Relazione dell’organismo umano col regno vegetale e col regno minerale.

O.O. 312 – Scienza dello spirito e medicina – 30.03.1920


 

Sommario: Modalità d’azione di Anisum vulgate, Cichorium intybus, Equisetum arvense, fragola di bosco, lavanda, melissa. Relazione dell’organismo umano col regno vegetale e col regno minerale. Qualità terapeutiche dei minerali e dei minerali contenuti nelle piante. Diversi tipi di alimentazione; la dieta cruda. La cottura come processo risanatore. L’uomo periferico e l’uomo centrale. Digestione, secrezione, formazione dell’urina e del sudore. La sifilide. La formazione dell’organismo femminile. Significato ontogenetico dell’elemento femminile e di quello maschile.

 

Fa parte del carattere di questo corso piuttosto la ricerca del metodo con cui fecondare lo studio della medicina, che l’addentrarci in molti particolari che in fondo hanno sempre solo un’importanza relativa. Proprio lo studio metodico della connessione dell’uomo con la natura extraumana dovrebbe però essere adatto a fornire a ognuno gli strumenti per poter compiere da sé osservazioni dei fenomeni naturali. All’inizio di questa conferenza vorrei perciò menzionare alcuni fatti che ci possono indicare la via per fare qualche scoperta in un determinato campo.

 

La vera e propria indagine scientifico-spirituale, seguendo certe linee direttive, è naturalmente in grado di mettere in luce alcuni fatti che possono poi venir verificati proprio nel modo indicato dal dottor S. nella sua conferenza di ieri. D’altro lato, occupandosi di queste cose, se ne ricavano indicazioni anche per altre. Vorrei quindi oggi accennare a un paio di esempi che possono essere significativi. Rimaniamo per ora nell’ambito dei vegetali e osserviamo ad esempio come l’anice, Anisum vulgare, agisca sull’organismo umano in generale. Constatiamo che il suo effetto caratteristico è quello di favorire le secrezioni in genere: l’anice agisce come diuretico, stimola la secrezione del latte e anche quella del sudore. Ci chiediamo quale sia la ragione di questa sua azione. Proprio in questa pianta troviamo che la sua efficacia dipende dalle particelle di ferro, o di sali ferrosi, in essa presenti e finemente dispersi; possiamo quindi percepire chiaramente che l’azione dell’anice dipende dal fatto che la processualità che di solito si svolge nel sangue per effetto del ferro, viene per così dire estratta dal sangue e sospinta per qualche tempo nella regione situata al di sotto del sangue. Proprio in certe piante possiamo studiare bene come i loro effetti si estendano ai diversi ambiti organici, perché esse agiscono molto fortemente sulla regione intermedia dell’organismo, fra l’esterno e l’interno, fra la superficie del corpo e il cuore. Possiamo quindi ricavarne linee direttive per ricerche da compiere razionalmente nel campo della farmacologia.

 

Consideriamo ad esempio una pianta che sotto questo aspetto è per così dire quasi una maestra della natura stessa, cioè il Cichorium intybus. Purché lo si voglia, la cicoria consente di fare le più svariate osservazioni sull’organismo umano. Da un lato possiamo scoprire che essa è un rimedio contro la debolezza digestiva, è attiva cioè su organi posti a diretto confronto col mondo esterno; dall’altro lato il Cichorium intybus è attivo anche sul sangue, favorendo i processi che in esso debbono compiersi e impedendo l’insorgenza di processi perturbatori nello stesso liquido sanguigno. È infine assai significativo che il Cichorium estenda la sua azione curativa anche a processi molto periferici, in certe condizioni perfino agli organi del capo, ma soprattutto a quelli della gola e del petto, ai polmoni. Lo studio di questa pianta è tanto interessante proprio perché essa esplica azioni tanto intense sulle più diverse parti dell’uomo; le possiamo scorgere distribuite quasi a ventaglio. Se ci chiediamo la ragione dell’efficacia della cicoria nella debolezza digestiva, troviamo che essa dipende dalla sostanza estrattiva amara, presente nel Cichorium, che si manifesta nel suo sapore forte. Le sostanze estrattive amare, che hanno ancora un carattere fortemente vegetale, sono dotate di una particolare affinità con tutte le sostanze che non sono ancora state molto elaborate dall’uomo e che si trovano ancora in certo modo in uno stato simile a quello in cui si trovano nel mondo esterno.

