Lo Spirito Santo e l’azione della Sofia nella storia spirituale dell’Antico Testamento / La storia del profeta Ezechiele

L’aurora della rivelazione


 

Se si contempla la storia della coscienza umana,

si scopre che un interrogativo la attraversa come un filo ininterrotto:

quello intorno alla natura della sorgente comune del mondo esteriore e della coscienza umana.

 

La Divinità nel suo rapporto con il mondo e con l’uomo

ha costituito, e costituisce tuttora l’interrogativo più importante dell’umanità terrestre.

 

Da quando è nato il pensiero, a tale interrogativo sono state date molte risposte.

Per quanto varie possano essere – se si esclude l’ateismo che non è un’espressione di conoscenza,

ma il sintomo di una malattia spirituale -, esse sono tuttavia riconducibili a tre gruppi principali.

 

La divinità può essere concepita panteisticamente, teisticamente, o deisticamente.

• Nel primo caso essa è identica allo stesso universo,

• nel secondo è la guida esterna dell’universo che essa ha creato,

• nel terzo è l’Entità creatrice che riposa al di sopra dell’universo, da essa un tempo creato,

ma del cui destino non si è da allora più occupata.

 

• Per i panteisti essa è il principio divino di ogni lume di coscienza che splende nel mondo,

e di ogni vita che scorre nel suo divenire;

• per i teisti è la personalità suprema, che sta di fronte all’uomo;

• per i deisti è l’origine trascendente del sistema dell’universo, avente un rapporto con esso

non diverso da quello di un orologiaio con l’orologio da lui fabbricato.

 

Tali concezioni derivano da modi diversi in cui le anime umane sentono il proprio rapporto con la vita.

• Mentre un’anima si sente come inondata e irradiata dal divino,

• un’altra si sente di fronte ad esso come un soggetto autonomo, capace di un rapporto libero,

• un’altra ancora non sente il divino scorrere nel mondo, o rivelarsi ad esso in un rapporto libero,

  ma ne avverte solo un ricordo nell’ordine razionale che regge l’universo.

 

I rappresentanti di queste concezioni si contrappongono spesso irriducibilmente l’uno all’altro, convinti che la verità della propria concezione discopra l’errore delle altre. Così al panteista la concezione teista di Dio appare antropomorfica, mentre al teista la concezione panteistica appare naturalistica e confusa. D’altra parte la concezione del deista – quella, ad esempio, di un Voltaire – è respinta da entrambi come un’astrazione inconsistente. Il deista, infine, considera entrambe le altre concezioni non scientifiche e non filosofiche.

 

Il vero cristianesimo non predica soltanto la pace, ma la instaura realmente nel conflitto delle opinioni.

La concezione cristiana di Dio come Trinità

– che è invero la concezione della saggezza primordiale dei misteri –

è tale che in essa il deista, il teista e il panteista possano stringersi amichevolmente le mani.

 

Alla luce della Trinità cristiana risulta infatti, che:

• il deista riconosce solo il Padre,

• il teista volge l’attenzione solo al Figlio,

• e il panteista, in modo altrettanto esclusivo, afferma la sola realtà dello Spirito Santo.

 

Tutti e tre i sostenitori di queste concezioni della Divinità hanno ragione, per ciò che di positivo affermano.

Hanno invece torto, per ciò che negano delle altre concezioni.

 

La verità è infatti, che:

• la Divinità sussiste al di fuori del divenire del mondo,

• così come d’altra parte è presente quale supremo modello di tutti gli esseri del mondo,

• e fluisce e pulsa in essi quale loro luce e vita.

 

La Divinità una e trina è la realtà più alta in cui il pensiero umano possa affissare lo sguardo,

a cui il cuore umano possa aderire, e che l’uomo possa con tutto il proprio essere professare.

 

L’uomo non deve però credere di poter conseguire un’idea veridica della Trinità, seguendo un’unica via.

• Se si dedica solo all’osservazione della natura esteriore, non troverà la Trinità,

ma giungerà a riconoscere solo il Padre.

• Se si dedica solo all’osservazione della propria interiorità, potrà formarsi un’idea

dell’azione universale dello Spirito Santo.

• Se osserva invece sia il mondo esteriore che quello interiore, con l’interrogativo-,

“Che cosa manca al mondo esteriore, e che cosa manca al mondo interiore?”,

non chiedendosi dunque che cosa già esista, ma piuttosto che cosa sia ancora

imperfetto nell’universo e nell’uomo, scoprirà allora il modello cosmico del Figlio.

