La Terra nel cosmo.

O.O. 323 – Rapporto delle diverse scienze con l’astronomia – 10.01.1921


 

Sommario: Esempio dell’ago magnetico per l’organizzazione umana. Goethe, Oken, Gegenbaur per la metamorfosi delle ossa, esempio del principio della metamorfosi. Raggio e sfera nella vita dell’anima fra sentimento e coscienza del mondo esterno, rispecchiati nel contrasto fra sistema del ricambio e sistema della testa, riuniti dal sistema ritmico; lo stesso nella vita embrionale. La capacità umana di conoscenza odierna è solo adatta al regno minerale. La Terra nel cosmo. Apparente insicurezza della scienza dello spirito. Variabilità di prima e seconda specie delle curve di Cassini e applicazione alla riflessione della luce. Forze radiali e periferiche.

 

Partendo da alcune considerazioni formali, ho indicato ieri come si debbano pensare le relazioni fra quelli che possiamo chiamare i processi del sistema del ricambio e i processi del sistema della testa, o del sistema neuro-sensoriale o come vogliamo chiamarlo, nel senso di quanto ho accennato nel mio libro Enigmi dell’anima.

 

Volendo studiare un ago magnetico nelle sue variazioni rispetto alla superfìcie terrestre con l’intento di spiegarle soltanto in base a ciò che si osserva nello spazio in cui trova l’ago, si dovrebbe ovviamente dire che lo studio è impossibile. Si sa infatti che le variazioni dell’ago magnetico sono in relazione col magnetismo terrestre; si sa che la direzione dell’ago dipende dalla direzione del magnetismo terrestre, cioè della linea che può essere tracciata tra i poli magnetici nord e sud. Quando perciò spieghiamo i fenomeni manifestati a noi dall’ago magnetico, dobbiamo uscire dalla sfera dell’ago stesso e cercare di arrivare, con gli elementi utili alla spiegazione, a quella totalità che sola ci permette di spiegare i fenomeni che sono parte della totalità stessa. Questa regola è sempre osservata per studiare quei fenomeni le cui manifestazioni stanno tutte in superficie. Non è però osservata quando si cerca di studiare e comprendere fenomeni più complessi.

 

Così come sarebbe assurdo voler spiegare i fenomeni riguardanti l’ago magnetico mediante l’ago magnetico stesso, altrettanto assurdo sarebbe voler spiegare i fenomeni che si manifestano nell’organismo umano mediante l’organismo o con alcune relazioni separate dalla totalità. Proprio perché tanto poco si tende a risalire alla totalità per spiegare le cose abbiamo quel che ci offre la nostra scienza, in quanto si trascura quasi del tutto lo studio di rapporti più vasti. Si potrebbe dire che essa rinchiude qualche fenomeno nel campo visivo del microscopio e simili, rinchiude i fenomeni celesti in ciò che a tutta prima percepiamo di essi esteriormente, magari con strumenti adatti, ma non tiene conto che ci si deve anzitutto sforzare di arrivare alla totalità del fenomeno, se si vuole spiegarlo. Solo riconoscendo questo indispensabile principio metodologico, si è poi in grado di giudicare in modo giusto cose come quelle che ho esposto ieri. Solo così è infatti possibile apprezzare nel giusto modo come si presentano, in una compiuta relazione con la totalità, fenomeni come quelli che ci si manifestano nell’organismo umano.

 

Ricordiamo quel che avevo detto all’inizio di queste conferenze. Avevo fatto notare che il principio della metamorfosi di Goethe, e poi di Oken, deve essere modificato perché lo si possa applicare in modo esatto alla morfologia umana. Si era tentato infatti, e fu un tentativo geniale di Goethe, di spiegare la formazione delle ossa craniche con una metamorfosi delle vertebre. Quelle ricerche furono poi continuate da altri con un metodo più corrispondente al secolo XIX, né intendo qui discutere se sia stato più o meno un progresso. Comunque, si vede come il problema di quella metamorfosi sia stato visto da Goethe e da Oken in modo assai diverso rispetto a quello, ad esempio, dell’anatomista Gegenbaur. Già dissi nel corso di queste conferenze come si debbano portare queste cose su una base reale, sapendo come ossa (dello scheletro umano e non di quello animale) morfologicamente del tutto lontane fra loro, del tutto differenti, siano invece in relazione assai stretta.