 

Dobbiamo avere ben presente che le sostanze del mondo esterno vengono ancora poco elaborate nel primo tratto digestivo che arriva fino allo stomaco; poi vengono ulteriormente elaborate, per comparire infine nel sangue, al di là dell’intestino, molto trasformate. Appaiono poi completamente trasformate alla periferia, nel sistema osseo, nel sistema nervoso e nel sistema muscolare. Ora, le sostanze estrattive hanno una forte affinità con le sostanze esterne ancora poco o nulla elaborate.

 

Il Cichorium intybus contiene però anche dei sali alcalini, sali di potassio, e soprattutto nel potassio dobbiamo ricercare quel che agisce entro il sangue. Scorgiamo dunque proprio nel Cichorium intybus come si separino le forze. Quelle proprie delle sostanze estrattive, a causa della loro affinità, sono dirette verso gli organi della digestione. Invece le forze proprie dei sali alcalini posseggono un’affinità diversa e sono dirette verso gli organi collegati con il sangue o verso il sangue stesso. Vi è inoltre presente acido silicico in grande quantità, e questo agisce al di là del sangue, fin negli organi della periferia, attraverso il sistema nervoso e il sistema muscolare fin dentro il sistema osseo. È come se il Cichorium intybus ci indicasse: eccomi qua, io mi lascio dividere in tre in modo da agire su tutte e tre le parti dell’organismo umano. Questi sono gli esperimenti che la natura compie sotto i nostri occhi, e che sono in realtà molto più significativi degli esperimenti che noi siamo in grado di compiere. La natura è infatti molto più ricca di intenzioni di quanto possiamo esserlo noi stessi quando le poniamo dei quesiti con i nostri esperimenti.

 

Sotto quest’aspetto è molto interessante anche l’Equisetum arvense: anch’esso si rivela molto efficace contro la debolezza digestiva, ma a sua volta produce effetti periferici molto intensi. Se ci chiediamo quale sia la base degli intensi effetti periferici dell’Equisetum arvense, la risposta sarà: il suo contenuto di acido silicico. In tal modo, con un semplice studio comparativo (e quel che ho detto adesso si può applicare alle piante più svariate, studiando veramente la botanica dal punto di vista medico), si potrà trovare che tutto quel che è ancora simile alla qualità vegetale, che si manifesta come sostanza estrattiva, ha una sua affinità con il tratto digestivo, mentre quel che ha già una tendenza allo stato minerale, cioè l’acido silicico, vuole per così dire procedere assolutamente dal centro verso la periferia dell’uomo e qui agisce anche in senso terapeutico.

 

Addirittura splendida per la sua efficacia è poi una pianta molto modesta, ma quanto mai istruttiva: Fragaria vesca, la fragola di bosco. La sua azione viene però assai poco osservata, perché la fragola viene mangiata dagli uomini, la cui organizzazione ne maschera per così dire l’azione. Proprio in un caso del genere, in cui un’azione terapeutica viene per lo più mascherata, si potrebbero condurre esperimenti su persone in certo modo ancora sensibili, quelle cioè che di solito non mangiano fragole. Risalterebbe allora tutto il valore che ha la fragola di bosco. Da un lato infatti essa è capace soprattutto di normalizzare la formazione del sangue; essa favorisce in tutti i modi la formazione del sangue, e quindi la si può usare in soggetti che non si rendono immuni verso le fragole nutrendosi di esse. Perfino in certi casi di diarrea, ad esempio, certe forze che si manifestano in modo anormale nell’addome provocando appunto diarrea, vengono ricondotte nella loro sede normale, nel sistema sanguigno.

 

Da un lato si ha dunque nella fragola di bosco una forza essenzialmente emopoietica e dall’altro è presente l’acido silicico, che per sua natura tende a portare verso la periferia quanto si trova all’interno dell’organismo. Pensate un po’ che cosa meravigliosa è mai la fragola di bosco! Grazie al suo contenuto di acido silicico essa ha la tendenza a sviluppare una certa forza fino alla periferia dell’organismo. Quando poi una certa forza si sviluppa alla periferia dell’organismo, si presenta un pericolo: se si dirige verso la periferia un eccesso di acido silicico, può accadere che la forza diventi per così dire incontrollabile, se non vengono dirette contemporaneamente verso la periferia sufficienti sostanze nutritive, vale a dire se non si è arricchito a sufficienza il sangue, in modo da provvedere di sostanze nutritive il processo causato dall’acido silicico. La fragola di bosco è dunque un modello esemplare: si prepara da sé allo stesso tempo il sangue che deve venir spinto alla periferia. In modo meraviglioso essa ci mostra che cosa occorre fare per aiutare il processo suscitato dall’acido silicico alla periferia dell’organismo umano. In diverse specie (e gli esempi si potrebbero moltiplicare) la natura ci propone delle conoscenze meravigliose, purché si abbia l’intuizione necessaria per interrogarla nei punti giusti.

