Gemelli

Le 12 notti sante e le Gerarchie Spirituali


 

 

 

 

La regione dei Gemelli è legata alla Gerarchia dei Serafini o spiriti dell’Amore.

Un riflesso terrestre dell’Impulso Macrocosmico dell’Amore che essi rappresentano nell’Universo è dato dal mito greco dei Gemelli Dioscuri, Castore e Polluce. Secondo questo mito Castore è figlio di Leda e del re Tindaro, Polluce è figlio di Leda e di Zeus. Perciò Polluce è immortale e Castore è mortale. Insieme entrano in lite con i loro parenti, gli Afaridi, e riconquistano presso di loro la mandria di tori che questi avevano rubato.23 Nella battaglia Castore muore per mano degli Afaridi. Polluce, per amore del fratello, è pronto a sacrificare per lui la sua immortalità e chiede a Zeus di mandargli la morte. Zeus allora, per ricompensarlo del suo amore fraterno, colloca in Cielo entrambi i Dioscuri, trasformandoli nella costellazione dei Gemelli.

 

Per valutare correttamente le basi occulte di questo mito, va ricordato qual era più in generale lo stato d’animo degli antichi Greci nei confronti di fenomeni come la morte e la immortalità.

 

Questo stato d’animo consisteva nel fatto che gli antichi Greci stimavano sopra ogni cosa al mondo la forma perfetta del corpo umano, la quale li dotava di una coscienza forte e chiara di se stessi, dell’autocoscienza. Perciò la morte che distrugge questa torma ed insieme ad essa la coscienza di sè nella sua forma terrena, era per gli antichi Greci il male peggiore, col quale essi non poterono mai interiormente conciliarsi.

«Nell’ellenismo» dice Rudolf Steiner «abbiamo un’umanità che amava ed apprezzava al massimo grado la forma esteriore del corpo fisico e ha provato tutta la tristezza che è possibile provare quanto questo viene distrutto dalla morte», così che l’ellenismo «dava il massimo valore alla forma esteriore del corpo fisico in quanto forma esteriore dell’Io … [e perciò] il Greco diceva: stimo talmente il mio Io, che non è che con orrore che guardo a quel che sarà del mio Io dopo la morte …»

Ed è «pienamente greco, che l’eroe dica: “Meglio essere un mendicante in questo mondo” – cioè nella forma umana corporea, ”che un re nel regno delle ombre” …» (O.O. 131, 9.10.1911).24

 

Da quanto riportato emerge con chiarezza il carattere del rapporto dei greci col problema della morte e dell’immortalità, che, alla luce di quanto esposto, era per loro il massimo bene concepibile sulla Terra. Perciò sacrificare per amore di un altro uomo la propria immortalità era, nella concezione di un antico picco, il sacrificio più grande del quale potesse essere capace un essere umano. Così nel mito dei Dioscuri abbiamo l’indicazione del supremo grado dell’Amore, che nella concezione dell’uomo antico poteva essere raggiunto dall’uomo terrestre.

 

Se vogliamo, ora, trovare una corrispondenza in epoca cristiana, è necessario considerare che dal momento dell’ingresso nell’evoluzione terrestre dell’Impulso del Cristo, non vi è più amore basato sui legami del sangue (i Dioscuri sono fratelli per parte di madre), ma è l’Amore puramente spirituale del Cristo l’impulso per l’estremo sacrificio. È l’amore di due amici, divenuti grazie a questo amore fratelli non di sangue, ma nel nuovo Spirito del Cristo. Vi è ancora una differenza.

Come si è visto, in epoca precristiana il bene più alto per l’uomo terrestre era il conseguimento dell’immortalità. Nella cristianità il bene più alto diventa l’anima stessa, cioè l’Io umano, il quale, come portatore dell’immortalità individuale,23 fin dall’inizio viene messo al centro della coscienza cristiana. Perciò l’amore cristiano sta infinitamente al di sopra dell’amore antico, poiché esso è pronto a sacrificare non solo l’immortalità, ma anche il suo stesso portatore, il suo patrimonio più prezioso, il suo proprio io, per riceverlo nuovamente come autentico Io immortale, dal Cristo Stesso.

Ciò avviene, allora come risultato della realizzazione del principio fondamentale di tutti gli autentici Misteri cristiani – «Non Io, ma il Cristo in me». Questo amore supremo, puramente serafico ci è indicato anche dalle seguenti parole del Cristo: «Questo è il mio comandamento; amatevi gli uni con gli altri, come io ho amato voi. Non c’è un amore più grande di questo, di uno che dia la vita per i suoi amici. Voi siete miei amici se fate quel vi comando». (Giovanni, 15,12-14).