 

• Uno sguardo rivolto con devozione alla sorgente da cui fluiscono la coscienza e la vita,

conduce necessariamente l’uomo al riconoscimento dello Spirito Santo.

• Uno sguardo rivolto con attenzione e sagacia al mondo esteriore, convince l’uomo

dell’esistenza del Padre, del Creatore, cui allude tutto ciò che si presenta ai sensi e all’intelligenza.

• Uno sguardo, infine, che si posi con amorevole partecipazione sull’infelicità e

l’imperfezione della vita, conduce l’uomo ad una certezza riguardo al Figlio.

 

• Per colui nella cui anima manchi la devozione, lo Spirito Santo non è che una concezione astratta.

• Chi abbia scarso coraggio della verità non può riconoscere il Padre;

• chi viva, infine, senza amore, non può professare il Figlio.

 

Professare la Trinità, significa giungere a guardare la vita con occhio religioso, oggettivo e clinico.

Tale è l’esigenza che il cristianesimo pone all’umanità, col rivelarle l’idea della Trinità.

Come diverse sono le vie che conducono al riconoscimento dei membri [Glieder] della Trinità,

altrettanto lo sono i processi interiori mediante cui si compie tale riconoscimento.

 

Così il Padre non può in alcun modo essere conosciuto, ma solo riconosciuto.

Nell’uomo può manifestarsi con maggiore intensità l’azione del Padre, ma il suo sguardo di uomo terrestre non può giungere a contemplare il Padre come tale. L’azione del Padre nell’uomo si rivela nel fatto che nella sua anima si avvicendino una condizione di luce e una di tenebra, entrambe prodotte dall’alto. Quando un’anima sia stata dapprima illuminata, e quindi immersa nell’oscurità e nel silenzio, la forza che permane in essa dopo queste due condizioni è l’effetto dell’azione del Padre.

Il Padre non si rivela né nella luce, né nella tenebra silenziosa, ma tramite l’una e l’altra.

 

L’esperienza diretta – diversa da un riconoscimento nel pensiero – dell’Entità del Padre possibile all’uomo sulla terra, si riduce a un percepire la Sua azione nell’avvicendarsi della più alta felicità e della più profonda solitudine.

Solo chi conosca la beatitudine dovuta all’ineffabile chiarezza dell’anima illuminata dallo spirito, e nel contempo l’indescrivibile solitudine dell’anima stessa in immobile attesa, senza alcun impulso a conoscere o ad agire, simile a barca con le vele ammainate in totale assenza di vento, sa che cosa sia la quiete interiore dell’anima, riflesso della quiete del Padre che è nei cieli.

In questa quiete consiste l’esperienza umana del Padre: essa rende l’uomo forte di fronte alle prove della vita e della morte.

L’atteggiamento verticale della volontà fa dell’uomo una colonna congiungente la terra al cielo.

 

Così Rudolf Steiner, durante la prima guerra mondiale, rimase imperturbabile come una colonna di volontà, mentre la tempesta infuriava vorticosamente intorno a lui. Nell’atteggiamento dell’anima di Rudolf Steiner si esprimevano come realtà di vita le parole del Padre nostro: “Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra”.

 

Neanche lo Spirito Santo può essere oggetto di conoscenza.

L’azione dello Spirito Santo costituisce infatti il retroscena della conoscenza, e la rende possibile.

Lo Spirito Santo è la luce che illumina la coscienza nell’atto conoscitivo, e ne rende visibile l’oggetto.

Per questo non si è mai parlato di un ‘conoscere lo Spirito Santo’, ma di un ‘essere ricolmi di Spirito Santo’.

 

Non si può propriamente incontrare lo Spirito Santo, ma solo essere ricolmati interiormente dalla Sua luce,

e in questa luce conoscere gli oggetti, i processi e gli esseri dell’universo.

Si conoscono allora gli oggetti, i processi e gli esseri dell’universo per mezzo dello Spirito Santo,

non lo stesso Spirito Santo. Quest’ultimo irradia e permea tutti gli esseri.

 

Ogni uomo è permeato di continuo dalla corrente dello Spirito Santo,

ma egli non se ne rende conto, poiché tale corrente non viene trattenuta dalla sua coscienza.

Se ciò però accade, e l’Io diventa il punto in cui si concentra la luce dello Spirito Santo,

si sperimenta ‘l’essere ricolmi di Spirito Santo’.

