Le sorgenti della fantasia artistica e della conoscenza soprasensibile – I

O.O. 271 – Arte e conoscenza dell’arte – 05.05.1918


 

Sommario: Fantasia artistica e coscienza veggente. I diversi campi artistici per il veggente: nell’architettura e nella musica. L’esperienza del colore nella pittura. L’incarnato. Il confluire della fantasia artistica e della conoscenza soprasensibile nella pittura e nel linguaggio umano. Nelle arti si ha un’esperienza inconscia dei processi nell’organismo umano, con la veggenza li si sperimentano nella coscienza. Il necessario legame fra arte e veggenza per una reciproca fecondazione.

 

Da sempre si sentì l’affinità della fantasia artistica con la conoscenza soprasensibile, con quella che si può chiamare coscienza veggente o, per non essere fraintesi, cosa molto facile, con la chiaroveggenza. Per l’odierno indagatore dello spirito che, movendo dalla prospettiva del presente, cerca di entrare nel mondo spirituale, la relazione fra la creazione artistica e la conoscenza soprasensibile è molto più. importante dell’altra affinità, spesso messa in rilievo, fra la vita visionaria, che in sostanza si basa su condizioni patologiche, e la chiaroveggenza che si ha davvero soltanto nell’anima, senza l’aiuto del corpo.

 

Si sa che i poeti e gli artisti in genere sentono a volte una stretta relazione fra il modo complessivo del loro creare, fra le loro esperienze e la veggenza. Soprattutto artisti che creando cercano la strada verso le regioni soprasensibili, narratori di fiabe o comunque artisti che cercano di incarnare il soprasensibile, raccontano giustamente di loro reali e viventi esperienze, di come vedano con chiarezza le relative figure, di come siano in relazione con loro, avendone un’oggettiva impressione quando appunto se ne occupano. Si può ancora parlare di una specie di limite fra la visione artistica e la veggenza fino a quando la chiarezza dell’anima non sia offuscata, fino a quando la formazione artistica non trapassi in visioni costrittive sulle quali la volontà umana non abbia più potere alcuno e più non disponga della propria chiarezza. Solo nella ricerca scientifico-spirituale si mostra un ben preciso limite (ed è l’importante) fra la creazione artistica e la sua sorgente, limite della fantasia artistica da un lato e della veggenza dall’altro. Chi non riesce a vedere quel preciso limite e non può renderlo fecondo per la sua esperienza, è facile che arrivi là dove giungono molti artisti che in effetti hanno paura di essere impediti nel loro lavoro perché penetra una certa veggenza nella loro coscienza. Vi sono persone, dotate di una vera natura artistica, che per la loro attività artistica stimano necessario il sorgere di impulsi che sgorghino dal subconscio o dall’inconscio dell’anima, che però fuggono come dal fuoco se nella loro inconscia attività si presenta una verità soprasensibile alla loro chiara coscienza.

 

Vi è soggettivamente una poderosa differenza fra l’esperienza della concezione, ricezione e godimento dell’arte e l’esperienza dei mondi soprasensibili a seguito della chiaroveggenza. Il creare, recepire e guardare l’opera d’arte forma senz’altro, nell’anima che ne gode, la tendenza per l’individuo verso il mondo esterno, grazie ai sensi e con l’aiuto delle percezioni e delle idee che poi diventano ricordi. Basta ricordarsi soltanto delle caratteristiche della creazione artistica e del suo godimento per dirsi: certo, nella ricezione artistica e anche nella creazione vi sono percezioni e capacità sensorie del mondo esterno. Non esistono nel modo grossolano in cui altrimenti lo sono nelle manifestazioni sensorie; vi è qualcosa di spirituale, qualcosa che si inserisce e opera liberamente nelle percezioni e nelle idee, nell’afferrare e creare dell’artista, quali ricordi e contenuti dei ricordi. Non si potrebbe comunque discutere della giustificazione del naturalismo e dell’individualismo, se non ci si appoggiasse alle percezioni. Del pari ci si può convincere che nell’anima vi sono ricordi nascosti, qualcosa di inconscio che nella memoria collabora nell’uomo alla creazione artistica e al suo godimento.

 

Tutto ciò scompare nel contenuto della vera conoscenza soprasensibile, intesa nel senso della moderna ricerca spirituale. Si ha ora a che fare con un completo sollevarsi dell’anima dalle percezioni sensorie, anche dal pensare usuale e dai ricordi ad esso legati. La grande difficoltà è proprio convincere i nostri contemporanei che possa esistere un’esperienza interiore che escluda la percezione, il pensare usuale e il ricordo. Soprattutto lo scienziato non ammetterà che ciò sia possibile; affermerà sempre: tu sostieni che nulla fluisce nella tua veggenza, ma vedo che t’inganni; non sai su che cosa si basi il contenuto nascosto dei ricordi e in quali modi raffinati esso riaffiori.