 

Osserviamo ad esempio un osso lungo come il femore o l’omero e un osso del cranio. Se si resta all’aspetto esterno senza scendere in profondità o fare appello alla totalità del fenomeno, non si arriva a trovare una relazione morfologica tra due ossa polarmente opposte nella loro forma. Vi si arriva solo se si paragona la superficie interna di un osso lungo con la superficie esterna di un osso cranico. Così infatti si ottengono le superfici corrispondenti utili a constatare il rapporto morfologico (fig. 1).

 

 

Vediamo così che la superficie interna di un osso lungo corrisponde morfologicamente alla superficie esterna di un osso cranico, e che si può far derivare l’osso cranico dall’osso lungo se lo si immagina rovesciato, come si rovescia un guanto. Un guanto rovesciato non cambia forma, ma nel processo di portare all’esterno l’interno di un osso lungo si ha anche un’alterazione delle varie forze di tensione, così che la superficie portata all’esterno cambia aspetto; si ottiene così la superficie esterna dell’osso cranico derivandola da quella interna dell’osso lungo. Da ciò vediamo anche che allo spazio interno concentrato dell’osso lungo corrisponde, in relazione al cranio umano, tutto il mondo esterno. Nel loro influsso sull’uomo vanno quindi considerati come affini il mondo esterno, che forma la testa, e ciò che agisce sulla superficie interna delle ossa lunghe. Va tenuta presente questa affinità. Il mondo interno delle ossa lunghe va visto come una specie di rovesciamento del mondo esterno che ci circonda.

 

È questo, relativamente alle ossa, il vero principio della metamorfosi. Le altre ossa sono in fondo transizioni morfologiche tra i poli opposti che rappresentano il totale rovesciamento mediante la mutazione delle forze che modellano la superficie. Questo principio va esteso a tutta l’organizzazione umana, anche se in un certo senso nelle ossa si manifesta più chiaramente. Riguardo a tutti gli organi umani occorre osservare che, quando partiamo di organizzazione, dobbiamo sempre distinguere tra due contrapposizioni polari: ciò che da un interno sconosciuto (chiamiamolo per il momento così) agisce verso l’esterno e ciò che dall’esterno agisce verso l’interno. A ciò che da fuori agisce verso dentro corrisponde in sostanza tutto ciò che circonda l’uomo dall’esterno della Terra. Si ottengono in effetti due notevoli contrapposizioni, se si osservano le ossa lunghe immaginando questa linea tratteggiata al loro interno (fig. 2); si ottiene in certo qual modo una linea che rappresenta l’origine delle forze che agiscono perpendicolarmente sulle superfici in questione (fig. 3).

 

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una superficie sferica posta a una distanza indeterminata (fig. 4). Tutte le linee che portano dalla retta verso la superficie dell’osso lungo (fig. 3) corrispondono nel cranio alle linee disegnate come se si incontrassero nel centro della Terra, partendo da una sfera esterna (fig. 4). Si ha così un nesso (naturalmente le cose sono approssimate) tra una retta o un sistema di rette che traversano un osso lungo, e che sono tutte in certo senso in relazione con l’asse verticale dell’organizzazione avendo una direzione corrispondente alla direzione del raggio terrestre, e una sfera che avvolge la Terra da una distanza indeterminata. Su questa relazione si può dunque dire: per quanto riguarda la struttura umana perpendicolare alla superficie terrestre, il raggio terrestre ha lo stesso valore cosmico di una superficie sferica, di una superficie sferica cosmica, rispetto all’organizzazione del cranio.