 

Nel presente, tuttavia, tale condizione si manifesta in modo diverso rispetto all’epoca in cui fu coniata quell’espressione. Nel presente, infatti, non vi è più un ‘parlare in altre lingue’, bensì una condizione di massima certezza e chiarezza nella conoscenza delle grandi questioni morali e spirituali dell’esistenza. L’uomo sperimenta semplicemente un grado di luce di coscienza maggiore di quello da lui finora sperimentato. Egli diviene più desto. Questa accresciuta coscienza di veglia, in confronto alla quale la coscienza ordinaria appare un pigro sognare, è la maniera moderna di essere ‘ricolmi di Spirito Santo’. Che questa pienezza si riveli al tempo stesso come una calma beatitudine, non tocca la natura di tale condizione, consistente appunto in un’accresciuta coscienza di veglia.

 

Diversa è la conoscenza del Figlio.

In essa avviene un incontro, per il quale il Figlio sta di fronte all’uomo come suo modello.

Quest’incontro è la conseguenza di quell’atteggiamento verso il mondo e la vita che si è indicato come ‘terapeutico’.

Si incontra il Figlio quando ci si domanda che cosa manchi al mondo.

 

Non si tratta di un interrogativo astratto, ma dell’insieme di molti interrogativi concreti sorti dalla vita, nei quali si esprime l’atteggiamento di un’anima che aspiri, non a trovare la vita perfetta, ma a perfezionarla. Così, ad esempio, si possono considerare le pietre, il mondo minerale, movendo dalla domanda: che cosa c’è nella pietra? Questo modo di considerare porta a conoscere le leggi del mondo minerale, quale si presenta nell’odierna epoca dell’evoluzione del cosmo. Si può però anche considerarlo, movendo dalla domanda: che cosa gli manca? Che cosa non c’è in esso che dovrebbe invece esservi?

Ci si accorgerebbe allora, che la pietra è fredda, priva di quel calore, che essa un tempo aveva posseduto nell’esistenza dell’antico Saturno. Il calore lasciò in seguito la terra per restare unito al sole, e la sostanza minerale rimasta fredda divenne ‘pietra’.

Il regno minerale appare così come l’effetto di un processo cosmico di malattia.

 

Si comprende allora di che cosa ha bisogno per ritornare alla sua condizione originaria: del calore della volontà, a cui si riferisce il Vangelo nelle parole significative del Cristo Gesù, secondo cui la fede può muovere le montagne.

Le montagne sono appunto immobili, in quanto sono state private dell’originario fuoco della volontà presente nell’antico Saturno. È compito dell’uomo restituire al regno minerale questo fuoco che, in quanto mediato dal suo Io, costituisce la ‘fede’.

 

Se si contempla con lo stesso sguardo il mondo vegetale, ci si accorge che gli manca la luce, da esso posseduta all’epoca dell’antico Sole, ma poi perduta, quando la luce lasciò la terra per irradiare dal sole. Da allora la pianta anela alla luce, e il sole gliela dona dall’esterno. Essa ritornerà però alla sua vera condizione, solo quando avrà in se stessa la luce del sole.

Il vero anelito del mondo vegetale non è quello di essere illuminato dal sole,

ma di diventare esso stesso solare.

Il mondo vegetale è l’espressione visibile del multiforme anelito dell’organismo terrestre di ricongiungersi al sole. Questo anelito della terra resta però inesaudito, finché l’uomo non irradi dal proprio essere la luce d’amore del sole.

 

Se si volge lo sguardo terapeutico al muto mondo animale, ci si accorge che esso vive nell’oscura speranza di potersi un giorno abbandonare completamente alla parola, in modo da vivere non più mosso da oscuri istinti, ma guidato da chiare direttive di pensiero. L’obbedienza degli animali domestici all’uomo è un’espressione conforme al destino di questa speranza: l’animale desidera diventare la forza esecutrice del pensiero attivo, ossia della parola.

L’uomo stesso rivela a un tale sguardo che cosa gli manchi.

Il fatto che egli pensi, attesta la condizione fondamentale della sua esistenza, che cioè il senso della stessa non gli è dato immediatamente. L’uomo non avrebbe bisogno di travagliarsi col pensiero, se ciò cui perviene per suo tramite gli fosse già dato immediatamente. Se il senso della vita vivesse semplicemente nella coscienza umana, l’uomo accorderebbe ad esso le proprie azioni, ma non lo cercherebbe col pensiero.

 

Ciò che manca all’uomo, per diventar uomo nel vero senso della parola,

è la presenza vivente in lui del senso della vita.

