevano fare l’esame di maturità – noi dovemmo disporre lo studio dell’ultima classe in maniera che i nostri allievi potessero dare quell’esame. Questo era però in contrasto totale con il nostro piano di studi, e gli insegnanti sentirono enormemente difficile insegnare nell’ultima classe e far in modo che tutto il nostro piano di studi si dovesse adattare al lavoro per gli esami. Lo abbiamo poi fatto, ma veramente non mi era facile visitare quella classe poiché da ima parte gli allievi sbadigliavano perché dovevano apprendere quanto più tardi sarebbe stato necessario per gli esami, e dall’altra si desiderava a volte introdurre qualcosa che non occorreva essi sapessero, ma che peraltro desideravano conoscere. Era sempre necessario dir loro: « Non occorre che diciate questo all’esame », il che è già una difficoltà. Venne finalmente l’esame che andò passabilmente bene. Ma noi però, nel collegio degli insegnanti, stavamo male. Ci dicevamo: Abbiamo avviato la Scuola Waldorf ed ora, quando dovremmo completarla con l’ultimo anno di scuola, non possiamo portare a termine le nostre intenzioni, non possiamo portare a termine quello che la scuola dovrebbe essere. Malgrado tutto questo abbiamo ugualmente preso la decisione di seguire strettamente il piano di studi fino all’ultimo anno, sino alla fine della dodicesima classe; inoltre abbiamo deciso di proporre ai genitori e agli allievi, affinché questi ultimi potessero poi sostenere l’esame, di aggiungere un altro anno. Effettivamente gli allievi vi si sottopongono con la massima abnegazione perché vogliono riuscire davvero a fare quello cui la Scuola Waldorf tende, quello che essa vuole. In verità non abbiamo sperimentato resistenza alcuna. Siamo stati soltanto pregati affinché gli stessi insegnanti della Scuola facessero questo « allenamento » per gli esami.

 

Si vede quanto sia difficile porre effettivamente nella cosiddetta realtà di oggi qualcosa che sorge dalla pura conoscenza dell’uomo. E risulta particolarmente difficile quando si vive nell’illusione e non si vede che occorre contare con la realtà. L’arte pedagogica è così posta nel movimento antroposofico come qualcosa di naturalmente amato; d’altro canto anche il movimento antroposofico è inserito nell’attuale ordinamento sociale con enormi difficoltà quando esso voglia realizzare, appunto nell’amato settore della pedagogia, quello di cui vede l’intima necessità. Anche questo deve venir preso in considerazione. Né si creda che mi venga in mente, sia pure per un solo istante, di deridere chi si dica press’a poco: Non è poi così grave; è tutta una montatura perché anche in altre scuole si va avanti molto bene. Ma non si tratta di questo. So anch’io quanto lavoro, quante preoccupazioni e quanto spirito sia oggi speso nella scuola; lo riconosco senz’altro, ma purtroppo oggi gli uomini sono di vista corta. Non si vede il rapporto fra quello che è divenuta l’educazione nel corso degli ultimi secoli e quanto ci balza incontro, nella vita sociale, di distruttivo, di annientante, di desolante. Il fatto che l’antroposofia conosca le condizioni di uno sviluppo culturale per l’avvenire, questo soltanto la obbliga ad elaborare quei metodi che si ritrovano nel settore della pedagogia. Si tratta dell’umanità, si tratta della possibilità di progredire, non di retrocedere.

 

Da un lato è così indicato come l’arte pedagogica sia inserita nel movimento antroposofico, e dall’altro come, appunto per il fatto che questo comprende l’arte pedagogica, il movimento antroposofico stesso abbia delle difficoltà nella vita pubblica odierna. Di conseguenza, quando avviene che si trovi un sempre maggior numero di persone, come in occasione di queste conferenze, che vogliono ascoltare quello che l’antroposofia può dire nel campo della pedagogia, direi quasi che si è riconoscenti allo spirito del tempo per il fatto di poter parlare di qualcosa che tanto ci sta a cuore. Naturalmente si possono dare soltanto delle indicazioni. Specialmente in questo corso è avvenuto così. Ed in sostanza anche con queste indicazioni non si è fatto molto, poiché la nostra pedagogia antroposofica è pratica di educatore e di insegnamento. Essa vive soltanto quando viene praticata, né vuol esser altro che vita) non vuol essere spiegata, ma vuol essere sperimentata. Perciò, quando si intenda risvegliare quel che dev’essere introdotto nella vita, si cerca d’impiegare ogni arte oratoria, appunto per mostrare come la pedagogia antroposofica voglia agire con pienezza di vita. Certo, proprio in questo corso, ciò può essermi riuscito molto male, ma ho cercato di farlo. Così comunque la pedagogia è sorta dall’antroposofia in base al destino.

 

Ancora oggi molti vivono nell’antroposofia come se fosse soltanto una concezione del mondo adatta al loro cuore o ai loro sensi, una specie di approfondimento religioso per l’anima, e vedono di cattivo occhio che l’antroposofia si occupi dì altri settori: l’artistico, il medico, il pedagogico e così via. Né può esser diverso, perché l’antroposofia vuol essere vita. Essa vuol agire partendo dalla vita, e di nuovo agire sulla vita. Se appunto con queste conferenze sull’arte pedagogica sarò riuscito a mostrare un poco che l’antroposofia – anche se oggi ancora essa vien considerata da alcuni come un’esaltazione – non è fantasia settaria, ma qualcosa che vuol apparire, in un certo senso, con sobrietà matematica – infatti, non appena si entra nel mondo dello spirito (Geist), la sobrietà matematica non può che divenire entusiasmo (Begeisterung), come dicono le parole stesse – si vedrà che l’antroposofia poggia assolutamente su basi reali, che essa vuol essere pratica di vita nell’accezione più vasta della parola. E questo appare nel modo migliore appunto nella pedagogia.

 

Io sarò già soddisfatto se sarò riuscito a dare qualche impulso in questa direzione a qualcuno dei presenti. Ne risulterà allora la migliore collaborazione se, nell’azione comune di tutti coloro che siano stati un poco stimolati, quello che queste conferenze volevano appunto risvegliare troverà ima pratica e vitale continuazione.