 

In questa prospettiva possiamo prestare attenzione anche a qualche altra pianta, per esempio studiando l’azione terapeutica, abbastanza ampia, della lavanda, Lavandula officinalis. Troveremo che la lavanda ha una forte efficacia terapeutica per tutto quel complesso sintomatologico che vorrei chiamare debolezza psichica negativa: deliqui, debolezza nervosa, paralisi. La lavanda agisce alla periferia dell’organismo umano in modo da spingere fuori il corpo astrale che in tal modo perde il suo potere sul corpo fisico.

 

A proposito delle piante, e più in genere delle sostanze efficaci negli stati nervosi negativi, se così li vogliamo chiamare, ci si può chiedere se esse siano efficaci anche in certi altri stati nervosi negativi, in qualche modo opposti ai primi, ad esempio in caso di mestruazioni scarse. Si troverà che tali sostanze agiscono sempre sia in una direzione, sia nell’altra. Una pianta particolarmente attiva in ambedue le direzioni è ad esempio la melissa: essa è molto efficace in casi di vertigine, di deliqui, ma stimola anche fortemente le mestruazioni.

 

Ho citato questi esempi per mostrare come si possa seguire il processo vegetale esterno nella sua somiglianza con il processo che si svolge all’interno dell’uomo. Si dovrà però tener conto del fatto che la pianta è in realtà affine solo a una parte dell’essere umano. Su tale constatazione vorrei far riflettere tutti coloro che un po’ fanaticamente vorrebbero limitarsi alla sola fitoterapia, un orientamento che pure esiste ai giorni nostri. L’uomo è realmente costituito in modo da contenere in sé tutti i regni della natura, oltre al regno umano che di lui consiste; egli fu in passato affine a tutti gli altri regni della natura, per quanto riguarda i suoi processi formativi e i suoi stadi evolutivi. L’uomo espulse in certo modo da sé tutti gli altri regni della natura e in certi casi oggi può accogliere nuovamente in sé parte di quanto aveva espulso. Si tratta proprio di un processo di reintroduzione nell’uomo, ed è molto importante riconoscere che di questo si tratta.

 

Nel processo terapeutico noi dobbiamo reintrodurre nell’organismo umano per primo quello che fu espulso per ultimo. Prescindendo per ora dal regno animale, a cui accenneremo più avanti, noi abbiamo espulso da noi stessi il vero e proprio regno minerale solo dopo il regno vegetale; dobbiamo quindi renderci conto che è un’unilateralità voler stabilire una connessione esclusivamente fra l’uomo e il regno vegetale. Tuttavia il regno vegetale è sempre molto istruttivo, perché dopo tutto la pianta non agisce terapeuticamente solo mediante la propria natura vegetale, bensì anche mediante ciò che di essa appartiene al regno minerale.

 

Ecco perché il regno vegetale rimane istruttivo. Tuttavia bisogna tener presente che la pianta rielabora a sua volta uria parte di quello che proviene dal regno minerale, e che quanto da essa è stato rielaborato è meno efficace, come rimedio, di ciò che invece non è stato ancora trasformato. Così ad esempio l’acido silicico elaborato dalla pianta, una volta inserito nel processo vegetale, è come rimedio meno efficace dell’acido silicico presente nei minerali. Quest’ultimo richiede dall’organismo uno sforzo molto maggiore per venire assimilato, per venir ricomposto in un’unità, di quel che richiede l’acido silicico presente nel regno vegetale.

 

Occorre insistere sempre di nuovo sul fatto che l’uomo deve sviluppare una forza tanto maggiore, quanto più intensa è la forza che gli si contrappone. Non vi è dubbio che gli si contrappone una forza più intensa quando si trova a dover assimilare delle sostanze minerali, e a superarne le forze, che quando deve assimilare solo dei vegetali. Su ciò si basa anche la differenza fra l’alimentazione vegetariana e quella carnea. Vi prego di considerare questa mia affermazione solo come un inciso, perché non intendo qui fare propaganda per un qualsiasi regime alimentare; non voglio assolutamente prendere posizione per l’uno o per l’altro tipo di alimentazione, ma intendo solo esporre le cose come stanno. Nutrendoci di soli alimenti vegetali, noi uomini dobbiamo compiere l’intero processo, da cui almeno in parte ci libera l’animale in quanto ha già elaborato i vegetali per un certo tratto. Si potrebbe esprimere la cosa in questo modo: il processo, compiuto dalla pianta fino a un certo punto, viene condotto oltre dall’animale, di modo che il processo in questione, quello della formazione dell’animale, si arresta a un certo punto mentre nel caso delle piante si arresta prima. Chi si nutre di carne non compie la parte del processo che è compiuta dall’animale: lascia che sia l’animale a compierla per lui. L’uomo che si nutre di carne non sviluppa quindi in sé le forze che dovrebbe invece sviluppare se si nutrisse di soli alimenti vegetali ai quali dovrebbe far compiere con le sue forze quel tratto di cammino.