 

Chi così obietta non si occupa dei metodi grazie ai quali si perviene alla veggenza, metodi che mostrano che la diretta impronta del mondo spirituale può essere presente quando non fluiscano reminiscenze di ricordi nascosti. Proprio su questo si basa la scuola occulta: trovare la via che liberi l’anima da impressioni esterne e da ricordi derivati da pensieri. E così fissato un rigido confine fra l’attività artistica e il suscitare conoscenze soprasensibili; l’anima infatti, l’io umano in cui vive la conoscenza soprasensibile, non si serve dell’organizzazione del corpo con cui invece collabora nel caso della creazione artistica.

 

Stando così le cose, a maggior ragione sorge la domanda: quale è la relazione fra gli impulsi subconsci che si intessono dalle profondità dell’anima nella creazione artistica e nel suo godimento, e le dirette impressioni che nascono dal puro mondo spirituale a seguito della conoscenza soprasensibile? Per rispondere alla domanda vorrei partire da alcune esperienze del veggente stesso nel campo dell’arte. Tali esperienze sono già caratteristiche al loro inizio. Si mostra poi che chi ha imparato a stare nella vita soprasensibile, a raccogliere conoscenze soprasensibili, si trova davvero in condizione di eliminare per un certo tempo tutte le impressioni sensorie e i pensieri derivati dai ricordi che si uniscono a quelle impressioni. Tutto ciò può essere eliminato, scacciato dall’anima. Quando dunque chi ha acquisito una veggenza soprasensibile cerca anche, di fronte a un’opera d’arte, di afferrare con chiarezza tutto quanto è uso vedere nei fenomeni sensibili, gli si presenta una tutt’altra esperienza. Di fronte ai fenomeni sensibili il veggente è sempre in grado di eliminare le percezioni sensibili e i pensieri derivati da ricordi, ma non di fronte a un’opera d’arte. Di fronte ad essa, sebbene sia ovviamente eliminato tutto quanto riguarda i sensi e il pensiero, al veggente rimane ancor sempre un importante contenuto interiore che egli non può e neppure vuole eliminare. L’opera d’arte presenta qualcosa che gli si mostra come affine alla sua veggenza. Sorge allora la domanda: in che cosa consiste tale affinità?

 

Ci si arriva cercando di capire che cosa è attivo nell’essere umano quando guarda spiritualmente con la conoscenza superiore. Si vede allora quanto siano carenti le rappresentazioni che abbiamo di noi stessi e delle nostre relazioni col mondo esterno, quando rimaniamo nella coscienza ordinaria. Crediamo che il pensare, il sentire e il volere siano strettamente separati fra loro. La psicologia li considera in relazione, ma non con ragione. Chi invece sperimenta le effettive complicazioni della vita dell’anima, quali si presentano nella veggenza, sa che proprio non esiste una separazione fra pensare, sentire e volere; piuttosto nella vita e nella coscienza ordinarie in ogni pensiero vi è un resto di sentire e di volere, in ogni sentire un resto di pensare e di volere, in ogni volere anche qualcosa del pensare e persino del percepire; nel volere rimane un residuo delle percezioni che sono nascoste, subconsce.

 

Va tenuto presente, volendo comprendere la veggenza, perché da quel che si è detto si ricava che in essa il pensare e il percepire tacciono, ma non tacciono sentire e volere. Non sarebbe tuttavia veggenza se si sviluppassero soltanto sentire e volere, come nella coscienza ordinaria. Al contrario, passando allo stato di veggenza, occorre far tacere ogni volontà, quale esiste nella vita ordinaria. Il veggente arriva alla condizione della completa calma.

 

