Il profitto economico.

O.O. 340 – I capisaldi dell’economia – 02.08.1922


 

Sommario: Il profitto economico. Nello scambio le due parti hanno un profitto. Formazione del denaro dalla merce. Pressione, vuoto e reciprocità nel processo economico. Interesse. Come metodo, il processo economico va compreso in immagini. Comprensione e oggettivo senso di comunione nelle associazioni, al di sopra degli interessi personali. Altruismo oggettivo in luogo di morale soggettiva. La vita economica fra vita giuridica e vita spirituale.

 

Vogliamo oggi parlare del rapporto fra il lavoro economico e ciò che si produce quando, mediante una elaborazione, la natura viene trasformata in un oggetto che ha valore economico. In tal caso avviene che il lavoro organizzato, diviso, viene in certo senso afferrato dal capitale, il quale poi si emancipa e passa completamente, vorrei dire, nella libera spiritualità. Se ne può dedurre che nel lavoro non si ha un valore economico diretto, come abbiamo già visto, ma si ha ciò che muove il valore economico. Il prodotto di natura come tale si inserisce nella circolazione economica per il fatto di venir lavorato. Là lavorazione che gli conferisce il valore costituisce in effetti la causa per cui, in un primo tempo e almeno in un certo campo, il prodotto economico si mette in moto. In seguito è lo spirito umano operante nel capitale che fa proseguire il moto. In un primo tempo si tratta dunque d’imprimere un movimento, ma non appena si penetra nella sfera del capitale il moto viene continuato dal capitale commerciale, poi dal capitale di prestito e poi dal vero e proprio capitale di produzione, dal capitale industriale.

 

Parlando dunque di tale moto, dobbiamo anzitutto riconoscere che deve pur esservi qualcosa che immette i valori nella circolazione economica. Per poterci orientare, dovremo oggi occuparci di un problema economico piuttosto complicato sul quale è difficile gettar luce, se non si cerca di individuarlo a fondo nell’esperienza economica, verificandolo in base alla realtà dei fatti.

 

Consideriamo in primo luogo il profitto economico: questione in verità piuttosto ardua. Supponiamo che A compri qualcosa da B. Il profano applica di solito il concetto di guadagno soltanto al venditore: il venditore deve guadagnare. Si pensa dunque a uno scambio tra ciò che dà il venditore e ciò che dà l’acquirente. Guardando però più a fondo, non si potrà ammettere che in uria vendita, in uno scambio, il solo venditore guadagni; se infatti nell’insieme economico guadagnasse soltanto il venditore, in ogni baratto l’acquirente sarebbe sempre il danneggiato, in ogni acquisto ci troveremmo di fronte a una sopraffazione da parte del venditore. Evidentemente non è così, e sappiamo bene che chi compra vuol comprare a condizioni favorevoli. In realtà anche il compratore può comprare in modo da trarne un vantaggio. Si ha così il singolare fenomeno d’uno scambio fra due contraenti, ognuno dei quali (almeno nelle compra-vendite normali) deve realmente trarre un guadagno. Osservare tutto ciò nell’economia pratica è assai più importante di quanto non si creda di solito.

 

Supponiamo ch’io venda qualcosa e ne riceva in cambio del denaro; in tal caso devo guadagnare per il fatto di cedere la mia merce e riceverne in cambio il denaro. Io desidero il denaro più della merce. Invece l’acquirente deve desiderare la merce più del denaro. Nel reciproco scambio, l’oggetto dello scambio, tanto quello che va quanto quello che viene, acquista cioè maggior valore. Dunque, attraverso il semplice scambio, ciò che viene scambiato acquista maggior valore, tanto da una parte quanto dall’altra. Come è possibile?

È possibile soltanto perché, quando io vendo qualcosa e ne ricevo in cambio del denaro, vuol dire che quel denaro serve di più a me che non a chi me lo ha versato. Così pure, all’altro che riceve la merce, questa deve servire meglio che non a me.