 

Nutrendosi con alimenti vegetali, l’organismo deve suscitare al suo interno tutt’altre forze che quando si nutre di carne. Tuttavia le forze necessarie per superare la natura vegetale e portarla al livello animale, sono sempre presenti: se non vengono usate, rimbalzano per così dire all’interno dell’organismo e ivi si esplicano. Esse agiscono allora in modo da disturbare e stancare profondamente l’uomo. Bisogna pure sottolineare perciò che con la dieta vegetariana si consegue una diminuzione sostanziale dell’affaticabilità: l’uomo acquista una maggiore capacità di lavoro, perché è abituato a suscitare al suo interno forze che, quando si nutre di carne, non vengono suscitate, e possono addirittura provocare dei perturbamenti nell’organismo. Ho già detto che non sto facendo della propaganda. So bene che anche medici omeopatici mi hanno ripetuto spesso che si rischia di far ammalare di tubercolosi le persone alle quali si toglie l’abitudine di nutrirsi di carne. Può darsi, ma quanto ho ora esposto è il puro e semplice dato di fatto incontrovertibile. Sono naturalmente disposto ad ammettere che oggi esistono organismi che non sopportano un’alimentazione esclusivamente vegetariana e che hanno bisogno anche di alimenti carnei. Si tratta allora di una condizione individuale.

 

Ora, se si riconoscerà la necessità di creare in terapia anche un certo rapporto con il regno minerale e con le sue forze, si perverrà a un diverso atteggiamento terapeutico. Questo è un problema del quale ci si è già occupati, ma che a mio parere potrà venir risolto solo in questo modo, potrà venir compreso soltanto da un punto di vista scientifico-spirituale.

 

Un altro problema molto importante per i suoi riflessi terapeutici è a mio giudizio quello dell’alimentazione con cibi cotti o con cibi crudi. Anche qui non si tratta di essere favorevoli a questa o a quella tesi, e anzi a questo proposito meno che mai vorrei essere considerato come un propagandista. Occorre invece indagare oggettivamente come stiano in realtà le cose. Nutrendosi dei suoi abituali cibi cotti e assimilandone le forze, l’uomo compie esteriormente operazioni che l’organismo deve compiere in certo modo da sé quando ha da digerire dei cibi crudi. La cottura dei cibi e la loro preparazione alleggeriscono l’uomo di un’attività che egli dovrebbe compiere se mangiasse cibi crudi. Ora le cose stanno così: noi siamo costituiti in modo da avere un certo rapporto con tutta la natura alla nostra periferia mentre al centro dell’organismo (di cui fa parte anche la digestione) ci separiamo dalla natura, ci individualizziamo. Volendo raffigurarci questo rapporto dell’uomo con la natura, si potrebbe dire: alla sua periferia (verde nel disegno seguente) l’uomo è inserito nel cosmo intero, mentre si individualizza, si separa dal cosmo, nella digestione, che arriva fino alla formazione del sangue (rosso nel disegno). Nel tratto digestivo l’uomo compie quindi processi che non corrispondono più esattamente ai processi esterni: in questa sede si afferma la sua peculiarità nei confronti dei processi esterni, più che in altre sedi dove egli è inserito in essi totalmente. Aggiungerò qualcosa d’altro che renderà la cosa meglio comprensibile.