Nella veggenza qui intesa non è contemplato il movimento del corpo per entrare nel mondo spirituale, come fanno ad esempio i dervisci; va piuttosto fatto tacere tutto il volere che si manifesta nella vita ordinaria, quale forza delle emozioni. In ciò che dal volere passa nelle azioni vivono ancor sempre emozioni. Anche nelle manifestazioni della volontà tali sentimenti devono tacere. Non tacciono tuttavia le emozioni come tali, e anzitutto non tacciono gli impulsi della volontà. Percepire e pensare tacciono, ma gli impulsi delle emozioni e della volontà sono giustificati, solo che si presentano in un calmo atteggiamento dell’anima; di conseguenza sviluppano in modo diverso dal solito il loro carattere percettivo e di pensiero. Se si rimanesse a un semplice sentire o a un’interiore manifestazione di una falsa volontà mistica, non si arriverebbe al mondo dello spirito. Tuttavia nel calmo atteggiamento dell’anima si manifestano in modo spirituale quelli che altrimenti sono le emozioni e gli impulsi della volontà. Sentire e volere si manifestano appunto in modo da presentarsi all’anima come oggettivi esseri spirituali capaci di pensieri, mentre si manifesta il residuo di percezioni e pensieri, di solito rimasto inosservato nel sentire e nel volere, che arriva ad entrare nel mondo spirituale. Arrivati così al punto che il veggente viva nel sentire e nel volere come altrimenti si vive nel pensare e nel percepire, non in un pensare e in un sentire non chiari, non in una mistica nebulosa, ma in maniera altrettanto chiara come nel pensare e nel percepire, ci si può con profitto occupare dell’arte, in modo comunque da essere prima consapevoli di come siano privi di valore certi accostamenti che si fanno, legati alla parola «arte».

 

L’arte si differenzia in diversi campi: architettura, scultura, musica, poesia, pittura e altri ancora. Volendo stabilire in base all’esperienza del veggente le relazioni fra le diverse arti, la differenza fra di esse appare in concreto molto più marcata di quanto non comprenda la filosofia sotto il nome di arte. Si arriva così a poter stabilire una singolare relazione con l’architettura, grazie alla possibilità di sperimentare il contenuto di pensiero e di spirito del mondo, anche con l’aiuto del sentire e del volere convertiti in pensare.

 

Avevo detto che con la veggenza cessano gli usuali pensare e percepire, e che subentra una tutt’altra specie di pensare che fluisce dal sentire e dal volere, un pensare che in effetti si presenta in forme che direttamente, mentre si pensa, potrebbe indicare forme di suddivisione di forze nello spazio, come rapporti spaziali. Questo pensare si sente affine con quanto presentano l’architettura e la scultura, quando offrono vere opere artistiche. Ci si sente a proprio agio con pensare e percepire specialmente nell’architettura e nella scultura, perché cessa, scompare il confuso e astratto pensare, oggi tanto amato, e subentra un pensare oggettivo che null’altro può se non passare a forme spaziali, a forme spaziali in movimento, a forme che si allargano, si sovrappongono, si curvano e nelle quali si manifesta la volontà che fluisce nel mondo. Il veggente è costretto a non afferrare quel che vuol conoscere nel mondo spirituale con il pensare in uso per la scienza corrente. In tal caso nulla conoscerebbe di spirituale. Ci si sbaglia soltanto, se si crede di conoscere nella sfera spirituale, perché con i pensieri usuali non si arriva a penetrare entro il mondo spirituale.

Chi in esso vuol entrare, come pensatore deve avere qualcosa che crei in sé forme viventi, scultoree o architettoniche. Si arriva così a vedere che l’artista giunge col subconscio a sperimentare forme. Esse salgono, riempiono la sua anima, si trasformano in correnti rappresentazioni che in parte si lasciano calcolare; vengono poi trasformate nell’opera d’arte. L’architetto e lo scultore sono soggetti di passaggio per quel che il veggente sperimenta nel pensare e nel percepire nel mondo spirituale. Nell’organizzazione dell’architetto si insinuano le forme che il veggente afferra nella sua vita di pensiero e di percezione. Nelle profondità della vita dell’anima esse ondeggiano e diventano coscienti. Così l’architetto e lo scultore creano le loro forme. La differenza è che quel che dà forma sostanziale alle creazioni dell’architetto e dello scultore sorge da impulsi subconsci, mentre il veggente scopre quegli impulsi come qualcosa di cui ha bisogno per afferrare i grandi nessi del mondo spirituale. Come si hanno pensieri e percezioni, così il veggente sviluppa doni che gli indicano che cosa attraversa e fa vibrare il mondo. Quel che il veggente così vede e sperimenta viene inconsciamente vissuto dall’architetto e dallo scultore, compenetra il loro lavoro mentre creano forme artistiche.

 

Chi ha una conoscenza soprasensibile, nelle sue esperienze sente e cerca in altro modo la relazione per la creazione poetica e musicale. Avviene ora che il veggente senta a poco a poco nella sua interiorità in modo del tutto diverso da come la coscienza ordinaria pensa e percepisce il mondo esterno: si sente in sé nel suo sentire e nel suo volere.