 

Ci troviamo dunque di fronte al fatto che entrambi, tanto il venditore quanto il compratore, debbono trovarsi in una connessione economica differente. Questa maggiore valutazione può verificarsi solo a causa di ciò che sta dietro alla vendita e all’acquisto. Quando io vendo, bisogna dunque che mi trovi in una connessione economica tale che il denaro abbia per me maggior valore che non per il mio contraente, e che per lui, grazie alla connessione economica, la merce rappresenti un maggior valore che non per il venditore.

 

Già da questo risulterà che in economia non può importare solo che si venda o si acquisti in genere, ma importa la connessione economica in cui si trovano il compratore e il venditore. Se consideriamo con attenzione queste cose, ci vediamo condotti anche qui, come già molte volte prima, da quel che accade direttamente in un dato luogo, all’intero complesso economico. Possiamo però osservare il complesso economico anche sotto un altro aspetto.

 

Prendiamo le mosse dal semplice baratto. In fondo, una considerazione come quella fatta or ora, può dirci: in sostanza, per il fatto di aver introdotto il denaro in una qualunque compagine economica, il semplice baratto non è stato del tutto superato, perché in effetti si scambia merce contro denaro. E proprio perché ciascuno guadagna, vedremo che quel che importa non è che uno abbia la merce e l’altro il denaro; l’importante è quello che ciascuno dei due contraenti, grazie alla propria connessione economica, è in grado di fare con quel che riceve.

 

Ma per meglio comprendere il fenomeno risaliamo al baratto più primitivo. Esso potrà illuminarci su ciò che accade anche in una connessione economica più complicata. Supponiamo che io compri dei piselli, scambiandoli con una cosa qualsiasi da me fabbricata, con qualcosa che è merce. Faccio dunque un baratto con dei piselli. Posso adoperare i piselli in tanti modi: posso mangiarli, ma posso anche averne tanti da non riuscire a mangiarli tutti, nemmeno se ho una famiglia numerosa. Allora mi rivolgo a qualcuno a cui i piselli servono, e prendo in cambio qualcosa che serva a me. Nella loro sostanza i piselli sono rimasti gli stessi, ma dal punto di vista economico non sono assolutamente più la stessa cosa. Economicamente essi si sono mutati per il fatto che non li ho consumati io, ma li ho rimessi in circolazione, e che ho solo provocato il loro riflusso nel processo economico. Che cosà sono diventati presso di me quei piselli a seguito di un simile processo economico? Basterebbero solo certe premesse, e la convalidazione legale che ogni cosa deve essere barattata con piselli (in tal caso, dovrebbero esser prodotti piselli in quantità sufficiente e dovrebbe esistere la disposizione legale che consenta lo scambio di ogni cosa contro dei piselli) ed ecco che i piselli sarebbero denaro.

 

Nel processo economico i piselli sarebbero dunque diventati denaro, nel vero ed esatto senso della parola. Dunque una cosa non diventa denaro per il fatto d’essere diversa dalle altre cose esistenti nel processo economico, bensì per il fatto che, in un determinato punto del processo stesso, essa subisce una metamorfosi da merce in denaro, Una tale metamorfosi è stata subita da tutto il denaro; tutto il denaro si è un tempo trasformato da merce in denaro.

 

Da quanto abbiamo detto, si rileva di nuovo che il processo economico è un fatto umano, e che non si può fare a meno di collocare l’uomo nel processo economico.

Già egli vi è inserito sin dal principio nella sua qualità di consumatore, ma vi si inserisce anche in un rapporto tutto diverso non appena egli svolga qualche attività economica che esorbiti dal puro e semplice consumo. Dobbiamo tener conto di tutte queste cose se vogliamo lavorare seriamente a formarci un giudizio economico: e sono proprio i giudizi economici quelli che dovranno formarsi negli enti che io chiamo associazioni. Di tali associazioni devono dunque far parte persone che, partendo dalla pratica, formino i loro giudizi in prospettive del genere.