 

In questi giorni ho parlato del fatto che l’uomo è inserito nell’intero universo, che in lui operano le forze formative del piombo, dello stagno, del ferro (specialmente nell’ambito che qui ho disegnato in verde). Nel distretto che ho disegnato in rosso agiscono invece le forze formative del rame, del mercurio e dell’argento. Il pareggio è effettuato dall’oro, cioè dalle forze localizzate soprattutto nel cuore. Parlare dell’uomo in questo modo è come parlare di un dito, considerandolo come una parte dell’intero organismo. Analogamente l’uomo viene considerato come una parte inserita nell’intero universo. In questo distretto (cfr. il disegno) si ha la contraddizione, in quanto con la digestione e i processi ad essa collegati l’uomo si distacca dal processo cosmico generale; d’altra parte egli se ne distacca anche e si individualizza nell’attività del pensiero e della vista. Accade quindi che l’uomo persegua per così dire caparbiamente un fine preciso trasformando le sostanze alimentari mediante il processo della digestione. Questa caparbia pretesa si manifestò nell’istinto che spinse a cuocere gli alimenti per accogliere nel proprio organismo le sostanze fornite dalla natura. Se esse venissero introdotte nell’organismo tali e quali, in modo diretto, gli uomini sarebbero in media troppo deboli per poterle elaborare direttamente in tali condizioni.

 

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Per esprimermi con un paradosso, se gli alimenti non venissero cotti, l’alimentazione dovrebbe essere un continuo processo terapeutico. A causa della più netta contrapposizione polare con l’ambiente, se gli alimenti non venissero cotti, nutrirsi vorrebbe dire curarsi in continuazione. Perciò il mangiare cibi crudi è piuttosto un processo curativo, mentre il nutrirsi di cibi cotti è piuttosto un processo nutritivo. Ritengo che questa affermazione sia molto importante: la dieta con cibi crudi rappresenta una vera e propria forma di terapia, in confronto all’alimentazione con cibi cotti. Vorrei ancora sottolineare che tutti i cibi cotti esercitano un’azione per così dire ridotta, limitata al distretto che nel disegno ho raffigurato schematicamente in rosso (v. il disegno precedente). Invece tutti gli alimenti che vengono introdotti crudi nell’organismo (come la frutta o simili) oltrepassano quel distretto, estendendo la loro azione fino alla periferia, dove ad esempio il sangue viene stimolato a portare la sua forza nutritiva.

 

Ci si potrà convincere di quanto ho appena detto, con esperimenti che sono senz’altro opportuni: cercando di far seguire per un certo tempo ai pazienti trattati con Silicea una dieta a base di alimenti crudi, si vedrà che in tal modo l’efficacia dell’acido silicico aumenta notevolmente. L’acido silicico ha la tendenza ad agire alla periferia in senso formativo, nel senso di riparare le deformazioni (non parlo certo di deformità grossolane, ma di quelle che non si manifestano direttamente sul piano anatomico, bensì su quello funzionale). È dunque possibile favorire l’azione dell’acido silicico alla periferia, fornendogli nel corso della terapia adeguate sostanze nutritive. Proprio a queste sostanze nutritive intendo far riferimento, dal punto di vista metodologico, perché risulta talmente interessante seguirne il corso, e anche perché ritengo che questi problemi vengano studiati troppo poco. O meglio, vengono studiati, ma solo in modo empirico, senza ricercarne le leggi; perciò risulta tanto difficile ricavare qualche soddisfazione dai risultati delle relative osservazioni.

 

Naturalmente in tutti questi problemi va tenuto il massimo conto della singola individualità. Nelle conferenze precedenti ho perciò detto che in questo campo non è quasi possibile fare un’affermazione qualunque che, sotto certi aspetti, non possa anche risultare errata. Occorre avere certe linee direttive, anche se in un caso particolare poi si deve ammettere di non poter ad esempio prescrivere una dieta di cibi crudi, perché la costituzione individuale di quel paziente potrebbe favorire effetti indesiderati. Dunque, in un certo caso quella dieta si potrà prescrivere, in un altro no. Malgrado ciò, rimangono giuste le considerazioni fatte in proposito.

 

Solo con riflessioni di questo genere si può guardare veramente a fondo nella costituzione umana nel suo complesso. Dobbiamo infatti distinguere chiaramente, da un lato, le parti periferiche dove l’uomo è realmente più inserito nell’intero universo: le potremo influenzare solo introducendo nell’organismo umano sostanze minerali che stanno tanto lontane rispetto all’uomo. Dall’altro lato abbiamo il distretto che nel disegno ho tracciato in rosso, sul quale possiamo senz’altro agire con sostanze di origine vegetale, ma anche introducendo nell’organismo rimedi che agiscono per il loro attuale carattere salino, cioè tutti i sali dell’acido carbonico. Invece le sostanze alcaline hanno riferimento con l’equilibrio fra le due polarità (giallo nel disegno precedente). Abbiamo quindi: carbonati, sostanze alcaline, silicati o lo stesso acido silicico.