Chi può esercitare l’auto-osservazione sa che si è nel proprio sé soltanto nel sentire e nel volere. Il veggente però fa emergere da sé proprio il sentire e il volere, e appunto perché sentire e volere gli procurano pensieri e percezioni emerge da se stesso in sentire e volere. Avviene tuttavia anche dell’altro: egli si ritrova. Avendo la precisa coscienza di essere uscito dal suo corpo, di non più percepire con l’aiuto del corpo, si ritrova nel mondo esterno, trapassa intuitivamente in ciò che ha percepito nelle forme in movimento e ha formato in pensieri. Porta il suo sé nel mondo esterno. Facendolo, impara in certo modo a dirsi: grazie a una vera esperienza interiore posso sapere di essere uscito dal corpo che sempre mi trasmette le relazioni col mondo esterno; mi sono però ritrovato immergendomi nel mondo spirituale.

 

Mentre tutto ciò diventa esperienza interiore, il veggente trova di aver bisogno di ricevere di nuovo volere e sentire dal mondo spirituale, di ritrovarsi movendo dal mondo soprasensibile. Deve farlo perché di nuovo gli viene attribuito il sentire e il volere (che però sono trasformati, che più non hanno bisogno dell’aiuto del corpo), un sentire che è interiormente affine all’esperienza musicale, che in effetti gli è tanto affine da poter dire: è più musicale della stessa musica. È un sentimento che si ha, come se col proprio essere animico, di fronte a una sinfonia o a un’altra opera musicale, si fluisse nei suoni, si fosse diventati melodia, vibrazione musicale.

 

Per la poesia si è nel volere. Lo richiede la poesia, e per questa via si impara a sentire la vera poesia, ritrovando così il proprio volere. Il sentire nell’elemento musicale, il volere nella vera poesia.

Di fronte alla pittura la veggenza è in una posizione particolare, in una posizione molto speciale. Qui succede che non si presenta nessuna delle cose dette prima, ma qualcosa di ancora più caratteristico. Di fronte alla pittura il veggente, e potrebbe essere lo stesso pittore, perché sentiremo che la creazione artistica e la conoscenza soprasensibile possono coesistere, ha il sentimento che il pittore venga verso di lui da una regione indeterminata del mondo portandogli incontro un mondo di linee e di colori; il veggente va verso il pittore dalla direzione opposta e sente il bisogno di trasporre quel che il pittore porta seco, e che inserisce nella sua arte dal mondo esterno, di trasporlo come immaginazione in ciò che sperimenta nel mondo spirituale. Però i colori che sperimenta il veggente sono diversi da quelli del pittore, e pure gli stessi. Non si disturbano. Chi desidera farsene un’idea prenda la parte sensibile-morale della dottrina dei colori di Goethe sull’effetto morale dei colori, e vi troverà l’espressione più elementare del caso; vi sono descritti quali effetti di sentimento esercitino sull’anima i singoli colori. La veggenza del mondo spirituale giunge fino a questo sentire, fino al sentimento che realmente si sperimenta ogni giorno nel mondo superiore.

 

Non si deve credere che per descrivere l’aura colorata il veggente parli dei colori come lo fa il pittore. Il veggente sperimenta il sentimento che di solito è suscitato dal giallo e dal rosso, ma è un’esperienza spirituale da non confondere con visioni fisiche. Su questo punto vi è il più grave equivoco. Per il veggente l’esperienza con la pittura è qualcosa che si può indicare come un incontro con un simile che proviene da una direzione opposta, la comprensione essendo possibile perché da fuori arriva la stessa cosa che viene creata da dentro. In proposito premetto sempre che si tratta di creazione artistica con la quale è possibile la comprensione, sempre che vi sia arte e non naturalismo. Il veggente è costretto a immaginare quel che sperimenta; detto all’ingrosso, a illustrare. È così perché egli esprime in colori e forme quel che sperimenta quando incontra il pittore. Di nuovo occorre dire che se dovesse chiedere al pittore in quale relazione essi siano fra loro, il pittore dovrebbe rispondere: in me vive qualcosa, quando mi muovo nel mondo con i miei occhi e vedo colori e forme: io li trasformo artisticamente; in me ho sperimentato qualcosa che prima ondeggiava nelle profondità dell’anima, è poi salito alla coscienza ed è diventato arte.

 

Il veggente direbbe al pittore: quel che vive nelle profondità della tua anima vive nelle cose. Movendoti nelle cose vivi con la tua anima nello spirito delle cose. Al fine di conservare la forza per dipingere e per sperimentare coscientemente quel che sperimentavi quando ti muovevi fra le cose e affinché non si spenga quanto si presenta ai sensi, devi conservare viventi nel subconscio gli impulsi che creano la pittura. Il punto è sollevare alla coscienza gli impulsi inconsci. Il veggente dice: io attraversai lo stesso mondo, facendo però attenzione a quel che vive in te. Osservai quel che ti sorgeva nell’inconscio, portando a coscienza quel che per te era subconscio.