 

Visto dunque che nel processo economico abbiamo o natura lavorata o lavoro organizzato, si tratta ora di indagare che cosa per così dire metta in moto, in circolazione questi elementi economici. A proposito di altro abbiamo rilevato ieri che nel modo di pensare economico si dovrebbe introdurre il lavoro operante nel processo economico, come per esempio il fisico introduce il lavoro nel proprio pensiero scientifico. Il fisico introduce il lavoro nel proprio pensiero scientifico componendo una formula nella quale vi è la massa e la velocità. Ma la massa è qualcosa che si può determinare con la bilancia; si ha dunque la possibilità di stabilire la massa per mezzo della bilancia. Se non ci fosse questa possibilità, non si avrebbe nessun mezzo per andare avanti nel processo del lavoro in fisica. Ci si pone ora la domanda: esiste qualcosa di analogo anche nel processo economico, sì che il lavoro conferisca un valore alle cose, e in un secondo tempo glielo conferisca anche l’intervento della spiritualità? è contenuto nel processo economico qualcosa in qualche modo paragonabile al peso che ha un qualsivoglia oggetto, quando lo si guardi nella prospettiva del lavoro fisico? Ebbene, se disegniamo schematicamente il decorso dei singoli processi economici, ci risulta che deve esserci qualcosa che mette in moto tutto il complesso, che in certo modo spinge gli elementi economici da un punto all’altro. La cosa sarebbe poi ancora più definita se ci fosse, non solo la spinta in una direzione, ma ci fosse inoltre dall’altro lato come un’aspirazione, un assorbimento, se dunque tutto il complesso venisse mandato avanti ulteriormente da una forza insita nel processo economico. Quale sarebbe in tal caso la forza spingente?

 

L’ho mostrato appunto poco fa facendo notare date forze che sorgono di continuo tanto nel compratore quanto nel venditore. In chiunque abbia rapporti col prossimo nel processo economico, sorge non già in senso morale, bensì in senso puramente economico, l’impulso al profitto, al proprio vantaggio. Non esiste un punto del processo economico in cui non si debba parlare di profitto, di vantaggio. E tale vantaggio non è solo qualcosa di astratto; ad esso tendono gli immediati appetiti economici dell’uomo e devono tendervi. Che si tratti di compratore o venditore, l’aspirazione economica mira al profitto, al proprio vantaggio ed è questa aspirazione che provoca tutto il processo economico, che costituisce la sua forza. È l’equivalente della massa nel processo del lavorò in fisica.

 

Con questo abbiamo indicato nel processo economico un elemento di gran peso, anzi di grandissimo peso. Il peso si manifesta di più a proposito dei prodotti puramente materiali, dei prodotti che lo stomaco appetisce. Perciò lo stomaco dichiara che per il compratore, nel momento in cui egli vuole effettuare lo scambio, la frutta è più vantaggiosa del denaro. Qui abbiamo dunque assolutamente nell’uomo stesso il motore spingente. Non lo si ha però solo nei riguardi dei beni materiali, ma anche altrove. Questa disposizione a conseguire un vantaggio, un utile, io l’ho anche quando vendo merce, ricavando denaro, sapendo che, grazie alle mie attitudini, potrò fare con quel denaro più che non con le merci che possiedo. Già qui io intervengo con le mie facoltà spirituali.

 

Applicando tutto ciò alla massa totale del capitale di prestito esistente in un complesso economico, si potrà presto constatare che chi vuole intraprendere o organizzare qualcosa, e quindi abbisogna di capitale di prestito, nel suo bisogno di capitale è spinto dallo stesso movente ch’è insito nel desiderio di guadagno. Solo che, se consideriamo il guadagno come un propulsore, il capitale di prestito agisce come un aspiratore; assorbe, aspira, ma nella stessa direzione in cui i guadagni esercitano una pressione. Nell’impulso al guadagno e nel capitale di prestito abbiamo dunque assolutamente ciò che nel processo economico spinge ed aspira.