 

Queste considerazioni indicano dunque l’affinità dell’uomo con la natura circostante. Vediamo in certo modo l’uomo diviso in due parti, con una parte mediana che provoca un movimento oscillatorio fra di esse. Dobbiamo riconoscere che una tale osservazione dell’uomo periferico e dell’uomo centrale, individualizzato, ci permette di approfondire la conoscenza di tutta la natura. Infatti l’uomo periferico è più affine alle forze extraterrestri, come risulta appunto dall’efficacia delle sostanze minerali, a loro volta in realtà dipendenti dai pianeti e dalle costellazioni. L’uomo centrale invece, in quanto individualizzato, è affine a tutte le forze terrestri. D’altronde l’affinità con tutte le forze terrestri, che si manifesta nel sistema digestivo, permette all’essere umano di pensare, e in genere di svilupparsi in quanto uomo.

 

Possiamo considerare il dualismo presente nell’uomo come un dualismo fra quel che di extraterrestre, di cosmico si trova in lui, e il vero e proprio elemento terrestre. A tutta prima risulteranno chiaramente predisposti nell’organismo umano sia elementi extra- terrestri, sia elementi terrestri. Già ieri ho accennato al modo in cui le qualità della periferia, dell’universo extraterrestre, si rispecchino nell’uomo, grazie al fatto che egli possiede un’organizzazione spirituale e anche un’organizzazione digestiva polarmente contrapposta a quella. A tali rapporti ho fatto spesso riferimento. Quindi tutto quel che è connesso con le secrezioni digestive e con quella specie di secrezione del cervello che sta a base dell’attività spirituale, tutto ciò ci indirizza verso l’uomo periferico, verso l’uomo celeste. Per quanto possano suonare strane e paradossali, le cose stanno proprio così. Invece i processi liquidi o aeriformi connessi con la formazione dell’urina e del sudore ci indirizzano verso l’uomo terrestre, in quanto si va individualizzando. Occorre proprio attribuire una grande importanza a questi due poli divergenti della natura umana.

 

Purtroppo nella nostra epoca non ci si è mai decisi (almeno per quanto ne so io) a prestare attenzione a questa dualità della natura umana, ai fini di trarne spunti per la terapia. Le considerazioni che andiamo facendo dovrebbero infatti ravvicinare tra loro la patologia e la terapia, campi che non devono rimanere separati. Questa considerazione mi spinge anche a orientare verso la terapia tutte le mie enunciazioni, di modo che ogni conoscenza acquistata nel campo della patologia susciti pensieri fecondi per l’azione terapeutica. Perciò vado esponendo le cose in questo modo; con molta facilità si potrebbero muovere obiezioni, se non si tenesse conto di questo orientamento verso la terapia.

 

Consideriamo ad esempio la sifilide. Per conoscerne l’origine esterna si dovrà certo prestare attenzione in ogni caso alla necessità del contagio: perché la sifilide si manifesti con un quadro conclamato dovrà certo avvenire il contagio, almeno approssimativamente. Se però ci si limita a tale constatazione, si viene portati a considerare, anche nell’ulteriore decorso, esclusivamente la patologia. Infatti, per usare un paragone piuttosto grossolano, il contagio, anche nel caso della sifilide, non è molto più importante del fatto che, perché si abbia una botta sulla testa, si deve pur venire colpiti da una pietra o da qualche altro oggetto. Ovviamente, questo è giusto: non si formerebbe un bernoccolo senza aver ricevuto un colpo o un sasso in testa. Ma una tale constatazione non porta dà sola a deduzioni utili per la terapia. Potrà essere importante da altri punti di vista, per esempio da quello sociale, il modo in cui una pietra ha colpito la testa di qualcuno, ma non ha la minima importanza per la conoscenza dell’organismo e per conseguire la guarigione. Occorre indagare nell’organismo u- mano e scoprirvi i fattori che contano per la terapia. Anche per la terapia della sifilide sono molto importanti le cose di cui ho parlato: grazie ad esse si chiarirà appunto il procedimento terapeutico da seguire. Le considerazioni che ho svolte non si propongono tanto di progredire nella patologia, quanto di gettare un ponte fra la patologia e la terapia.