La caduta dell’uomo e dei regni della natura permette di conoscere ciò che in seguito ad essa si è perduto. Il peccato originale è visibile nei tre regni della natura e nell’uomo, in quanto ciascuno di questi quattro ambiti di esistenza ha bisogno di essere completato, per conseguire la propria condizione autentica.

 

Se ci chiediamo: che cosa manca alla natura e all’uomo?

La risposta complessiva a questa domanda è: il vero uomo.

All’esistenza terrena manca la vera umanità:

solo questa può completare, ossia redimere, gli esseri della terra.

 

Questi ultimi derivano infatti tutti dal grande uomo primordiale, Adam-Kadmon.1 

Ciò che hanno perduto in seguito al peccato originale, costituisce l’oggetto della loro nostalgia.

Se il regno animale è umanità arrestata nel suo sviluppo, e lo stesso può dirsi del regno vegetale e di quello minerale,

la loro redenzione non può avvenire altrimenti che col riacquisto dell’umanità perduta.

Lo stesso uomo terrestre è caduto.

Anch’egli è una manifestazione incompiuta del vero uomo, di Adam-Kadmon.

 

Per questo egli costituisce, nell’ambito dell’esistenza terrestre, lo scenario in cui diviene consapevole l’anelito dell’intera creazione. La presenza, tra i fenomeni della natura, dell’uomo eretto poggiante sulla terra, è segno che la tragedia cosmica per cui le pietre si sono irrigidite, l’oscura nostalgia delle piante, e la muta speranza degli animali sono divenuti anelito cosciente verso la redenzione.

 

L’uomo, tuttavia,

affinché riconosca pienamente la propria responsabilità nei confronti della natura,

deve compiere un passo in piena coscienza:

riconoscere cioè anche la propria imperfezione, in quanto essere decaduto e arrestato nello sviluppo.

Solo riconoscendo ciò, potrà destarsi alla coscienza della propria responsabilità.

 

Il processo di tale riconoscimento è descritto da Rudolf Steiner nel suo libro L’iniziazione,

là dove si parla dell’incontro con il cosiddetto “piccolo guardiano della soglia”.

La prova di questo incontro consiste appunto nel riconoscimento, da parte dell’uomo,

di ciò che egli è divenuto in seguito alla caduta.

 

La conoscenza del proprio essere, quale è divenuto di fatto,

conduce l’uomo a conoscere anche ciò che egli è chiamato a diventare.

Chi abbia saputo reggere alla visione dell’uomo decaduto, potrà accedere a quella del vero uomo.

Tale visione sperimentata in piena coscienza, corrisponde a quell’incontro con il Figlio,

che ne L’iniziazione è descritto come l’incontro con il “Grande guardiano della soglia”.

 

Se quest’ultimo non si svolge con la padronanza di tutte le forze di percezione, di conoscenza e di memoria dell’anima, l’incontro con il Figlio sarà ravvisato con minor coscienza, ma conferirà nondimeno all’anima dell’uomo la certezza riguardo al Cristo quale senso della Terra.

 

L’incontro con il Figlio

è dunque per l’uomo un evento oggettivo sul piano della conoscenza:

egli incontra consapevolmente il proprio modello.

 

Al tempo stesso riconosce in Lui il modello di tutti gli esseri terrestri.

Vi è infatti racchiuso quel calore, quella luce e quella parola, di cui hanno nostalgia i tre regni della natura.

Nella figura del ‘Nuovo Adamo’, dell’Adam-Kadmon risorto, il Figlio incontra l’uomo.

 

Questa figura costituisce il modello non solo dell’uomo, ma anche di tutti gli esseri delle Gerarchie spirituali.

Anche a questi, infatti, manca qualcosa, che spetta all’uomo condurre nel loro ambito di esistenza.

Ciò di cui sono prive la prima, la seconda e la terza Gerarchia, costituisce il compito della quarta, l’umanità.

Si tratta della libertà, la quale raggiungerà lo scopo per cui è sorta,

quando avrà vinto il karma che vige nell’universo [werrn sie das Karma in der Welt uberwurtden haben wird].

 

Tale è la volontà degli esseri delle Gerarchie superiori, per realizzare la quale essi hanno tuttavia bisogno dell’uomo. Solo il cieco uomo terrestre può infatti annullare le conseguenze karmiche che derivano dalla cecità di un altro uomo terrestre. Gli esseri delle Gerarchie non lo possono fare. È tuttavia loro volere che la legge della giustizia sia sostituita dall’amore, fin nel minimo accadimento della natura.