 

Tutto questo ci conduce a una chiara visione del fatto che, in quanto il processo economico consiste in sostanza di solo movimento, e in quanto nel processo stesso, tutto quel che può esser prodotto deve essere attivato dal movimento, dobbiamo ovunque inserire nel processo economico l’uomo. Ciò potrà forse esser scomodo per l’economia oggettiva, dato che l’uomo è una specie di grandezza incommensurabile, e che, mutando egli sempre, deve pure variare l’assegnamento che su lui si può fare. Ma la cosa sta proprio così e bisogna calcolare sull’uomo in modi vari.

 

Vediamo dunque che si produce nel processo economico una specie di azione aspirante. È noto che vi furono tempi in cui l’accettare interessi sui prestiti era considerato immorale; si considerava morale soltanto il prestito senza interessi; non si aveva dunque nessun vantaggio a prestare. Infatti il prestito non ebbe origine dal vantaggio che si consegue prestando, cioè dall’interesse: in circostanze più primitive di quelle attuali, originò dal presupposto che se per esempio io presto a un tale, capace di usare quel denaro meglio di quanto possa fare io (supponiamo ch’egli si trovi in un guaio dal quale può salvarsi se io sono in grado di fargli un prestito) egli non mi paghi alti interessi, bensì dal canto suo mi tragga anch’egli dall’impiccio il giorno che a mia volta dovessi averne bisogno. Per quanto si risalga nella storia, si vedrà che il presupposto del prestare è che il contraente diventi a sua volta prestatore quando se ne presenti la necessità.

 

Il fatto si estende persino ai rapporti sociali più complicati. Qualcuno ad esempio chiede un prestito a un istituto di credito e ha bisogno di due fideiussori che si presentino a garantire per lui. Gli istituti di credito fecero sempre la strana esperienza che, persino per tale servigio, la reciprocità ha una parte importantissima. Se Tizio si presenta infatti a una banca accompagnato da Caio e da Sempronio quali fidejussori che offrono in garanzia la propria firma, le banche prevedono sempre che, in un secondo tempo, si presenterà Caio in compagnia di Tizio e di Sempronio, e che più tardi, dopo che Caio avrà pagato, si presenterà Sempronio accompagnato da Tizio e Caio quali garanti. Questo, fra operatori, è cosa del tutto sottintesa. Gli economisti sostengono quindi che questa norma si può affermare con lo stesso diritto con cui si afferma un assioma stabilito con formule matematiche. Naturalmente queste cose vanno intese col proverbiale grano di sale; ma il tener conto di queste realtà fa parte davvero della mobilità che occorre nel processo economico.

 

Possiamo dunque dire: in origine il compenso per il prestito ha solo per presupposto che chi abbia fruito di un prestito sia pronto a contraccambiarlo: se non col prestare lui stesso, almeno con l’aiutare chi prima lo aveva aiutato a ottenere a sua volta un prestito. Proprio quando si tratta di prestito, la reciprocità umana entra in gioco nel processo economico in modo evidentissimo.

 

Stando così le cose, che cosa sono dunque gli interessi? Gli interessi sono (come fu già osservato da singoli economisti) quello che io ricevo rinunciando alla reciprocità; quando dunque faccio un prestito a qualcuno, stabilendo di non esigere mai da lui un contraccambio, allora, in compenso di tale mia rinuncia, egli mi paga un interesse. L’interesse è lo svincolo da un obbligo che si stabilisce tra un individuo e l’altro; è il compenso per ciò che agisce come reciprocità umana nel processo economico.

 

Vediamo così sorgere un elemento che dobbiamo collocare in giusto modo entro la totalità del processo economico, senza naturalmente mai perdere d’occhio che oggi ha senso soltanto considerare quei processi economici che sono del tutto basati sulla divisione del lavoro; con questi infatti si ha in sostanza a che fare oggi. Quando il lavoro è diviso, gli uomini devono fare assegnamento sulla reciprocità in misura molto maggiore che non quando ognuno coltiva da sé la sua verdura e si confeziona da sé le scarpe e il cappello. Con la divisione del lavoro sorge il bisogno di fare assegnamento sulla reciprocità. Il processo della divisione del lavoro si svolge dunque in modo che le singole correnti si divaricano.