 

Fig. 4

 

Così però otteniamo la stessa contrapposizione che percepiamo in noi quando osserviamo il sentirsi in sé del nostro organismo e al tempo stesso l’esperienza esteriore. La otteniamo tenendo conto delle nostre percezioni, quelle percezioni in sostanza fondate sul fatto che nella vita normale ci possiamo tranquillamente affidare al nostro corpo (non ci vengono le vertigini, ma siamo in relazione con la forza di gravità), e confrontando quel che in un certo senso è percezione di sé con tutto ciò che è presente nella nostra coscienza riguardo a quello che vediamo con i sensi intorno a noi fino alle stelle.

 

Studiando tutto ciò si può dire che fra questo senso dell’interiorità e il senso della coscienza nella percezione del mondo esterno corre lo stesso rapporto che c’è fra la struttura del corpo e quella del cranio. Siamo così indirizzati alla relazione fra ciò che si potrebbe chiamare “azione della Terra sull’uomo”, caratterizzato dal fatto di agire nel senso del raggio della Terra, e l’azione che si manifesta nell’ambito della nostra coscienza e che dobbiamo cercare in ciò che in realtà è sferico, in ciò che in effetti è la parete interna, la superfìcie interna di una calotta sferica.

 

Per la nostra normale coscienza di veglia possiamo grosso modo considerare tutto ciò come contrapposizione fra quella che in noi è conoscenza terrestre, impulso terrestre, sentirsi terrestri (a prescindere dai risultati dell’osservazione del nostro ambiente terreno) e la sfera degli astri. Mettendo in relazione questo impulso terrestre con la nostra coscienza della sfera, la contrapposizione ci appare come qualcosa di esistente in noi, nella nostra coscienza.

 

Viviamo immersi in questa contrapposizione molto più di quanto in genere si crede. E una contrapposizione sempre presente. In effetti, non possiamo studiare la relazione tra pensiero e volontà se non teniamo presente la contrapposizione tra sfera e raggio. Anche in psicologia arriveremmo a risultati più veri sulle relazioni tra il nostro estesissimo mondo del pensare e il più uniforme mondo della volontà, se fra questi due mondi costruissimo una relazione analoga a quella che c’è tra una superficie sferica e il relativo raggio.

 

Teniamo ora presente ciò che agisce nella nostra coscienza di veglia, che in certo senso è la realizzazione della nostra vita animica, e osserviamolo in una situazione diversa da quella in cui lo formiamo. Consideriamolo nel periodo della nostra vita embrionale: possiamo ben immaginare, anzi lo dobbiamo, che allora esista la stessa contrapposizione, soltanto che si manifesta in modo diverso; allora non portiamo incontro al mondo la stessa attività che poi attenua questa contrapposizione in un contrasto di immagini; allora la contrapposizione è attiva nella nostra plasmabile organizzazione in modo molto più reale di quanto non lo sia nelle immagini della nostra vita animica. Se proiettiamo a ritroso nel tempo gli effetti della coscienza fino alla vita embrionale, abbiamo in essa in modo più intenso e più reale ciò che altrimenti di solito abbiamo negli effetti della coscienza. E come nella nostra coscienza vediamo chiaramente i rapporti fra raggio e sfera, così, se vogliamo arrivare a un risultato, dobbiamo ricercare questa contrapposizione tra sfera celeste e azione terrestre in ciò che si svolge nelle attività embrionali. In altre parole, dobbiamo cercare la genesi della vita embrionale umana nella risultante tra l’azione esterna delle sfere stellari e ciò che nell’uomo avviene in conseguenza dell’azione radiale terrestre.