Di ciò può essere capace solo l’uomo incarnato, ma egli non lo vuole, poiché, in seguito alla caduta, la sua volontà costituisce il male all’interno della sua natura. Per questo la volontà del Figlio, che si rivela mediante il più alto degli Elohim, è il più alto modello di amore dato all’uomo, così come la potenza del più alto degli Elohim, fattosi uomo dopo una lunga preparazione, è anche il più alto modello per gli esseri delle Gerarchie spirituali.

 

Il Dio-Uomo è l’ideale cui mira l’evoluzione di tutti gli esseri dell’universo,

tanto di quelli spirituali, quanto di quelli terrestri.

Gli esseri spirituali aspirano in certo senso ad umanizzarsi, ad acquisire cioè la facoltà di vincere il karma.

L’umanità ha invece il compito di divinizzarsi, ossia di accogliere nella propria volontà il volere degli dèi.

 

Ezechiele riconobbe questa verità fondamentale del divenire del mondo quando, al centro della sua visione cosmica dell’attività delle Gerarchie dello Spirito, vide il Figlio sul trono come una “figura dalle sembianze umane” (Ez 1:26).

Egli vide l’archetipo del Dio-Uomo solo profeticamente, ossia quale intenzione cosmica futura, poiché allora il Cristo non si era ancora incarnato ma lo vide al centro del sublime quadro dell’attività dello Spirito Santo, volta a realizzare tale intenzione.

 

Se si contempla più da vicino la figura centrale della visione di Ezechiele presso il fiume Chebàr (Ez 1:3), si scopre che questa figura offre una risposta concreta agli interrogativi vitali della natura e dell’uomo.

Ciò che manca alla natura e all’uomo è contenuto in questa figura. I singoli elementi di essa, quale è descritta da Ezechiele, sono gli stessi di cui si è parlato come di ciò che manca alla natura e all’uomo. Ezechiele non parla infatti solo di una “figura dalle sembianze umane”, ma anche della voce che risuona al di sopra dei quattro Cherubini, presso il trono su cui siede Colui che ha le sembianze umane. Parla anche di fuoco che “divampa come ardente metallo” nelle sue membra, e infine della luce che promana da Lui, simile allo “splendore dell’arcobaleno tra le nubi in un giorno di pioggia”.

• Il vero e divino volto umano,

• la voce che risuona al di sopra delle entità rappresentative delle quattro anime di gruppo,

• il fuoco metallico     • e la luce:

questi quattro elementi che compongono la figura centrale della visione di Ezechiele, sono appunto i doni essenziali perduti dai regni minerale, vegetale, animale e umano sulla terra, e ai quali essi anelano.

 

• Il “fuoco metallico” del sistema delle membra

è il calore della volontà che il mondo minerale ha perduto in seguito alla caduta;

• la luce che risplende nei colori dell’arcobaleno

è quella di cui il mondo vegetale ha nostalgia dai tempi della separazione del Sole dalla Terra;

• la voce che risuona al di sopra delle anime di gruppo

è la parola in cui consiste la speranza di tutta l’esistenza animale;

• il volto umano, infine, è l’immaginazione della meta di tutte le aspirazioni prettamente umane sulla terra.

 

Ezechiele descrisse così l’immaginazione del senso dell’esistenza terrena

per i ‘lettori’ futuri, ossia per la conoscenza ispirata delle generazioni future.

 

Ciò egli fece come ‘figlio dell’uomo’, appellativo con cui è sempre designato dal mondo spirituale (ad esempio in Ez 2:l-3-6-8; 3:1-3-4-10-17, ecc.), e che ha un significato preciso.

Rudolf Steiner ne diede una spiegazione in rapporto ai Vangeli:

“il figlio dell’uomo”

è il rappresentante di un futuro stato di coscienza,

che nascerà da quello presente, quale suo successore (‘figlio’).

In tal senso:

‘uomo’ è il rappresentante dei quattro arti costitutivi umani – corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale e Io.

‘Figlio dell’uomo’ sarebbe invece un uomo che sperimenta anche il principio del manas,

il sé spirituale, come quinto arto costitutivo.

 

Fu appunto questo il caso di Ezechiele. Egli precorse il futuro, non solo per il contenuto delle sue rivelazioni, ma anche in quanto operò e conobbe in base ad un arto costitutivo destinato a svilupparsi in futuro.

