Il divenire del cosmo dell’amore

Il figlio dell’uomo


 

Nelle due precedenti considerazioni sono stati trattati i gradi della Passione, quali principi fondamentali e tappe della via di iniziazione cristiana. Sarebbe ora significativo trattare lo stesso Mistero del Golgota quale evento storico-spirituale e cosmico. L’attenzione resterebbe sugli avvenimenti della Passione, considerati però da un altro punto di vista: non più come gradi di iniziazione, ma come l’atto sacrificale del Cristo Gesù nella sua portata cosmico-spirituale.

 

La portata del Mistero del Golgota non si limita alle metamorfosi della coscienza umana,

quali si compiono nell’iniziazione nonché nello svolgimento karmico della storia universale,

ma è un evento che riguarda anche l’organismo terrestre,

il sistema dei rapporti planetari e le Gerarchie spirituali del bene e del male.

 

È un fatto universale e non vi è essere o gruppo di esseri nel mondo, che non ne sia riguardato.

Il Mistero del Golgota riguarda tutti gli esseri del mondo, poiché costituisce il germe di un nuovo cosmo.

• Il cosmo, qual è diventato nel corso dell’evoluzione di Saturno, Sole, Luna e Terra, fino al Mistero del Golgota,

è un cosmo della saggezza, chiamato da quel momento a diventare un cosmo dell’amore.

 

La frase: “Il cosmo attuale è chiamato a diventare il cosmo dell’amore”, contiene tutto un mondo di fatti occulti. Al centro di essi vi è però il Mistero del Golgota. Gli altri fatti sono, rispetto ad esso, o la preparazione o l’effetto: il Mistero del Golgota è il fatto decisivo. Compito della presente considerazione è mostrare che esso è effettivamente tale.

 

Il cosmo attuale, quale appare esteriormente alla visione dei sensi, può essere sperimentato come ‘saggezza congelata’. La grande impressione morale che si ricava dalla totalità della compagine del mondo, è in sostanza quella di un’immagine di saggezza raggelata. Quantità straordinarie di saggezza si sono riversate nel mondo, irrigidendosi però nella copernicana machina coelestis.

 

Vi è ovunque saggezza nel mondo, esso è completamente impregnato di saggezza. Ne dà testimonianza ogni pianta, ogni organismo, l’insieme dei movimenti dei corpi celesti: ciò nonostante il mondo è rigido, freddo e vuoto per l’anima dell’uomo.

• Le parole di Nietzsche: “Il mondo, una porta verso mille deserti, muto e freddo”, vengono sentite come vere da ogni anima umana che nel mondo cerchi non solo fatti e leggi, ma anche un contenuto d’anima.

 

Nel mondo non si manifesta l’anima: le leggi del mondo danno testimonianza di una meravigliosa saggezza, di fronte alla quale l’intelletto umano può sentirsi solo come un nano, una misera cosa. Dalle rigide linee di queste leggi risulta però la figura morale-spirituale del sarcofago dell’anima.

Questo sarcofago non è opaco, è trasparente come un cristallo, ma rigido e muto. Esso testimonia però anche di ciò che gli manca. Come il freddo testimonia del caldo e la rigidità del movimento, così il sarcofago del mondo testimonia dell’anima. In questo senso il sarcofago cristallino ‘contiene’ l’anima, e con il suo freddo e la sua rigidità allude all’anima, quale dovrebbe essere, se vivesse nel mondo: mostra cioè l’immagine dell’anima morta.

 

Sorge così, di fronte all’anima dell’uomo che guardi il mondo cogliendone l’’Impressione morale’, la straordinaria e significativa immaginazione della fiaba di Biancaneve: la tomba di cristallo racchiudente la giovane donna morta, e custodita dai nani. Questa immaginazione è espressione del fatto che

il cosmo attuale è un cosmo di saggezza, cui manca l’amore.

 

Tale è il risultato essenziale della visione del mondo dall’esterno – quale si presenta alla coscienza tra nascita e morte. L’uomo può però sperimentare il mondo anche dall’altro lato, dall’interno, il che avviene o sulla via dell’iniziazione o nello stato di coscienza tra morte e nuova nascita.