 

Dobbiamo studiare con la stessa necessità metodologica quel che ho detto ora, così come studiamo il magnetismo terrestre rispetto all’ago magnetico. Certo vi può essere molto di ipotetico, e non voglio parlarne ora; voglio solo ricordare che non abbiamo il diritto di trattare l’embriologia da sola e di spiegarne i processi solo sulla sua stessa base. Come non abbiamo il diritto di spiegare l’ago magnetico senza considerarne i rapporti con l’esterno, così non l’abbiamo per l’embrione. Dobbiamo invece tener conto delle due contrapposizioni descritte. Come studiando l’ago magnetico dobbiamo tener conto del magnetismo terrestre, così dobbiamo tener conto della contrapposizione sfera-raggio per spiegare ciò che avviene nell’embrione e che dopo la nascita si attenua nel carattere di immagine della vita cosciente. Vediamo dunque che si tratta appunto del fatto che noi consideriamo quali rapporti esistono tra ossa lunghe e ossa craniche, e anche tra gli altri sistemi (muscolare, nervoso e così via), e che l’osservazione di queste contrapposizioni ci conduce nella vita cosmica.

 

Se consideriamo ora in che rapporto sta quel che dico nel mio libro Enigmi dell’anima a proposito del nostro sistema del ricambio, con quel che ho descritto della radialità, e in che stretto rapporto sta ciò che riguarda il sistema della testa con ciò che ho caratterizzato come conseguenza dell’azione della sfera, si potrà allora dire che nell’uomo dobbiamo distinguere la natura dei sensi da quella della vita metabolica, e che esse hanno tra loro lo stesso rapporto esistente tra la sfera celeste e la radialità terrestre.

 

Dobbiamo dunque riconoscere l’influenza del cielo in tutto ciò che portiamo nella nostra organizzazione della testa e, per unirla poi in una risultante, dobbiamo ricercare nelle attività del nostro sistema del ricambio ciò che appartiene alla Terra, che in certo qual modo tende al centro della Terra.

Questi due campi di attività si separano nell’uomo e costituiscono due sistemi a sé; loro intermediario è il sistema ritmico, che ci dà la relazione tra sfera terrestre e sfera celeste, se così posso esprimermi.

 

Per procedere, dobbiamo tener conto anche di altre relazioni che si manifestano nella realtà. Faccio notare qualcosa che è in strettissima relazione con quel che ora ho descritto. Il mondo esterno, del quale siamo fisicamente parte, si articola nei regni minerale, vegetale e animale, considerando l’uomo come la vetta, il culmine dei regni della natura. Se però vogliamo rendere meglio conto dell’effetto dei fenomeni celesti sul nostro mondo, dobbiamo esaminare qualcos’altro.

 

Non si può negare (poiché è evidente per tutti quelli che considerano la cosa imparzialmente) che, nell’attuale fase dell’evoluzione umana, per quanto riguarda la nostra capacità di conoscenza siamo adatti solo al regno minerale. Se guardiamo al modo in cui ricerchiamo le leggi nella natura, diremo che non siamo adatti a comprendere ogni cosa. Detto in breve, comprendiamo solo le leggi del mondo minerale. Per questo ci si dà tanto da fare a ricondurre anche gli altri regni alle leggi del regno minerale, per questo infine è nata la confusione del vitalismo e del meccanicismo. O il vitalismo rimane una vaga ipotesi anche per le idee correnti, come per il passato, oppure se ne scinde il contenuto in effetti meccanici, minerali. Nell’ideale di comprendere la vita, non si riconosce di volerla comprendere come “vita” e si tende a ricondurla a concetti di mineralità. Proprio da tutto ciò deriva l’inconscia persuasione che con le proprie capacità l’uomo sia adatto a conoscere solo il regno minerale e non i regni vegetale e animale.

 

Se dunque seguiamo il regno minerale da un lato, e dall’altro la sua controimmagine, cioè la nostra conoscenza del regno minerale, vedremo che, nella misura in cui entrambi si corrispondono, in base a quel che abbiamo detto sinora, poiché dobbiamo riferire alla sfera celeste la nostra facoltà di conoscenza, avremo bisogno di mettere in qualche modo in relazione con quella sfera anche ciò a cui è adatta la nostra sfera di conoscenza, ossia il regno minerale. Concludiamo che l’organizzazione della nostra testa dipende in certo qual modo dalla sfera celeste e che perciò da essa deve dipendere in qualche modo anche ciò che è alla base delle forze del regno minerale. Paragonando la nostra conoscenza del regno minerale con ciò che esiste in esso, riconosceremo che il contenuto della nostra interiorità si comporta con il contenuto del regno minerale come l’immagine rispetto alla realtà.