Ciò determina il carattere fondamentale di tutte le sue rivelazioni. Esse si riferiscono dapprima alla realtà somma, a Colui che siede in trono sopra i Cherubini, per discendere poi alle vicende umane. Una simile direzione discendente del conoscere è la prerogativa della conoscenza del ‘figlio dell’uomo’, ossia della conoscenza del manas.

Nel capitolo 9, riguardante Davide e Salomone, si è già parlato di questa prerogativa.

Qui si tratta di illustrare al lettore il motivo per cui egli, insieme con l’autore, dovrà seguire un cammino ‘discendente’ nelle considerazioni che seguono, riguardanti Ezechiele.

 

Prima di procedere, occorre però accennare ad un fatto che consente di far luce su un punto significativo: la conoscenza discendente, quale è qui intesa, nulla ha in comune con la speculazione, della quale è anzi l’esatto contrario. La speculazione di tipo filosofico, ad esempio, parte dall’esperienza del mondo esteriore, per giungere ad argomentare, in base a nessi analogici, intorno al mondo superiore.

La ‘conoscenza discendente’ è al contrario un processo per cui si ricavano dal mondo superiore i nessi valevoli per quello inferiore. Si differenzia dunque dalla speculazione, in quanto mira a conoscere gli eventi e i fatti del mondo inferiore, movendo da quello superiore, mentre la speculazione usa spiegare il mondo superiore per mezzo di quello inferiore. Comprendere questo fatto è oggi tanto più importante, in quanto vigono in proposito idee del tutto confuse.

Oggi si spiegano i libri dei profeti e l’Apocalisse, proiettandovi il contenuto del mondo inferiore: ne risultano interpretazioni settarie o ‘scientifiche’, che nulla hanno a che fare con il contenuto delle rivelazioni, il quale non va affatto ricercato ‘in questo mondo’.

 

Le immagini e le similitudini delle rivelazioni devono parlare da sé: finché restano mute,

ogni interpretazione che vi proietti i contenuti dell’esperienza ordinaria, non può essere che arbitraria.

Per comprendere il quadro complessivo della visione di Ezechiele,

non è sufficiente soffermarsi sulla sola figura centrale.

Si devono piuttosto considerare i singoli dettagli, in rapporto alla figura centrale.

Tali dettagli riguardano alcune entità delle Gerarchie spirituali, e il modo in cui operano.

 

Occorre dunque formarsi al riguardo un’idea più precisa.

Nel capitolo 1 gli eventi della fase veterotestamentaria della storia spirituale dell’umanità, sono stati caratterizzati nel loro insieme, dicendo che a quel tempo il Padre operava nel destino, all’interno del quale lo Spirito Santo preparava la nascita del Figlio.

Nella seconda parte di questa frase (“… all’interno del quale lo Spirito Santo preparava la nascita del Figlio”) vi è l’intero contenuto della visione di Ezechiele presso il fiume Chebàr, fino al momento in cui gli vengono assegnati i compiti riguardanti i suoi connazionali.

La visione mostra infatti il Figlio al centro dell’attività dello Spirito Santo.

 

Tutte le singole figure che circondano quella centrale, sono connesse con quest’attività.

Come si è mostrato sopra, lo Spirito Santo non poteva essere esso stesso oggetto di conoscenza:

solo la sua attività si dava a conoscere a singoli esseri.

L’Entità dello Spirito Santo a quel tempo ricolmava il soggetto della conoscenza,

in questo caso Ezechiele, e non poteva quindi essere suo oggetto.

 

Questo fatto è espresso nel linguaggio della Bibbia con le parole: “La mano del Signore fu sopra di lui” (Ez 1:3).

La ‘mano di Dio’ fu sopra Ezechiele fin dal primo momento delle sue visioni:

fu appunto questa ‘mano’ a renderle possibili.

L’attività dello Spirito Santo si estende a tutte le Gerarchie.

Vi sono tuttavia Gerarchie unite a Lui in modo speciale.

 

Come gli Arcangeli, gli Elohim e i Serafini sono soprattutto rappresentanti del Figlio, così gli Angeli, le Dynameis (Spiriti del movimento) e i Cherubini lo sono dello Spirito Santo. Essi assolvono in special modo i compiti connessi con l’azione cosmica dello Spirito Santo, mentre altre Gerarchie si dedicano ai compiti assegnati nel cosmo dal Figlio e dal Padre.

 

Il compito dello Spirito Santo nei riguardi dell’uomo incarnato consiste nel ricolmarlo di luce di coscienza,

la quale è oggi presente con minor offuscamento nel suo pensiero.