 

Proprio in una concezione del genere ci si presenta un grande e importante problema dell’anima umana, un problema che forse non viene sempre altrimenti osservato. Quando si sia conosciuto per interiore esperienza quel che ho caratterizzato, sorge qualcosa che tocca la vita in profondità. È il mistero dell’incarnato, il meraviglioso colore della pelle umana che in effetti è un grande problema della chiaroveggenza. Quel colore ricorda bene che la chiaroveggenza, come io la intendo, in effetti non è tanto estranea e sconosciuta alla vita ordinaria; solo che non le si fa caso. Vorrei dire una frase paradossale e pur vera: ogni uomo è chiaroveggente, ma lo si nega in teoria non potendo negarlo in pratica. Se lo si negasse in pratica, ogni vita sarebbe distrutta.

 

Esiste oggi strana gente che pensa: come arrivo ad avere davanti a me l’io di un uomo sconosciuto? Vuol rimanere del tutto nel campo del naturalismo, vuol rimanere naturalista, si dice: fra i miei ricordi vi è una faccia ovale e qualcosa del genere; poiché da diverse esperienze fatte ho stabilito che quella figura nasconde la faccia di un uomo, ne deduco che dietro quella forma di naso vi sia un io.

 

Fatti da «persone intelligenti» si trovano oggi ragionamenti del genere. Non corrispondono tuttavia all’esperienza alla quale si arriva osservando la vita in base alla propria partecipazione ad essa. Non deduco un io dalla forma del viso o da altro. Ho la coscienza di un io, perché la percezione di quel che mi si presenta come uomo fisico è basata su qualcosa di diverso dalla percezione di un cristallo o di una pianta. Non è vero che corpi di natura privi di vita facciano la stessa impressione di un uomo. Per gli animali è diverso. L’oggetto sensibile umano che mi sta di fronte si annulla da sé, si rende idealmente trasparente, e con una vera chiaroveggenza si vede subito l’io quando si è di fronte a un essere umano. Questo è il fatto reale. La chiaroveggenza altro non è se non estendere al mondo il modo con cui si è col proprio soggetto di fronte a un uomo, se non vi sia altro da osservare come lo si fa per l’uomo.

 

Non si riesce ad avere una reale impressione della chiaroveggenza se non si tiene presente su che cosa si basa il modo di essere dell’altro uomo, così differenziato perché deriva dalla chiaroveggenza dell’altra anima. In tale chiaroveggenza ha una particolare funzione l’incarnato. A un’osservazione esteriore esso è qualcosa di finito; per il veggente l’incarnato si modifica a seconda dell’esperienza: per lui è uno stato intermedio. La chiaroveggenza si estende a tutti i campi del mondo e si indirizza anche alla figura umana il cui incarnato oscilla fra poli contrapposti e uno stato intermedio. Percepisce l’impallidire e l’arrossire ed è come se ci fossero irradiazioni di calore. Nell’impallidire e nell’arrossire di qualcuno è compreso lo stato mediano. Con questo sperimentarsi in movimento è collegata la conoscenza di immergersi anche nell’essere di un altro, non solo nella sua anima, nel suo io. Attraverso l’incarnato ci si immerge nella sua anima e anche nel corpo. E qualcosa che porta alla relazione fra la concezione artistica e la conoscenza soprasensibile. Ciò che infatti è tanto mobile nell’afferrare l’incarnato vive inconscio nella creazione artistica dell’incarnato. È sufficiente che l’artista ne sia solo sottilmente cosciente. D’altra parte solo se arriva a sperimentarlo, l’artista è in grado di mettere al centro dell’incarnato il suo sottile e vivente vibrare.

 