 

Così parla il Cristo nel suo discorso d’addio ai suoi discepoli. Poi egli stesso realizza questo amore. Egli ne diventa il supremo prototipo per tutti gli uomini, sacrificando per la realizzazione del mistero del Golgota le forze macrocosmiche del suo Io.26 Proprio di questo amore ci parla il suo discepolo più prossimo e testimone diretto di tutti gli avvenimenti da lui descritti, Giovanni: «Da questo abbiamo conosciuto l’amore, perchè egli ha dato la sua vita per noi; e così noi dobbiam dare la nostra vita per i fratelli… Figliuolini miei, non amiamo a parole e con la lingua, ma con l’opera e la verità». (la Lett. di Giovanni, 3,16 e 18).27

 

Per completare quanto è stato detto in merito al legame esistente fra la regione dei Gemelli e la Gerarchia dei Serafini bisogna ancora osservare che da questa regione in particolare provengono tutti gli impulsi verso le relazioni sociali degli uomini, verso la loro unione sulla base dell’amore reciproco, e dell’interesse interiore degli uni verso gli altri. Nel Macrocosmo a ciò corrisponde l’attività dei Serafini volta a stabilire azioni reciproche giuste, «sociali», fra i diversi sistemi planetari.

Rudolf Steiner descrive questa attività che è la loro, nei termini seguenti:

«Come gli uomini fondano un sistema sociale per il fatto che sono dotati di reciprocità, così esiste una reciprocità nei sistemi planetari. Da stella fissa a stella fissa regna una comprensione reciproca, solo grazie a ciò si forma il Cosmo. Ciò che i sistemi planetari, per così dire, si dicono attraverso lo spazio dell’Universo, per divenire Cosmo, viene regolato da quegli Spiriti che noi chiamiamo Serafini». (O.O. 136, 7.4.1912)

 

 


 

Note:

23. Nell’immagine della battaglia dei Dioscuri per la mandria di tori, in forma terrena, è indicato l’avanzamento dalla regione dei Gemelli verso la regione del Toro. Nel Macrocosmo a ciò corrisponde l’incessante aspirazione dei Serafini verso la sfera dello Spirito Santo posta «sopra di essi».

24. Quanto detto sulla forma corporea, nel caso dei Dioscuri può essere ancora rafforzato, se si considera che nella stessa conferenza Rudolf Steiner richiama l’attenzione su «quel meraviglioso sviluppo del corpo umano nella ginnastica greca, nei grandi giochi greci… » (O.O.131, 9.10.1911). In effetti i Dioscuri furono onorati in Grecia, in particolare a Sparta, come protettori della ginnastica e difensori della comunità sociale (dello stato).

25. Nel Vangelo secondo Matteo il Cristo stesso, in due parabole, testimonia di questo importante passaggio nell’evoluzione dell’umanità. Così Egli dice ai Farisei: «Guai a voi guide cieche! che dite: se uno giura per il Tempio non è niente; ma se uno giura per l’oro del tempio resta obbligato. Insensati e ciechi! che cosa è più importante, l’oro o il Tempio che santifica l’oro? E voi dite ancora: Se uno giura per l’altare, non è niente, ma se uno giura per l’offerta che c’è sopra, resta obbligato. Ciechi! che cosa è più importante, l’offerta o l’altare che santifica l’offerta? Chi dunque giura per l’altare, giura per esso e per tutte le cose che vi stan sopra; e chi giura per il Tempio giura per esso e per chi lo abita» (Matteo 23, 16-21). In questo caso il Tempio e l’altare significano l’anima (l’Io umano), e l’oro è ciò che sta sull’altare (l’offerta), l’immortalità.

26. Vedi dati più precisi nel libro «Rudolf Steiner e i Misteri fondamentali del nostro tempo» al capitolo 3, e anche le conferenze del 23.9.1912. (O.O. 139) e del 3.10.1913 (O.O. 148).

27. Nella presente citazione dalla lettera dell’Apostolo Giovanni, ma anche nella citazione sopra riportata dal suo Vangelo, nelle traduzioni tedesche di Lutero e di E. Bock, al posto della parola «anima» vi è dappertutto la parola «vita». La parola «anima» tuttavia è presente nella traduzione russa dei passi indicati e sembra più precisa all’autore, poiché in senso occulto qui si tratta propriamente del sacrificio dell’Io, come centro dell’anima, compiuto nello spirito delle parole dell’Apostolo Paolo: «Non io, ma il Cristo in me». Poiché come Cristo, durante il Mistero del Golgota sacrificò il suo Io Macrocosmico al Padre («Padre! Nelle Tue mani consegno il Mio Spirito» Luca, 23-46) per riceverlo nuovamente, in gloria e grandezza ancora maggiori, dal Padre dell’Universo, anche il singolo uomo deve potere, per amore del Cristo, sacrificargli il suo Io terrestre, isolato, per poi nuovamente riceverlo come Io superiore autentico, dal Cristo stesso.