 

Ci è però necessario rappresentarci questa relazione in modo più concreto di quella tra immagine e realtà, e per questo ci aiutiamo con quanto abbiamo appena detto. Studieremo ciò che è alla base del nostro sistema del ricambio, e le sue forze attive che sono in relazione con l’attività terrestre, con la radialità, con il raggio stesso. Osservando ciò che in noi stessi è in contrasto con l’organizzazione che ci fornisce la nostra conoscenza, saremo allontanati dalla sfera e spinti verso la Terra. I raggi tendono tutti al centro della Terra, e nella radialità proviamo ciò per cui ci sentiamo reali. In essa non abbiamo quel che ci appaga delle immagini grazie a cui siamo coscienti, ma abbiamo quel che fa sentire noi stessi come realtà nelle nostre esperienze. Sperimentando realmente questa opposizione ci troviamo in quel che ci presenta il regno minerale. In certo senso, da ciò che è organizzato solo per le immagini veniamo guidati a ciò che lo è per la realtà.

 

In altre parole, per quanto riguarda l’origine della nostra conoscenza, siamo condotti a tutto l’insieme della sfera, a quello che intendiamo come sfera; d’altro lato, seguendo tutti i raggi che si dipartono dalla sfera nel loro percorso verso il centro della Terra, veniamo appunto condotti a questo centro come a una polarità opposta. Pensando tutto questo nei particolari, si arriva al pensiero del sistema tolemaico: fuori la sfera celeste e qui [sulla sfera] un punto (fig. 5). In un certo senso dobbiamo pensare un punto contrapposto nel centro della Terra.

 

                                                          Fig. 5                                                                   Fig. 6

 

Pensando così semplicemente, ad ogni punto se ne dovrebbe opporre un altro nel centro della Terra. Ne parlerò meglio in seguito: per ora non ce ne occupiamo e vediamo invece se tutto ciò corrisponde alla realtà. Abbiamo ad esempio le stelle (i punti a, b, c di fig. 6). Pensando la sfera stessa concentrata nel punto centrale della Terra, dovremmo costruire i poli opposti in modo da poter dire che ciascuna stella ha il suo polo opposto nella Terra e così via. Abbiamo così nella Terra una completa controimmagine di quel che vi è fuori.

 

Se lo facciamo per un pianeta, avremo così un Giove, e un Controgiove all’interno della Terra. Avremo cioè qualcosa che dall’interno della Terra agisce come fa Giove dall’esterno; arriviamo a un riflesso speculare (in realtà la cosa è al rovescio, ma per ora voglio dire così), a un riflesso all’interno della Terra di ciò che vi è fuori di essa. Se ora pensiamo all’efficacia di questo rispecchiamento nelle figure dei nostri minerali, dobbiamo anche pensare all’efficacia di ciò che opera dall’esterno della sfera nella formazione delle nostre facoltà conoscitive del mondo minerale. In altre parole, possiamo pensare tutta la sfera celeste rispecchiata nella Terra, il regno minerale come un prodotto del rispecchiamento, e anche che la nostra facoltà di comprendere i minerali deriva da quel che vi è nello spazio intorno a noi, mentre le cognizioni che noi acquisiamo in merito provengono dall’interno della Terra.

 

Seguendo questi pensieri e gettando anche solo uno sguardo all’uomo e al suo volto, non possiamo dubitare che il volto dell’uomo rechi come l’impronta della sfera celeste, e che in quel che è presente nell’anima come immagine-esperienza della sfera celeste viene alla luce ciò che, dopo aver agito con molta intensità durante la vita embrionale, passa in certo qual modo dall’ambito dell’attività corporea a quello dell’attività animica. Rileviamo così una relazione fra quel che esiste nella realtà esterna e la nostra organizzazione, e ci diciamo: la realtà esterna è prodotta dal cosmo, e la nostra facoltà di conoscenza della realtà è organizzata fisicamente in modo che la sfera agisca solo sulla nostra facoltà di conoscenza.