 

Nell’insieme dell’economia tutte queste correnti tendono poi di nuovo a riunirsi, ma in. un modo diverso, mediante lo scambio che, nella complicata compagine economica, sì effettua con l’ausilio del denaro. A un certo livello la divisione del lavoro rende dunque necessaria quella medesima reciprocità nei rapporti umani che abbiamo riscontrata nella vicenda del prestito. Là dove il prestito si pratica su vasta scala, troviamo questo principio della reciprocità che può venir sostituito dal pagamento degli interessi. Abbiamo allora negli interessi la reciprocità realizzata, però trasformata nella forma astratta del denaro. Gli interessi sono semplicemente le forze della reciprocità, ma trasformate, divenute diverse. Quel che vediamo apparire con molta precisione nel pagamento degli interessi avviene però dovunque nel processo economico.

 

Di qui la grande difficoltà che s’incontra nel formare i concetti in campo economico; non potremo infatti mai formarceli, se non pensando le cose in modo immaginativo. Semplici concetti non ci danno la possibilità di afferrare il processo economico; bisogna afferrarlo in immagini. Ma al dottrinarismo riesce veramente scomodo essere comunque invitato a passare dalla mera astrazione concettuale a un intendimento per immagini. Eppure non si potrà mai fondare una vera scienza economica senza passare a rappresentazioni immaginative: senza dunque metterci in grado di pensare in immagini i singoli particolari del processo economico, in modo da avere nell’immagine stessa qualcosa di dinamico e da sapere come operi un tale processo particolare quando sia organizzato in una forma piuttosto che nell’altra.

 

Si comprenderà in sostanza quale è il vero problema, se ci si dirà che in ultima analisi anche nel processo economico, sia pure a stadi più primitivi, esistono uomini incapaci di pensare così come ha imparato a pensare, o almeno avrebbe dovuto imparare, chi compie studi economici. Tali persone sono talvolta ottimi uomini d’affari; possono avere un fiuto finissimo riguardo all’opportunità o meno di comprare un dato articolo, al maggiore o minore vantaggio che un dato, acquisto può offrire, e così via. Anche un contadino, che non ha la più pallida idea di concetti economici, e giunto a una certa età non ha fatto altro che guardarsi attorno osservando le condizioni dei mercati vicini, saprà benissimo (naturalmente anche lui potrà sbagliare, come può sbagliare chi ha studiato logica economica; si tratta solo che gli errori non prevalgano) saprà benissimo, dico, senza basarsi su concetti, che cosa significhi l’immagine che gli si affaccia quando ha da scambiare una certa somma di denaro contro un cavallo o un aratro. L’immagine che gli si presenta: una data somma di denaro contro un aratro, suscita in lui l’immediata sensazione di poter aumentare ancora quella somma di denaro oppure di non poterla aumentare. Lo sente per una consapevolezza immediata proveniente dall’esperienza. Ora, nemmeno nel più complicato processo economico è possibile eliminare questa esperienza sentita; in questo consiste la rappresentazione immaginativa.

 

Concetti astratti sarebbero fruttuosi se potessimo dire: questo è merce, questo è denaro, e noi negoziamo merce contro denaro e denaro contro merce. Se potessimo dire così, la cosa sarebbe semplice; ma ho mostrato dianzi che anche i piselli potrebbero diventare denaro. Non è vero che si ottengano buoni risultati sforzandoci d’introdurre dei concetti nel processo economico. Si ottiene qualcosa cercando d’introdurre e di mettere in moto delle immagini. Se ci formiamo l’immagine dei piselli che dal banco del mercato emigrano nelle bocche dei consumatori, avremo una data immagine; se invece evochiamo l’altro fatto: i piselli utilizzati come denaro, avremo un’immagine tutta diversa.