 

Con ciò vorrei caratterizzare il fatto che le nostre considerazioni scaturiscono da un certo spirito, cosa che risulterà ogni giorno più evidente. Esiste attualmente la tendenza a studiare la patologia come fine a se stessa, senza tener conto della terapia; perciò anche il pensiero viene distolto da: considerazioni fruttuose che, seguite in modo giusto, risulterebbero molto importanti per la ricerca di procedimenti terapeutici. Così ad esempio il problema seguente: quale importanza ha per l’organismo umano la dualità fra l’uomo periferico, per così dire cosmico, e l’uomo centrale, terrestre? Ambedue queste parti dell’uomo sono sistemi di forze che si estrinsecano in modo diverso. Tutte le forze della periferia si estrinsecano come forze configuratrici. L’ultimo atto, vorrei dire, delle forze della periferia si manifesta all’estrema periferia dell’essere umano, conferendogli la sua figura umana.

 

Si provi a studiare il comportamento dei capelli nei confronti dell’acido silicico, osservando come alla periferia dell’uomo la forza formativa dell’uomo stesso cooperi con la forza formativa propria della silice. Si può addirittura studiare la misura in cui l’uomo lascia agire su di sé la silice, o invece si oppone al suo intervento, proprio dal potere che l’acido silicico esercita o non esercita sulla formazione del capo umano. Naturalmente non bisogna mai perdere di vista l’intera costituzione dell’uomo; tuttavia, osservando complessivamente tutti i calvi che si incontrano, se ne può ricavare un’idea di quanto la gente sia disposta ad accogliere in sé il processo configuratore proprio dell’acido silicico, o quanto invece vi si opponga. Questo finisce per risultare all’osservazione diretta, anche senza una vera chiaroveggenza, purché si accetti di prestare attenzione al modo di agire della natura stessa. A manifestarsi sono di preferenza forze di configurazione, ma non a livello cellulare: sono forze configuratrici totali che trovano la loro ultima espressione nella figura dell’uomo stesso. Naturalmente fa parte della forma complessiva dell’uomo anche l’intera configurazione della pelle, che può essere più o meno ricoperta di peli, e così via. Invece nelle parti più centrali dell’uomo, connesse piuttosto col carbonio e con l’acido carbonico, è presente una tendenza dissolutrice della forma. La nostra vita consiste di fatto in ima continua volontà dell’uomo di distruggere, di dissolvere la propria forma, mentre d’altra parte la forma stessa vuole di continuo ricostituirsi grazie alle forze cosmiche. In quanto uomini viviamo in una continua tendenza a deformare la figura umana, mentre tali « deformazioni » vengono continuamente riparate dal cosmo. Nell’uomo c’è dunque anche questa dualità di processi formativi e di processi deformanti i quali cooperano nell’organizzazione umana. Rappresentiamoci ora da un lato le forze configuratrici provenienti dalla periferia, dal cosmo (le frecce dall’alto nel disegno seguente); esse agiscono entro l’uomo e si incontrano nel cuore con le forze terrestri.

 

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Ho già esposto in precedenza il modo in cui il cuore crea un « pareggio » fra quei due tipi di forze.

Supponiamo ora che le forze periferiche operanti nell’uomo si arrestino prima di arrivare all’ingorgo dovuto al cuore, nell’organizzazione del cuore stesso (nel disegno, le frecce da destra). Supponiamo dunque che si arrestino prima di arrivare al grande ingorgo nel cuore, che si verifichi una specie di pre-ingorgo; avverrebbe allora qualcosa che, sia pure in misura ridotta, mostrerebbe come si svolge nell’uomo il processo di configurazione cosmico, extraterrestre. Supponiamo ora che si arrestino prima di arrivare al cuore anche le forze contrapposte, che agiscono in direzione del cuore partendo dalla digestione e dalla trasformazione del processo digestivo. In tal caso le forze terrestri si arresterebbero qui (nel disegno, a destra). Si avrebbe allora qui un arresto e una concentrazione di tutte le forze che agiscono nell’uomo configurandolo spiritualmente-fisicamente: azione collegata con tutte le secrezioni nel capo, nell’intestino, che però non si contrappone direttamente all’attività cardiaca, ma che prima crea una specie di attività para-cardiaca. Qui invece si ha una specie di para-digestione, in quanto si arrestano (prima di incontrarsi con le altre) le forze provenienti dalla Terra che agiscono nell’uomo in senso deformante, che tendono a dissolverne la figura. L’espressione organica di quella dualità, una volta instauratasi nell’uomo, sono gli organi sessuali: in un caso quelli femminili, nell’altro caso quelli maschili (cfr. il disegno).

 

È possibile studiare l’apparato genitale femminile considerandolo nella sua dipendenza dalle forze configuratrici cosmiche, periferiche. È d’altra parte possibile studiare l’apparato genitale maschile fin nelle sue singole forme, considerandolo nella sua dipendenza dalle forze dissolvitrici terrestri.