 

Di conseguenza, beninteso anche per la genesi della Terra, dobbiamo distinguere una fase in cui le forze agiscono tanto fortemente che dal cosmo viene formata la Terra stessa, e una fase successiva dell’evoluzione terrestre in cui le forze agiscono in modo da formare la capacità di conoscere le cose reali.

 

Solo così comprendiamo realmente il mondo. Si potrebbe obiettare che il metodo di conoscenza esposto è meno sicuro di quello che fa uso di microscopio e telescopio. Può darsi che sembri meno sicuro, ma se le cose fossero tali per cui non sarebbe possibile avvicinare la realtà con i metodi preferiti ai nostri giorni, e però si avesse la necessità assoluta di comprendere la realtà con altri metodi di conoscenza, ci si dovrebbe pure adattare a trovarli. Quindi non si deve dire: non voglio seguire il corso di pensieri qui sviluppato perché sembra insicuro. E se ci fosse solo questo grado di sicurezza? In seguito vedremo che, seguendo davvero questo corso di pensieri, il suo grado di sicurezza è pari a quello della costruzione interiore del triangolo suscitata da un triangolo della realtà esterna. Nei due casi agisce lo stesso principio, lo stesso modo di intendere la realtà. Se ne deve tener conto.

 

Ci si può dire: questi pensieri, così come li ho sviluppati, permettono di richiamare alla mente certe relazioni; ma come arriviamo a comprendere queste cose in un modo più preciso? Poiché solo in un modo più preciso possiamo servircene per comprendere la realtà. Per potermi far seguire devo far notare ancora qualcos’altro: torniamo a quel che ho detto ieri della curva di Cassini (figg. 3-7, alle pp. 11-13 del vol. I). Sappiamo che la curva di Cassini può avere tre o anche quattro forme, e che essa si fonda sul fatto che se indico con 2a la distanza AB, ogni punto M è tale per cui AM x MB dà sempre un valore b2 costante. Ho le varie forme della curva di Cassini a seconda che a (la metà della distanza dei due punti focali) sia maggiore, uguale o minore di b. Se a — b ho la lemniscata, se a > b ho la curva discontinua.

 

Ammettiamo ora che io non voglia semplicemente risolvere il problema geometrico, stabilendo le distanze di M da A. e da B mediante le equazioni relative alle due costanti a e b, ma che voglia fare ancora qualcos’altro. Potrei voler risolvere il problema passando nel piano da un tipo di linea all’altro e trattando come variabili le grandezze che sono costanti per una linea particolare. Ho qui presentato solo casi singoli, una volta a più grande di b, un’altra volta a più piccolo di b. Fra questi due casi singoli ne sono possibili infiniti altri. Se ipotizzo infiniti casi singoli, posso costruire diverse forme della curva di Cassini. Le ottengo se alla variabilità del primo ordine, che ora ho stabilito tra x e y, aggiungo ora una variabilità di secondo ordine: faccio decorrere nel piano la mia costruzione di linee che si trasformano di continuo le une nelle altre, in modo che a sia una funzione di b.

 

Che cosa faccio dunque? Costruisco un sistema continuo di curve di Cassini che si trasformano progressivamente nella lemniscata e nelle curve discontinue, non però ad arbitrio, ma in modo da avere alla base una variabilità del secondo ordine, portando in un’equazione le costanti di una curva in modo che a sia una funzione di b, ovvero a = f (b). E ovvio che sia una cosa possibilissima in matematica. Che cosa ne ottengo? Ottengo la legge per il contenuto di una superficie che in se stessa, in tutti i suoi punti, è qualitativamente differente già nella concezione matematica. Ogni punto presenta una qualità diversa. Non posso concepire la superfìcie così ottenuta come un astratto piano euclideo, ma come una superficie in sé differenziata. Se a seguito di rotazioni formo dei solidi, ottengo corpi in sé differenziati.