 

Verso tali immagini, tratte da ciò che si può osservare direttamente, deve tendere il nostro sforzo, anche in economia. In altre parole: se vogliamo trattare l’economia nel giusto modo, dobbiamo assoggettarci a considerare immaginativamente le vicende della produzione, del commercio e del consumo. Dobbiamo osservare il processo reale; allora otterremo rappresentazioni approssimative che ci serviranno quando dovremo svolgere noi stessi un’azione nella vita economica; che ci serviranno soprattutto quando ciò che non sappiamo e non sentiamo noi stessi, di cui noi stessi non ci siamo fatti un’immagine suggerita dal sentire, ci venga corretto da altre persone a noi unite in seno alle associazioni. Non esiste altra possibilità che quella di fondare il giudizio economico non sulla teoria, ma su associazioni viventi in cui operino realmente i giudizi intuitivi degli uomini, e dal seno delle quali, partendo da esperienze dirette, possano venir fissati i diversi valori delle cose.

 

Non si dica che è possibile determinare teoricamente in che cosa consista il valore di un prodotto; si dica invece che un dato prodotto, in seguito a date vicende economiche, s’inserisce nel processo economico e che tocca all’associazione giudicare quale valore esso abbia in un determinato punto di esso.

 

Da che cosa dipende dunque che si possano formare giudizi che colpiscono proprio nel segno quando sorgano realmente nel modo giusto entro il processo economico? Si potrà comprendere nel miglior modo da che cosa dipenda, per mezzo dell’analogia con qualsiasi organismo umano o animale. L’organismo umano o animale elabora gli alimenti che ingerisce. Per dare un esempio che in questo campo è scientifico, vorrei dire: l’uomo ingerisce l’alimento, lo satura di ptialina e pepsina, attraverso lo stomaco lo sospinge fin giù nell’intestino. Ora è necessario che quanto è stato ivi sospinto (alimento animale o vegetale, fa lo stesso) venga anzitutto ucciso, annientato: non deve più esserci vita in ciò che entra nei nostri visceri. Quel che abbiamo cosi negli intestini, viene assorbito dalle ghiandole linfatiche e rivivificato in noi, in modo che quanto dalle ghiandole linfatiche, attraverso i vasi linfatici, passa nel sangue sia costituito da prodotti di natura, animali o vegetali, prima uccisi e poi rivivificati.

 

Ora sarebbe impossibile determinare solo teoricamente il quantitativo che una data ghiandola deve assorbire e ravvivare, poiché in un individuo essa deve assorbire di più, in un altro di meno. Ma non basta: anche nello stesso individuo una ghiandola situata in una parte deve assorbire di più di un’altra situata altrove. Il digerire e assimilare è un processo straordinariamente complicato. Nessuna scienza umana potrebbe tenere dietro alla saggezza delle ghiandole che si suddividono tanto bene il loro lavoro. Qui non abbiamo a che fare con giudizi inventati, bensì con giudizi operanti nella realtà. Fra i nostri intestini e i nostri vasi sanguigni si svolge in effetti una tal somma di «ragione» che in tutta la scienza umana non si troverebbe qualcosa che possa starle a confronto.

 

Solo se in questo modo una «ragione operante in modo autonomo» riuscirà a farsi valere nel processo economico, esso potrà essere sanamente costituito. Ciò non si potrà ottenere altrimenti che con l’unione di uomini che possiedano immaginativamente a fondo, punto per punto, il processo economico e che, per il fatto d’essere riuniti in associazioni, completandosi e correggendosi a vicenda, ne determinino la giusta circolazione.