Nella pittura si mostra così come siano attigue le sorgenti della fantasia artistica e della conoscenza soprasensibile. Nella vita corrente esse sono attigue nel campo del linguaggio, anche se non lo si nota. Oggi di solito il linguaggio viene considerato dalla scienza molto nel suo aspetto intellettivo, ma la vita del linguaggio è presente in noi in tre modi. Chi con la veggenza si avvicina al linguaggio e vuole esprimere quel che percepisce nel mondo spirituale, in merito ha anzitutto una sensazione che si potrebbe chiamare follia. Quando gli uomini parlano fra loro e anche quando praticano la scienza usuale, tutto quel che dicono è un abbassare il linguaggio al di sotto del livello al quale esso dovrebbe stare. Si sminuisce il linguaggio usandolo solo come mezzo per comprendersi. Si sente che il linguaggio vive nel suo vero essere quando la poesia lo compenetra, quando attraverso il linguaggio fluisce ciò che urge dall’interiorità umana. Allora opera il vero spirito del linguaggio. Il poeta scopre in effetti dove sia il livello del linguaggio corrente e sente come venga trascurato il suo livello superiore. Così si può sentire come un fine poeta, quale fu Morgenstern, sia potuto arrivare all’osservazione che in realtà verso il basso è percepibile un limite molto diffuso del linguaggio, un limite che si può chiamare della chiacchiera. Egli trova che la chiacchiera ha la sua base nell’ignoranza del significato e del valore della singola parola, che chi chiacchiera arriva a far uscire la parola dei suoi precisi contorni e a portarla alla confusione.

 

Morgenstern sente che qui si manifesta un profondo segreto della vita, e dice che il linguaggio si vendica di ciò che è confuso, di chi è confuso. Poiché era in grado di gettare un ponte fra la poesia e la veggenza, è comprensibile che egli trovi nel linguaggio le affinità fra suono, immagine, architettura e così via.

 

La stessa affinità è alla base di tutta l’opera di Goethe; per un certo tempo della sua vita non sapeva se doveva diventare poeta o scultore. Il veggente sperimenta quel che per lui è contenuto dell’esperienza spirituale, al di fuori del linguaggio. E qualcosa che è difficile da spiegare, perché la maggior parte della gente pensa in parole, mentre il veggente pensa senza parole ed è quindi costretto a forgiare in un preciso linguaggio ciò che ha sperimentato senza parole; deve adattarsi alle formali relazioni del linguaggio. Non deve sentirlo come una to- strizione, perché arriva a scoprire dove sia il segreto della creazione linguistica. Può farsi comprendere perché si sbarazza dell’elemento intellettuale. Di conseguenza ha tanto valore comprendere che ha più importanza come il veggente dice le cose rispetto a quel che dice. Quel che dice è condizionato dal pensiero, che ognuno prende da fuori. Per non esser preso per pazzo, riveste quel che ha da dire in frasi correnti e in connessioni intellettive. Per le sfere più elevate dello spirito è importante come il veggente parli.

Gli sta giustamente di fronte chi rileva il modo dell’espressione, chi nota che il veggente dice in breve alcune cose, per altre si dilunga o non le dice affatto, che è obbligato a formulare la frase da un lato in un certo modo e dall’altro aggiungendo qualcosa. La forma è data da quel che è importante per la sfera superiore del mondo spirituale. È quindi meno determinante per la comprensione ascoltare solo il contenuto, di certo anche importante quale manifestazione del mondo spirituale, quanto piuttosto penetrare attraverso il contenuto nel modo come il contenuto è espresso, per vedere se l’oratore collega solo frasi e teorie o se parla in base a esperienze. Il parlare movendo dal mondo spirituale risulta visibile da come si parla; non tanto dal contenuto, in quanto abbia un carattere teorico, ma da come viene espresso. Nelle comunicazioni attraverso le forme linguistiche può entrare in azione l’elemento artistico del linguaggio, ciò che entusiasma l’oratore a sollevarsi fino al processo della creazione linguistica, tanto da dar forma a quel che esisteva quando il linguaggio era sorto dall’organismo umano.

 

Da che cosa viene dunque che quanto si presenta alla coscienza chiaroveggente si inserisca nella creazione artistica e viva nella fantasia artistica in modo inconscio e subconscio? La creazione artistica è certo cosciente, ma gli impulsi, i moventi, devono rimanere inconsci affinché la creazione rimanga libera. Può rendersi conto di quale sia il problema solo chi sappia che la corrente coscienza umana, per certe ragioni, è destinata e condurre ad altro che al mondo nella sua interezza.

 

La coscienza usuale si volge da un lato ai fenomeni della natura; quel che tuttavia essa ci fornisce non risulta ai nostri concetti; essi non penetrano nella sfera in cui la materia appare nello spazio, dice Du Bois- Reymond. E ancora: ciò che vive nell’anima non può colmarsi di realtà. Quel che si sperimenta nella profonda mistica ondeggia sempre al di sopra della realtà. L’uomo non perviene al mondo nella sua interezza né osservando la natura, né guardando nella sua anima. Vi è qui un abisso che di solito non può venir superato. Viene superato coscientemente nella coscienza veggente, nella creazione artistica. L’autoconoscenza deve diventare qualcosa di diverso da quel che di solito è inteso. La visione mistica pensa di aver già raggiunto qualcosa dicendo di aver sperimentato nell’interiorità Dio, il proprio io superiore.