 

Ricordando quel che ho detto ieri, ovvero che la curva di Cassini indica in pari tempo anche la curva nella quale un punto deve muoversi nello spazio in modo che, se è illuminato dal punto A., mostra sempre la stessa luminosità nel punto B (fig. 10 a pag. 141 del vol. I), se teniamo dunque conto che in effetti dalla costante che è alla base di questa curva si ha una relazione nell’effetto luminoso, si può anche pensare che proprio come qui vi è un certo effetto luminoso dal rapporto fra le costanti, possa esservi tutto un sistema di effetti di luce, se alla variabilità del primo ordine aggiungo una variabilità del secondo ordine. Si può così ottenere concretamente dalla stessa matematica un passaggio dalla quantità alla qualità.

 

Si devono fare queste considerazioni, se si vuol trovare un passaggio dalla quantità alla qualità. Si può ora infatti partire da quel che si fa quando si forma una funzione all’interno della variabilità del secondo ordine, dipendente da una funzione nella variabilità di primo ordine (la parola “ordine” non ha qui il significato consueto; ma ci intendiamo, perché ho spiegato la cosa fin dal principio). Tenendo dunque presente il rapporto fra ciò che ho chiamato primo e secondo ordine, poco alla volta si arriverà a riconoscere che le nostre equazioni dovranno essere costruite in modo diverso a seconda che si consideri ciò che su una superficie abituale esiste fra questa e il nostro occhio, oppure ciò che è dietro la superficie. Infatti, analogo al rapporto tra la variabilità del primo ordine e quella del secondo, è il rapporto tra ciò che io devo considerare posto fra me e la superficie di un corpo qualsiasi, e ciò che è posto dietro la superficie del corpo. Così è, ad esempio, quando si prova a studiare il riflesso del raggio luminoso che può essere osservato su di una superficie riflettente, quando cioè si osserva un processo che avviene tra me e la superficie di un corpo. Se concepisco il processo come un sistema di equazioni riferite a ciò che corre tra me e la superficie di un corpo secondo la variabilità di primo ordine, aggiungendovi ciò che agisce dietro la superficie per produrre il riflesso otterrò formule del tutto diverse da quelle che si usano oggi secondo principi puramente meccanici, tralasciando oscillazioni o altro, per le leggi di riflessione e rifrazione.

 

In tal modo sarà possibile creare una matematica veramente in grado di fare i conti con la realtà. Così deve essere per l’astronomia, se si vuole arrivare a spiegarne i fenomeni. Riguardo al mondo esterno abbiamo infatti qualcosa che in certo modo rispecchia quel che si svolge tra la superficie dei corpi e noi stessi. Osservando i fenomeni celesti, un nodo di Venere o altro, abbiamo anche qualcosa che si svolge tra noi e un altro oggetto; solo che si comporta come da dietro la sfera, rispetto a ciò che è al centro. Quando studiamo i fenomeni celesti, ci deve essere chiaro che non possiamo osservarli solo secondo il sistema delle forze centrali, ma che dobbiamo considerarli secondo il sistema che si comporta verso quello delle forze centrali così come la sfera si comporta con il raggio.

 

Se dunque vogliamo arrivare a spiegare i fenomeni celesti non dobbiamo impostare i calcoli secondo il modello meccanico delle forze centrali, ma dobbiamo fare in modo che i calcoli, e anche tutta la parte figurativa, si comportino nei riguardi della meccanica come la sfera nei confronti del raggio. Vedremo domani come dovremo servirci della meccanica e della foronomia, che hanno principalmente a che fare con le forze centrali, aggiungendo un altro sistema che riguarda i movimenti rotatori, a forbice e deformanti.

 

Solo quando avremo tenuto conto dei sistemi meta-meccanici, meta-foronomici, dei moti rotatori, a forbice e deformanti, così come oggi abbiamo studiato il sistema della meccanica e della foronomia per le forze centrali per le manifestazioni di movimenti centrali, avremo la possibilità di capire le forze celesti che ci si presentano empiricamente.