 

Ora è ovvio che per tutto questo occorre una data disposizione d’animo, ma che questa sola non basta. Si possono fondare associazioni con profonde vedute economiche; se una cosa dovesse mancarvi, anche le vedute profonde non servirebbero gran che. Non dovrà mancare una cosa che appunto vi regnerà per il fatto solo che sarà stato riconosciuto il bisogno di tali associazioni, cioè il senso della comunità, un sentimento reale per l’intero svolgimento del processo economico; il singolo individuo, ch’è immediato consumatore di quel che acquista, non può infatti che soddisfare il proprio senso egoistico; e in verità si metterebbe in ben cattive acque, se non appagasse il suo egoismo. Non è possibile che, come singolo individuo facente parte di un complesso economico, a chi gli offre un vestito per 100 monete, egli risponda: «Non mi conviene; te ne offro 200». Questo è escluso; il singolo non può intervenire così nel processo economico. Ma non appena il sistema associativo s’inserisca nel processo economico, l’interesse personale diretto verrà messo da parte e si attiverà invece la visione generale del processo stesso; nella formazione del giudizio economico sarà presente anche l’interesse degli altri. Senza di ciò un vero giudizio economico non può formarsi; sicché dai processi economici veniamo spinti alla reciprocità tra uomo e uomo e a ciò che si sviluppa in seguito da tale reciprocità, vale a dire all’obiettivo senso della comunità che opera nelle associazioni. Senso della comunità che non proviene da qualche misterioso fluido moralizzante, ma dalla vera conoscenza delle necessità del processo economico.

 

Questo è ciò che vorrei fosse rilevato dalle considerazioni svolte, per esempio nel mio I punti essenziali della questione sociale. Non manca oggi chi proclama: «La nostra economia migliorerà immensamente, se voi uomini diventerete buoni». Si pensi un po’ a tutti questi Forster e compagni che girano il mondo predicando che, se gli uomini diventassero disinteressati, se adempissero all’imperativo categorico dell’altruismo, l’economia senza dubbio si risanerebbe! Ma tali giudizi non valgono molto più di quello popolare che dice: se mia suocera avesse ruote, sarebbe una carriola; in questo detto, tra il presupposto e la conclusione, non si ha certo un miglior nesso che nell’altro; solo che qui l’espressione è più radicale.

 

Alla base de I punti essenziali della questione sociale non vi è quel fluido moralizzante, che certamente in un altro campo può avere una parte importante, ma vi è la dimostrazione, alla luce degli stessi fattori economici, del fatto che l’altruismo deve inserirsi in senso economico nella mera circolazione degli elementi economici.

 

Tale è il caso negli esempi dati. Se dunque qualcuno è in grado di ottenere del capitale a credito mediante il quale può organizzare un’impresa, una istituzione, e con questa iniziare una produzione, egli produrrà fin tanto che le sue attitudini resteranno collegate con quella istituzione. In seguito, mediante una donazione, non fatta da uomo a uomo ma effettuata nel corso dello svolgimento economico, avverrà nel modo più ragionevole il trapasso dell’impresa nelle mani di un altro che possieda le necessarie attitudini. E non resta che riflettere sul come, mediante una triarticolazione, dell’organismo sociale, si possa appunto introdurre la ragionevolezza in una tale donazione. A questo punto l’economia confina con ciò che nel senso più vasto è il lato sociale dell’uomo, con ciò che occorre pensare per il complesso dell’organismo sociale.

 

Tutto questo può essere guardato anche dall’altro lato. Ho mostrato come nel semplice baratto, anche quando sempre più si va trasformando a mezzo del denaro, oppure in quanto il baratto come tale venga riconosciuto, l’economia penetri direttamente nel campo del diritto. Ma al momento in cui nell’economia deve inserirsi la ragione, bisogna che a sua volta si possa far fluire nell’economia ciò che deriva dalla libera vita spirituale. Occorre perciò che le tre sfere dell’organismo sociale stiano tra loro nel giusto rapporto e che nel giusto modo agiscano l’una sull’altra. Questo intende la triarticolazione, non già una semplice scissione in tre parti! La scissione c’è sempre: si tratta solo di trovare il modo di armonizzare le tre sfere così ch’esse operino effettivamente nell’organismo sociale col medesimo «senno interiore» col quale operano nell’organismo umano il sistema nervoso-sensoriale, il sistema del respiro e della circolazione, e il sistema del ricambio. Ne parleremo ancora domani.