In questo stato di coscienza l’uomo non sente più il mondo come saggezza irrigidita, come espressione della saggezza, ma sente se stesso come immerso in un mare di saggezza fluttuante. Questa saggezza fluttuante circonda a dismisura l’anima umana, per la quale non è più questione di aprirsi ad essa, come avviene nella condizione della coscienza terrena, bensì di poter, in questo mare di saggezza traboccante di essere, affermare se stessa come anima dotata di un proprio contenuto animico.

 

La sovrabbondanza di contenuti fluenti, nei quali l’anima si trova immersa,

spinge l’anima stessa a sentirsi priva di un contenuto e di un essere propri.

L’ambiente dell’anima è talmente pieno di luce, che essa percepisce se stessa come un’ombra.

L’anima sarebbe realmente condannata ad un’esistenza umbratile,

se non portasse con sé dalla Terra una forza, un contenuto che le dia la possibilità di non perdersi.

Questa forza è ciò che l’anima ha appreso sulla Terra e che è divenuto in lei capacità di amare.

La capacità di amare fa sì che l’anima dopo la morte

permanga, quale contenuto degno di esistere, accanto alla saggezza cosmica.

 

In passato e in particolare nel periodo immediatamente anteriore al Mistero del Golgota, avveniva che l’anima, dopo la morte, si riduceva sempre più ad un’ombra. Il ‘regno delle ombre’ degli antichi Greci era una realtà – non nel senso che quel regno fosse in sé buio, ma in quanto le anime dei morti erano condannate ad un’esistenza umbratile.

Dall’esistenza terrena esse non portavano nel mondo spirituale alcun contenuto che, di fronte alla pienezza di luce di quel mondo, non fosse cosa modesta. La vita terrena poteva fornire solo un riflesso della saggezza del mondo spirituale, sicché ciò che l’anima portava in quel mondo non era che un riflesso, un’ombra. L’anima gravata di quest’ombra, non poteva sentirsi altro che una ‘ombra dell’ombra’, una ‘apparenza dell’apparenza’.

 

Ora però, a partire dal Mistero del Golgota, il destino dell’anima umana dopo la morte è mutato.

L’anima umana che da quel momento entra nel mondo spirituale attraverso la porta della morte,

può portare dalla Terra qualcosa che non è un riflesso, un’ombra,

ma è al contrario un calore essenziale, contenente il germe di un nuovo ordine dell’universo.

 

• Se l’antico ordine, quello della saggezza, si manifesta nel fatto che nel mondo dominino peso, misura e numero,

• a partire dal Mistero del Golgota fluisce nel mondo, attraverso le anime umane, un quarto elemento

che può liberare gli altri tre dalla rigidità, restituendo loro al tempo stesso il contenuto originario.

• Il contenuto originario di peso, misura e numero non è quello della gravità, del limite e della quantità:

gli archetipi celesti di numero, misura e peso

sono qualcosa di diverso dalle loro manifestazioni irrigiditesi nel mondo inferiore.

 

• Ciò che oggi è divenuto ‘peso’, era in origine la forza della discesa verso l’incarnazione, la forza di sacrificio degli esseri. Ma il vero ‘peso’ fu tradito durante la prima epoca di cultura post-atlantidea, quella dell’antica India. Nell’antica civiltà indiana sorse l’inclinazione verso l’‘imponderabile’, cioè la tendenza a diventare infedele nei riguardi della Terra e a staccarsene. La conseguenza karmica del fatto che l’antica civiltà indiana abbia “abbandonato il suo amore di prima” (Ap 2:4), fu che il ‘peso’ perse il suo contenuto di “amore di prima” e, nell’ambito dell’influenza di Arimane, divenne ‘spirito della gravità’.

 

• Parimenti, il contenuto originario della ‘misura’ non era quello della limitazione e del confine, come avviene oggi, bensì la forza per adempire la missione spirituale sulla Terra, la forza della pazienza degli esseri.

Se il peso in origine significava la forza della discesa nella direzione verticale dell’incarnazione, la misura significava la direzione orizzontale del cammino della vita, lungo il quale va conseguito quel rapporto tra cielo e terra, che è il compito dell’incarnazione terrena.