 

La vera autoconoscenza tende a vedere come l’io, di solito sperimentato solo in un punto, sia attivo nell’organismo. Avendo idee e percezioni, non siamo esseri solo pensanti e percepienti, ma di continuo espiriamo ed inspiriamo. Ponendoci di fronte al mondo con coscienza desta, noi sempre espiriamo ed inspiriamo, ma la coscienza ordinaria nulla percepisce di quanto avviene in noi. Si conosce soltanto con la coscienza veggente che cosa di meraviglioso ivi avviene, se cioè non si guarda solo a qualcosa di nebuloso, all’io astratto, ma a come l’io vive, operando in concreto. Ecco che cosa allora risulta.

 

Con l’espirazione il liquido cerebrale scende nel canale del midollo spinale, in un sacco lungo che ha diversi punti dilatabili e allungabili; esso spinge verso il basso, spinge sulle vene del corpo. Descrivo come un processo esterno quel che ivi avviene. La coscienza ordinaria non vi penetra, ma l’anima vive inconscia il dilatarsi nelle vene del corpo di quel che proviene dal cervello, e poi con l’inspirazione il ritorno del sangue venoso nelle vene della spina dorsale attraverso il relativo canale, il rientro cioè del liquido cerebrale nel cervello e il gioco fra nervi e organo dei sensi. La coscienza ordinaria ne rimane all’oscuro, nulla ne sa, ma l’anima e lo spirito vi partecipano. Tutto il processo è piuttosto caotico. Ciò che pulsa avanti e indietro si svolge in ognuno di noi in forma musicale. Nel processo vive interiormente musica.

 

L’elemento creativo nella musica è il sollevare alla sfera cosciente la musica che il musicista è abituato a sperimentare nel suo corpo animico. Nella musica vive il suono, la subconscia attività vitale della musica, in cui tesse l’anima umana. La psicologia attuale è ancora del tutto a un livello elementare; in accordo con la veggenza essa deve ancora studiare le cose che gettano luce sulla vita dell’artista. Le nostre esperienze sono qualcosa di complicato. Questo subconscio sapere dell’anima è il vero impulso della fantasia artistica, in quanto la vita musicale si svolge fra midollo spinale e cervello, col sangue che si unisce al liquido cerebrale mettendo il nervo in vibrazione a risuonare contro il cervello. Ponendo questo in relazione con la possibilità della percezione superiore, vive in tutto ciò più musica interiore, che si gode, di quanto non sia l’impulso oggettivo dal quale nasce l’anima umana, quando dalla vita spirituale entra con la nascita, o con la concezione, nell’esistenza fìsica, imparando a suonare lo strumento del corpo fisico.

 

Che cosa avviene quando vi è tutto questo movimento, il vibrare del liquido cerebrale che sale? che cosa si svolge nello scambio fra nervi e sensi? Quando, ancora inosservata dalle percezioni sensibili, l’onda dei nervi batte ai sensi esterni nello stato di veglia, vi vive inconscia e viene coperta dalla percezione la poesia! Fra i sensi e il sistema dei nervi vi è una regione in cui inconsciamente l’uomo poeta. L’onda dei nervi penetra nel suo senso (è inconscio, ma può essere fisiologicamente stabilito), e la vita che si svolge nei sensi è produzione poetica: l’uomo vive creando poesia interiore. L’attività poetica è un portare alla luce quella vita inconscia.

 

Ne ho parlato in relazione col processo respiratorio. Con l’espirazione dobbiamo tener presente che il liquido cerebrale preme nel corpo verso il basso sulle forze che dal corpo gli vanno incontro, e sulle forze attraverso le quali ci poniamo di fronte al mondo. Noi siamo sempre nel mondo in una determinata posizione statica, o a gambe larghe e braccia piegate oppure a carponi come da bambini, o ancora se trasformiamo questa posizione stando eretti: siamo comunque sempre in uno stato di equilibrio. Le forze interiori che portiamo incontro con le ondate che vengono espirate sono alla base di quel che si fa nella scultura e nell’architettura.