 

Ecco la via per comprendere in modo veramente scientifico l’organizzazione umana anche fino a questi distretti organici. Questa è poi anche la via per poter studiare il modo in cui certi rimedi di origine vegetale, portatori di forze configuratrici, possono agire in senso costruttivo nell’utero, anche in soggetti nei quali le forze configuratrici siano paralizzate. Studiando in questo modo le forze formative nell’organismo umano, si arriva anche a scoprire realmente le forze formative nel regno vegetale e in quello animale. Più avanti entrerò nei particolari, per ora posso soltanto accennare alle connessioni più ampie. Un’embriologia reale si potrà delineare solo quando questi fatti saranno stati compresi. Oggi non possediamo una embriologia reale, perché non si presta alcuna attenzione all’intensa azione con cui le forze cosmiche agiscono all’inizio dello sviluppo embrionale; le forze del cosmo infatti fecondano l’organismo femminile non meno del seme maschile. I primi stadi dello sviluppo embrionale umano debbono assolutamente venir considerati in base alla connessione dell’uomo con il cosmo. Quel che viene introdotto dal seme maschile si manifesta solo più tardi, quando le forze configuratrici che il cosmo vuole introdurre nell’organismo femminile vengono in certo senso « deformate »: l’impulso proveniente dal cosmo, che tende a formare la figura complessiva, viene per così dire specializzato dal seme maschile e indirizzato verso la configurazione dei singoli organi. La partecipazione dell’organizzazione femminile tende all’organizzazione complessiva dell’essere umano; la partecipazione dell’elemento maschile, le forze del seme maschile tendono alla specializzazione, alla differenziazione dei diversi organi, alla loro configurazione, cioè a una deformazione della figura complessiva unitaria. Potremmo dire che mediante le forze femminili l’organizzazione umana tende ad assumere una forma sferica; mediante il seme maschile invece l’organizzazione umana tende a differenziare questa sfera nei diversi organi: cuore, reni, stomaco e così via. Nel femminino e nel mascolino ci si presentano direttamente queste polarità di Terra e cosmo. Questo è un altro dei punti sui quali può rinascere un grande rispetto per la saggezza primordiale dell’umanità; si comincia ad ascoltare con sentimenti diversi il mito di Urano (il cielo) che feconda Gea (la Terra), o di Crono che feconda Rea. Non è solo un vago sentimentalismo mistico la venerazione profonda che possiamo provare per tali antichissime, importanti intuizioni. In un primo momento può sorprendere, e quasi scandalizzare, che qualcuno che comincia a comprendere queste cose si lasci andare ad esclamare: ma c’è più fisiologia nella mitologia, che nella scienza moderna! Io posso capire che un’affermazione come questa risulti sconvolgente, tuttavia essa racchiude molta verità.

 

Quanto più si progredirà, tanto più si riconoscerà l’inidoneità del metodo moderno (che non coglie più nulla di queste connessioni) a condurre realmente alla comprensione dell’organizzazione umana.

 

A tale proposito non vorrei perdere l’occasione di menzionare ancora una volta che nulla di quanto vado dicendo è ricavato dallo studio di cose antiche. Il contenuto delle mie considerazioni è veramente ricavato solo dai fatti stessi. Posso fare talvolta riferimento a certe concordanze con la saggezza primordiale, ma non da questa è ricavato quanto vi sto esponendo. Soltanto seguendo con cura i processi da me caratterizzati nasceranno le concezioni che possono poi ricondurci a qualcuno dei contenuti della saggezza antica; Per esempio non riconoscerei mai come mio compito quello di conseguire certi risultati mediante lo studio, poniamo, di Paracelso; talvolta però sento forte il bisogno di ricercare negli scritti di Paracelso come egli abbia descritto certe cose che io ho trovato da me. Vi prego dunque di comprendere in questo senso quanto cerco di esporre. Comunque è un fatto che, quanto più ci approfondiamo nello studio dell’organizzazione umana dal punto di vista della scienza dello spirito, tanto più cresce la nostra venerazione per la saggezza antica. Questo problema però andrà trattato naturalmente in un altro campo della conoscenza, e non in questa sede.

 

Domani proseguirò con le nostre considerazioni, dopo avervi concesso di « digerire » quanto vi ho detto sulla provenienza del femminino e del mascolino dalle due menzionate dualità. Come vedremo domani, essa ci addita connessioni ancora più profonde.