Come però il peso fu ‘tradito’ nel suo significato originario dall’antica civiltà indiana e fu lasciato in balia delle forze arimaniche, così durante l’antica epoca di cultura persiana fu tradita la ‘misura’, e, non essendo stata percorsa fino in fondo la via indicata dal grande Zarathustra, si giunse ad un compromesso con l’elemento turanico. Conseguenza di quel compromesso fu che, nel karma dell’umanità, la misura divenne il principio della limitazione, del restringimento, cioè la “prigione, nella quale il tentatore vi getta per dieci giorni” (Ap 2:10).

 

• Anche il principio del numero divenne mera quantità in seguito ad un ‘tradimento’ compiuto nei riguardi del suo significato originario. Ciò avvenne durante il periodo di cultura egizio-caldaico, in cui il significato originario del numero, quale forza costitutiva delle individualità immortali, fu volto nel suo contrario: nella molteplicità delle corporeità fisiche periture. L’archetipo celeste, ossia la verità del numero, consiste invece nel fatto che nel mondo esistono molte individualità. Ve ne sono molte, in quanto ognuna di esse ha, per il mondo, un significato qualitativo che nessun’altra può avere.

 

Se mancasse una sola individualità, l’opera dell’universo sarebbe incompleta,

come incompleta sarebbe una sinfonia in cui mancasse una nota.

 

• Il carattere insostituibile di ogni individualità e il suo enorme valore, appunto in virtù di questo carattere, è il significato originario del numero, quale è inteso nei cieli. Il numero fu però applicato, anziché all’individualità eterna, all’elemento corporeo. Sorse così il materialismo, che si manifestò tra l’altro nella pratica della mummificazione, in uso nell’antico Egitto. L’Apocalisse chiama il materialismo nella sua forma originaria “la dottrina dei Nicolaiti, che io detesto” (Ap 2:6 e 2:15). Questa dottrina è il karma del ‘tradimento’ del numero, come la ‘prigione’ e ‘la perdita dell’amore di prima’ sono le conseguenze karmiche del ‘tradimento’ della misura e del peso.

 

Ogni anima umana però che abbia accolto – per lo meno nelle sue rappresentazioni –

l’impulso del Cristo nella vita terrena,

porta nel mondo spirituale qualcosa che in esso si trasforma in forze di resurrezione

del numero, della misura e del peso, quali erano in origine.

 

Mediante l’influsso del Cristo l’anima sperimenta,

• dapprima solo nel mondo spirituale, la resurrezione di numero, misura e peso.

• In seguito però, con la successiva incarnazione, la forza di tale esperienza fluisce nell’esistenza della Terra,

dove diventa germe efficace di un nuovo ordine dell’universo,

in cui la saggezza congelata dell’anima, costituita da peso, misura e numero, si scioglierà

e quelle tre qualità prenderanno vita nell’anima stessa.

• Allora l’anima umana sperimenterà, anche nell’esistenza naturale

– come lo può sperimentare oggi nel mondo spirituale, dopo la morte o sulla via dell’iniziazione –

che ilvero ‘peso’ è contenuto, ad esempio, nella scena della Lavanda dei piedi;

che la vera ‘misura’ è contenuta nel detto: “non sette volte, ma sette volte sette dovete perdonare”;

e che il vero ‘numero’ trova espressione nella parabola della pecorella smarrita,

per il cui ritrovamento vi fu più gioia negli Angeli che per le altre novantanove.

 

Nel Vangelo letto alla luce della scienza dello spirito, i concetti di numero, misura e peso risultano compenetrati d’anima. Come tali divengono esperienze nel mondo spirituale, e queste, a loro volta, forze con le quali può venir creato un nuovo universo: secondo peso, misura e numero nel loro significato neotestamentario.

 

Quando nel mondo il numero, la misura e il peso saranno compenetrati d’anima,

allora sarà sorto un nuovo cosmo: il ‘cosmo dell’amore’, succeduto al morente cosmo della saggezza.

 

La realizzazione del nuovo cosmo avverrà per gradi.

• L’esistenza di Giove, che seguirà immediatamente a quella della Terra,

sarà il grado del superamento dello ‘spirito della gravità’, della resurrezione del vero peso.

• Il successivo stadio di Venere sarà il grado in cui ogni misura riacquisterà l’anima.

• L’esistenza di Vulcano sarà infine il grado della resurrezione del numero,

nel suo vero significato di comunità formata da individualità immortali.