Questa luce viene donata all’uomo, ed egli può usarne o abusarne a suo arbitrio.

Può infatti, o sottomettervi liberamente la propria volontà, o al contrario imporla ad essa.

In quest’ultimo caso vi è un abuso della luce della coscienza.

L’uomo, qualunque sia l’uso che ne fa, deve ogni afflusso di luce della coscienza

a quella sorgente che viene chiamata ‘Spirito Santo’.

 

La luce, prima di giungere all’uomo, viene elaborata dalle Gerarchie spirituali,

affinché possa essergli trasmessa in una forma a lui adeguata.

A quest’opera sono preposte in particolare tre Gerarchie: i Cherubini, le Dynameis e gli Angeli.

I Cherubini espirano la luce, irradiano luce eterna in direzione della sostanza fisica.

Le Dynameis determinano le modalità del suo agire nel mondo fisico.

Gli Angeli ne guidano i raggi verso i singoli uomini.

 

Se in questo divenire complessivo l’azione degli Angeli venisse a mancare, non vi sarebbero più differenze individuali nell’afflusso interiore della luce della coscienza, e tutti gli uomini sarebbero partecipi in modo uniforme della sua azione, senza differenza di colore, di misura e di tempo. La maggior parte dell’umanità risulterebbe allora accecata dal bagliore irrompente della coscienza. Se venisse a mancare l’attività delle Dynameis, l’umanità contemplerebbe immobile la luce dell’eternità. Rimarrebbe affissa senza respiro nella luce dell’immutabile eternità: ogni movimento si arresterebbe, e un progresso dell’umanità sulle vie dell’evoluzione risulterebbe impossibile.

L’umanità dipende dalle Gerarchie spirituali, come le Gerarchie dipendono le une dalle altre.

 

Gli Angeli preservano l’umanità, non solo da un completo oscuramento della coscienza dovuto all’esperienza nel mondo fisico, ma anche dall’accecamento della stessa dovuto a una luce diretta, non smorzata, dello Spirito.

Gli Spiriti del movimento conferiscono alla luce eterna dei Cherubini la possibilità del movimento, del progresso.

I Cherubini, invece, irradiano nella tenebra del mondo materiale la luce stessa, quale fluisce dall’eterna Trinità.

Gli Angeli rappresentano il limite estremo dell’attività luminosa dello Spirito Santo, ai confini con la tenebra: essi sono i ‘figli del crepuscolo’ nel senso letterale della parola. Rappresentano i molti occhi del mondo spirituale, che guardano da un’immediata vicinanza la realtà terrena.

 

Su ogni uomo è posato un occhio del mondo Spirituale, il suo Angelo custode. Nessuno è dimenticato:

l’occhio di Dio – parlando nel linguaggio della religione – è realmente posato su ogni singolo uomo.

È un occhio, però, che non solo osserva, ma anche illumina e irradia.

 

Gli Angeli non hanno infatti solo il compito di far conoscere alle altezze del mondo spirituale i sentimenti

e le azioni degli uomini, ma anche di far conoscere all’uomo le intenzioni e le azioni delle entità spirituali.

Essi sono ‘messaggeri’, sia per il mondo delle Gerarchie, che per il mondo dell’umanità terrena.

Di continuo si adoperano per destare le anime dell’umanità terrena alle grandi mete cosmiche.

Loro intento è accordare i moti delle anime umane ai grandi impulsi cosmici.

I grandi impulsi cosmici promanano specialmente dalla Gerarchia delle Dynameis,

ossia dagli Spiriti del movimento.

 

Sono essi a conferire mobile capacità impulsiva [Anregungskraft] alla luce proveniente dalle altezze. Si può parlare solo di ‘capacità impulsiva’ delle Dynameis, poiché esse hanno rinunciato a dispiegare la loro forza come tale: la ‘dinamica’ delle Dynameis va intesa come un’attività che suscita un anelito, e non come una mera trasmissione di movimento.

Arimane muove gli esseri agendo direttamente su di loro; Lucifero li muove seducendoli; le Dynameis, invece, muovono gli esseri lungo le vie che essi stessi, con il loro anelare alla luce del vero, del bello e del buono, dischiudono.

 

La storia di un grande anelito cosmico – dalla sua nascita fino al suo adempimento – è al tempo stesso la storia di un ciclo evolutivo. Così la Terra, quale quarto ciclo evolutivo, nel suo svolgersi dall’epoca polare alla condizione finale di pralaya, è in realtà la storia di un anelito cosmico, il quale è sorto con il peccato originale, e ha conseguito la speranza di essere esaudito con il Mistero del Golgota. Si è già cercato di caratterizzare questo anelito. Ora si tratta di scorgere il suo nesso con l’attività degli Spiriti del movimento.