 

Le emozioni che vivono in noi quando passiamo al movimento e lo fermiamo, si manifestano nella scultura. Sono esperienze interiori legate alle forme del corpo. Le riconosciamo soltanto se siamo abituati a esprimere percezione e pensiero in calme rappresentazioni di forme. Si apprende che dal corpo non ci vengono incontro forme caotiche, ma forme che mostrano che siamo formati dal cosmo. Osservando forze esterne che l’anima sperimenta inconsciamente, si ha più a che fare con la fantasia scultorea. Fra le due vi è una particolare sfera inconscia che l’anima ha nella sua interiorità. Quando l’ondata dei nervi, in sostanza l’elemento freddo e intellettuale del corpo umano, vibra fra corpo e cervello, è anche in contatto con il sangue caldo. In quel calore, in quella spiritualizzazione, vi sono inconsce le sorgenti della creazione artistica che spingono il pittore a stendere sulla parete in colori le sue impressioni che vengono portate alla superficie dal subconscio. L’uomo è inconscio nel mondo spirituale che viene aperto solo con la veggenza.

Non per niente in passato il corpo era sentito come il tempio dell’anima. Si accennava a come l’architettura fosse affine alle relazioni di equilibrio di tutto il corpo e di tutto il cosmo.

 

L’arte deve esprimere ciò che l’artista è in grado di imprimere nelle sue forme, perché la sua anima sperimenta in contatto con il mondo che il suo corpo è l’immagine microcosmica di tutto il macrocosmo. Portarlo tuttavia a coscienza può solo avvenire con la veggenza. Perché si mostra tanto infeconda l’estetica corrente, costruita secondo il modello della scienza? L’artista non sa che farsene di un’estetica accademica che intende portare a coscienza la sfera inconscia nella natura dell’uomo, come fa la corrente indagine scientifica. La veggenza porta a coscienza quel che vive nell’attività artistica, ma l’artista non deve aver paura della veggenza, come invece tanti hanno. Le due sfere possono vivere separate l’una accanto all’altra nella persona umana, perché appunto lo possono. È possibile che l’anima viva fuori dal corpo nel mondo spirituale, e allora può osservare come ciò che di solito rimane subconscio si cristallizzi in una forma artistica, ma anche come ciò che il veggente separa dalla propria veggenza possa essere sperimentato artisticamente.

La fecondazione dell’arte può avvenire solo grazie a questa esperienza e così servire agli artisti, come anche gli artisti possono fecondare la veggenza. Il veggente che abbia senso e gusto artistici potrà evitare che la scienza dello spirito sia troppo compenetrata da grettezza. Descriverà la mobilità del mondo spirituale e potrà esporre in modo più adeguato il come della scienza dello spirito, del quale ho detto, meglio di chi abbia conquistato l’ingresso nel mondo dello spirito privo di senso artistico. Non è necessario, come fanno molti artisti, aver paura della veggenza. Parlo della paura, intesa con serietà, non che qualcuno possa temere che gli si rimproveri di essere antroposofo; parlo della frequentissima paura primaria che la veggenza pregiudichi l’immediatezza dell’attività artistica. Tale limitazione in verità non esiste. Viviamo comunque in un’epoca nella quale, per necessità storica dell’evoluzione dell’umanità, l’anima è spinta a mutare in conscio quel che ingenuamente era subconscio. Oggi comprende il tempo in cui viviamo solo chi trasforma sempre più l’inconscio in libera comprensione di quanto è cosciente.

 

Ove questa esigenza del tempo non fosse esaudita, l’umanità entrerebbe in una strettoia della civiltà. L’arte non viene capita dalla scienza usuale, e quindi l’estetica corrente viene rifiutata dagli artisti. La veggenza sviluppa invece una scienza che non toglie la rugiada dai fiori all’arte, ma cerca di comprenderla. La veggenza è cioè abbastanza mobile per comprendere l’arte. Di conseguenza si può comprendere come un fatto del nostro tempo che debba essere gettato il ponte fra l’arte e la veggenza, e se ne sottolineerà la necessità, come fece Christian Morgenstern con parole che indicano la necessità di una svolta. Egli dice: «Chi si immerge solo col sentimento nelle esperienze che si possono raggiungere nella sfera divino-spirituale e non vuole entrarvi conoscendo, assomiglia a un analfabeta che per tutta la vita dorma col sillabario sotto il cuscino».

 

Spesso si ama dormire col sillabario della conoscenza universale sotto il cuscino per tutta la vita, per non far indebolire l’originaria creatività elementare con la scienza veggente. Chi invece la afferra, quale oggi può essere intesa nella pienezza dei tempi, comprenderà che nel senso di Morgenstern si uscirà dall’analfabetismo, che si possono gettare ponti fra arte e veggenza; in tal modo si avrà nuova luce sull’arte e nuovo calore sulla veggenza, grazie all’arte. Così, come frutto di giuste fatiche, in un salutare avvenire si potrà dare un profondo e significativo impulso alla futura evoluzione dell’umanità, grazie alla luce veggente e al calore artistico.