 

La circolarità dell’anelito è una manifestazione degli Spiriti del movimento.

I suoi cerchi [Kreise] vengono anche chiamati ‘ruote’ (lat. rotae) , i cui bordi sono pieni di occhi.

Gli Angeli sono infatti gli ‘occhi’ sui bordi delle ‘ruote’ delle Dynameis.

L’attività delle Dynameis che dà impulso al movimento, è determinata dai Cherubini.

 

I Cherubini irradiano la luce dell’armonia, in base alla quale le Dynameis suscitano l’anelito.

• Gli Spiriti dell’armonia – Rudolf Steiner chiama così i Cherubini ne La scienza occulta

danno il contenuto all’anelare dei diversi esseri.

Rispetto all’umanità, essi mostrano l’archetipo dell’uomo armonioso, dell’uomo totale.

 

L’uomo è armonioso, solo se i quattro arti costitutivi del suo essere sono in accordo tra loro,

ossia se l’uomo dell’Io non è in conflitto, ma coopera con l’uomo astrale, eterico, fisico.

Nel linguaggio dell’antichissimo simbolismo occulto, si direbbe che nell’uomo armonioso,

l’‘uomo’, l’‘aquila’, il ‘leone’, il ‘toro’ sono in equilibrio tra loro.

 

Egli ha ‘quattro facce’: davanti quella dell’‘uomo’, dietro quella dell’‘aquila’,

a sinistra quella del ‘toro’, e a destra quella del ‘leone’ (cf. Ez 1:5-12).

Se l’uomo è armonioso, è maturo per conseguire una condizione ancor più elevata.

L’armonizzazione consente infatti la comparsa di una forza superiore.

 

Affinché l’uomo armonioso divenga l’uomo dell’amore,

le sue quattro forze costitutive devono far posto alla nascita di una quinta.

Dopo che lo Spirito Santo ha attuato l’armonizzazione dell’uomo,

viene il momento della nascita del Figlio.

 

Quando sulla terra fosse esistita una natura umana che avesse realizzato l’archetipo mostrato dai Cherubini,

sarebbe nato il Figlio.

Affinché ciò potesse avvenire, la storia di Israele doveva, come riconobbe Ezechiele, svolgersi in una certa direzione.

Dal riconoscimento di ciò maturò in lui il senso della propria missione.

 

A questo punto, se si prende il testo della visione di Ezechiele al fiume Chebàr, e lo si esamina frase per frase, essa dovrebbe risultare comprensibile. Per ragioni di spazio un simile esame esula dal presente contesto. L’autore spera tuttavia che esso non riesca troppo difficile al lettore. Questi sarà in grado di comprendere ogni frase del racconto di Ezechiele, se avrà colto il carattere fondamentale della sua rivelazione, ossia che egli contempla l’attività dello Spirito Santo, quale si compie tramite i Cherubini, le Dynameis e gli Angeli, e che lo scopo di questa attività è la nascita del Figlio in un’organizzazione umana armoniosa.

 

La nascita del Figlio significa l’adempirsi dell’anelito di tutti gli esseri terrestri,

sia dell’umanità, che dei regni della natura.

La visione di Ezechiele costituisce dunque uno dei documenti più preziosi che l’umanità possieda.

Esso racchiude conoscenze precise sull’attività dello Spirito Santo.

 

In merito alle considerazioni svolte – specialmente in quella parte dove si è parlato delle diverse vie e tipi di conoscenza in rapporto ai tre membri della Trinità – può presentarsi la domanda: se sono necessarie vie e qualità dell’anima differenti, per riconoscere il Padre, per conoscere il Figlio, e per professare lo Spirito, come si compie invece la conoscenza della Trinità in quanto unità?

Vi è la possibilità di accogliere una saggezza indivisa, che non sia una mera combinazione delle tre diverse forme di conoscenza, conseguite lungo diverse vie, ma che costituisca una visione unitaria?

Questa domanda ci porta a considerare un’importante realtà nella storia dell’Antico Testamento: quella cioè della Sofia.

 

 


 

Note:

1 – Adam-Kadmon è termine ebraico, che significa ‘uomo primordiale’. Gli autori della Qabbalah vi intesero un essere racchiudente in sé, nel puro principio, l’intero universo visibile.